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Autore: Black_Eyeliner    01/12/2012    4 recensioni
Non ricordava esattamente l’istante in cui aveva smesso di averne paura.
Senz’altro doveva essersi trattato di un momento importante della sua vita; il superamento del valico tra la fanciullezza e la maturità, che l’aveva portato inevitabilmente a scartare le paure più irrazionali e a rimpiazzarle, di contro, con altre ben più ponderate e consistenti: come la paura più adulta e altrettanto illogica di dire sempre e comunque la verità, o la paura disperata e angosciante dell’abbandono.
Fatto stava che per Itachi Uchiha il buio da tempo aveva smesso di essere uno spauracchio per divenire, razionalmente, null’altro che la definizione scientifica della pura e più totale assenza di luce.
[Itachi/Sasuke]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nessun contesto
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Nda: Torno con una shot in due parti, assolutamente Uchihacest. Perché senza loro due non posso stare. Grazie a chi leggerà, commenterà, preferirà, ricorderà. A presto :)

Black Out

#1 – Buio

Non ricordava esattamente l’istante in cui aveva smesso di averne paura.

Senz’altro doveva essersi trattato di un momento importante della sua vita; il superamento del valico tra la fanciullezza e la maturità, che l’aveva portato inevitabilmente a scartare le paure più irrazionali e a rimpiazzarle, di contro, con altre ben più ponderate e consistenti: come la paura più adulta e altrettanto illogica di dire sempre e comunque la verità, o la paura disperata e angosciante dell’abbandono.

Fatto stava che per Itachi Uchiha il buio da tempo aveva smesso di essere uno spauracchio per divenire, razionalmente, null’altro che la definizione scientifica della pura e più totale assenza di luce.

Eppure, se da un lato era fin troppo semplice affidarsi a quel piatto significato da manuale accademico di buio, dall’altro lato diventava molto più problematico dare una definizione altrettanto meccanica del suo opposto. O meglio, osservandolo assorto, come se non ci fosse stata visione più deliziosa delle bacchette portate adagio alle sue labbra morbide e pallide, delle sue ciglia nere e così lunghe da arrivare quasi a toccare i suoi zigomi alteri, della linea sottile delle sue sopracciglia e della sua espressione sommessa nel consumare placidamente il suo pasto serale, nel guardare attentamente la sua pelle bianca come la neve e i suoi capelli, come sempre, spettinati e di un nero assoluto, Itachi in cuor suo sapeva fin troppo bene  che la sua unica fiaccola nelle tenebre, la sua luce più vera ed autentica non era null’altro che lui e solo lui.

-Fa’ attenzione, scottano ancora, Sasuke.

L’apostrofò preoccupato, con la mano sospesa a mezz’aria in un gesto dettato dall’urgenza di chi avesse percepito un pericolo improvviso; e, al contempo,  dalla consapevolezza imbarazzata di aver di nuovo agito con l’eccessivo paternalismo che, nell’avere appena compiuto quattordici anni e il cambiamento pressoché completo della voce, tanto cominciava a dare fastidio al suo orgoglioso fratello minore.

-So che ti piacerebbe da morire imboccarmi, ma per tua sfortuna ho imparato a mangiare da solo molto tempo fa, niisan.

Lo rimbeccò aspro Sasuke, che non mancò di rimarcare quell’ultima parola con una durezza tale da lasciare appena sottesa la frase molto tempo fa, almeno da quando i nostri genitori non ci sono più. La frase cui Itachi sapeva benissimo suo fratello più piccolo aveva appena alluso, pur senza pronunciarla; ma, ugualmente, quest’ultimo non ebbe il tempo materiale per indulgere nel senso di colpa che,  nell’istante successivo, vide l’altro ingollare in un unico boccone tutti i tagliolini che era riuscito a raccogliere sulle bacchette dal fondo del piatto.

Sapeva bene che Sasuke, essendo fin troppo orgoglioso, non avrebbe mai ammesso di essersi seriamente ustionato lingua e palato; o almeno non mentre, malgrado il dolore, si sforzava di mantenere lo sguardo più fiero e tagliente che gli riuscisse di simulare. Ma Itachi non si permise lo stesso di lasciarsi sfuggire un risolino divertito al sussulto che scosse le spalle di suo fratello minore, alla sua espressione paonazza e  agli angoli dei suoi occhi che gli si inumidirono di lacrime all’ennesimo tentativo di mandare dignitosamente giù il tutto. Anzi, prevedendo la scontata reazione di stizza che avrebbe scatenato nel suo adorabile otouto, sfociando in una lite verbale che proprio non aveva voglia di sostenere, si limitò semplicemente a stappare la bottiglia dell’acqua. Prese il bicchiere di Sasuke che, nel frattempo, cercava di riprendere il contegno perduto e glielo riempì quasi fino all’orlo, aspettando pazientemente che lui superasse l’imbarazzo e se ne servisse. L’osservò bere a grandi sorsate dal bicchiere e, quando lo ebbe vuotato completamente, ripresero a mangiare.

Come ormai quasi sempre negli ultimi tempi, cenarono in silenzio; un silenzio interrotto solo di tanto in tanto dal suono della ceramica dei piatti fatti urtare accidentalmente e dal tinnio dei bicchieri. Dalla finestra socchiusa sopra il lavello, ritmico, giungeva il frinire di una qualche cicala errabonda;  una volta, infine, che ebbero finito entrambi i loro pasti, anche quest’ultimo cessò, lasciando solamente ai loro respiri composti il lento scandire degli attimi interminabili che seguirono.

-Come sempre molto loquace, ne, otouto?

Sebbene sistematicamente non sortisse mai l’effetto sperato, anche quella sera fu Itachi il primo a tentare di rompere il silenzio, ormai fin troppo ostinato che si era inspiegabilmente instaurato fra sé e suo fratello minore. Effettivamente, non sapeva dare a quella situazione una spiegazione logica. Spesso si chiedeva se non fosse stata proprio l’unicità e l’esclusività che avevano stretto indissolubilmente il loro legame dal giorno della perdita dei loro genitori ad avere un peso non indifferente in quella involuzione del loro rapporto; poi, rendendosi conto di stare come al solito divagando eccessivamente, cominciava a convincersi che magari si trattava solo della pubertà da poco raggiunta ad aver portato, come molti adolescenti, anche Sasuke a chiudersi maggiormente in se stesso e a diventare più scontroso: e, se possibile, ancora più bello e desiderabile di quanto già non fosse.

Non appena lo ebbe formulato, subito si sorprese di quell’ultimo pensiero; non seppe se vergognarsene profondamente per il legame di sangue che comunque  correva fra di loro o se ingelosirsi all’idea che, se anche lui che era suo fratello lo trovava desiderabile, chissà quanti altri là fuori di lì a poco avrebbero cominciato a desiderare Sasuke, in quel senso. Prima ancora che potesse, però, sentirsi ancora più in colpa e furiosamente geloso al pensiero, che gli attraversò la mente come una torpedine, di Sasuke che un giorno avrebbe finito inevitabilmente per appartenere a qualcun altro, la replica di lui giunse inaspettata, quanto tagliente.

-Potrei dire la stessa cosa. Non sei esattamente l’emblema del dialogo fraterno, Itachi.

-Dunque il gatto non ha la tua lingua…

Lo rimbeccò Itachi con tono rasente lo scherzoso, cercando strenuamente di scacciare il pensiero, sempre più frequente ormai  negli ultimi mesi, di quanto il suo delizioso otouto stesse realmente crescendo bene, fra l’innocenza di una fanciullina al catechismo e la bellezza impudente di un giovane uomo arrabbiato col mondo intero e con la vita stessa per avergli tolto troppo precocemente l’affetto di una vera famiglia. Rincarò la dose, per non pensarci e per imporsi di ignorare l’aggettivo fraterno che Sasuke aveva appena usato, e soggiunse.

-… Oh, scusami otouto, ovvio che non ce l’ha. Forse perché semplicemente ti scotta ancora?

-Forse a te scotta il fatto di non potermi più dire quello che devo fare, perché non sono più un bambino?

Itachi tacque, non sapendo come ribattere a quella domanda fin troppo retorica che davvero non necessitava di alcuna replica; in silenzio seguì con lo sguardo Sasuke che, con inusuale calma,  dapprima si pulì le labbra col tovagliolo, poi si alzò, portando con sé il proprio piatto e riponendolo nel lavello. Quando lui prese a risciacquarlo, rimase a lungo a scrutare la sua figura di spalle, longilinea e armoniosa, nonostante ancora acerba a causa dell’età: si soffermò sulle tre vertebre sporgenti e delicate del collo che i suoi capelli scomposti e l’orlo della maglietta nera che indossava lasciavano scoperte e non riuscì a non provare una profonda tenerezza al pensiero di quanto dovessero sembrare fragili al tocco. Poi si immaginò di sfiorarle per davvero, anche oltre la stoffa scura dei suoi indumenti, lungo tutta la schiena e si accorse, nel lasso infinitesimale di un solo istante, di quanto fosse sbagliato quel desiderio improvviso e proibito di cingergli la vita esile con le braccia, di sentire le ossa sporgenti del suo bacino premere contro i palmi delle proprie mani e di disseminare di baci la sua spina dorsale fino a sentirlo tremare. Deglutì nervosamente, percependo in tutta la sua chiarezza e il suo mastodontico peso che tutto l’amore che aveva sempre nutrito per suo fratello minore aveva varcato la soglia dell’amore fraterno già da diverso tempo, forse proprio nel momento in cui la morte dei loro genitori aveva costretto loro due, unici superstiti di quell’incidente d’auto, a legarsi di un legame  inestricabile, assoluto.

E mentre lo scroscio dell’acqua del rubinetto accompagnava come una nenia il susseguirsi dei suoi pensieri, nel momento in cui provò l’istinto irrefrenabile di liberare dall’asola  il bottone dei jeans che Sasuke indossava, riconobbe cristallino  il desiderio proibito di volere fare l’amore con lui, come se posarsi sul suo corpo nudo, baciarlo sulla bocca ed entrargli dentro, anche contro il suo ostinato silenzio e perfino contro la sua volontà, fosse ormai l’unico modo possibile per fargli capire quanto realmente fosse profondo quel sentimento totalizzante e incommensurabile che non ebbe più la forza di negare a se stesso.

-Ho finito. Esco.

Fu la voce improvvisa di Sasuke a riscuoterlo dalla fiumana delle sue fantasie e a far sì che per la prima volta, quella sera, i loro sguardi si incrociassero davvero.

-Esci, a quest’ora della sera, otouto?

-E’ primavera, fa già caldo e poi non mi sembra sia così tardi.

Replicò atono il più piccolo e Itachi l’osservò mentre si asciugava le mani sottili con uno strofinaccio e si ravviava una ciocca dei suoi capelli nero ossidiana, portandosela dietro un orecchio. Neanche in quel momento smise di pensare a quanto quella sua bellezza ingenua, resa ancor più perfetta dall’inconsapevolezza del suo possessore, fosse quanto di più appetibile avesse mai avuto la fortuna di ammirare, nonostante si trattasse proprio di suo fratello. E l’idea stessa che per la sua purezza fosse così facilmente manipolabile lo atterriva, lo commuoveva e lo infiammava al contempo.

-E almeno posso sapere dove vai?

Chiese, sforzandosi di mantenere l’espressione più neutra e pacata che gli riuscisse, nonostante stesse realmente iniziando a fremere per le ondate di una eccessiva possessività che solo Sasuke, la sua unica luce, fino ad allora era stato capace di istigargli.

-Da Naruto. Non c’è bisogno che mi aspetti, credo che tornerò tardi.

Le dita fremettero d’attorno al bicchiere che Itachi aveva appena sollevato e che non si portò alle labbra, per l’improvvisa dimenticanza di avere sete; lo ripose nuovamente sul tavolo, rimase seduto ed evitò di guardare Sasuke, anche se, dal suono dei suoi passi sul tatami, suppose quasi immediatamente che si stava allontanando.

-Mi dispiace contraddirti, ma mi sa che stasera rimarrai a casa, Sasuke.

Nel sentirsi chiamare per nome a quel modo, Sasuke serrò i pugni d’istinto; non era la prima volta che andava a far visita al ragazzino biondo che abitava ad appena due isolati dalla loro abitazione e trovava ridicolo che Itachi stesse diventando tanto estremamente protettivo da negargli persino la libertà di vedersi con un compagno di scuola. Malgrado si stesse vivamente imponendo di non voltarsi in direzione di Itachi e replicare acido, non poté fare a meno di agire all’inverso; e, non appena i suoi occhi incontrarono quelli di suo fratello maggiore, non osò neppure pensare che quella scintilla che scorse nelle sue iridi picee fosse pura, semplice e furiosa gelosia. Imputò semplicemente il tutto al fatto che, essendo appunto suo fratello maggiore, Itachi sentiva sempre in qualche modo la necessità di imporgli i comportamenti più moralmente retti ed andare a letto presto rientrava fra questi; perché se davvero avesse immaginato che in suo fratello in quell’istante ardesse la fiamma della gelosia più sfrenata, non avrebbe risposto come effettivamente fece.

-Ti ho detto che non sono più un bambino. Io faccio ciò che voglio!

Non seppe se fu il lampo di sfida che vide balenare negli occhi di Sasuke o se fu la verità sottesa nelle parole di lui la goccia che fece traboccare il vaso.

Itachi si sentì avvampare come non era mai accaduto prima d’allora; per la prima volta dopo molti anni trascorsi nella certezza di avere Sasuke accanto, ebbe di nuovo paura del buio. Sapeva che Sasuke stava crescendo, ma non aveva mai preso veramente in considerazione l’idea che il suo piccolo otouto, lo stesso che soleva arrossire infatuato ogni volta che gli chiedeva di passare del tempo insieme o che sgattaiolava nel suo letto nelle notti tempestose, potesse da un giorno all’altro staccarsi da lui, fare a meno di lui per poi, infine, abbandonarlo. Era semplicemente una consapevolezza che non voleva, o almeno non ancora, riusciva ad acquisire.

-Vedi? Non sai neanche rispondere. Io vado.

Di tre cose Itachi, dall’alto dei suoi quasi vent’anni, ebbe invece consapevolezza immediata in quell’istante.

Tre cose delle quali Sasuke acquistò consapevolezza solo qualche attimo dopo.

Il clangore di un vetro rotto, il buio improvviso e le loro lingue, rabbiosamente intrecciate in un bacio.

#2 – Luce

Fu senza dubbio il buio, la privazione improvvisa e totale della luce, ad esacerbare in ogni sua delicata sfumatura il sapore dolce della sua bocca.

Ad un certo punto gli sembrò anche che Sasuke stesse provando disperatamente a mormorare qualcosa, che non se la sentì, nè volle ascoltare; per questo, alla cieca, gli premette con forza una mano fra le scapole gracili, per spingerlo col petto contro il proprio e per approfondire quel bacio che, complice le tenebre, sembrò non finire mai. Un bacio che durò solo qualche istante, ma che parve durare ore, giorni, una vita intera, proprio come il desiderio irrefrenabile che lo aveva fatto sbocciare. In seguito, Itachi non avrebbe avuto memoria di quando e come quell’inebriante contatto ebbe fine. Tutto ciò che in quel momento riuscì a percepire fu il tremore del corpo che stringeva fra le braccia, le unghie che gli graffiarono il collo per poi appigliarsi alla sua maglia e i tentativi spasmodici di Sasuke di divincolarsi dalla morsa salda in cui lo aveva costretto. Riuscì a distinguere anche un flebile ti prego, balbettato nella sua bocca con malcelato panico; ciò lo ferì molto più del dolore che, dalla tibia, gli si irradiò lungo tutta la gamba: un dolore improvviso a fargli realizzare, pur senza poterlo scorgere nel buio, che suo fratello più piccolo con tutta probabilità doveva averlo colpito forse con un piede, cogliendo l’opportunità di sfuggirgli chissà dove, nella loro casa vuota,  piombata improvvisamente nelle tenebre.

-Sasuke…

Lo chiamò e il movimento delle labbra nello scandire il suo nome gli fece di nuovo avvertire vivido e puro il suo sapore, amplificando il senso di colpa per aver rubato al suo otouto quello che, a giudicare dalla goffaggine e dalla timidezza con cui lo aveva un poco ricambiato, doveva essere senza ombra di dubbio il suo primo bacio.

-… Perdonami.

Mormorò spezzato, questa volta più fra sé e sé, nella realizzazione improvvisa di essersi irrimediabilmente innamorato del proprio fratello minore.

Nella sua corsa nel corridoio, Sasuke fu quasi certo di aver sentito alle proprie spalle Itachi implorare di perdonarlo; era una cosa che suo fratello maggiore faceva spesso: solo che stavolta il perdonami non era seguito al solito colpetto di dita sulla fronte.

Sasuke arrancò, avanzando tentoni nel buio e respirando a fatica. Allungò una mano, cercando tastoni un interruttore sulla parete e quando lo trovò, non riuscì a tirare un sospiro di sollievo perché quasi immediatamente realizzò che, malgrado lo avesse premuto più volte, la luce non si accese lo stesso.

Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, eppure ancora non aveva smesso completamente di avere paura del buio; anzi, forse in quel momento se ne spaventò ancora di più, quasi quanto lo spaventò la consapevolezza che il suo adorato fratello maggiore lo aveva veramente baciato.

-Ahi…

Gemette fievole, portandosi istintivamente subito dopo una mano alla bocca, per non fare rumore e far sì che Itachi lo trovasse e continuasse ciò che aveva iniziato prima in cucina. Arrossì sia al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se non fosse riuscito a scappargli, sia per lo sforzo di non lasciarsi sfuggire un altro lamento di dolore.

Nello scatto con cui Itachi si era alzato da tavola per raggiungerlo, aveva dovuto urtare  qualcosa, forse un piatto o un bicchiere, che si era infranto sul pavimento; e nella breve colluttazione che era seguita, qualche scheggia di vetro doveva essersi piantata sotto il suo piede scalzo. Gli faceva male, così tanto che, ad un certo punto, smise di camminare, scivolò contro la parete e si sedette, cingendosi le ginocchia con le braccia e affondandovi il viso.

Non seppe quantificare il tempo che trascorse in quella posizione. Il silenzio di quella casa così grande e completamente al buio lo svilì, più del silenzio in cui si era chiuso da quando i suoi unici occupanti erano rimasti Itachi e lui. Mai avrebbe avuto il coraggio di confessare a suo fratello che il motivo per cui aveva preso ad evitarlo negli ultimi tempi era dovuto al timore che prima o poi sarebbe accaduto ciò che alla fine realmente era accaduto quella sera. Diverse notti aveva passato insonne col pensiero fisso di Itachi, di quanto le sue carezze nelle notti che avevano trascorso insieme nel letto dei loro genitori lo turbavano e di quanto il suo respiro caldo sulla nuca lo facesse rabbrividire, nonostante il calore delle coperte. Ricordava di aver dormito spesso così con lui, dandogli le spalle e indulgendo nel tepore del suo abbraccio; un abbraccio che lo sospingeva spesso a far cozzare la schiena contro il suo petto, mentre nel sonno ogni respiro di Itachi sembrava inequivocabilmente articolarsi nelle tre sillabe del proprio nome. Innumerevoli mattine si era svegliato crogiolandosi nel senso di colpa di amare suo fratello maggiore molto più di quanto fosse consentito a lui che, oltre al cognome, condivideva il suo stesso sangue. E allora, col passare del tempo, si era imposto di stargli lontano, per la paura angosciante che, scoprendo quei suoi sentimenti proibiti, Itachi stesso avrebbe potuto allontanarlo, abbandonarlo a se stesso e costringerlo a contenere le emozioni che, man mano che i giorni si susseguivano, erano diventate tanto impetuose da essere ingestibili. Non era mai stato molto bravo a contenere i suoi sentimenti più puri e veri e per questo affondò ancora di più il viso fra le braccia, sperando che tornasse al più presto la luce e gli permettesse di medicarsi e chiudersi nella sua stanza almeno fino al mattino seguente.

-Itachi…

-E’ solo un black-out momentaneo, otouto, passerà presto.

Sasuke sussultò, irrigidendosi quasi immediatamente; troppo intento a rivangare il passato, neppure si era accorto del suono dei passi che si erano avvicinati sempre di più nell’oscurità: così  come non riuscì a fare a meno di rimproverarsi per essersi fatto sfuggire quel nome che, seppure in un soffio, doveva essere stato udibile abbastanza perché Itachi rispondesse.

-Lo so. Non c’è bisogno che rimani qui, puoi anche andartene nella tua stanza.

-Non pensavo avessi ancora paura del buio.

Lo schernì affettuoso e, come Sasuke si accorse che la propria voce era involontariamente uscita fuori rauca e tremante, la vena di dolcezza che aveva pervaso quella di Itachi non gli sfuggì e lo portò, anzi, ad arrossire di nuovo. Ringraziò il buio, che fece in modo che suo fratello maggiore non vedesse quella sua ennesima debolezza, si schiarì la voce e provò, invano, a difendersi.

-Itachi, io…

-Shhhh, va tutto bene, otouto, davvero.

Lo zittì e, nonostante non riuscisse a vederlo, subito riuscì a trovare e a cingergli un polso, attirandolo lentamente a sé per farlo alzare.

-Ah… !

-Cosa…?

-Il piede. Mi fa male.

Sussurrò spezzato il più piccolo che, d’un tratto, si sentì sollevare da terra e si ritrovò, per la seconda volta quella sera, fra le braccia di Itachi. Non aggiunse altro, né osò chiedere a Itachi dove lo stesse portando, forse perché la paura della risposta bastava ad attanagliargli la lingua al palato, incapace di proferire parola.

Itachi, dal canto suo, doveva essersene accorto e se ne dispiacque, perché con quel bacio, dettato unicamente dall’amore inquantificabile che provava per il suo splendido fratellino, in alcun modo aveva voluto indurlo ad aver paura di lui.

-Voglio solo cercare di vedere cosa ti sei fatto. Resta qui.

Disse solo, col tono più dolce Sasuke gli avesse mai sentito usare; e così dicendo, lo adagiò piano sulla poltrona del salotto, che aveva raggiunto ricordandosi il percorso a memoria e stando attento a non inciampare.

-Credo di essermi solo graffiato, davvero, non c’è bisogno che…

-Ecco qua. Fa’ vedere.

Lo interruppe, mentre il riverbero di una candela appena accesa rischiarò d’un tratto un po’ la stanza.

Sasuke strizzò le palpebre a quella luce improvvisa, che seppur debole, per il solo fatto di essersi ormai da svariato tempo abituato al buio gli ferì gli occhi. Poi, riabituandosi a quella luce fievole, scorse Itachi inginocchiato ai suoi piedi, la sua espressione farsi cupa e le sue sopracciglia tese in uno sguardo preoccupato.

-E’ una scheggia. Ti porto da un medico.

-A quest’ora della sera?

-Vorrà dire che faremo un salto in ospedale, tanto è vicino.

Quell’unica parola bastò a pietrificarlo. L’ultima volta che Sasuke era stato in un posto del genere era stato quando si era risvegliato in un letto che non era il suo e un uomo con un camice bianco l’aveva informato, con tutto il tatto possibile, che si era trattato di un incidente d’auto e che tutto era ormai finito; sarebbero passati diversi giorni perché, nonostante fosse ancora un bambino, avrebbe capito che ciò che era finito non era solo il dolore dei lividi e dei tagli ormai quasi del tutto risanati.

-No! Ti prego Itachi, non voglio.

Urlò d’impulso, la frase subito stemprata dal dolore che percepì non appena il fratello gli premette le dita sulla zona ferita.

-Ti prego…

Lo supplicò ancora, ormai non più preoccupato di poter sembrare debole o patetico e Itachi, sentendosi di nuovo dire ti prego, allo stesso modo in cui glielo aveva detto mentre poco prima lo baciava col trasporto di un amante appassionato, si lasciò sfuggire un lungo sospiro.

-Va bene, allora. Dammi solo un istante, torno subito da te.

Sasuke si lasciò ricadere con la testa contro lo schienale e chiuse gli occhi; attese per quelle che gli parvero ore e si rese conto ancora di più che per nulla al mondo avrebbe voluto che Itachi lo lasciasse, da solo, nelle tenebre, neanche per un attimo.

Riaprì gli occhi solo dopo, quando percepì di nuovo la sua presenza accanto a sé e vide Itachi con un paio di guanti in lattice e una piccola pinza. Sebbene la luce della candela lo permettesse poco, Itachi vide Sasuke impallidire ancor più di quanto già non fosse pallido, si inginocchiò di nuovo davanti a lui e gli accarezzò intenerito una ginocchio, guardandolo negli occhi.

-E’ vero che sono solo al secondo anno di medicina. Ma se mi prometti di stare il più fermo possibile, penso di riuscire a pulirti io la ferita, va bene?

Sasuke annuì quasi impercettibilmente; vide la mano di Itachi lasciargli il ginocchio e tendersi verso il suo viso. Fu quasi sicuro che volesse colpirlo, stavolta sulla fronte come soleva sempre fare, ma gli mancò il respiro nel momento in cui invece si sentì accarezzare i capelli e spingere dolcemente in avanti, fin quando le loro fronti si toccarono.

-Penso di essermi innamorato di te, Sasuke.

Nonostante il bacio che si erano scambiati, quella dichiarazione colpì Sasuke come una secchiata d’acqua gelida in pieno inverno. Restò immobile, la bocca dischiusa e gli occhi vacui, incapace di ricambiare il sorriso appena accennato che Itachi gli rivolse, prima di sollevargli l’orlo dei jeans e prendere ad occuparsi del suo piede insanguinato.

Neanche il dolore che provò non appena la punta della pinza entrò più in profondità nella pelle fu in grado di strappare voce alle sue labbra e solo dopo che Itachi si accorse che il respiro del suo otouto si era fatto più affannoso, forse per un movimento più brusco nel rimuovere una delle schegge, che si fermò, tornando a guardarlo avvilito e preoccupato.

-Oddio, Sasuke, perdon-

-No…Non farlo.

Lo zittì brusco il più piccolo, incrociando il suo sguardo con un cipiglio minaccioso che, per un istante, fece spalancare a Itachi gli occhi.

-Non voglio più che mi chiedi di perdonarti.

Forse perché questa volta non ti ho mentito, come ho sempre fatto in passato negandoti i miei sentimenti.

-Ma perché non mi perdonerai più, o perché non ho nulla da farmi perdonare?

-Perché non ti perdonerò più, sappilo. Quindi bada bene a come ti comporti.

Itachi sorrise al modo in cui Sasuke si morse le labbra, per il bruciore del disinfettante sulla ferita che ormai aveva finito di pulire; lo trovò bellissimo per quella sua smania di apparire forte anche mentre le lacrime di dolore gli pizzicavano le ciglia e lottava strenuamente per far sì non si districassero e gli rigassero il volto fiero e orgoglioso. Finì di medicarlo con un cerotto, prima che la fiamma si estinguesse e la candela si consumasse del tutto.

-Allora vorrà dire che prima te lo chiederò, per non rischiare di non essere più perdonato. Non lo sopporterei.

Sasuke non rispose, limitandosi a tirare un sospiro di sollievo non appena la medicazione fu finita e a fissare suo fratello con un’espressione interrogativa.

-Posso avere un altro bacio?

Gli domandò gentile in un soffio, ripetendosi quanto fosse adorabile il rossore che, di tanto in tanto, tingeva le gote affilate di Sasuke. Mai quanto trovò delizioso il modo in cui lui strizzò gli occhi, annuendo impacciato con un movimento del capo; l’osservò ancora come se fosse un dono prezioso e profondamente immeritato, ancora per qualche minuto nella poca luce rimasta: con gli occhi chiusi, le labbra invece socchiuse nel bacio che non si sentì ancora a lungo di negargli.

Di tre cose ebbero consapevolezza entrambi, simultaneamente, però, in quel momento.

Il clangore di un vetro rotto, il buio improvviso e le loro lingue, appassionatamente, intrecciate in un bacio.

Si separarono solo quando Sasuke, ancora ingenuamente inesperto, gli cinse le spalle con le mani, allontanandolo un po’ da sé per riprendere fiato.

-Itachi…

Sentendosi chiamare a quel modo, Itachi si rese conto che, trasportato dall’ebbrezza di avere Sasuke finalmente tutto per sé, in quella posizione a cavalcioni su di lui, malamente steso sulla poltrona, forse gli stava impedendo di respirare; fu lì per chiedergli di nuovo di perdonarlo, più per abitudine che per altro, ma fu il più piccolo a precederlo.

-… Anch’io credo di essermi innamorato di te, anzi. T’ho sempre amato.

Senza preavviso, la luce si riaccese, appena in tempo perché Itachi vedesse il sorriso ancora da bambino di suo fratello minore, subito sostituito da un broncio altrettanto infantile.

-Non ti montare adesso, però!

Lo spinse via con finto disprezzo, poi aggiunse.

-E dato che è tornata la luce, ne approfitto per farmi una doccia.

Concluse Sasuke, secco; fece per alzarsi con la testa che ancora gli girava per le effusioni con le quali era appena stato riguardato ma, non appena posò il piede ferito a terra, non potè fare a meno di imprecare dal dolore.

-Forse è meglio che ti ci accompagno io a fare la doccia, stupido otouto.

Lo prese in giro il maggiore, insistendo giocoso sulle ultime parole; e non smise di sorridere neppure allorché Sasuke cominciò a scrutarlo con diffidenza.

-Va bene, però tu rimani fuori.

-Ovvio, perché, forse pensavi volessi fare la doccia insieme a te?

Lo raggiunse alle spalle, mentre Sasuke si allontanava claudicante pur di non dargli la soddisfazione di vederlo arrossire di nuovo; lo prese in braccio nonostante i suoi tentativi di divincolarsi ed evitò le schegge del vaso che si era rotto per un movimento un po’ più brusco di Sasuke nel ricambiare il bacio di poco prima.

-Certo che no!

-Ah, credevo.

Itachi sopportò con invidiabile flemma la raffica di pugni stizziti che gli colpirono la schiena, mentre trasportava Sasuke al bagno.

-Sei insopportabile… Ti odio!

-Sì, sì. Ti amo anch’io, Sasuke, lo sai.

Lo accarezzò piano sulla schiena e rise.

La luce era tornata, davvero.

   
 
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