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Autore: monica di francesco    28/11/2012    0 recensioni
Erano passati diversi anni, ma dovevo assolutamente incontrarla.
L'ora delle visite. Mi presentai alla reception e chiesi di lei.
La porta della sua stanza era aperta. Entrai.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Desideravo più di ogni altra cosa trovare ritagli di tempo e di spazio, per potermi aprire di nuovo a un blocco di fogli bianchi. Aspettavo da molto. Troppo, direi. Da quella volta che mi sentii usurpata dei sentimenti più profondi, delle notti insonni passate a scrivere il mio romanzo. Lei era una scrittrice sicuramente in declino e aveva fatto suo il mio scritto più bello, l’aveva portato alla celebrità. Mio. Era mio. Quella donna era tornata in auge solo grazie alla mia ambizione, al sogno di vendere milioni di copie del mio primo romanzo. All’epoca, quella donna conduceva un programma televisivo riservato a giovani talenti e le mandai una copia. Non mi comunicò nessun tipo di commento critico, si appropriò semplicemente della mia opera. Da quel momento non fui più in grado di scrivere qualcosa d’interessante, partorivo testi che esprimevano soltanto rabbia e disillusione. Non avevo maledetto mai nessuno e non maledissi neanche lei che ebbe, comunque, un’esistenza solitaria e infelice. Poi, un giorno, avevo letto in un quotidiano locale che era ricoverata in una clinica privata della mia città. Erano passati diversi anni, ma dovevo assolutamente incontrarla. L'ora delle visite. Mi presentai alla reception e chiesi di lei. La porta della sua stanza era aperta. Entrai. L’ambiente, conforme all’intero stabile, appariva scarno, asettico, nessun quadro alle pareti, soprammobili o fiori nell’unico vaso di vetro azzurrognolo, appoggiato sul comodino di plastica marrone. Una vecchia lampada in ceramica e fazzolettini di carta, un libro di Pirandello, “Uno, nessuno, centomila”, una coroncina di S. Michele Arcangelo appoggiata su fogli ciclostilati di litanie. Una scatola a fiori rosa pastello con dentro chissà quali ricordi. La luce del giorno filtrava dalle imposte semiaperte. Un raggio di sole invernale batteva sui suoi, ancora splendidi, occhi chiari ed un altro dorava i capelli sciolti sul cuscino. Lo sguardo fisso al soffitto, le mani giunte a preghiera sul petto. Provai subito un senso di pena. Mentre la osservavo da una certa distanza, allargò improvvisamente le narici come se avvertisse la mia presenza nella stanza. Non mosse gli occhi verso di me. Socchiuse le labbra e disse: - Chi c’è? Mi fece sussultare. Per anni avevo odiato una voce così melodiosa. - Chi è, cosa fa in questa stanza? - Lei non mi ha mai conosciuta. Avrebbe dovuto, ma non l’ha mai fatto. Passarono degli attimi che scandirono un silenzio interrogativo. - Non riconosco la sua voce. Mi faciliti il compito. Le mie orecchie non sanno chi sia lei e i miei occhi, che non l’hanno mai vista ora non possono farlo. - Il mio nome è Maria De Massi. Ho scritto per lei il successo. Si mosse. Cercò di tirarsi su, schiacciandosi molto lentamente contro la testata del letto. E poi disse: - Ah, sei tu. Il mio successo, la mia condanna, vorrai dire. Aveva capito. - Quello che è stato, non importa – risposi – era mio e lei se n’è appropriata, mi ha rubato il successo, il futuro e ha segnato il mio destino. - Perché sei venuta solo ora? - Lei è tornata in questa città dopo tanto tempo e forse il fatto di essere così vicina mi ha spronata. Soprattutto perché voglio sapere il motivo. Sospirò. - Quanti anni hai? Quaranta? Ricordo perfettamente il giorno in cui arrivò in redazione il tuo romanzo, accompagnato da una lettera. Leggendola mi pareva quasi che tu fossi davanti alla mia scrivania, che sentissi la tua voce, tanto mi colpì la facilità con cui adagiavi le parole una dietro l’altra; un filo d’inchiostro blu che scorreva tra le righe e risuonava meglio delle note su un pentagramma. T’immaginavo e avrei voluto conoscerti prima possibile. In me la lotta ebbe inizio nell’istante in cui lessi l’ultima parola del tuo romanzo. Splendido. Mi aveva colmato d’ogni genere d’emozione già dalle prime pagine. La gioia di vivere inseguita dalla primordiale paura di non esistere, il passato che oscurava il presente, il futuro che arrivava a rischiararlo. L’amore e l’odio, il sesso e la violenza. Tu eri quello che io avevo sempre sperato di diventare. Geniale. Conoscerti o immedesimarmi? Scelsi la seconda soluzione, ma non senza soffrire. Se avessi immaginato cosa sarebbe diventata la mia vita dopo quel gesto e per quel gesto, non avrei mai… mai fatto quello che ho fatto. Si stava emozionando. - In quel famoso giorno in cui ho ricevuto il tuo romanzo, avevo appena appreso che la mia avventura televisiva era terminata. Pochi ascolti. Pochi giovani talenti meritevoli di partecipare alle trasmissioni, ero stata ‘cancellata’, insomma. A quarantacinque anni per il piccolo schermo sei già una mummia, oltretutto non ero più interessante neanche come scrittrice. I miei libri erano un fallimento dopo l’altro. Ero disperata, disperata, capisci? - No, non posso capire. La disperazione vera era la mia. Era quella del giorno che ha visto pubblicare la mia opera con il suo nome. Capisce, io ero disperata! Ho acquistato il libro, l’ho letto decine di volte, ho accarezzato ogni pagina, ogni singola pagina come una madre che accarezza il figlio ritrovato. Piangevo e l’accarezzavo; lo stringevo a me e ripetevo che non era possibile, non era possibile. Poi lei, quasi senza ascoltarmi, continuò. - Dopo averlo letto, accesi il computer e copiai ogni singola parola, ogni singola virgola. Passai l’intera notte e il giorno seguente davanti al monitor. Poi, chiamai il mio editore. Gli dissi che avevo un romanzo da fargli leggere. Lui non sembrò interessato ma io insistetti. Fu così che glielo consegnai. Mi telefonò cinque giorni dopo dicendo di precipitarmi nel suo ufficio. Mi assalì la paura. Forse aveva capito che non poteva essere una mia creatura. Lo stile era sicuramente diverso. Ma al mio arrivo alla casa editrice, mi accolse con un grande entusiasmo e stappò una bottiglia di champagne per brindare a quello che sarebbe stato un nuovo best-seller, degno anche di premi internazionali. - Così, mentre io sprofondavo nella disperazione, lei scalava la vetta del successo. - Oggi posso dire di non aver mai goduto pienamente di tutta quell’euforia che mi girava intorno. I giorni passavano così velocemente, impegni su impegni, mi fu addirittura proposto di girarne un film. Puntualmente, ogni volta che mi ritrovavo da sola, nella mia casa o in una camera d’albergo, facevo i conti con ogni specchio che incontravo. - Perché non si è liberata di quel peso sulla coscienza? Se non stava bene, se tanto ne sentiva il bisogno, perché non dire a tutti che l’aveva scritto una giovane sconosciuta? Non ne ha avuto il coraggio. Questa è la verità! Lei è stata meschina, vigliacca! - E tu? Perché tu non hai detto nulla? Potevi fornire delle prove, delle copie che di sicuro custodisci ancora! La tua, se non vigliaccheria, è stata di sicuro la giusta convinzione di non valere nulla, di non essere nessuno per tutti. Ti sarai rintanata in chissà quale luogo a piangere disperata. Oggi chi sei, Maria? Com’è possibile che una giovane con il tuo talento non abbia sfornato altri romanzi di successo?! Dimmi, non hai più scritto, vero? Oppure, se l’hai fatto, non sei riuscita ad arrivare ai livelli del romanzo che ti ho rubato. Giusto? Quelle parole mi colsero impreparata. Non sapevo cosa rispondere. - Lei è abile con le parole, ma non riuscirà a convincermi di somigliarle, non riuscirà a farmi scendere al suo livello. - Tu uguale a me, e come? Io ho scritto decine e decine di libri, ho avuto riconoscimenti a livello mondiale. Sono una scrittrice famosa, io! - Oggi, in questa stanza non c’è nessuno all’infuori di me. Famosa per chi? Per se stessa, forse. Davvero le basta così poco per sentirsi importante? Io sono certa che nessuno venga a farle visita all’infuori dei medici. Non ha una famiglia, un compagno. Lei è sola! Altro che famosa. Girò la testa verso di me ed ebbi l’impressione che mi vedesse, tanto spalancò gli occhi. Era furiosa. Si scoprì le gambe bianche. Si mise seduta e guardando nella mia direzione tornò a parlare quasi sottovoce. - Già. Come vedi, sono sola. Tu, invece, sei sposata? - No. - Figli? - No. - Un compagno? - No. - Amici… Una madre, un padre, dei fratelli. - No… No… NO! - Ricapitoliamo: abbiamo qui una donna ormai sulla quarantina, single in tutti i sensi, sconosciuta ai più, e che probabilmente spenderà gran parte del suo umile stipendio da uno psicologo che cercherà di farle capire che è l’ora della rassegnazione, dell’accettazione della normalità, che non è perseguitata da chissà quale mostro, che ha semplicemente rinunciato a vivere una vita tranquilla per rimuginare sull’idea della celebrità mai ottenuta, che è sua la colpa se ha un solo pensiero fisso nella testa, il primo al risveglio e l’ultimo prima di addormentarsi, che i suoi incubi l’abbiano castrata delle capacità più significative, della sua giovinezza, delle sue speranze. Anche tu sei sola! Avrei messo il suo collo tra le mie mani per farla stare zitta. Mi avvicinai. - Non mi toccare! Quella donna mi spaventava per la capacità di controllare tutti i miei movimenti, forse intercettava anche i miei pensieri. - Non avevo alcuna intenzione – mentii – Dovrei strozzarla, sì, per tutto il veleno che mi sputa addosso, ma non lo farò, non tema. - Se aspetti delle scuse non le avrai. Non mi scuso per aver detto la verità. - La verità? Ah, ora si preoccupa della verità. Ha lasciato passare troppi anni. Ha capito, forse con il sopraggiungere della vecchiaia, che è necessario avere valori importanti su cui poggiare l’intera esistenza? - C’è un’altra differenza sostanziale tra noi, Maria: io arrivo subito al nocciolo della questione, sono esperta delle relazioni e reazioni umane, non necessariamente per mettere gli altri a disagio o a proprio agio, ma perché mi tornino utili nel momento del bisogno, per un libro ad esempio. Tu tergiversi, le tue frasi potrebbero non prevedere punteggiatura, senza puntini di sospensione. Sei piena di una rabbia che mette i freni al ragionamento, che molesta la capacità di introspezione che ti caratterizzava. Ti immaginavo come il tuo libro, ma evidentemente sei cambiata. - Grazie a lei. - Eh, no! Mia cara. Non sarò più il tuo capro espiatorio. Qui e oggi questa storia deve finire. Tu sei ciò che hai permesso a te stessa di diventare, non quello che io ho voluto. E credimi se ti dico che ti preferivo prima. - Lei mi sta facendo impazzire! Ma che sta dicendo. Non mi conosceva allora e non mi conosce oggi! - Anche qui sbagli, ti conosco meglio di quanto tu creda. Nel libro parli di una donna capace di grandi entusiasmi, di grandi passioni. Quell’uomo di cui hai scritto, quello di cui la tua eroina era perdutamente innamorata, te lo ricordi cosa era capace di farle fare? Non puoi averlo dimenticato. Quello è l’uomo di cui tu eri e probabilmente ancora sei innamorata. Come hai potuto soffocare quei sentimenti!? Era, come nel libro, un amore impossibile? Non riuscivi a non pensarci e perdevi giorni interi senza trovare una soluzione e forse anche lì, ti sono stata utile. Pensare a me per non pensare a lui. Ne è valsa la pena? Non era meglio avere dentro il pensiero di lui, i ricordi, le immagini fissate, le sensazioni dei momenti trascorsi insieme piuttosto che sostituire tutto questo con un falso, deleterio odio nei miei confronti? - Non si permetta! Non deve permettersi… Incredibilmente non riuscii a trattenere le lacrime, furono più forti di me. Non pensavo a Pietro … da quanto?! - Sono ancora innamorata di quell’uomo. Credo sia la prima volta che lo ammetto a me stessa. Ed è vero che mi sono mancati i ricordi del volto, del sorriso, delle mani, del profumo, dei baci. Passavamo momenti interminabili ad ascoltare la musica e la pioggia che batteva sui vetri, le menti svuotate della quotidianità si riempivano di noi, dei nostri discorsi mai banali, mai. E’ vero mi manca il ricordo. Ma non creda che io l’abbia soffocato con il mio odio per lei. Non potevo più permettermi di fantasticare, non era mio e non lo sarebbe mai stato. Questa è la conclusione a cui ero arrivata non senza sofferenza. - Che brava! - Mi stava battendo le mani. - Brava. Avresti potuto recitare in teatro. Molto commovente. Puoi continuare ad ingannarti, ma non puoi prendere in giro me. Quando, dico, quando ti deciderai a vivere? Gli hai mai detto di amarlo? Stavo per vomitare. - Allora… Hai mai detto a quest’uomo che lo amavi? - No. Improvvisamente mi tornò alla mente quella sera d’inverno quando Pietro, fermando l’auto, mi prese le mani e mi guardò così intensamente che pensai di svenire. Mi baciò appassionatamente e io pensai ‘ti amo’ ma non pronunciai alcun suono. - E se tu l’avessi fatto… Capisci, sei l’unica responsabile del tuo destino. Con un semplice “ti amo” avresti forse cambiato il corso della tua vita. - Neanche lui disse di amarmi. Portò una mano sulla fronte e sospirò. Tornò ad allungare le gambe nel letto. - E se lui si fosse comportato come te… Era tutto così assurdo. Un incubo. Parlavo con quella donna delle cose più intime della mia vita privata. Respiravo a fatica. La vista era annebbiata, cercavo di reagire, lei non poteva vedermi, cercavo di respirare molto lentamente… lentamente… lentamente… - Non trattenere le emozioni! Tira fuori tutto, per la miseria! - Io la odio! - Bene, continui… Continui a non spostare l’odio verso te stessa. Rifletti! Cosa potrebbe succederti se ti scoprissi realmente colpevole per ciò che non hai? In quale baratro più nero o più profondo potresti precipitare? Respira, più velocemente, ascolta il cuore che accelera e fatti dire la verità! Mi avvicinai per sedermi sull’unica sedia nella stanza, a qualche decina di centimetri da lei. Misi la testa tra le mani, i gomiti sulle ginocchia. Era veramente come diceva? Ero io la vera cieca nella stanza? - No, non è così – risposi – non posso aver fatto ciò che non desideravo. Non credo che mi amasse, me l’avrebbe detto. E poi la memoria credo mi stia tradendo… Io… Non ricordo bene. - Me l’avrebbe detto – disse con una vocina stridula – me l’avrebbe detto… Sei patetica e, forse, veramente mediocre! Maria, io ti ho letta tra le pagine del tuo libro, ho letto la tua vera personalità. Tu non ricordi più chi sei, hai lasciato che un evento cancellasse quello per cui mi eri piaciuta così tanto, quello per cui ti ho invidiata, il motivo per cui ti ho derubata. Avrei voluto avere la tua capacità di amare così profondamente, teneramente, completamente, pur senza coinvolgimento fisico, di un amore puro, al di sopra di tutto e di tutti. Stavo piangendo. Le lacrime scendevano abbondanti, lente e calde, come se nel tempo si fossero accumulate, sistemate in ordine in un angolo remoto dei miei occhi ed ora erano pronte ad aiutarmi, tutte insieme. - Lo conobbi che ero giovane, un vero, autentico, colpo di fulmine. Se mi concentro sento ancora l’odore di quella estate, a casa sua. Per caso, per un’amica in comune. Ricordo la stretta di mano vigorosa, il sorriso. Chiese informazioni alla mia amica e mi venne a trovare. Ci siamo frequentati per un po’, cene, passeggiate, nuotate al mare, e io l’amavo. Però eravamo diversi. Poi non so cosa accadde, ancora oggi me lo chiedo. Non ci siamo visti per troppo tempo, non telefonava lui, non telefonavo io… così, ci siamo allontanati. Un giorno ci siamo incontrati ‘ciao’, ‘ciao’, ‘come stai’, ‘ti trovo bene’, ‘buon natale se non ci rivediamo’, ‘si, buon natale’… Addobbai l’albero più triste della mia vita, da sola, un piatto di tortellini in bianco, ricotta… bianco… tutto senza colore, anche le lucine erano bianche… ‘Ma dove sono quelle colorate?… Ah, si eccole, no, non funzionano, e le palle colorate? E’ possibile che siano rimaste tutte quelle di vetro… bianco…maledetto…’ Non vedevo più i colori ma tutto in bianco e nero… bianco il natale e nera la tristezza… Credo che quello sia stato l’ultimo giorno delle mie lacrime, poi, sono morte anche loro. - … Ecco, stai tornando… Quella donna mi prese la mano. Istintivamente, la tirai indietro. La teneva così forte che non riuscii a divincolarmi. - Anch’io ho amato molto un uomo. Gli ho concesso tutto di me, il corpo, la mente, la giovinezza, le speranze. Gli ho detto di amarlo, lui non l’ha detto a me. Per questo non ho rimorsi, non ho rimpianti, so di aver fatto quello che andava fatto. Ci siamo amati con grande passione, ci siamo fatti anche molto male. Poi la cosa è finita. Non ho dubbi, non ho domande senza risposta: lui non mi amava così come l’amavo io. Fine della storia. - Lui le ha detto di non amarla? - Non esplicitamente. - Cioè, non le ha mai detto “Mi dispiace, io non ti amo”?! - No. - Ma, allora, come fa ad essere certa che lui non provasse i suoi stessi sentimenti? - Credo fosse evidente, dato che improvvisamente non ho avuto più sue notizie. - Lei è proprio un bel tipo! Mi fa la predica quando lei stessa si è trovata in una situazione molto simile. Inizio a credere che lei abbia seri problemi mentali! - Continui ancora a paragonarti a me? Io sono sicura di quello che ho vissuto, ero certa dei miei e dei suoi sentimenti! Chiuso il discorso. Quella donna aveva il potere di sconvolgermi, mi faceva passare da un’emozione all’altra con la velocità di un fulmine, ma non avrei sopportato altro. - Senta … In quell’istante entrarono nella stanza un medico e un’infermiera. - Signora Maria, come va stamattina? Ha preso una decisione? - Non ancora. Le farò sapere. – rispose seccamente. - Mi creda, ci sono ottime possibilità di riuscita. - Le darò la risposta entro stasera. - D’accordo. A dopo. I due uscirono senza neanche guardarmi. Io invece guardavo lei. Rimanemmo in silenzio per molto; stavamo all’angolo del ring, come se fosse necessario un momento di riflessione per chiarire chissà quali idee. Dovevo calmarmi, la visita doveva volgere alla conclusione. Troppo spossante. Avevo bisogno di aria, di uscire da quella stanza. Tutto sembrava irreale, lei mi metteva a disagio, mi soffocava. - Allora, Maria, non vorrai lasciarmi proprio adesso, sul più bello. - Penso proprio di sì, di bello c’è poco in questa conversazione. - Davvero non vuoi continuare a parlarmi della tua vita? - Perché non parlare della sua, invece? - Bella idea: a turno ognuna di noi tirerà fuori il peggio e il meglio della propria esistenza. Regola numero uno: la verità. Regola numero due: che siano proprio il peggio ed il meglio. Niente mediocrità, niente banalità. - Inizi lei. - Quindi accetti? Chiesi a me stessa se stavo impazzendo. Parlare con la mia peggiore nemica e raccontarle quello che non ricordavo mai neanche a me stessa. - Si. Completamente folle. - Ho fatto molta strada nella mia vita, sia professionalmente che fisicamente e, sembrerà strano, ricordo con più nostalgia le passeggiate nelle località più disparate. Una in particolare. Un bosco, non ti dirò né il luogo né il periodo. Una mattina di ottobre, una leggera nebbia lasciava intravedere soltanto la parte centrale delle cose, non vedevo né la cima degli alberi, né le radici, vedevo però le mie scarpe da tennis bianche, in mano la mia macchina fotografica. I piedi mi spingevano abbastanza lentamente verso un laghetto che conoscevo, lo ricordavo bene perché era meta di molti pic-nic fatti nel passato con la mia famiglia. Dopo un’ora di cammino mi accorsi però che avrei dovuto già scorgerne la riva. Iniziai a preoccuparmi dopo un po’. Mi ero persa. Non avevo nessun punto di riferimento. Guardai l’orologio. Quella mattina non l’avevo messo al polso, proprio come facevo quando avevo del tempo da dedicare solo a me stessa. “Fantastico” pensai “ottimo spunto per un libro”. Non avevo paura, anzi, ero incuriosita dal fatto che, quello, sarebbe stato un ottimo test, vedere quanto potevo sopportare un orizzonte praticamente inesistente. Immagina, guardi ma non vedi e anche le orecchie non sentono. Sembrava tutto ovattato, un mondo diverso come di boschi incantati. Mentre cercavo di capire come collocare i punti cardinali sentii dei rumori… “I folletti”, esclamai. Andai incontro a quelle che sembravano voci, forse gemiti. Improvvisamente vidi una chiazza blu tra gli alberi, un’automobile. Feci per avvicinarmi ma mi bloccai nell’istante in cui mi accorsi che all’interno dell’automobile una coppia era intenta a scambiarsi effusioni. Sorrisi. Esitai abbastanza da dare ai due il tempo di spogliarsi completamente. Mi voltai. “E’ meglio non guardare” mi dissi piano “ma loro possono aiutarmi a ritrovare la strada! ”. Alla fine decisi di rimanere. Le voci bastavano a farmi immaginare le carezze, la bocca di lui sulle labbra di lei. L’uomo aveva aperto lo sportello e insieme si erano distesi a terra. Mi girai verso di loro. I due si stavano guardando così intensamente che non si sarebbero mai accorti di me. Più mi dicevo di non guardare più lo facevo, non pensavo a nessun tipo di vergogna, mi godevo con loro quei momenti d’amore. Mi riempivo gli occhi della loro passione, dell’umidità sui corpi, dei capelli tra le mani… Quando ebbero finito, mi allontanai e feci finta di arrivare da lontano, facendo un po’ di rumore. “C’è nessuno? Aiutatemi” urlavo. I due si vestirono in fretta. Attesi il tempo sufficiente e andai verso di loro. Mi accompagnarono verso la mia auto e mentre ero seduta sul sedile posteriore li guardavo scambiarsi sorrisi e sguardi intensi… pensavano, forse, “se fosse arrivata qualche minuto prima?” - Questa esperienza è da collocare tra le cose migliori o peggiori che ha fatto? - Il tuo dubbio mi sorprende! - Oh, non si sorprenda! Non ho ancora ben chiaro il suo modo di classificare le cose, le emozioni, le situazioni, le persone. Per cui, quello che per me può essere un comportamento riprovevole per lei potrebbe essere, invece, una fantastica esperienza. - E lo è stata. - Già. Come immaginavo! Spiare due innamorati mentre fanno l’amore per lei è stata una fantastica esperienza… incredibile e disgustosa, come guardare un film porno… - No, no. Non è affatto così. Dove c’è l’amore, il sentimento, la passione non può esserci volgarità. Sentiamo le tue esperienze, invece! La guardavo e mentre lo facevo cercavo nella memoria i fatti che più mi avevano coinvolta emotivamente. Velocemente scartai i lutti, gli innamoramenti da quattro soldi. Mai drogata, mai ubriacata, non avevo mai neanche marinato la scuola! - Allora?!? - Mi dia un attimo! Mi tornavano in mente ricordi di gioventù, piccoli, piccolissimi momenti di tensione con la mia famiglia. - Ho un sospetto! - Stia un attimo in silenzio, per favore! - Una bella vita… piatta?!?! Niente. Tradimenti insignificanti, neanche da considerarsi “tradimenti”. Il nulla. - Devo aspettare molto? Non capisco se ti vergogni di quello che hai fatto o se sei in difficoltà perché non hai mai fatto niente di veramente sconvolgente. In quell’istante decisi di raccontare della mia vita... Non quella reale. Quella dei miei pensieri notturni, della mia vita rimasta tanti anni in disparte, quella che mi sbrigavo a vivere ogni sera, correndo a letto nella speranza di addormentarmi al più presto. Potevo raccontarle delle mie notti. Dei miei sogni. - Ho una doppia vita. - Questo è interessante…continua. - Da molti anni ho una vita di giorno e una di notte. Finché rimangono nel loro spazio temporale non ci sono problemi. Quando, però, una invade lo spazio dell’altra… iniziano i veri problemi. - Non capisco. - Di notte sono diversa, caratterialmente diversa. Sono una donna disinibita. Sogno solo un uomo ed è, nel sogno, tutta la mia vita. Ma non riesco mai a guardarlo bene in volto. Quello che amo di più in lui sono i suoi baci, e mi bacia… mi bacia, in continuazione, sono sogni romantici, non erotici. - Vivi di notte quello che non riesci a realizzare di giorno. Non è poi così sconvolgente. Si mise seduta. Con le mani si scostò i capelli all’indietro. Era ancora una bella donna e per un istante mi sentii nuovamente in colpa per i miei rancori. - Continua - Mi disse. - A volte mi sento inadeguata. Dopo quello che mi ha fatto, rubarmi il romanzo intendo, mi sono chiusa in una specie di isolamento fisico ed emotivo e credo che l’inconscio poi abbia lavorato per conto suo creandomi una realtà onirica di compensazione. - Devi renderti conto che hai represso i tuoi sentimenti ed è per questo che la tua anima urla le sue esigenze! Il romanzo non c’entra. Lo capisci? Hai tolto l’aria ad un grande amore credendo di soffocarlo, di ucciderlo. Ma i tuoi sogni ti dimostrano che dentro è ancora vivo. Non ti mostrano il viso dell’uomo perché, forse, tu hai voluto bene a diversi uomini, ognuno per un motivo diverso… oppure perché non ami un uomo in particolare, ma ami l’innamoramento. Già. L’innamoramento. Una vita piatta. Nel rancore. Nell’illusione. Ma non nell’amore. Fuori iniziava a nevicare. Guardai l’ora. - Devo andare – dissi. - Non ci credo. Ero stata ore con quella donna che stava abilmente mettendo a soqquadro la mia intera esistenza. La mia vita, comunque l’avevo impostata bene. Era tutto in equilibrio. Lo era stato, fino a quel momento. - Maria. Non devi mollare, ora. Sei sulla via giusta, credimi. Riprendi possesso delle tue emozioni. Parlami, come non hai parlato neanche a te stessa. - Non credo di farcela… Non so come fare… Iniziai a camminare per tutta la stanza come un leone in gabbia, ma un leone ferito non uno che vuole scappare. - Io avrei dovuto dirgli che lo amavo, è vero… Ma non l’ho fatto e a questo non c’è rimedio, capisce?! Non posso tornare indietro, non posso cambiare il corso degli eventi, sono passati così tanti anni… Ho dovuto dimenticare per sopravvivere… - E in che modo sei sopravvissuta? Ma non capisci che hai trascorso questi anni concentrandoti solo su di me? - Si, ho capito! - Urlai disperata. Iniziai a piangere e in quel preciso istante lei, non so come fosse arrivata fino a me, mi abbracciò così forte che dovetti arrendermi a quella stretta. - Perdonami – mi disse – perdonami se puoi… Entrambe in lacrime ci aggrappavamo l’una all’altra e mi parve che la stanza non avesse più dimensioni reali, che tutto girasse vorticosamente. Poi il buio. Ero morta. Sentivo rumori in lontananza, voci che si avvicinavano e si allontanavano. Sì, forse ero morta, ma probabilmente non ero in paradiso, sentivo dolore, alla testa, ad un fianco… Ed un odore, come di medicinali… D’istinto cercai di aprire gli occhi, ma era tutto così offuscato, non vedevo quasi nulla - Signora! Come si sente? Non ero morta. Ero solo distesa sul letto. Quando aprii del tutto gli occhi mi tirai su e ci volle un po’ per capire cosa fosse successo, dove mi trovassi e perchè. Un’infermiera mi parlava ma non capivo, ero concentrata su altro. - Ma non c’era un’altra signora in questa stanza? – chiesi. - No. – rispose l’infermiera. - Come…no ?! Cosa mi è successo… ?! - Era sola nella stanza quando è svenuta. - Ma la signora che era con me, insomma, sì, la scrittrice. Dov’è? - Scusi, non credo di capire. Gliel’ho, lei era sola nella stanza… e lei è la scrittrice Maria De Massi. Si ricorda? E’ ricoverata presso la ns. clinica per sottoporsi ad un intervento chirurgico agli occhi. Forse lo stress, o il fatto che ultimamente non si nutre abbastanza le ha provocato uno svenimento. Ma come si sente, ora? ‘Come mi sento?’ mi chiesi. ‘Ma con chi sta parlando l’infermiera? Ed io con chi ho parlato fino a qualche minuto fa? Ho sognato oppure ero in coma? Sì, forse, anche solo per poco sono stata in coma e i medici non se ne sono accorti. Altrimenti non capisco… Se io sono Maria… lei chi era? Non ricordo il suo nome… Il suo viso… Non ricordo… Ma stavamo parlando di cose molto importanti, io sono venuta in questa clinica… no, lei è venuta a farmi visita… si, e mi chiedeva scusa… ora ricordo per cosa…’ - Sto meglio, grazie. – risposi alla fine. - Meglio così. Prenda questo sedativo, l’aiuterà a dormire e domani affronterà meglio l’intervento. Ingoiai la capsula con un sorso d’acqua e mi distesi nuovamente. Avrei voluto sognarla di nuovo, dovevo dirle ancora qualcosa… Avrei voluto ringraziarla, dirle che io ci sarei stata sempre… Lei ci sarebbe stata sempre.
  
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