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Autore: mamogirl    28/11/2012    3 recensioni
La pioggia continuava a battere contro le finestre, alternandosi con il vento che scuoteva le fronde ormai vuote degli alberi. Da lontano incominciò a farsi avanti l’inizio di un temporale, con lampi e tuoni. Ma, per quanto importava a Brian e Nick, fuori avrebbe potuto scatenarsi l’Apocalisse. Lì in quel salotto, accoccolati sotto la coperta e l’uno fra le braccia dell’altro, nient’altro aveva più ragione di esistere.
Almeno per qualche ora.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Littrell, Nick Carter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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When it’s black
Take a little time to hold yourself
Take a little time to feel around
Before it’s gone*

 

 

 

*************
I Won't Let You Go
*************

 

 

 

 


Odiava giornate come quelle.
Tic tic tic tic.
La pioggia aveva incominciato a scendere già quando il cielo era ancora avvolto nel mantello scuro della notte. L’aveva udita in quei momenti di dormiveglia, dove solamente la mente era sveglia mentre tutto il resto del corpo cercava di ritornare nell’oblio del sonno.
All’inizio, era stato solamente un lieve ticchettio. Lento e debole, aveva cullato i suoi pensieri e lo aveva illuso che, una volta arrivata la mattina, quella malinconica atmosfera si sarebbe già esaurita.
Illusione, ecco che cosa era stata. La stessa magia che anche lui usava per volteggiare attorno alle persone quando si sentiva in quel modo.
Per qualche ora era anche riuscito a combatterlo. Si era alzato e si era comportato normalmente: il caffè fumante mentre leggeva il giornale, fingere di non voler trascorrere la giornata a casa mascherandosi con una tuta con la quale avrebbe potuto uscire, se solo avesse voluto.
Non quel giorno, però.
Forse era la pioggia che silenziosamente aveva aumentato la sua intensità e ora batteva forte contro i vetri delle finestre. E non aiutava certo il freddo e il vento che facevano riemergere una vecchia slogatura alla caviglia mai perfettamente guarita.
Forse era quel peso che si sentiva sul petto e che sembrava espandersi ad ogni nuovo respiro. Aumentava, conquistava centimetro su centimetro i suoi polmoni e faceva salire di una tacchetta in più il groppo in gola. Lui lo rimandava giù, lo rigettava lì dove poi aumentava le fiamme ma era sempre lì. Gli faceva pizzicare il naso, quasi quello fosse un estremo tentativo di fuga; non contento, quel sentimento si insinuava fin negli occhi, aizzando contro di lui lacrime che erano sempre rimaste dormienti fino a quel momento.
Tutto ciò di cui era sicuro Brian era di non voler piangere. Lo avrebbe fatto per niente, per stupidi pensieri che avevano usato la pioggia e il grigio per riunirsi insieme e creare una tempesta dentro di lui.
Sì, erano senza senso quei pensieri. Raccontavano di una persona che non voleva essere, rammentavano tutto ciò che avrebbe potuto fare nella sua vita e che, invece, si era lasciato sfuggire per pigrizia e svogliatezza. Ricordavano parole che avrebbe potuto pronunciare o scrivere, legami che avrebbe potuto tenere vivi invece che lasciarli morire come piante senza acqua o nutrimento.
Odiava il suo carattere. Odiava quella forza, tanto ammirata dagli altri, che lo spingeva sempre a ricacciare indietro le lacrime e i dubbi perché lo avrebbero fatto apparire debole. 
Per quale motivo, poi, doveva essere triste? 
Aveva tutto ciò che poteva desiderare, tutto ciò per cui molti altri avrebbero fatto carte false: lavoro, amore e amici. La salute. I soldi.
Eppure, dietro a quell’apparenza, c’era un volto che era riuscito a mostrare a pochi. Era una malinconia che lo prendeva all’improvviso, era il sentimento di inadeguatezza che lo portava a dubitare di tutto ciò che aveva fatto. Era, soprattutto, l’insicurezza di non essere importante per chi lo circondava.
Quei momenti di debolezza e fragilità erano solo per lui e per tanto tempo si era raccontato quella bugia e, in qualche modo, era riuscito a sopravvivere da solo. Ora, invece, la vedeva per quello che era: una menzogna. Non voleva realmente essere solo in quei momenti, eppure, non sapeva nemmeno come chiedere aiuto. Non lo aveva mai fatto, era sempre stato più bravo a dare conforto che a chiederlo e riceverlo.
E, prima dell’arrivo di Nick nella sua vita, non aveva avuto qualcuno che lo abbracciasse. Oh, certo, c’erano stati gli abbracci di amici ogni qualvolta si incontravano dopo tanto tempo; c’erano stati gli abbracci dei familiari e dei parenti e persino quelli delle fans. Ma quelli abbracci più intimi, quelli dati per confortare o per trasmettere calore ed amore, Brian non aveva mai saputo definirli.
Sapeva che con Nick non aveva nemmeno bisogno di richiederli. Eppure, nonostante ciò che c’era fra loro, ancora non era capace di lasciare cadere la sua ritrosia e fare quella semplice richiesta. Forse era l’abitudine, forse era una paura che non riusciva a spiegare, ma ogni volta si richiudeva a riccio non appena Nick gli chiedeva se stava bene o se c’era qualcosa che lo turbava.  
La mano recuperò il telefonino accanto a lui; le sue dita incominciarono a digitare le parole di un messaggio, una semplice richiesta che sembrava richiedere più forze che per spostare un macigno. Scriveva e cancellava, sentendosi un idiota perché non avevano senso quelle lacrime né quella tristezza.
Scriveva e cancellava, rifiutando però di far vincere l’imbarazzo. Perché, infine, tutto ciò di cui aveva bisogno era proprio Nick. Anche ignaro di ciò che stava passando, Brian aveva bisogno di lui, di chiacchiere attorno al niente e di risate spuntate per delle battute divertenti solo per loro.
Voleva stare solo e, allo stesso tempo, voleva avere Nick al suo fianco. Anche solo per guardare un film alla televisione.
Stava per rinunciare quando il campanello risuonò forte nel silenzio della casa. A piedi nudi, incurante del freddo del parquet, Brian si diresse verso la porta d’ingresso, domandosi chi poteva essere uscito con quel tempaccio.
In realtà, non era nemmeno una giornata così brutta. Era solamente grigia, con la pioggia e il vento a tenere vivo il freddo. Una folata lo colpì non appena aprì la porta, ritrovandosi poi di fronte a Nick.
Nonostante la giacca ed il cappuccio, i capelli erano bagnati così come le dita infreddolite racchiuse attorno a due tazze provenienti dallo Starbucks in fondo alla strada.
“Ero nei paraggi...”
“E per puro caso ti sei fermato a prendere del caffè?”
“Esatto.” Annuì Nick, anche se l’espressione nei suoi occhi lasciò intendere che si stava solamente attenendo al gioco iniziato da Brian.
Brian lo fece entrare, richiudendo la porta e prendendo le tazze dalle mani di Nick, invitandolo così a togliersi la giacca e le scarpe. “Sul serio, Nick, che cosa ci fai qui?”
“Volevo vederti. – Rispose lui, riprendendo in mano la sua tazza e scoccando un bacio sulla fronte di Brian. – Stare con te. Coccolarti.”
Brian osservò Nick dirigersi verso il salotto e incominciare a recuperare tutto l’occorrente per trascorrere il resto della giornata: la televisione che rimandava la luce blu mentre aspettava di essere caricata con il dvd prescelto, la coperta attendeva solamente di ricoprire i loro corpi e la tazza che teneva in mano presto avrebbe perso il suo aroma e calore.
Ma, per un attimo, tutto quello che riuscì a fare Brian fu l’estremo tentativo di trattenere le lacrime. Il messaggio di quel gesto e di quella visita era sì nascosto ma così lampante: non era un caso, in qualche modo Nick era riuscito a capire che razza di giornata era per lui ed era lì, a cercare di farlo sentire meglio.
Per tanto tempo aveva desiderato una persona così, qualcuno che sapesse leggerlo senza costringerlo con i denti a rivelare pensieri che nemmeno a lui piaceva considerare o rifletterci sopra. Nick sembrava avere un sesto senso per captare quando i suoi sorrisi erano una difesa contro le lacrime, quando i suoi messaggi erano fintamente divertenti e spiritosi e quando, sotto di essi, vi era una richiesta d’aiuto.
Ed erano quei piccoli gesti che lo rendevano ancora più innamorato di lui.
“Il tuo film preferito ti sta aspettando.”
Il groppo in gola stava diventando troppo grande per essere ancora ristretto. Certo, poteva addurre come giustificazione il fatto che fosse già troppo sensibile ancor prima che Nick arrivasse e lo sormontasse con tutte quelle attenzioni.
Ma era proprio quello il punto.
Senza aver chiesto o preteso nulla, Nick era lì e non gli importava che, a renderlo simile ad una donna in piena tempesta ormonale, fosse una cosa da nulla.
Quando mai qualcuno aveva fatto qualcosa di simile per lui?
Solo Nick. 
Forse perché Nick era l’unico che aveva lasciato entrare nelle stanze più segrete della sua anima. E, fin’ora, quel permesso sembrava essere stato ripagato più quanto fosse stato il suo prezzo. Anche se Brian era certo che quei segreti potevano avere un rovescio della medaglia e essere usati contro di lui per ferirlo nel peggiore dei modi. Ma non sarebbe accaduto. Almeno, non nell’immediato futuro.
Così Brian lasciò da parte quei pensieri e, anche con gli occhi lucidi – per quale motivo continuare a fingere quando entrambi sapevano il nocciolo della questione? – si diresse in salotto. Nick era già seduto sul divano, le lunghe gambe appoggiate sul tavolino e la coperta che lo copriva solo a metà. Si sedette accanto a lui, accoccolando il suo corpo mentre un braccio di Nick lo cingeva attorno alle spalle. La coperta venne adagiata anche su di lui, così alta da nasconderlo tranne che per il volto.
Le prime note dell’introduzione incominciarono ad alzarsi di volume, un can can ritmato e struggente che poi si sfumava nelle melodia e voce di David Bowie. Brian si strinse ancor di più a Nick e nascose il viso nella sua spalla, strofinando la punta del naso contro la pelle del collo. Amava il profumo di Nick, quello forte del muschio che si combinava alla perfezione a quello più dolce del detergente della felpa.
E lì, in quell’alcova che era stata costruita solamente per lui, Brian lasciò andare le redini di controllo e permise alle lacrime di seguire la loro scia. Una dopo l’altra, quelle gocce d’acqua, calde, incominciarono a solcare le sue guance per poi andare ad asciugarsi sulla felpa di Nick. Per i primi minuti, furono silenziose, soddisfatte di essere riuscite a sfuggire via e portandosi con loro tutti quei sentimenti, emozioni e pensieri che avevano dato loro origine e vita.
I singhiozzi arrivarono solamente più tardi, più o meno quando il personaggio di Ewan McGregor stava spiegando il significato dietro quella canzone appena aggiunta al musical. O forse, il groppo si era sciolto quando Brian aveva sentito il braccio di Nick stringersi ancora di più attorno a lui, dita che avevano incominciato a salire, scendere e disegnare linee sulla sua pelle in un movimento che altro non era se non confortante. Un invito, quasi, a lasciarsi andare perché ora c’era lui, Nick, e sarebbe andato tutto bene.
Era strano sentirsi dire quelle parole, riceverle invece che continuamente regalarle. Erano un’arma potente, riuscivano a disintegrare qualsiasi resistenza e, come una marea, si lasciavano dietro solo sabbia e vuoto. E la cosa più straordinaria, in quel momento, era che Nick nemmeno le stava pronunciando: erano sussurrate nelle sue carezze, erano accennate in quei tocchi di labbra prima sulla sua fronte e poi fra i capelli. Erano intese in quell’abbraccio che lo stava proteggendo dal mondo, lo nascondevano fino a quando non sarebbe stato pronto a riemergere.
Ma, quando quel momento arrivò – coincidendo con il momento finale di Moulin Rouge – Brian non si staccò dall’abbracciò. Vi rimase al suo interno, completamente esausto e svuotato, sì, ma anche rinfrancato. Non vi erano più pensieri né tristezza mischiata a malinconica. Era da tanto che non si sentiva in quel modo, forse perché prima non aveva mai nessuno a cui appoggiarsi in quei momenti: crollare a piangere da soli non era mai produttivo, soprattutto perché le rassicurazioni pronunciate dall’altro se stesso dopo qualche tempo perdevano efficacia.
“Meglio?” Domandò Nick.
Brian annuì con un cenno del capo, prima di staccare il volto abbastanza per poter osservare quello di Nick. “Grazie.” Mormorò con voce rauca, come se il groppo che si era sciolto si fosse portato via anch’essa. Così, non fidandosi di quel flebile suono, le labbra si posarono sulla guancia di Nick, lasciandovi anch’esse un ringraziamento.
Nick sorrise mentre, con la punta dell’indice, asciugava quelle tracce di lacrime che ancora scarabocchiavano la pelle di Brian con tristi disegni. “Non c’è di che. L’importante è che stai meglio.”
Non c’era altro da aggiungere o, forse, Brian si sentiva completamente svuotato da non aver più nessun pensiero disponibile in mente. Si riappoggiò con la testa sulla spalla di Nick, la mano appoggiata sul suo petto mentre il ragazzo trafficava con il telecomando, spegnendo il lettore dvd e cercando poi un canale che interessasse ad entrambi. La scelta, infine, cadde su una partita di basket.
“Come... come lo hai capito?”
Nick aggrottò la fronte alla domanda. “Che avevi bisogno di un abbraccio?”
“No, che avevo bisogno di te.” Puntualizzò Brian. Sì, l’abbraccio era il gesto fisico di cui più aveva avuto bisogno ma non avrebbe mai avuto così effetto se a darlo non fosse stato Nick.
“I tuoi messaggi. Anche se alcuni erano come gli altri, divertenti e tutto il resto, non avevano gli smiles. E tu non li usi a meno che non ti stia forzando di far credere che tutto sia normale.”
Un altro bacio ma questa volta Brian lo indirizzò direttamente sulle labbra di Nick. “Sei speciale, lo sai?”
Nick rispose a quel bacio, strofinando poi la sua guancia contro quella di Brian. “Lo siamo entrambi. Anche tu riesci a capire il mio umore da qualcosa di totalmente banale e che nessun altro può vedere.”
“Le tue mani. – Rispose Brian senza nemmeno pensarci sopra. – Quando sei nervoso o triste, continui a torturartele.” La sua mano destra prese quella di Nick, accarezzando delicatamente i punti in cui ricordava che il ragazzo preferiva torturare.
“Siamo o non siamo anime gemelle?”
“Oh, lo siamo decisamente.”
La pioggia continuava a battere contro le finestre, alternandosi con il vento che scuoteva le fronde ormai vuote degli alberi. Da lontano incominciò a farsi avanti l’inizio di un temporale, con lampi e tuoni. Ma, per quanto importava a Brian e Nick, fuori avrebbe potuto scatenarsi l’Apocalisse. Lì in quel salotto, accoccolati sotto la coperta e l’uno fra le braccia dell’altro, nient’altro aveva più ragione di esistere.
Almeno per qualche ora.

 

 

 

If the sky is falling
And if this life won’t see it
Sees no time to be alone
I won’t let you go*

 

 

 

 

 

 

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* Lyrics from "I won't let you go" by James Morrison
Non so realmente dove e come è nata questa one-shot. So solo che a questo ragazzo, Brian, sto rifilando tanto ma tanto di me stessa. Anche il fatto che "Moulin Rouge" sia il suo film preferito. (U.U Magari lo è sul serio. U.U). Quindi, prendetela così com'è =)
Ringrazio tutti e tutte che leggono, anche se solo di passaggio. Ringrazio, ovviamente, quelle pie anime che lasciano un commento e che, stranamente, adorano qualsiasi cosa malata esca dalla mia mente. lol Ringrazio con tutto il cuore quella anima pia e buona che si sopporta quotidianamente i miei scleri, le mie mille plot-line che poi non vedranno mai la luce e che, nonostante tutto, continua a fare il tifo per me. <3

Cinzia =)

   
 
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