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Autore: Cabiria Minerva    30/11/2012    5 recensioni
«Duddolino, aggiustati la cravatta.»
La voce laconica e spenta di Petunia Dursley era a malapena udibile, coperta dalle chiacchiere e dalle frasi fatte che quella massa nera porgeva loro.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dudley Dursley, Harry Potter, Petunia Dursley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Duddolino, aggiustati la cravatta.


 


 

«Duddolino, aggiustati la cravatta.»

La voce laconica e spenta di Petunia Dursley era a malapena udibile, coperta dalle chiacchiere e dalle frasi fatte che quella massa nera porgeva loro. Dudley, il faccione rotondo un poco pallido, tirò la cravatta, mosse il nodo e, dopo alcuni vani tentativi, decise che non gli importava molto se la sua orrenda cravatta nera – che gli stringeva il collo, togliendogli a volte il fiato – era storta. Certo, era strano – ma ne era anche grato – che le mani di sua madre non fossero subito corse sulla sua cravatta, sistemandola direttamente, senza nemmeno avvisarlo. Ma, d'altronde, Petunia aveva altro a cui pensare, quindi il ragazzo rimase in silenzio, ringraziando quegli sconosciuti con uno sguardo vacuo e un vago spasmo del mento.

«Grazie... Sì, molto gentile... Grazie mille...»

A Dudley sembrava quasi che le parole di sua madre fossero sempre le stesse, forse a volte mescolate, confuse, ma sempre le stesse. Appoggiava mollemente la mano gracile nelle sudaticce strette altrui, sorridendo con quel suo solito sorriso di circostanza, sempre preoccupata delle apparenze. Eppure – e di questo se n'era accorto persino Dudley, che non si era mai sentito particolarmente profondo – in quel momento le apparenze erano un fazzolettino appena appoggiato su una ferita aperta, la diga piena di crepe che cerca invano di contenere l'acqua, ignorando i rivoletti che scorrono lungo la sua superficie.

«Dudley, ringrazia tua cugina Margaret.»

Il ragazzo sorrise svogliatamente, chiedendosi perché non potessero semplicemente andarsene a casa, finire quel teatro. Solo una decina di minuti prima aveva visto la cassa – nera e enorme, decorata con una corona di fiori bianchi dai petali fragili, così in contrasto con l'uomo che era suo padre – sparire in un'apertura nel muro. E questo subito dopo una cerimonia funebre che lo aveva visto silenzioso, le lacrime raccolte sulle sue ciglia.

«Oh, grazie, Harry.»

Harry? Dudley si voltò di scatto, rimanendo deluso nel vedere che l'Harry in questione altri non era che il vicino settantenne con cui suo padre discuteva spesso di golf o dell'ultimo modello di trapano uscito in commercio. Certo, che stupido era stato a pensare che suo cugino sarebbe venuto ad uno dei loro funerali – ci aveva messo un po' a capire ed ammettere con se stesso d'essere stato veramente spregevole, e non aveva mai veramente detto a Harry che gli dispiaceva... Ed ora, dopo quasi quattro anni che non s'incontravano, aveva sperato che la morta di suo padre (e l'annuncio che aveva mandato all'unico indirizzo che conosceva, trovato quasi casualmente sul retro di una busta dimenticata a casa loro da Harry) avrebbero spinto suo cugino a tornare. Stringendo l'ennesima mano madida si rese conto che, probabilmente, nemmeno lui sarebbe andato al loro funerale, se fosse stato nei panni di Harry.

«Dudley, tesoro, resta un attimo qui mentre vado a controllare il buffet.»

Un mugugno d'assenso gli fece vibrare il collo. Perché non potevano semplicemente andarsene a casa? Era stufo di ascoltare le condoglianze di persone che non aveva mai nemmeno visto, e gli faceva male la schiena a furia di starsene lì in piedi, rigido come se l'avessero inamidato, lo sguardo che vagava ora in un punto lontano, dietro le persone, ora sul pavimento, sulle macchioline grigie della moquette.

«Sei tutto tuo padre! Sarebbe così fiero di te.»

Lo era? Era uguale a suo padre, che aveva odiato così tante cose, che aveva sputato veleno ad ogni parola riguardante temi che non approvava, che aveva trattato male un bambino – che probabilmente aveva più volte sperato fosse morto assieme ai suoi genitori – solo per ciò che rappresentava? Una volta gli si sarebbe gonfiato il petto d'orgoglio se qualcuno avesse detto che era uguale a suo padre, ma era cambiato, aveva compreso che molte delle cose che prima gli sembravano ovvie, giuste, non lo erano. Un'ombra rosata nascose il pallore delle sue guance. Si, per quanto volesse bene a suo padre, non riusciva a non sperare di essere migliore, anche solo un pochino.

«Mi dispiace, figliolo.»

Una mano calda, ferma, si posò sulla sua spalla, infondendogli uno strano senso di tranquillità. Non aveva riconosciuto la voce e, quando alzò gli occhi per vedere chi fosse il suo interlocutore, non riconobbe nulla in quel volto segnato dal tempo, nei capelli grigi che gli coprivano gli occhi in ciocche disordinate. Eppure... eppure aveva la sensazione di conoscerlo.

«Non posso certo dire che sia stato un brav'uomo, però posso assicurarti che non devi sentirti in colpa perché ti manca.»

Dudley socchiuse gli occhi e studiò lo sconosciuto. Uno squarcio di verde brillò tra le ciocche bianche. Che fosse...?

«Tutti possono cambiare, se lo vogliono.»

L'ombra di un sorriso illuminò per un istante quel vecchio volto, la mano raggrinzita ancora stretta attorno a quella paffuta di Dudley, che sbatteva le palpebre senza riuscire a trovare qualcosa da dire. Era un atto di perdono, quello? Era veramente venuto al funerale di suo padre, malgrado tutto ciò che la sua famiglia gli aveva fatto patire, per dirgli che lo perdonava? Un sorriso incerto si disegnò anche sulle sue labbra.

«Stammi bene, Big D.»

La mano rugosa scivolò via, e l'uomo svanì tra i parenti e i colleghi che ancora volevano porgere le loro condoglianze al figlio e alla moglie – che nel frattempo aveva controllato il rinfresco e stava tornando al fianco del figlio.

«Rieccomi, Dudley. Tua zia Marge ha quasi finito tutto il brandy...» Petunia sospirò e si sistemò delle pieghe inesistenti sulla lunga gonna nera. Ricominciò a stringere le mani umide, rispondendo con sorrisi e frasi che suonavano lontane alle parole mormorate ora da una grassa donna dai capelli giallastri, ora da un collega impettito di Vernon. «Grazie... Molto gentile da parte sua essere venuto... Grazie mille...» Lanciò uno sguardo distratto al figlio. «Duddolino, aggiustati la cravatta.»

 



Non so perché a volte mi vengano questi raptus, per cui devo assolutamente scrivere un'idea venuta per caso (quando invece dovrei continuare le mie long..). Non lo so, però non oso mai ribellarmi, e quindi ecco qui il parto del mio ultimo momento di furor poeticus.. Furor poeticus che, a dire il vero, sembra voler rispondere al mio desiderio di variare un po' dai miei otp e/o dai personaggi che sono solita usare.
Spero abbiate apprezzato e che vogliate lasciare un commento, passare a trovarmi su facebook, mandarmi un gufo, ...!

A presto,
Cabiria Minerva

   
 
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