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Autore: Caffelatte    28/11/2012    1 recensioni
Versò il latte freddo nella tazza e subito dopo i cereali al cioccolato e con il cucchiaio che aveva preso da un cassetto iniziò finalmente a mangiare.
Di solito sua madre si svegliava sempre presto, soprattutto in quell’ultima settimana. Veniva svegliato spesso alle otto di mattina dal rumore del cancello che si apriva e il rombo dell’auto, ma una volta fatta l’abitudine non ci badava più e si rimetteva a dormire.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Caffelatte.
Editor: Bloody Alice.
Titolo: şapte.
Genere: Angst, triste.
Rating: verde.
Parole: 1.302 (Word)
Note: “şapte” significa “sette” in rumeno.


 

***


 

şapte.

 
Gli uccellini sugli alberi del cortile in quel periodo dell’anno avevano l’abitudine di cantare, e la cosa lo riusciva a mettere sempre di buon umore. Per un bambino di dieci anni come lui l’estate era la salvezza.
Appena aprì la finestra una folata di aria calda entrò nella stanza.
Scese le scale saltando a piedi uniti ogni gradino, con la mano sinistra salda sulla ringhiera. Arrivato a toccare il parquet in legno si spostò la frangia nera che gli ricadeva sugli occhi. Sua nonna gli ripeteva quanto fosse lunga, ma a lui non andava l’idea di farsi tagliare i capelli dalla parrucchiera.
Andò in cucina e si avvicinò al tavolo. Afferrò una sedia e la trascinò sino al piano di lavoro accanto ai fornelli, poi ci salì sopra e con la punta delle dita riuscì a raggiungere la credenza ed aprire entrambe le ante.
Prese da una parte la scatola di cereali e si mise sulle punte per raggiungere la tazza, su cui era stampato il logo della Nutella.
Raggiungere il latte nel frigo fu decisamente più facile.
Versò il latte freddo nella tazza e subito dopo i cereali al cioccolato e con il cucchiaio che aveva preso da un cassetto iniziò finalmente a mangiare.
Di solito sua madre si svegliava sempre presto, soprattutto in quell’ultima settimana. Veniva svegliato spesso alle otto di mattina dal rumore del cancello che si apriva e il rombo dell’auto, ma una volta fatta l’abitudine non ci badava più e si rimetteva a dormire.
Anche quel giorno lei era uscita alle otto e lui sapeva che mancavano pochi minuti al suo arrivo. Era diventata una particolare routine.
Sua madre si alzava facendo meno rumore possibile, anche se di fatto non serviva a molto -considerato il rumore provocato dall’automobile- e tornava a casa verso le dieci ogni volta.
Cosa facesse in quei momenti non lo sapeva. Sapeva soltanto che lui per le undici sarebbe dovuto andare con suo padre per il week-end. L’idea di dover fare quel costante avanti e indietro tra la casa di sua madre e quella di suo padre era quasi snervante, considerando poi che la nuova compagna di suo papà non le piaceva granché. Era alta, magra come uno stecchino, i capelli biondi lisci come spaghetti scotti e gli occhi neri come un corvo. La sua voce era come un’unghia sulla lavagna e le unghie sempre lunghe erano costantemente ricoperte da smalti di colori accessi. Impossibile poi dire se quella che mostrava fosse davvero la sua faccia o una maschera, con lo spesso strato di trucco che la ricopriva ventiquattrore al giorno.
Rabbrividì pensando che avrebbe dovuto passare un intero fine settimana con quell’arpia maniaca dell’ordine che detestava i videogames, i film, le barzellette, gli animali e un’altra dozzina di cose che in quel momento non gli venivano in mente.
Appena sentì il rumore del cancello automatico che si apriva balzò giù dalla sedia e aspettò immobile accanto al tavolo.
La porta d’ingresso si aprì un leggero cigolio e lui udì dei piccoli singhiozzi. Corse nel corridoio e vide qualche metro davanti a sé sua madre con gli occhi pieni di lacrime.
« Mamma, mamma! Qualcosa non va? » domandò a voce alta, preoccupato.
La donna non rispose.
« Mamma! » gridò di nuovo, sempre più in ansia. Allora sua madre diede un colpo di tosse e con le lacrime che ancora scendevano dagli occhi si avvicinò a lui accarezzandogli i capelli neri arruffati.
« Va tutto bene. Hai fatto colazione? » chiese con voce tremante.
Lui annuì.
« Bene » e si costrinse a sorridere « La mamma è molto stanca adesso » sussurrò « Vado in camera a riposare » terminò, lasciando cadere la sua borsa sotto l’appendi abiti e salendo le scale senza aggiungere altro. Prima di sentire la porta chiudersi, udì un altro singhiozzo.

 
Ma i bambini sono ingenui solo fino ad un certo punto.

 
Il week end era passato con una lentezza esasperante. Quella racchia –la compagna di suo padre- aveva accidentalmente –accidentalmente, eh- rovesciato del succo d’arancia sul suo videogame preferito, quello che sua madre gli aveva regalato a Natale l’anno prima e anche l’unico che si era portato dietro.
Il condominio in cui viveva il padre con la compagna era in pieno centro città e non disponeva di un giardino, quindi senza altre valide alternative si ritrovò a vagare per ore per la casa durante tutto il fine settimana, costretto a dover incrociare di tanto in tanto la strega bionda che andava e veniva con la sua maschera di trucco, che pareva diventare più spessa ad ogni incontro.
O forse era solo la sua impressione.
 
Ritornare a casa fu per lui una soddisfazione grandissima. Nonostante quello, appena poté decise di frugare nella borsa di sua madre, anche se sapeva quanto fosse sbagliato.
« La mamma di solito mette qui dentro le cose importanti, sai? » fece, rivolto al gatto che lo guardava annoiato dall’altro capo del divano.
Lui continuò a frugare ancora un po’ togliendo il borsellino, il cellulare e una cartella piena di documenti vari.
Li girò tutti e cercò di leggere qualcosa che poteva essere il motivo della tristezza di sua madre.
« Se non lo dice lei, allora lo dobbiamo scoprire » spiegò poi, quando vide il gatto stiracchiarsi « Ancora un po’ di pazienza, Virgilio » e accarezzò l’animale dietro le orecchie.
All’improvviso scorse un foglio diverso da tutti gli altri. Quello non era scritto interamente a computer, ma c’erano diverse frasi in una strana calligrafia del tutto illeggibile.
Qualcosa però la capì. C’erano due parole che riuscì a leggere con semplicità, anche se avrebbe tanto desiderato che restassero ignote: tumore maligno.
A scuola l’insegnante aveva spiegato che sua madre due anni prima era morta a causa di quella malattia, chiamata anche cancro, a cui spesso non c’era soluzione.
Lesse poi le poche righe scritte a computer.
Sette giorni. Una settimana e sua mamma –sì, proprio la sua, si ripeté nella testa- sarebbe morta di cancro.
Però erano passati tre giorni dalla data di quel documento. Quindi in realtà erano quattro.

 
Alla fine di tutto c’è un prato fiorito. Noi ci incontreremo là.

 
Quando una persona muore tutti dicono assurdità come “ci ha lasciati”, “è andata in cielo”, “Dio la voleva con sé”, “è venuta a mancare”.
Tutte idiozie.
Quando una persona muore è così e basta. Non c’è un altro modo per dirlo.
È morta e non tornerà più, ma per sviare quella parola che terrorizza tutti così tanto la gente si inventa le frasi più varie e complesse.
Quando le persone sentono quella fatidica frase “è morto” alcuni trattengono i singhiozzi, altri il respiro, altri sembrano quasi indignati nel sentirla.
La morte è la negazione della vita. Quando si muore, allora non si è più, almeno non su questa terra. Secondo alcuni esiste un’altra vita dopo questa, ma chi è mai tornato indietro per raccontarlo?
Poi è assurdo che Dio, qualunque esso sia, voglia che le persone muoiano. Eppure accade in continuazione e in momenti del genere è facile chiedersi se Lui sia davvero onnipotente come tutti pensano.
“Ha tanti problemi da risolvere”, rispondono alcuni, ma per chi ha perso un amico, un parente, qualcuno a cui voleva molto bene, quei “problemi” non sono altro che piccoli e inutili granelli di sabbia. E nessuno può biasimare nessuno, in quei momenti, perché il dolore è troppo grande e offusca la mente.
È sempre difficile quando qualcuno a cui teniamo muore ed è ancora più difficile se quel qualcuno è molto giovane. In quei casi anche gli sconosciuti, che leggono sui giornali nomi di persone mai incontrate, si dispiacciono.
Quel giorno sulla testata del giornale c’era un titolo di cronaca nera.
I caratteri neri in grassetto facevano sgranare gli occhi a tutti i lettori.
“Bambino suicida.”
 

Mamma, io ti aspetto dall’altra parte, okay?




 

***





NdA/
Non ho voglia di dilungarmi perchè è stato già abbastanza difficile scrivere la storia -infatti l'editor l'ho rifilato ad Alicchan (Bloody Alice) e le sono grata per questo, altrimenti questa fic sarebbe rimasta a fare muffa nel computer. Non che l'idea mi dispiacesse. Trovo che sia una delle cose più depresse e orribili che abbia mai scritto e mi vergogno enormemente a pubblicarla. È stata un parto e non so ancora come mi sia venuta in mente -o forse lo so, ma non ho davvero il coraggio di dirlo.
Accetterò qualsiasi critica, purchè sia costruttiva.
Grazie a tutti coloro che leggeranno e -magari- sprecheranno anche solo mezzo minuto della loro vita per recensire.
A presto -forse,
Mya.


 
 

  
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