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Autore: Artemisia17    30/11/2012    1 recensioni
A mia nonna. Senza la quale non sarei me stessa, non scriverei, non sarei cresciuta, non sognerei di incontrarla.
Alla sua morte, che mi ha fatto scoprire alla tenera età di sette anni il senso della vita, che ha dato vita a lacrime e speranze, a sogni mai dimenticati e sguardi persi nel buio.
Sembra quasi un paradosso, vero? Com'è può la morte generare vita, sogni, desideri, personalità?
A lei. A me stessa. A tutte le persone che, quando leggeranno questo messaggio, capiranno. Il tumore può aver ucciso il suo corpo. Ma non il suo ricordo.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Certe immagini, sprazzi confusi d’infanzia, scene intere di vita vagano disordinatamente intorno a me, concitati e confusi. Certi atti sono chiari e visibili, immagini per lo più fastidiose e dolorose. È così strano notare che il nostro cervello ricorda con così vivida chiarezza tutto ciò che ci ha ferito, imbarazzato, e di come tornano alla mente, veloci e letali come una freccia, malgrado i nostri vani tentativi di allontanarli. La maggior parte sono un bagliore di emozione, pochi quelli completi, ma, forse, proprio per questa loro natura frammentaria, i ricordi sono così cari.
Una scintilla di vita cattura il mio sguardo. C’è ne uno.
La stanza era buia, illuminata solamente dalla luce fioca della candela, le ombre che si trasformavano in orribili demoni e candidi angeli, in una danza infernale. C’era una bambina, le guance tinte di rosso e i capelli castani che formavano caldi boccoli contro la pelle lattea. Fissava la piccola fiammella, incantata dai colori vividi e misteriosi che scaturivano dallo stoppino. Un’ombra più grande delle altre si gettò sulla piccola. Era una donna, bella forse, ma il giudizio della bambina era di parte. Era molto alta, i capelli castani, con delle pagliuzze d’oro e rubino a ingemmarli, sfioravano il lampadario di cristallo. Gli occhi scuri osservavano amorevoli la piccina, una fitta ragnatela che si diramava, come un sasso di calda vita gettato in un laghetto, i cerchi che si espandevano calmi.
Quella sera l’intero quartiere era piombato nel buio della sera senza il conforto della luce.
La nonna e la nipote avevano preparato la tavola insieme, il corpo maturo e signorile si muoveva altero, davanti a quello acerbo. Avevano mangiato a lume di candela, come il cartone di Lilli e Il Vagabondo, secondo l’osservazione acuta della bambina. Accanto a loro sedeva pacifico un vecchio, che colorava sotto lo sguardo attento della nipote. Le pagine, lise dall’uso, dipinte di mille colori e da due mani, il tratto omogeneo e perfetto accanto a quello giovane ed inesperto.
I tre rimasero così per un tempo che sapeva di piacevole eternità, l’uno accanto all’altro.
 
Sospiro. Sento ancora l’afrore caldo del legno del tavolo della cucina, l’azzurro afrodisiaco della fiamma, tra il nero pece e il rosso passione. Mi sembra di sentire sulla punta della lingua il fresco del gelato al puffo, ma soprattutto quel calore al centro del petto, così naturale per me, allora.
Mio padre dice che era testarda, protettiva; mia madre ricorda il suo amore insaziabile per il caffè; io la ricordo così. Con i suoi occhi amorevoli, la mano calda tra le mie, la sgradevole mania nel viziarmi e il tono affettuoso con cui pronunciava il mio nome.
 
Mia nonna morì di tumore alle ovaie quando avevo sette anni. Io voglio ricordarla così.
Prima di tutto. Prima della malattia, del dolore, dei suoi occhi affamati di vita e di speranza.
Chi ci è passato può capire, sa.
Mi capita, certe volte, di immaginare la mia vita con lei: i pranzi, i discorsi, ma soprattutto la sua presenza. Sebbene sia perfettamente conscia del mio desiderio irrealizzabile, la mia fantasia scalpita e ruggisce di fronte a queste tesi, pronta a partire.
È un desiderio dovuto? Non lo so.
Avrei potuto scrivere di altri ricordi, ugualmente importanti e probabilmente più felici; eppure se è vero che il mondo dell’infanzia finisce con l’arrivo della morte, allora la mia finì quando si ammalò, perché fu una morte lenta, distruttiva.
I miei nonni non appartengono e apparterranno mai a una sola fase della mia vita, vivranno in me, nel mio cuore, nei miei ricordi, e malgrado il tempo vinca sempre sulla memoria, questa piccola fiammella di vita continua a scaldarmi il cuore.  


Tema per casa: racconta un ricordo che ti ha segnato indelebilemente. é questo. Non so perchè lo pubblicato. Forse nessuno lo leggerà mai. O forse no. Credo che sia per capire. Non sono stata l'unica, lo capisco.
Se c'è una persona che ha segnato indelebilmente la mia vita, è Irene, mia nonna. Significa pace, in latino. é l'unico desiderio non egoistico che nutrivo e nutro tutt'ora. Spero che sia in un posto dove non soffra più, anche se la mia più segreta speranza è un'altra: spero che sia accanto a me. é profondamente egoistico e inoltre vedrebbe tutti i miei difetti, le mie paure e iniquità. In ogni caso, non importa.
Questo è per te, nonna, anche se non sarà mai abbastanza. Ti voglio bene.
Tua

Cinzia
 

  
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