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Autore: layla84    29/11/2012    6 recensioni
Prima classificata al contest "Mind the characters" di Dafne_18 sul forum di EFP
"Tutto ciò che gli rimane è poter osservare in prima linea l’amore dell’uomo che ama verso un’altra persona, senza poter muovere un passo, né avanti né indietro, nella macabra imitazione di una statua.
Le corde invisibili del dovere e dell’amore che annullano ogni sua volontà."

Merlin ed Arthur sono ormai distanti tre colpi, secchi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Subito dopo aver visto il matrimonio di Arthur e Gwen mi sono chiesta come sarebbero cambiate le abitudini di Merlin, alle prese con la coppietta reale di prima mattina.
Grazie al contest di Dafne_18 sono riuscita finalmente a scrivere una fanfiction che racconta proprio di questo.
Inutile dire che non mi aspettavo questo primo posto, ma ne sono entusiasta, soprattutto per il giudizio che la storia ha ricevuto (per chi volesse leggerlo è stato inserito come commento)


La storia è ambientata dopo la quarta stagione, in un momento non ben precisato.
Non propriamente Slash, solo Merlin alle prese con il suo amore non ricambiato.

Come sempre ogni critica, consiglio e commento è sempre ben accetto ^^
Buona lettura ^^

Layla


 
 






 

 

 








 
 

Merlin tiene in equilibrio il vassoio della colazione su una mano, mentre con l’altra bussa alla grande porta di legno delle stanze del Re.
Non sa se odiarla o meno, quella porta.
 
Tre colpi, secchi.

Dall’altro lato non arriva risposta.
Spazientito ritenta: è tardi, deve andare a cercare delle erbe per Gaius e deve andare a ripulire le stalle, non ha tempo per stare dietro ai comodi di Sua Maestà.
La sua mano si muove in automatico: altri tre colpi, altrettanto secchi come i precedenti scandiscono l’aria, come frustate.

Tutto quello sta diventando ridicolo.

Dover bussare, è ridicolo.

Lui odia dover bussare.
Lo odiava prima e lo odia adesso, ogni mattina un po’ di più.
 
Ancora nessuna risposta.
Merlin si chiede se lasciare il vassoio a terra, davanti alla porta, sarebbe considerato davvero così irrispettoso.

Sta giusto ponderando se il gesto valga o meno una gogna, quando la porta dolcemente si apre, rivelando la figura sorridente di Gwen. Della regina.
Merlin si stampa sulle labbra il sorriso più fintamente allegro del suo repertorio - che è vasto, ormai, tanto quanto le terre di Camelot - e senza una parola fa cenno verso le vivande.

La Regina si scosta per farlo passare, e Merlin nota, anche se non vorrebbe, che la ragazza è ancora in tenuta da notte.

Una candida e semplice tunica di lino leggero, esattamente quello che ci si aspetta da lei. Niente di più, niente di meno.

Entra nella stanza, velocemente, poggiando il vassoio sopra il tavolo, con un’accortezza che non gli è propria, ma che sta imparando a maneggiare, ed inizia ad apparecchiare per la colazione dei sovrani.

La brocca d’acqua, il pane, il formaggio. I piatti, due.

Gwen lo osserva, con un leggero sorriso affettuoso a scaldarle i lineamenti.
Merlin la nota appena, di sfuggita, troppo fintamente preso dal suo compito per badarle.
E’ nell’attimo in cui si ricorda di dover ancora sistemare i calici, due, e si volta verso di essi all’altro lato del tavolo, che succede.

La figura di Arthur, in piedi a lato del letto, si scontra con il suo sguardo e l’immagine s’imprime a forza nei suoi occhi, senza che lui riesca ad impedirlo.
Riabbassa lo sguardo così in fretta che il naso quasi gli finisce contro la stoffa del fazzoletto rosso che ha al collo.
 
“Calici. Due. Non ti distrarre, Merlin. Avanti.” Pensa. S’impone.

Sente i passi di Gwen allontanarsi dal tavolo, in direzione del letto, sente - perché non osa alzare gli occhi dalla tavola ormai perfetta - un leggero schiocco di labbra, un bacio leggero e fugace, e un sussurro che - per sua fortuna - il suo udito non coglie.

Ne percepisce però il tono, e questo gli basta.

Gli basterebbe per una vita intera.

E mentre la risata di Gwen, leggermente imbarazzata, si alza in risposta a qualsiasi cosa quell’asino di Arthur le abbia detto, Merlin rilascia un sospiro dando un’ultima sistemata alle posate.

Finito. Anche per quella mattina ha finito, finalmente.

Ma il destino sembra avercela con lui, ancora più del solito, o magari pensa soltanto che Merlin sia un passatempo fin troppo divertente, visto che si diverte a tormentarlo.

Ancora, ancora e ancora.

Merlin si chiede quale sarà il punto di non ritorno, se mai ci arriverà.
 
Intanto, come molte altre volte prima di quel giorno, e chissà quante negli anni a venire, è costretto anche quella mattina all’ennesima agonia.
 
“Merlin.” La voce di Arthur non ha particolare inflessione mentre lo chiama e lui solleva lo sguardo verso il Re, trattenendo il respiro.
Arthur lo osserva a lato del baldacchino, una delle grandi tende rosse che in parte copre Gwen dalla visuale di Merlin.
“Sire.” È la risposta, altrettanto neutra, di Merlin.

Non fissarlo, non fissarlo, non fissarlo.

E’ una litania che si ripete mentalmente, con la stessa forza ed impegno che metterebbe nel recitare l’incantesimo più complesso.

Chissà se esiste davvero qualcosa, nell’antica religione, che riesce a lenire quello.

Esisterà rimedio ad un cuore spezzato e calpestato?

Ma si tratta di Arthur e Merlin sa che mai, nella vita, riuscirà a staccare i suoi occhi dalla figura dell’altro, qualsiasi sia il prezzo da pagare.

Arthur lo osserva, mentre gli elenca le mansioni della giornata.

Eppure nemmeno quello, né la mole di lavoro che lo aspetta, riesce a distogliere l’attenzione di Merlin dalle labbra rosse - troppo rosse - di Arthur, dai capelli troppo arruffati e da quel corpo stranamente rilassato.

Arthur è meraviglioso. Merlin lo pensa e ci crede davvero.

L’ha sempre saputo, l’ha sempre visto, ma mai con così crudele vividezza come da alcuni mesi a quella parte.

Arthur è stupendo e, come da ormai molte mattine, ha l’aria di chi si è appena intrattenuto in fin troppo piacevoli attività sotto le coperte.

Ha l’aria soddisfatta e felice. Molto felice.

E Merlin si odia, ogni giorno un po’ di più, perché la felicità dell’altro, giorno dopo giorno scava un solco nel suo cuore.

Come se per ogni attimo di felicità di Arthur, il destino compensasse richiedendo altrettanti attimi di dolore al suo cuore, come in una macabra bilancia che deve equilibrare le sorti del mondo.

E Merlin odia, odia, dover star male per la felicità dell’altro, perché non è giusto.

Lui dovrebbe gioire della felicità di Arthur, che si merita tutta la gioia e l’amore del mondo e la sua infelicità non dovrebbe essere niente, al confronto di un singolo sorriso dell’altro.

Eppure lo sente, lo vede nello sguardo di Gaius quando, credendosi non visto, lo osserva, lo avverte nel sorriso che fa sempre più fatica a distendersi sul suo volto, sente che tutto quello lo sta consumando.

Come il fuoco consuma lentamente la candela, la felicità di Arthur sta consumando la sua anima e di questo passo di Merlin non rimarrà altro che un cumulo di cera fusa ai piedi dei reali di Camelot.

Vedere, quasi poter toccare la felicità di Arthur e non poterne fare parte, non poterne essere parte, lo dilania, diviso tra il volerlo felice e volere un po’ di quella felicità per sé.

Vorrebbe tutto per l’altro, ma allo stesso tempo vorrebbe l’altro per sé.

Vorrebbe essere al posto di Gwen, mentre Arthur le fa passare un braccio attorno ai fianchi abbracciandola e baciandola sulla guancia, mentre la accompagna al tavolo per la colazione.

Vorrebbe essere la persona che fa battere il cuore di Arthur, la persona a cui sono riservati i sorrisi dolci, gli sguardi d’amore.

Vorrebbe essere lui ad arruffare quei capelli nella foga della passione, ad arrossare di baci quelle labbra e ad amare la sua anima ed il suo corpo.

Ma quello che vuole rimarrà - come sempre - un sogno su cui fantasticare e con cui farsi scudo le notti in cui il freddo di Camelot arriva fino al suo cuore e gli fa credere che niente, mai, migliorerà.

Tutto ciò che gli rimane - tutto ciò che in realtà ha - è quello: osservare in prima linea l’amore dell’uomo che ama verso un’altra persona, senza poter muovere un passo, né avanti né indietro, nella macabra imitazione di una statua.

Le corde invisibili del dovere e dell’amore che annullano ogni sua volontà.

Finalmente Arthur si ricorda di lui - si ricorda che lui esiste -  e lo liquida con un leggero “Puoi andare, Merlin.”, mentre riprende a parlare con Gwen di qualcosa che solo a loro due è dato sapere.

E lui non se lo fa ripetere, con le gambe che pesano come se davvero fossero di pietra apre lentamente la porta e la richiude dietro di sé, poggiandovi contro le spalle.

Quanto sono cambiate le cose da quando è arrivato a Camelot.
Ha affrontato di tutto con Arthur, eppure non l’ha mai sentito così lontano come adesso.
Ironico come quello che non sono riusciti a fare Morgana, nemici mortali e missioni impossibili, sia riuscito a farlo l’amore.

Merlin è a pochi passi dall’altro, eppure c’è una distanza tra loro, che nemmeno tutta Camelot riuscirebbe a colmare.

Sono distanti tre colpi, secchi, come quelli che dall’incoronazione di Gwen è costretto ad usare per poter entrare nelle stanze del Re.

Tre colpi al cuore di Merlin: “Io la amo.”

E il Destino, beffardo, continua ad inseguirlo, mentre Merlin, ogni giorno, si ritrova di nuovo davanti a quella porta.

Tre colpi, secchi.
 
 
 
 
 









  
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