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Autore: lalla    04/07/2004    5 recensioni
Valeria Messalina: il suo nome è divenuto sinonimo di nera perfidia e lussuria sfrenata. Ma è andata veramente così?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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LA LUPA

L’ immagine che ci hanno tramandato di lei

 è quella d’un mostro di depravazione.

E se fosse stata una vittima?

 

 

 

LA LUPA

 

 

 

 

 

 

 

Il grido sinistro della civetta le raggelò il sangue dentro le vene. Le avevano detto che qualcuno sarebbe morto, se la civetta si fosse posata sul tetto della casa, e quel grido a un tempo sinistro e monotono era così vicino…Gli Immortali si sarebbero portati via qualcuno che le era caro: suo padre, forse. O sua madre. O magari Canidia, la vecchia serva che sapeva raccontarle le favole e la faceva ridere, quando si disperava perché non riusciva ad acchiapparla e allora si mollava delle gran pacche sulle cosce con le sue mani nodose e alzava al cielo, invocando tutti i numi della sua terra, gli occhi cisposi, venati di rosso. O sarebbe toccato a qualcuno dei suoi fratelli. O forse a lei. Sono brutti tempi, diceva spesso suo padre. Gran brutti tempi. La campagna è più sicura della città. Ma in città le civette non si posano sui tetti delle case.

Si svegliò di soprassalto, madida di sudore ghiacciato.

-Era filia…Che succede?

Aspasia, la sua nutrice greca, dormiva con un occhio aperto e l’altro chiuso, come i bianchi mastini dei pastori addestrati a tenere i lupi alla larga dal gregge.Grassa com’era, rotolò dal giaciglio ai piedi del suo lettino e se la strinse al seno, accarezzandole piano i capelli.

-La civetta, Aspasia…

-Non è niente, era filia. Canidia ti ha messo ancora paura con le sue fole? Sarebbe ora che imparasse a tenere a freno la lingua, quel vecchio scheletro. Adesso dormi.

Attraverso la finestra, aldilà delle colline il cielo nero appariva spruzzato di stelle e la notte era fragrante del profumo dei gelsomini e della menta. La civetta aveva smesso di lamentarsi e solo l’ululato lontano dei lupi infrangeva quel silenzio quieto. Ma lei non aveva mai avuto paura dei lupi. Del lamento della civetta invece sì. E delle parole oscure di suo padre, che li aveva portati via da Roma tutti quanti perché in campagna sarebbero stati al sicuro. Al sicuro da che cosa? Da un vecchio a cui la follia aveva ottenebrato la mente, non certo da un grazioso uccello notturno con le piume morbide e gli occhi rotondi, reo solo di portarsi appresso una gran brutta voce, stridula e lamentosa. La voce della morte. Morte. Morte. Thanatos.

 

 

*

 

-E’ per Valeria.

Qualcosa si agitava sotto il telo, nella canestra che Maccio, il pastore reggeva con le braccia nodose.

-Potrai giocarci, finché è cucciolo. Poi, quando sarà cresciuto, anche lui  dovrà guadagnarsi  il suo pane badando alle pecore.

Era un buffo cagnetto striato, con un orecchio su e l’altro giù, e le lambiva le mani, dimenando la coda come un ossesso.

-Potrei tenerlo con me…per sempre?

Il pastore scosse la grossa testa irsuta come il vello delle sue pecore.

-Guardalo negli occhi, domina, e dimmi che cosa vedi.

-Vedo che ha gli occhi verdi.

-E’ segno che nelle sue vene scorre sangue di lupo. Diventerà grosso e feroce, non sarà adatto a condividere i giochi di una bambina.

Valeria avrebbe voluto piangere, come quando la rimproveravano perché aveva sempre le unghie nere e le ginocchia sbucciate, e perché le piaceva  montare a cavallo e giocare alla guerra, come se fosse stata un maschio. Sarebbe stato doloroso, separarsi da quel cucciolo, una volta che fosse cresciuto. Era talmente carino: sembrava impossibile che quel che le aveva detto Maccio fosse vero.

-L’hanno trovato in una tana di lupi.Le lupe cercano spesso i cani. E quello che nasce, delle due l’una, o è un ottimo guardiano, oppure un cane pazzo e allora bisogna ucciderlo.

Valeria scosse la testolina arruffata e si morse la bocca per non piangere.

-Non permetterò che gli facciano del male.

-Nessuno vuole fargli del male, domina. Ma la vita è cattiva, e finirai con l’impararlo a tue spese.

Anche suo padre lo diceva spesso, e nel dirlo teneva gli occhi a terra, come il vecchio Maccio. La vita è cattiva. Proprio per quello si era trasferito in campagna con tutta la sua famiglia, in attesa di tempi migliori. La vita è cattiva. Cattiva come me, quando disobbedisco o rifiuto di mangiare il cibo che non mi piace. E’ cattiva come un bambino capriccioso o, peggio, cattiva come il lupo quando sbrana l’agnello, come il beccaio quando sgozza il maiale, come le guardie dell’Imperatore quando ti cercano dove ti credevi al sicuro per portarti la morte.

-Spiegami, Maccio.

-Io non sono che un servo ignorante, domina. Chiedi a tuo padre o a tua madre, e loro ti sapranno rispondere. O sarà la vita stessa ad insegnartelo, come succede  a tutti.

 

*

 

-Hai il naso graffiato, Valeria. E le unghie nere, e la tunica sudicia. In più, mi porti in casa quel sacco di pulci senza neppure domandarmi il permesso.

Domizia non avrebbe trovato il tempo o la voglia per rispondere alle sue domande sciocche. Quella figlia che, a quasi dieci anni, continuava a comportarsi come un maschiaccio era il suo cruccio. Era scura di capelli e di carnagione e ancora non si capiva se sarebbe diventata bella o brutta.

Quanti anni ha? Nove, già, quasi dieci, il tempo passa. Pochi mesi ancora, e le sarebbero sbocciati i seni. Pochi mesi ancora, e avrebbe iniziato a sanguinare.Le altre ragazzine amavano starsene quiete in un angolo, a filare e ad ascoltare storie. Lei aveva l’argento vivo addosso e sembrava che soltanto gli sproloqui sugli spettri  della vecchia Canidia avessero il potere di interessarla. Non le piaceva neppure camuffarsi con gli abiti di sua madre, provare  i suoi gioielli e bistrarsi di nascosto gli occhi per vedere come sarebbe stata da grande.

-Quel maledetto cane.Domani lo restituirai a chi te l’ha dato. E incomincerai a comportarti da signora, che tu lo voglia o no: sei la figlia di Valerio Messalla Barbato, nelle tue vene scorre il sangue di Giulio Cesare. Tra qualche anno ti sposerai, e non con uno qualsiasi. Quel momento verrà prima di quanto pensi, e devi essere pronta.

 

*

 

-Non voglio crescere mai.

-Non provocare gli Immortali, bambina.

Gli Immortali non amano gli uomini che hanno osato mischiare il  loro sangue  vile con quello degli Dei. Ma quando Canidia apriva bocca per parlare tutti quanti, padroni e servi, le dicevano vecchia strega, scheletro, uccello del malaugurio e oracolo di sventure. Solo Valeria l’ascoltava con gli occhi sgranati, bevendosi ognuna delle sue parole.

Non provocare gli Immortali. Nelle tue vene scorre un po’ del loro sangue, tuo padre discende in linea diretta da Ottaviano Augusto, il primo Imperatore. E se è vero che Ottaviano era nipote di Giulio Cesare, che a sua volta discendeva da Iulo, figlio di Enea…Beh, nelle tue vene scorre un po’ del sangue di Venere e di Marte, bambina mia. Non era forse Venere la madre di Enea? E Marte non concepì con Rea Silvia i gemelli? Che cosa c’è di male ad avere dentro le vene il sangue degli Dei? Nulla di cui non andare orgogliosi, a sentire sua madre…Eppure il labbro pendulo della vecchia serva tremava, come se le costasse fatica trattenere il pianto, o un urlo di terrore, come quando asseriva di vedere gli spettri.

-Non so se crederti, Canidia.

-Vorrei che tutto questo non fosse vero, bambina mia. Tu non sai quanto. Ma non dirlo a nessuno.

Valeria sapeva mantenere i segreti. Nessuno avrebbe riso ancora di Canidia o le avrebbe detto vecchio scheletro e uccello del malaugurio, ingiungendole di tacere.

-La mamma ha detto che tra qualche anno mi sposerò…

-E’ normale, figlia. E’ il destino di tutte quante le donne.Sarai la moglie di un uomo nobile e ricco, tutti ti rispetteranno e ti onoreranno. Avrai stuoli di servi, belle case, e gioielli, e…

-E l’amore, Canidia?

-Che ne sai, tu, bambina, dell’amore?

La vecchia strabuzzò gli occhi rossi. Chi poteva aver messo in testa cose di quel genere alla sua piccolina? L’amore. Lascialo dov’è, non chiamarlo, non cercarlo, e non soffrirai. Qualche anno ancora, e Valeria sarebbe andata sposa. L’avrebbero data a chi volevano loro, Messalla e Domizia, alla stessa maniera di una schiava che si compra e si vende. Forse avrebbe messo al mondo i figli di un principe e si sarebbe fregiata del titolo di Augusta. Avrebbe avuto tutto, e non avrebbe avuto niente.

-Quando mi sposerò, tu verrai a stare con me, racconterai le favole ai miei bambini e nessuno ti dirà taci vecchio scheletro.Mia madre dice che sposerò un uomo ricco e potente, forse un principe e allora nessuno oserà mancarti di rispetto, perché altrimenti...Perché altrimenti lo farei dare in pasto ai leoni.

Il visetto tondo di Valeria era diventato quello secco e grinzoso  di una vecchia, sangue il succo delle more selvatiche che le imbrattava le labbra. Gli occhi si erano stretti in due fessure, come a un cucciolo colto in atteggiamento minaccioso. E la mano secca della serva le aveva scarruffato i riccioli scuri.

 -Quando ti sposerai, la vecchia Canidia sarà nei Campi Elisi già da un bel pezzo, bambina. Ma intanto continua a sognare sogni che non fanno male, finché puoi.

 

*

 

Seppellirono Canidia qualche giorno dopo che Tiberio aveva liberato il mondo dalla sua presenza e Valerio Messalla Barbato dalle sue paure. E’ piccola, povera, vecchia, cara Canidia. Si ritrovò a pensare Valeria. Piccola quasi come la mia bambola. Si diventa più piccoli, da morti, tutti quanti, uomini e bestie.Mi mancherà, con i suoi sproloqui e il suo odore di stantio;mi mancherà come questi prati. Come il mio cavallino. A Roma non avrò un cavallo. Le vere signore si spostano in lettiga, dice mia madre, ed è ora che io lo diventi. Le vere signore non giocano con i cani pulciosi dei pastori e con i loro figli vestiti di stracci. Le vere signore non credono alle favole delle vecchie serve. E lanciò un’ultima occhiata agli schiavi che stavano seppellendo a fior di terra il  cadavere, prima di salire sul carro che l’avrebbe riportata a Roma.

 

*

 

Tiberio, il tiranno, era morto nel sonno a Capri, dove già da tempo si era ritirato nella speranza di sfuggire ai suoi fantasmi. Era stato un uomo giusto, in gioventù, ma il potere e il sangue corrompono. E avevano corrotto anche lui. Forse aveva ragione la vecchia Canidia, quando diceva che gli dei non amano coloro che hanno osato mischiare il loro sangue vile a quello degli Immortali. Chissà se aveva cantato anche per lui, la civetta, si ritrovò a pensare Valeria. La civetta canta la morte per gli schiavi e per gli imperatori, diceva Canidia, quando ancora era viva.

A dodici anni,Valeria era cambiata. Non è ancora una donna, ma lo diventerà, pensava Domizia guardandola. Una donna dai languidi occhi scuri, dalle labbra carnose, dai pensieri nobili e dai gesti composti, come le matrone del buon tempo andato. Una donna di cui l’austero Ottaviano Augusto sarebbe potuto andare orgoglioso. Una donna destinata alla casa e al letto di un principe.

Tiberio era morto nel sonno. Forse si era ucciso inghiottendo del veleno, per sfuggire ai fantasmi di Seiano e della sua famiglia, che continuavano a tormentare l’inferno di sangue delle sue notti. O forse aveva chiesto a un servo di soffocarlo con un cuscino di piume, come si usava per dare una morte pietosa a coloro che erano stati morsi da un cane idrofobo. Chiacchiere se n’erano sprecate tante, mezze bugie tra mezze verità, ma ciò che contava al momento era solo che il vecchio pazzo avesse liberato Roma e il mondo dalla sua presenza ingombrante.

Il carro procedeva lento, sollevando una nuvola spessa di polvere rossastra. Un enorme cane dalla pelliccia striata e dal collare irto di punte balzò dentro il pianale travolgendo Valeria e spaventando a morte la povera Domizia.

-Sei venuto a salutarmi, Anthaeus?

La bestia le lambì la guancia e si lasciò scarruffare il pelo.

-Adesso vattene. Torna da Maccio e dalle pecore.Non so se e quando ci rivedremo.

E si asciugò una lacrima col dorso della mano, mentre il cane la fissava con i suoi occhi scintillanti e chiari, da predatore.

*

 

Come fosse andata, era Gaio Druso Germanico a tenere il potere nelle mani, adesso. I legionari lo avevano soprannominato Caligola perché era solito portare i calzari dei soldati e lo amavano come avevano amato suo padre. Sarebbe stato un buon imperatore.

-E’ molto giovane.Ha già una moglie?

-Ha già una moglie, Domizia. Pensavi di potergli dare nostra figlia?

-I matrimoni si fanno e si disfano, marito mio.

Valeria era nata con quel destino cucito addosso come una seconda pelle, ma aveva solo tredici anni, pensava Messalla. Era una bella ragazzina snella e longilinea, dai magnifici capelli neri, spessi e folti e dai curiosi occhi scuri, piegati all’ingiù come quelli di un’aquila ferita. Gaio ha già una moglie, Domizia. E non credo ci sia posto per uno come lui, nei sogni ad occhi aperti di una giovinetta. E’ un uomo di una bruttezza orribile, il prodotto degenerato di una razza dal sangue fradicio. Dagli tempo, poi, e vedrai che si addormenterà savio e si risveglierà pazzo, com’è capitato alla buonanima del vecchio Tiberio. E questa volta sarà questione di mesi, non di anni. Sei troppo pessimista, Messalla. Delle volte, mi fai pensare a quell’uccellaccio di malaugurio che abbiamo sotterrato in campagna, quella schiava tessala, come si chiamava…Ah, Canidia,ecco.

*

 

Invece Messalla era stato buon profeta. Pochi mesi di regno, e Gaio era cambiato. Sempre più spesso, gli capitava di svegliarsi in piena notte urlando come un cane malato, specialmente quando, fuori, c’era il temporale: i tuoni lo terrorizzavano. Ognuno, certo, ha i suoi vizi e le sue manie, pensava Domizia. Le era giunta all’orecchio la diceria secondo cui sembrava che l’Imperatore avesse in animo di ripudiare la moglie e le sue speranze si erano riaccese con un’improvvisa, baluginante fiammata.

Scendi con i piedi sulla terra, donna; le ripeteva Messalla. Sarà anche l’uomo più potente dell’orbe terracqueo, ma darei mia figlia a uno schiavo, prima di darla a lui.

Eppure, Valeria avrebbe avuto prestigio, ricchezza e potere, se…E’ un degenerato, donna, come tutti i Claudii. La notte si aggira ululando per i corridoi del Palazzo e di giorno pretende d’ essere adorato come un dio. Ha fatto decapitare le teste alle statue dei Numi per sostituirle con la sua, e tutta Roma riderebbe, se non avesse paura, perché anche ridere è diventato pericoloso, di questi tempi.

Doveva aver pensato proprio quello, il povero Batillo, mentre bruciava vivo. Era, costui, uno di quei   guitti da strapazzo che si esibivano per la plebaglia nei giorni di mercato e, nel corso di uno dei suoi scurrili  fescennini, aveva avuto la pessima idea di definire “caprone” la sacra maestà imperiale, alludendo, oltre che alla sua ben nota e incontenibile lubricità, alla selva di ispido pelo nero che gli copriva completamente il corpo ad eccezione della testa, decorata da larghe chiazze di calvizie. Ben l’aveva imparata, la lezione, un patrizio d’illustre e antica casata che avendo osato ostentare in sua presenza una bella capigliatura folta ricciuta e profumata, era finito ad ingrassare i leoni del Circo. Decisamente meglio era andata a quel senatore che era stato costretto ad assistere allo stupro di sua moglie, quindi destituito dalla sua carica e rimpiazzato con il più bel cavallo delle scuderie imperiali.

-A…almeno…non l’ha fatto…ammazzare dalle sue maa…ledette guardie…

 

*

Sul tetto del Palazzo dovevano aver fatto il nido le civette, pensava Valeria. E ogni notte, gli uccellacci del malaugurio si levavano in volo per andarsi a posare dove l’Imperatore pazzo, il secondo della sua dinastia, aveva deciso che la morte calasse la sua scure. Ripudiata la  moglie, Caligola s’era infatuato della sorella e si sarebbe unito a lei in nozze sacrileghe se una pietosa quanto improvvisa febbre non avesse tolto dal mondo la poveretta. Non erano trascorsi pochi mesi da quel lutto inatteso, che l’ Imperatore aveva conosciuto e impalmato la donna della sua vita: Cesonia.

E’ giovane, Roma dovrà sopportarlo ancora per molto, diceva Messalla,  ma piano, perché in città anche i muri avevano orecchie e non c’era posto dove le spade dei pretoriani non arrivassero. Il suo cervello fa acqua da tutte le parti, ma quel suo lungo corpo sgraziato e peloso è perfettamente sano: camperà parecchi anni, se qualcuno non lo farà fuori. Ci hanno già provato ed è andata sempre male, gli rispondeva balbettando Claudio, il cugino dalle gambe sbilenche e dalla lingua inceppata che aveva preso a frequentare  casa loro. Era zio dell’ Imperatore e viveva a palazzo, ma la consolidata nomea di mentecatto che si portava appresso fin dalla nascita lo aveva sempre protetto dalle ire di Caligola. Di recente, aveva divorziato dalla sua seconda moglie. Quanti anni ha? Una cinquantina. Valeria ne avrebbe compiuti sedici di lì a qualche mese.

 

   
 
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