Aphelion
Aveva
tredici anni da poche ore.
La mattina del suo compleanno Abbas e
la sua combriccola di prepotenti avevano cominciato a stuzzicarlo
sghignazzando alle sue spalle, senza apparente motivo. Con tutta la
sua buona forza di volontà aveva cercato di ignorarli, e
solitamente
non gli risultava nemmeno troppo difficile perché,
dirimpetto alla
sua natura irosa, si era sempre sentito superiore al prossimo.
Ma quella volta cedette all'euforia, e
ringhiando si voltò chiedendo il motivo di quelle risate
gratuite.
«Dunque,
Abbas? Vuoi farmi venire il mal di testa o è il tuo modo di
augurarmi buon compleanno?»
Abbas
gli rispose con un cipiglio da furbastro, alzò un
sopracciglio e lo
squadrò dall'alto in basso.
«Te
ne sei dimenticato, Altaïr? Oggi è il
giorno», lo canzonò, e le
facce stupide dei suoi compagni replicarono a pappagallo la sua
espressione odiosa.
Altaïr
gelò da capo a piedi.
«Il...
Il giorno?»
Abbas
non ebbe neppure modo di rispondergli a tono che un Assassino
entrò
nell'atrio e afferrò Altaïr per il collo, senza
curarsi di
eccedere nella grazia.
«Al
Mualim ti desidera in torre, moccioso».
«Ehi!
So camminare con le mie gambe», protestò
Altaïr liberandosi dalla
sua stretta.
«Ma
non sai ancora volare», ribatté allusivo il
Veterano, sorridendo
malizioso.
Per
un secondo, Altaïr rivolse allo spocchioso Abbas uno sguardo
che
pareva più una richiesta d'aiuto che una dichiarazione di
guerra, ma
non fece altro che alimentare ulteriormente gli schiamazzi divertiti
dei suoi accompagnatori.
«E
voi, vedete di trovare qualcosa di intelligente da fare!»
tuonò
l'Assassino minaccioso, mentre usciva nel cortile esterno con
Altaïr
che gli trotterellava al seguito.
Dopo
due lunghe rampe di scale a pioli giunsero su una delle più alte
balconate di
Masyaf, il cui accesso era tuttavia vietato ai novizi.
Lì,
Al Mualim attendeva ritto in piedi sul pavimento in palladiana,
bagnato dalla luce che si diffondeva dai portici. Il suo sguardo era
più severo del solito.
«Prendi
posto sulla piattaforma ragazzo».
Altaïr
deglutì e notò solo in quel momento che tre
ballatoi erano già
stati occupati da altrettanti apprendisti, giovani come lui e, come
lui, con la paura negli occhi.
Era
il giorno dell'iniziazione, come aveva potuto dimenticarsene?
Gli
Assassini schiudono le ali al loro tredicesimo compleanno.
Incalzato
dai precettori che l'avevano seguito nel suo apprendistato,
avanzò
sulle scricchiolanti assi di legno senza comprendere bene dove si
trovasse o cosa stesse facendo. Le voci gli giungevano distanti e
ovattate alle orecchie, il sangue gli pulsava nelle tempie a un ritmo
selvaggio.
Comprese
realmente la sua condizione quando sentì la veste ballare al
vento,
e l'aria gelida che gli riempiva gli occhi di lacrime e gli tagliava
le guance con prepotenza.
Allungò
il collo e vide il baluginio dell'acqua sotto di sé, il
candore
accecante delle rocce. Il suolo si trovava un centinaio di metri
più
sotto.
Sentì
distintamente lo stomaco stringersi e il cuore saltargli in gola, e
senza che se ne fosse accorto le sue gambe erano diventate di
pietra.
Deglutì
a vuoto, la bocca gli si era seccata. La testa gli girava
all'inverosimile tanto che rischiò di sbilanciarsi in avanti
e
cadere accidentalmente.
Scosse
il capo.
«N-no».
Un
allievo era già saltato, si era librato elegantemente in
aria
aprendo le braccia come fossero state ali, poi era caduto in un
cumulo di paglia, celato alla vista di possibili nemici.
«Cos'hai
detto ragazzo?»
Altaïr
tentennò un mezzo passo in avanti e l'adrenalina lo pervase.
Il
respiro gli si era bloccato nei bronchi, la pancia gli si stringeva
come se un bruto fattore la stesse malamente mungendo.
«Non
posso farlo», disse a voce alta, e con sua meraviglia
riuscì a
tener ferma la voce.
Vide
distintamente il fuoco che si diramava negli occhi del Mentore, i
suoi precettori trattennero il respiro guardandolo con disprezzo e
delusione, come se avesse appena confessato loro un orribile delitto.
«Ti
prego Maestro», disse in un sussurro, mentre avvertiva un
impetuoso
sentimento di rabbia mista a paura montargli nel petto.
«Lasciami
andare».
Intanto
un secondo adepto aveva spiccato il volo, planando come un'aquila
nell'azzurro del cielo mattutino.
Al
Mualim fece un cenno a uno dei suoi assistenti, questi prese
Altaïr
per un orecchio e lo fece scendere dalla piattaforma, non prima di
umiliarlo davanti ai suoi compagni lasciandogli sulla faccia
l'impronta di due schiaffi bollenti.
Altaïr
sentì tuttavia la spiacevole sensazione di prima
abbandonarlo, anche
se l'immagine vertiginosa di quelle pietre piatte, così
lontane dai
suoi piedi, gli era rimasta impressa nella retina.
Il
nodo alla gola gli si sciolse non appena ebbe i piedi poggiati sulla
roccia, ma la vergogna gli bruciava peggio del fuoco sul viso e alla
bocca dello stomaco.
Passò
velocemente sotto gli occhi duri di Al Mualim, senza riuscire a
sostenere troppo il suo sguardo colmo di sdegno.
Sapevano
come far sentire in colpa un allievo che non aveva avuto il coraggio
di spiccare il primo volo, e allo stesso tempo ne comprendevano
benissimo le ragioni. Ma quella durezza d'animo, eccessiva
all'apparenza, a loro dire era necessaria per forgiare il
temperamento freddo e apatico di un Assassino che fosse degno di tale
nome.
Un
vero Assassino non conosce la paura e ripone tutta la sua fede nel
Credo.
Un
vero Assassino nutre un'illimitata fiducia nelle sue
capacità.
Un
vero Assassino sa mutare la tenebra in neve bianca.
Erano
parole che gli venivano ripetute ogni giorno alla maniera di favola
della buonanotte, una favola da prendere molto seriamente.
«Allora
Altaïr, sei un'aquila o un pavone?»
Il
muso antipatico di Abbas gli si parò davanti non appena fu
scacciato
con vergogna da quell'odioso seggio di pietra, e si ritrovò
nuovamente nel
cortile accanto all'arena.
Altaïr
non si fece tanti problemi a scansarlo, tenendo però gli
occhi
bassi.
«Devo
assolutamente fare la pipì».
Lo
superò e balzò agilmente lungo un breve sentiero
isolato, lontano
dall'ampia veduta dello spiazzo dirimpetto alla facciata di Masyaf.
Abbas lo attese, soffiando peggio di un gatto e voltandosi dalla
parte opposta.
«Sbrigati».
Altaïr
ritornò al suo fianco dopo pochi secondi, con il viso ancor
più
imbronciato, ma almeno la tensione di prima l'aveva abbandonato.
«Ora
mi spetta un posto in cella, se hai un minimo di intelletto credo che
tu non debba saper altro per capire com'è andata».
*
«Maestro».
«Entra
Altaïr».
Erano
passati due mesi dal suo clamoroso fallimento, due mesi di cui uno di
semi-prigionia, e durante quest'ultimo in particolare Altaïr
aveva
avuto modo di riflettere su quanto accaduto.
Infine
si era arreso al fatto di dover riaffrontare la rupe, presto o tardi,
e che in nessun modo nel suo cammino per diventare Assassino avrebbe
potuto sviare da quel nodo fondamentale.
Ora
il problema che si poneva era il come,
e in secondo luogo il perché.
«Voi
mi chiedete di fare una cosa a cui forse potrebbe obbedire la mia
volontà, ma non il mio corpo, non il naturale spirito di
sopravvivenza che lo anima. Anche se la mia volontà si
è già
librata nell'aria aperta, le mie gambe si rifiutano di farlo e
restano ancorate e sicure al suolo. Tu ci chiedi di fare qualcosa che
va contro la nostra natura più elementare».
Ascoltato
senza interrompere il sommario discorso di Altaïr, che ben si
mostrava artificioso e preparato in anticipo, Al Mualim si
voltò
dunque a guardarlo con occhi inquisitori, poi prese parola.
«Dunque
tu ti ritieni un uomo qualunque? No, esiste un'ideologia
padroneggiata comunemente dagli Assassini, un'ideologia che aderisce
alla natura di un Assassino, a ciò che un Assassino
dev'essere. Ciò
che ti chiedo di fare va contro la natura umana, forse sì,
ma la tua
è la natura di un Assassino».
A
quel punto Altaïr si adirò e, senza lasciare spazio
a nessun'altra
chiacchiera del suo visionario Maestro, domandò con
irruenza: «non
sono forse un uomo prima di essere un Assassino?»
Al
Mualim fece una smorfia, come se Altaïr avesse appena detto
qualcosa
di disgustoso, e i suoi occhi lampeggiarono più che mai.
«L'ottusità
del tuo parlare mi tedia, ragazzo».
«Dunque
spiegami, Maestro, quale sarebbe l'indole di un
Assassino,
l'impronta a cui ognuno di noi deve attenersi?»
Per
un momento, Altaïr credette che il Maestro volesse di nuovo
prenderlo a schiaffi, ma poi la sua espressione da furente che era si
rilassò, e le rughe del suo viso si stesero sulla fronte.
Il
sorriso dolce e comprensivo che gli spuntò sulle labbra
pareva quasi
quello di una madre.
«Figliolo,
hai affinato in modo eccellente la tua tecnica d'arrampicata, tanto
che saresti in grado di scalare le guglie della cattedrale di Acri,
ma una volta arrivato in cima...»
Altaïr
si trattenne dal completare la frase in modo stupido, e si morse con
forza la lingua.
«Altaïr»,
continuò il Mentore, ora trascinato da un insolito fermento.
Fece
alcuni passi in avanti afferrando il suo allievo per un braccio, i
suoi occhi brillavano.
«Un
uomo comune, una volta arrivato all'apice, inizia a scendere. Gli
Assassini, dopo aver raggiunto la cima, volano Altaïr, volano».
Ispirata ad Aphelion di Jesper Kyd