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Autore: almanoera    30/11/2012    1 recensioni
Mello/Near | Conteggio: ~1.1k
Le labbra di Mello si piegano verso il basso in una smorfia infastidita ogni qualvolta che avverte una risata da parte dei suoi compagni, ma si piegano verso l'alto ed il suo cuore si scalda quando i lamenti impauriti di Near gli colmano le orecchie.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mello, Near | Coppie: Mello/Near
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Feel the vibe, feel the terror, feel the pain, it's driving me insane.
I can't fake, for God's sake,
why am I 
driving in the wrong lane?

)
 



Fulmini, pioggia fitta. Un temporale si stava abbattendo sul tetto della Wammy’s House. I fanciulli correvano al riparo, nei loro letti disfatti, considerandoli come loro rifugi. Correvano al caldo,  avvolgendosi tra le soffici e calde coperte forse per non udire quel temporale o per semplice sonno. Un fanciullo ancora non era corso al riparo.

Una folta chioma bionda tagliuzzata in una simpatica forma a caschetto si faceva strada lungo il corridoio di quell’enorme edificio. Quei fili di grano inutile dire quanto spiccassero nel cuore di quel buio spezzato solo da quale scintilla di luce che filtrava invadente dalle finestre.  Una figura snella, un paio di semplici pantaloni neri abbinati ad una larga maglietta che non doveva esser poi così pesante per una notte di pieno inverno. Le gocce si scontravano sorde, contro i vetri delle finestre.

Il suo nome era Mihael Keehl. Un ragazzo, facciamo ‘ragazzino’, in fase di crescita, suvvia. Un caschetto biondo, un viso forse da schiaffi, un’espressione cupa, forse nervosa, infastidita un po’ da tutto ciò che poteva arieggiargli ed aggirarglisi intorno. Era fatto così, si lasciava scivolar tutto addosso, come acqua, ma al contempo questo tutto avrebbe preferito distruggerlo con e tra le sue stesse dita. Intanto saliva le scale, a piedi scalzi, cercando di non far il minimo rumore. Una scalinata composta da talmente tanti scalini che quasi pensò di non poter arrivare al piano superiore, alla sua camera. Si stava trascinando.

Erano pallidi, quasi anemici, quei piedi. Le mani – altrettanto pallide - si posavano sulla ringhiera in chiaro legno, scivolavano lungo questa, finché non giunse al piano superiore. Era buio. Le luci spente, solo qualche voce che proveniva dalle diverse stanze. Mihael era infastidito anche da quei flebili bisbigli. Voci bianche, di fanciulli. Ridevano, a quanto pareva, ma Mihael non si lasciava sfuggir nemmeno un sorriso, la sua espressione non ben definita guardava dinnanzi a sé, studiava quei particolari di quel corridoio ormai così familiari che quasi gli incutevano una straziante angoscia.

Un fulmine illuminò la vetrata, alla fine del corridoio. Giunse di fronte alla porta della propria stanza, non ci penso due volte, o forse non ci pensò affatto, la aprì, ci si insinuò dentro richiudendosela alle spalle con l’aiuto di un piede, controvoglia. D’altronde tutto ciò che lui compiva, ogni sua azione era svogliata.

Lo sguardo basso, le braccia incrociate al petto. Un altro fulmine. Sgranò gli occhi, Mihael, con nessuna credibilità, per chiunque lo avesse visto, nemmeno per se stesso. Aveva realmente provato timore, solo che anche le sue naturali reazioni apparivano distaccate. Qualcosa non andava, il piumone del suo letto era avvolto quasi su se stesso formando una specie di pallottola. Le sue sopracciglia s’aggrottarono.

Il buio regnava nella camera, una candela era accesa sulla scrivania. Grazie a quella così flebile luce il biondo riuscì a capire dove stesse effettivamente posando i piedi, ed a passo felpato, silenzioso, giunse ad un bordo di quel letto ad una sola piazza. Vi si inginocchiò. Non aveva più paura, solo curiosità. Un lembo venne intrappolato tra le sue affusolate dita, lo alzò di poco, scoprendo pian piano la figura che andava a nascondersi sotto quel così caldo piumone.

Sottili fili albini. Una chioma albina e due occhi impauriti gli si presentarono di fronte. Le ginocchia tremanti strette tra le braccia, combacianti con il petto. Una candida camicia e dei pantaloni, forse troppo larghi, che avvolgevano quel corpo minuto. A volte sbatteva le palpebre, con fatica, ed a Mihael parve anche d’aver visto le sue labbra schiudersi, forse per parlare, ma lasciandosi, infine, sfuggire solo un colpevole sospiro. Un bambino che forse conosceva fin troppo bene, che ancora non era arrivato a capire se poteva riuscir a sopportarlo, oppure no. Probabilmente avrebbe optato per la seconda. Il biondo si intenerì, non lo diede a vedere, ma deglutì a vuoto.

“Nate, andiamo, esci da lì.” Si chiamava Nate River, era più piccino di pochi anni in confronto a Mihael. Insicuro, infantile, forse timido, impacciato, sicuramente aveva paura dei temporali, e sicuramente il posto in cui gli piaceva più stare era la camera del più grande, ma non glielo avrebbe mai confessato. Vicino ai suoi piedi giacevano dei pezzi di piccole dimensioni sicuramente appartenenti ad un puzzle; Mihael sapeva quanto il più piccolo potesse far uso di quei giochi stupidamente infantili, ma non aveva alcuna idea del perché tutti i suoi puzzle fossero bianchi. Il ragazzo da capelli color del miele si rese conto che prenderlo con le cattive e con quel suo tono che ad ogni frase che gli rivolgeva si pietrificava tremendamente, non sarebbe stato utile a nulla.

“Perché non vieni qui? Mi faresti compagnia, ne sarei felice.” Poteva chiaramente ammettere d’aver paura dei fulmini, dei tuoni, di quel tempo così cupo, ma non lo fece, decise di partire dal nocciolo della questione. La compagnia di Mihael, i temporali non glieli avrebbe fatti più sentire. La sola vicinanza del più grande lo portava ad esser felice, ad esser pieno fino all’orlo, e gli stava bene così. Era un punto di riferimento, qualcuno con cui potersi confidare, esternare quel vero lato di lui stesso che non aveva intenzione di donar a qualcuno nonostante i modi palesemente rudi con cui l’altro lo trattasse.

Il candido piumone scivolò giù dal corpo di Nate, cascando scompostamente alle sue spalle. Mihael si sedette ad un fianco di Nate. Sospirò, non avendo altra alternativa. Il più piccolo non sarebbe andato via da quella camera, dove regnava il silenzio, dettato solo da quei flebili respiri che forse emettevano troppo frastuono. Il più grande non lo notò, ma l’albino sorrise. Un sorriso semplice, forse impaurito dall’aver chiesto troppo. Uno di quelli che ti fan frantumare il cuore, in mille piccoli brandelli. A quello di Mihael stava accadendo, non lo avrebbe mai ammesso.

Un fulmine si scagliò contro i vetri, seguito da un possente tuono. Arrivava la grandine, adesso. Il più piccolo d’istinto si accasciò contro l’amico. Il capo posava contro le cosce dell’altro, ed una guancia andava ad adagiarsi contro lo scuro tessuto di quei leggeri pantaloni. Quegli immensi occhi si strizzarono. Le piccole mani si congiunsero, incastrando dita con dita ansiosamente. Sul volto pallido gli si dipinse un’espressione impaurita, le labbra si contorsero in una smorfia quasi dolorante. Il suo labbro inferiore tremava. Diventò ancor più candido, se possibile.

“Ssh, adesso passa. Adesso finisce tutto.” Mihael prese a percorrere ogni ciocca sottile di quei capelli grigiastri con i polpastrelli. Sotto la luce accecante di quei fulmini, quei capelli risplendevano, divenendo incredibilmente bianchi. Una ciocca s’attorcigliò attorno all’indice snello del più grande, arricciandogliela. Pian piano, il tremore di quell’esile corpo diminuiva, ed il respiro iniziava a farsi pesante. Lo percepiva con piacere. Gli si scaldò il cuore, probabilmente, nemmeno lui poteva saperlo, sapeva solo che un piccolo pezzo del suo cuore, seppur gelido, lo aveva donato al più piccolo quella notte. Quel temporale sarebbe durato tutta la notte, fino all’alba, e per tutta la notte Mihael sarebbe rimasto sveglio, a vegliare sul sonno di quel fanciullo, ormai beatamente addormentato.
  
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