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Autore: Amomirus    30/11/2012    1 recensioni
Personale riflessione (semi filosofica) di come la vedo io sulla smania sempre più ossessiva di essere perfetti, e sulla paura che si ha del tempo. Ci sono riferimenti alla mia vita personale ma non credo impediranno la comprensione del testo. Buona lettura!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho voglia di una sigaretta. Ma ho smesso! E poi lui non vuole, me lo dice sempre. Però cosa darei per aspirare un po’ di morte adesso. Tanto, prima o poi, dicono.
Il muro è freddo. Sta passando qualcuno, ma non ho gli occhiali. Dimenticati, chissà dove.
Lui passa tra i tavoli, neppure mi nota ma a me basta sapere che lui sta bene. Io sto pensando ai cavoli miei, mica a lui, adesso. A lui ci penso prima di dormire. Tra il sonno e la veglia.
“Solo et pensoso…”
Beh, nel mio caso sola. Aspetta, di chi era? Petrarca. O Leopardi? O forse Leopardi ne ha fatta una simile… meglio non pensarci, però mi piace come suona. Sono io adesso. Pensosa.
Ma vi siete mai chiesti perché ci sforziamo tanto di essere terribilmente perfetti? Ci accaniamo sulla vita e noi stessi in modo mostruoso, per essere perfetti. Insomma, noi non siamo perfetti! Siamo umani. Sbagliamo, diciamo le parolacce, litighiamo e facciamo la pace. E anche la guerra. Perché mai si dev’essere perfetti? Chi me lo fa fare?
Io non voglio essere perfetta. Voglio essere me stessa. E sarebbe già tanto, visto il casino che viene fuori, il “conosci te stesso” di Socrate, l’Uno Nessuno e Centomila. Loro hanno capito tutto. Ognuno è specchio di se stesso e dell’intero universo. La perfezione è essere se stessi.
Insomma, c’è troppa ricerca affannosa della perfezione. La linea perfetta, il look perfetto, il vestito perfetto, il pensiero perfetto. Soprattutto il pensiero, dev’essere perfetto. Freddo, impostato. Mai irruento, mai che ti ponga in una situazione calda. Dev’essere un pensiero tagliente, che geli qualsiasi antitesi a se stesso. Un io assoluto che sbaraglia a prescindere il non io, direbbe Fichte. O era Hegel? Machennesò.
Ma senza il non io, non si arriverebbe all’io finito, no? E secondo te, l’io finito chi è? Siamo noi stessi. Quindi, rimanendo assoluti, perfetti, saremo mai umani? Saremo solo una copia plastificata del groviglio di corpo, anima e io finito che siamo.
Noi non siamo perfetti. La Natura è perfetta. Dio è perfetto. Noi no. Noi siamo destinati a contraddirci, a non conoscerci mai e a litigare per questo. Grandi sono gli uomini che, a mio parere, hanno capito che essere se stessi era tutto ciò che si potesse fare. Grande è chi riconosce il limite dei propri mezzi e li usa per costruire qualcosa che rispecchi ciò che sente dentro. Chiediti perché non si è mai vista una Barbie versione arista con tanto di cavalletto. E se c’è, sicuramente dipinge solo unicorni, che sono perfetti. E che non esistono.
Sono a casa ora. Devo studiare. Sento il flusso dell’energia elettrica scorrere attraverso il cavo cilindrico del citofono mentre mi faccio aprire il portone di casa. Ho fame. Secondo lo stoico per eccellenza, la fame non dovrebbe costituire un problema per lo studio. Ma fammi il piacere.
Penso a quelle persone che si ostinano a voler scrivere perfettamente. Ma così ti annulli! Che senso ha scrivere perfettamente quando la scrittura è bella perché è ricca di stili? E secondo te, lo stile come se lo crea uno? Dalla propria personalità! Io proprio non lo so. Non capisco. Insomma, la grammatica è un conto, la grammatica non è perfezione, è regola per farsi capire. Io dico chi cerca proprio la perfezione dello stile. E perde tutto quello che invece fa di uno scrittore un grande: il suo modo unico di vedere le cose, e di saperle scrivere.
E poi scusa, chi ti dice che la perfezione sia armonia? Armonia è stare bene con ciò che ci circonda e con noi stessi. La perfezione è l’assoluto in se, l’annullamento di tutto il resto, perché è imperfetto. Insomma, l’armonia c’è tra due opposti che si bilanciano, è nell’equilibrio della Natura e degli elementi che si alternano. Dei trigliceridi e degli enzimi, del DNA che si sdoppia, dello scienziato che si innamora di una scrittrice.
Ma ho già perso troppo tempo. E ho ancora voglia di fumare.
Esco in terrazza e ho una sigaretta in mano, spenta. Guardo fuori e la città che scorre. Guarda, lì il profilo magnifico delle montagne. Inspiro e fingo di sentire l’odore delle nuvole cariche di neve.
Penso a lui, a me e a lui. No, non siamo perfetti. Lui non è perfetto.
Io però odio la perfezione, odio quest’ansia che diamo al tempo. Io e lui annulliamo il tempo. Il tempo è nulla, se ci pensi. Che senso ha averne paura? Cos’è il tempo di ottant’anni, se a settanta hai contratto l’Alzheimer? Che senso ha definire pochi dieci anni, se sei stato costretto a pensare come un adulto? Ma chi è un adulto? Che senso hanno i diciotto anni, quando c’è gente che dopo trent’anni non sa ancora rifarsi il letto? Non capisco. Il tempo non ha senso.
Esistiamo solo noi ora, e ringrazia che esistiamo.
Il tempo ci è nemico, perché allora considerarlo?
“Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem quam minimu credula postero.”
Orazio, Ovidio… non ho memoria per i nomi. Sto scherzando, so benissimo che è Orazio.
Il tempo… la perfezione. Non hanno senso. Siamo solo noi e tutto il cosmo. Poca roba, insomma.
Ho la sigaretta ancora spenta tra le dita. Devo fumarla. Sarebbe perfetta adesso: stomaco pieno, serata fredda, pensieri profondi. Perfetta.
Innervosita, seccata, la butto via. Senza neppure averla accesa. I miei polmoni ringraziano.
  
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