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Autore: Ruta    30/11/2012    1 recensioni
Storybrooke è una città chiusa, alla periferia del mondo, quasi una prigione. Non solo per lui però. Forse è l’unico ad essersene accorto, l’unico a sapere, ma non l’unico a soffrire e, pensa Henry, è meglio soffrire sapendo perché si soffre che soffrire e non conoscerne i motivi. È meglio soffrire nella consapevolezza che nell’ignoranza.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Mills
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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ultima

Prompt: Once Upon a Time, Henry, L'ultima chance
Titolo: Ultima possibilità
Autore: Ruta
Wordcount: 605
Rating: verde
Avvertimenti: oneshot
Introduzione: Storybrooke è una città chiusa, alla periferia del mondo, quasi una prigione. Non solo per lui però. Forse è l’unico ad essersene accorto, l’unico a sapere, ma non l’unico a soffrire e, pensa Henry, è meglio soffrire sapendo perché si soffre che soffrire e non conoscerne i motivi. È meglio soffrire nella consapevolezza che nell’ignoranza.





Ultima possibilità

 

 

 

 

 

 

 

 

Essere il figlio di un sindaco è frustante sotto vari aspetti. Prima di tutto prevede una certa popolarità indesiderata, nonché una riconoscibilità che lo ha sempre messo in soggezione. Il tutto, inoltre, implica anche un mucchio di comportamenti ineccepibili da mantenere in pubblico, esempi di buona cittadinanza, obblighi civili, senza poi tenere in considerazione il fatto di dover praticamente essere un modello di virtù esemplari.
Disciplinato, beneducato, gentile e affabile, cortese col vicinato e non: più o meno è il genere di contegno che ci si aspetta da lui dacché ha memoria.
Se essere il figlio di un sindaco è frustante sotto vari aspetti comunque, essere il figlio di Regina Mills lo è ancora di più e le ragioni paiono moltiplicarsi ogni giorno che passa.

Eccolo, paiono sussurrarsi l’un l’altro le persone che incrocia, ecco il figlio del sindaco. Quello strano. Quello che crede e vede cose che non esistono. Altri mondi, luoghi, realtà.
Quante volte li ha sentiti ripeterlo e bisbigliarlo come un segreto? Quante volte, le prime, ci ha pianto su? E quante, per quello che la gente pensava di lui, ha deciso di scappare per poi all’ultimo secondo mollare ogni preparativo perché vinto dalla paura delle conseguenze, di essere scoperto e riportato indietro?
Una città di provincia, indurita dalle tradizioni, chiusa al cambiamento, senza possibilità di apertura. Così gli è sempre apparsa Storybrooke, ma ora è diverso. Ora è tutto cambiato.
Perché lì è cresciuto, ha conosciuto persone piacevoli, straordinarie e meravigliose. Quasi troppo per non sembrare frutto di un sogno.

Ora tutto è diverso.
Storybrooke è una città chiusa, alla periferia del mondo, quasi una prigione. Non solo per lui però. Forse è l’unico ad essersene accorto, l’unico a sapere, ma non l’unico a soffrire e, pensa Henry, è meglio soffrire sapendo perché si soffre che soffrire e non conoscerne i motivi. È meglio soffrire nella consapevolezza che nell’ignoranza.
Sin dalla loro prima seduta insieme, ricorda, Archie non ha fatto che tentare di convincerlo che l’immaginazione sia il rifugio che ha interposto tra sé e le aspettative esageratamente esasperanti di sua madre. Secondo lui rappresenta l’ultimo baluardo che gli permette di salvaguardare la sua individualità, di affermare con decisione la sua personalità. Archie crede di essere nel giusto, ma sbaglia, come tutti gli altri, anche se la colpa non è sua. È la maledizione. Filtra la verità, la distorce e la deforma a proprio piacimento. Gli adulti pensano che sia lui ad inventarsi la realtà, ma non è così. Non può esserlo e glielo dimostrerà.
Archie non capisce. Quella è la sua ultima possibilità. L’opportunità di essere davvero normale, simile e accettato e capito.
Archie è in errore, come tutti gli altri. Non capisce, non può. Non finché non avrà spezzato la maledizione, non fino a quando non avrà aperto gli occhi, non avrà ricordato. Non può ancora, ma lo farà.
L’autobus sta partendo e Henry chiude gli occhi, stringendo forte il libro di favole al petto. Sì, pensa, quella è l’ultima occasione per essere libero e felice, per essere davvero se stesso, senza intrusioni o compromessi. Meglio solo ed estraneo in un mondo di persone maledette e inconsapevoli di esserlo, vittime del sortilegio di una strega malvagia, strappate a casa loro, al loro lieto fine, meglio credere in una favola, in qualcosa di assurdo e impossibile piuttosto che accettare di essere solo e incompreso in un mondo che non lo comprenderà mai, non lo accetterà mai così com’è. In quella prospettiva non è il mondo a dover cambiare, ma lui. Ad un mondo del genere non ci sono alternative o soluzioni e questa secondo lui, questa sarebbe la peggiore delle maledizioni.

 


 

N/A:
Niente da dire tranne che, insomma, è una cosa troppo poco appariscente e troppo scioccherella perchè davvero possa venir definita in qualche modo. Sono indietro di due episodi sulla seconda stagione, ma sto guardando di nuovo la prima serie da quando l’hanno spostata su Rai4.
Ecco, ieri ho ri-visto l’episodio che stavano trasmettendo e mi è presa la nostalgia. È un missing moment, quindi, ambientato prima del primo episodio. I pensieri di Henry al momento della partenza da Storybrooke, molto nonsense e temo anche parecchio OOC, ma che posso farci? I pensieri di un metti cifra a caso – quanti caspiterina di anni ha Henry che me lo dimentico sempre? Uhm… Undici! Sì, Henry ha undici anni! – dicevo, i pensieri di un undicenne per chi ne ha dieci di più ._.” sono difficili da rendere. E dire che io ci lavoro con i bambini, di quattro e sei e dieci anni d’accordo, ma oggigiorno si esprimono in un mondo che mi mette letteralmente i brividi. Lasciamo stare poi le debite eccezioni, che sono appunto le eccezioni che confermano la regola. Tutto questo papiro per dire che ho scritto una cosa brutta che non merita di essere letta xD
Grazie per l’attenzione e se siete arrivati fin qui – ma davvero O.O?! – sappiate che vi ADORO <3

  
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