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Autore: Silvar tales    30/11/2012    8 recensioni
«Te ne sei dimenticato, Altaïr? Oggi è il giorno», lo canzonò, e le facce stupide dei suoi compagni replicarono a pappagallo la sua espressione odiosa.
Altaïr gelò da capo a piedi.
«Il... Il giorno?»
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Abbas Sofian, Altaïr Ibn-La Ahad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aphelion

AC




Aveva tredici anni da poche ore.
La mattina del suo compleanno Abbas e la sua combriccola di prepotenti avevano cominciato a stuzzicarlo sghignazzando alle sue spalle, senza apparente motivo. Con tutta la sua buona forza di volontà aveva cercato di ignorarli, e solitamente non gli risultava nemmeno troppo difficile perché, dirimpetto alla sua natura irosa, si era sempre sentito superiore al prossimo.
Ma quella volta cedette all'euforia, e ringhiando si voltò chiedendo il motivo di quelle risate gratuite.
«Dunque, Abbas? Vuoi farmi venire il mal di testa o è il tuo modo di augurarmi buon compleanno?»
Abbas gli rispose con un cipiglio da furbastro, alzò un sopracciglio e lo squadrò dall'alto in basso.
«Te ne sei dimenticato, Altaïr? Oggi è il giorno», lo canzonò, e le facce stupide dei suoi compagni replicarono a pappagallo la sua espressione odiosa.
Altaïr gelò da capo a piedi.
«Il... Il giorno?»
Abbas non ebbe neppure modo di rispondergli a tono che un Assassino entrò nell'atrio e afferrò Altaïr per il collo, senza curarsi di eccedere nella grazia.
«Al Mualim ti desidera in torre, moccioso».
«Ehi! So camminare con le mie gambe», protestò Altaïr liberandosi dalla sua stretta.
«Ma non sai ancora volare», ribatté allusivo il Veterano, sorridendo malizioso.
Per un secondo, Altaïr rivolse allo spocchioso Abbas uno sguardo che pareva più una richiesta d'aiuto che una dichiarazione di guerra, ma non fece altro che alimentare ulteriormente gli schiamazzi divertiti dei suoi accompagnatori.
«E voi, vedete di trovare qualcosa di intelligente da fare!» tuonò l'Assassino minaccioso, mentre usciva nel cortile esterno con Altaïr che gli trotterellava al seguito.
Dopo due lunghe rampe di scale a pioli giunsero su una delle più alte balconate di Masyaf, il cui accesso era tuttavia vietato ai novizi.
Lì, Al Mualim attendeva ritto in piedi sul pavimento in palladiana, bagnato dalla luce che si diffondeva dai portici. Il suo sguardo era più severo del solito.
«Prendi posto sulla piattaforma ragazzo».
Altaïr deglutì e notò solo in quel momento che tre ballatoi erano già stati occupati da altrettanti apprendisti, giovani come lui e, come lui, con la paura negli occhi.
Era il giorno dell'iniziazione, come aveva potuto dimenticarsene?

Gli Assassini schiudono le ali al loro tredicesimo compleanno.

Incalzato dai precettori che l'avevano seguito nel suo apprendistato, avanzò sulle scricchiolanti assi di legno senza comprendere bene dove si trovasse o cosa stesse facendo. Le voci gli giungevano distanti e ovattate alle orecchie, il sangue gli pulsava nelle tempie a un ritmo selvaggio.
Comprese realmente la sua condizione quando sentì la veste ballare al vento, e l'aria gelida che gli riempiva gli occhi di lacrime e gli tagliava le guance con prepotenza.
Allungò il collo e vide il baluginio dell'acqua sotto di sé, il candore accecante delle rocce. Il suolo si trovava un centinaio di metri più sotto.
Sentì distintamente lo stomaco stringersi e il cuore saltargli in gola, e senza che se ne fosse accorto le sue gambe erano diventate di pietra.
Deglutì a vuoto, la bocca gli si era seccata. La testa gli girava all'inverosimile tanto che rischiò di sbilanciarsi in avanti e cadere accidentalmente.
Scosse il capo.
«N-no».
Un allievo era già saltato, si era librato elegantemente in aria aprendo le braccia come fossero state ali, poi era caduto in un cumulo di paglia, celato alla vista di possibili nemici.
«Cos'hai detto ragazzo?»
Altaïr tentennò un mezzo passo in avanti e l'adrenalina lo pervase. Il respiro gli si era bloccato nei bronchi, la pancia gli si stringeva come se un bruto fattore la stesse malamente mungendo.
«Non posso farlo», disse a voce alta, e con sua meraviglia riuscì a tener ferma la voce.
Vide distintamente il fuoco che si diramava negli occhi del Mentore, i suoi precettori trattennero il respiro guardandolo con disprezzo e delusione, come se avesse appena confessato loro un orribile delitto.
«Ti prego Maestro», disse in un sussurro, mentre avvertiva un impetuoso sentimento di rabbia mista a paura montargli nel petto. «Lasciami andare».
Intanto un secondo adepto aveva spiccato il volo, planando come un'aquila nell'azzurro del cielo mattutino.
Al Mualim fece un cenno a uno dei suoi assistenti, questi prese Altaïr per un orecchio e lo fece scendere dalla piattaforma, non prima di umiliarlo davanti ai suoi compagni lasciandogli sulla faccia l'impronta di due schiaffi bollenti.
Altaïr sentì tuttavia la spiacevole sensazione di prima abbandonarlo, anche se l'immagine vertiginosa di quelle pietre piatte, così lontane dai suoi piedi, gli era rimasta impressa nella retina.
Il nodo alla gola gli si sciolse non appena ebbe i piedi poggiati sulla roccia, ma la vergogna gli bruciava peggio del fuoco sul viso e alla bocca dello stomaco.
Passò velocemente sotto gli occhi duri di Al Mualim, senza riuscire a sostenere troppo il suo sguardo colmo di sdegno.
Sapevano come far sentire in colpa un allievo che non aveva avuto il coraggio di spiccare il primo volo, e allo stesso tempo ne comprendevano benissimo le ragioni. Ma quella durezza d'animo, eccessiva all'apparenza, a loro dire era necessaria per forgiare il temperamento freddo e apatico di un Assassino che fosse degno di tale nome.

Un vero Assassino non conosce la paura e ripone tutta la sua fede nel Credo.
Un vero Assassino nutre un'illimitata fiducia nelle sue capacità.
Un vero Assassino sa mutare la tenebra in neve bianca.


Erano parole che gli venivano ripetute ogni giorno alla maniera di favola della buonanotte, una favola da prendere molto seriamente.
«Allora Altaïr, sei un'aquila o un pavone?»
Il muso antipatico di Abbas gli si parò davanti non appena fu scacciato con vergogna da quell'odioso seggio di pietra, e si ritrovò nuovamente nel cortile accanto all'arena.
Altaïr non si fece tanti problemi a scansarlo, tenendo però gli occhi bassi.
«Devo assolutamente fare la pipì».
Lo superò e balzò agilmente lungo un breve sentiero isolato, lontano dall'ampia veduta dello spiazzo dirimpetto alla facciata di Masyaf. Abbas lo attese, soffiando peggio di un gatto e voltandosi dalla parte opposta.
«Sbrigati».
Altaïr ritornò al suo fianco dopo pochi secondi, con il viso ancor più imbronciato, ma almeno la tensione di prima l'aveva abbandonato.
«Ora mi spetta un posto in cella, se hai un minimo di intelletto credo che tu non debba saper altro per capire com'è andata».


*


«Maestro».
«Entra Altaïr».
Erano passati due mesi dal suo clamoroso fallimento, due mesi di cui uno di semi-prigionia, e durante quest'ultimo in particolare Altaïr aveva avuto modo di riflettere su quanto accaduto.
Infine si era arreso al fatto di dover riaffrontare la rupe, presto o tardi, e che in nessun modo nel suo cammino per diventare Assassino avrebbe potuto sviare da quel nodo fondamentale.
Ora il problema che si poneva era il come, e in secondo luogo il perché.
«Voi mi chiedete di fare una cosa a cui forse potrebbe obbedire la mia volontà, ma non il mio corpo, non il naturale spirito di sopravvivenza che lo anima. Anche se la mia volontà si è già librata nell'aria aperta, le mie gambe si rifiutano di farlo e restano ancorate e sicure al suolo. Tu ci chiedi di fare qualcosa che va contro la nostra natura più elementare».
Ascoltato senza interrompere il sommario discorso di Altaïr, che ben si mostrava artificioso e preparato in anticipo, Al Mualim si voltò dunque a guardarlo con occhi inquisitori, poi prese parola.
«Dunque tu ti ritieni un uomo qualunque? No, esiste un'ideologia padroneggiata comunemente dagli Assassini, un'ideologia che aderisce alla natura di un Assassino, a ciò che un Assassino dev'essere. Ciò che ti chiedo di fare va contro la natura umana, forse sì, ma la tua è la natura di un Assassino».
A quel punto Altaïr si adirò e, senza lasciare spazio a nessun'altra chiacchiera del suo visionario Maestro, domandò con irruenza: «non sono forse un uomo prima di essere un Assassino?»
Al Mualim fece una smorfia, come se Altaïr avesse appena detto qualcosa di disgustoso, e i suoi occhi lampeggiarono più che mai.
«L'ottusità del tuo parlare mi tedia, ragazzo».
«Dunque spiegami, Maestro, quale sarebbe l'indole di un Assassino, l'impronta a cui ognuno di noi deve attenersi?»
Per un momento, Altaïr credette che il Maestro volesse di nuovo prenderlo a schiaffi, ma poi la sua espressione da furente che era si rilassò, e le rughe del suo viso si stesero sulla fronte.
Il sorriso dolce e comprensivo che gli spuntò sulle labbra pareva quasi quello di una madre.
«Figliolo, hai affinato in modo eccellente la tua tecnica d'arrampicata, tanto che saresti in grado di scalare le guglie della cattedrale di Acri, ma una volta arrivato in cima...»
Altaïr si trattenne dal completare la frase in modo stupido, e si morse con forza la lingua.
«Altaïr», continuò il Mentore, ora trascinato da un insolito fermento.
Fece alcuni passi in avanti afferrando il suo allievo per un braccio, i suoi occhi brillavano.
«Un uomo comune, una volta arrivato all'apice, inizia a scendere. Gli Assassini, dopo aver raggiunto la cima, volano Altaïr, volano».





Ispirata ad Aphelion di Jesper Kyd



   
 
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