Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Laura Anita Winchester    01/12/2012    1 recensioni
La vita può risultare ingiusta, la vita è ingiusta...
Tutto andrà a rotoli, la nostra barriera architettonica verrà distrutta
Ma qualcuno può ancora aiutarci, qualcuno che solleverà il primo mattone aiutandoci a ricostruire
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Cinque motivi per sopravvivere

 
- Tesoro, tesoro svegliati.
Mi voltai dall’altra parte del letto brontolando qualcosa di incomprensibile – Che ore sono?
- Le otto. Oggi devi andare a ritirare i risultati delle analisi, ricordi? – sussurrò mia moglie accarezzandomi dolcemente una guancia.
La fissai in silenzio gustandomi quei pochi minuti analizzando la sua pelle di un rosa pallido spruzzata di lentiggini, le labbra a forma di cuore e gli occhi da gatto di un magnifico color verde prato.
Lei sorrise – Dai pigrone, alzati.
Risposi al sorriso e mi alzai trascinando i piedi fino in cucina.
 
Dopo una colazione veloce mi avvicinai a Daniela, mia moglie, e la baciai dolcemente posando la fronte contro la sua – Aspettami, sarò velocissimo.
- Andrà tutto bene – disse, riconoscendo nel mio sguardo un po’ di timore.
Sorrisi debolmente – Già.
Uscii di casa e salii sull’auto infilandomi nel traffico torinese.
Accesi la radio e tamburellai le dita a tempo di musica sul volante, attendendo paziente ad un semaforo rosso.
Vidi un padre tenere la mano al proprio figlio mentre attraversavano la strada.
Sorrisi debolmente. Daniela aveva sempre desiderato un figlio, ma con il mio lavoro e il mio problema…
Già, il mio problema.
Era iniziato qualche mese prima, un mal di testa che non ne voleva sapere di sparire tormentandomi notte e giorno senza sosta.
Mia moglie mi aveva spinto ad andare a fare delle analisi, solo per sicurezza, e oggi era il grande giorno.
Non capivo perché mi preoccupavo tanto, d'altronde era solo un mal di testa…
Il suono di un clacson mi risvegliò dai miei pensieri e premetti l’acceleratore.
 
Venni accolto in uno studio ben arredato pieno di libri e di riconoscimenti appesi al muro come trofei. Forse servivano a rassicurare i pazienti, o forse erano lì per puro egoismo.
Il dottore non mi diede il tempo di analizzare a fondo la questione perché mi venne incontro stringendomi la mano – Come sta?
Alzai le spalle – Non male, grazie. Lei?
- Oh, bene grazie. Si sieda pure. Dobbiamo parlare di alcune cose – commentò facendo sparire lentamente il sorriso che mi aveva ingannato per pochi minuti.
Ubbidii e iniziai a tormentarmi le mani – Buone notizie, spero.
- Vedi, John. Posso chiamarti John?
- Certo – risposi cercando di liquidare la cosa e passare a questioni più importanti.
- Vedi John – disse riprendendo il discorso – Si tratta davvero di casi particolari. Sono pochissime le persone venute qui…
- Per favore – sibilai – Mi dica semplicemente che esito hanno avuto i risultati.
Lo sguardo del dottore di rabbuiò – Sono positivi, John.
Deglutii – Positivi a cosa?
Il dottore si tolse gli occhiali massaggiandosi le palpebre – Hai un tumore al cervello – mi passò una lastra che rappresentava chiaramente il mio cervello – Quella massa presente tra i due emisferi…
- E’ enorme – commentai spaventato riconoscendo il tumore.
- Abbiamo la possibilità di operarti – iniziò.
- Quanto tempo mi rimane? – chiesi, mentre la mano con il foglio iniziava leggermente a tremare.
Sospirò – Qualche mese. Inizierai a perdere prima la vista e dopo l’udito.
- Quante possibilità avrei con un intervento, di sopravvivere? – chiesi.
- Poche. E’ un intervento pericoloso.
Alzai lo sguardo incontrando quello del dottore, mentre le parole di mia moglie mi tornavano in mente.
Andrà tutto bene.
 
Mi chiusi in macchina lasciando cadere i risultati sul sedile del passeggero.
Mi tolsi gli occhiali da vista e mi sfregai gli occhi cercando di mantenere la calma.
Certo, mantenere la calma.
Misi in moto e mi infilai nel traffico.
 
Parcheggiai davanti a casa e spensi il motore senza scendere.
Lanciai un’occhiata ai fogli affianco a me, come se potessero farmi qualcosa.
Ma lo avevano già fatto.
Passai una mano tra i capelli, mentre il respiro si faceva più faticoso e la sensazione che la morte si stava avvicinando fosse sempre più certa.
Scesi dall’auto sistemandomi il nodo alla cravatta e mi avviai verso casa.
Daniela mi aprì la porta sorridendo e solo in quel momento presi la mia decisione.
Le andai incontro e l’abbracciai sorridendo e baciandola – E’ andato tutto bene. Il dottore ha detto che è tutto dovuto solo allo stress e mi sono preso qualche giorno di riposo.
Non compresi perché avevo iniziato a mentire, forse per il suo sorriso.
Forse solo per mentire a me stesso.
 
Non riuscivo a ricordare molto, la perdita della memoria era uno dei sintomi elencati nei risultati.
Sapevo solamente che ora mi trovavo al limite di un enorme salto.
Guardai giù. Venti piani mi separavano dal marciapiede.
Deglutii, chiudendo gli occhi. Mi ero tolto le scarpe. Non sapevo il perché lo avevo fatto. Sapevo solo che era giusto così.
Spalancai le braccia, recitando le ultime preghiere. Era impressionante come la gente diventasse estremamente credente prima di morire.
- Cosa credi di ottenere in questo modo?
Aprii gli occhi di scatto, stupito di non aver ancora perso l’equilibrio.
Mi voltai molto lentamente e guardai la donna intenta a fissarmi.
La squadrai notando i capelli rossi e un completo grigio molto professionale.
- Chi è lei? – chiesi, tornando a guardare i passanti ignari che stavano camminando sotto le follie di un uomo disperato.
- Non credo che abbia così tanta importanza, ma puoi chiamarmi Angela – commentò la donna sorridendo.
Sorrisi follemente – Sei qui per farmi cambiare idea? Non ho notato le auto della polizia nè l’ambulanza.
- Diciamo di sì – rispose avvicinandosi e sedendosi sul cornicione lasciando ciondolare le gambe nel vuoto.
- Non riuscirai a farmi cambiare idea – risposi, deglutendo e muovendomi di poco in avanti.
Lei rise – Fammi almeno provare, per favore.
- Non otterrai nulla – risposi, notando che una bambina mi indicava dal basso strattonando la mano della mamma per attirare la sua attenzione.
Lei si strinse nelle spalle – Posso chiedere che cosa non va, John?
Mi chiesi come facesse a sapere il mio nome – Cosa c’è che non va? – risi debolmente, quasi isterico per la situazione in cui mi trovavo – Lei sa come mi chiamo, ma non sa come mai mi trovo qui. Che razza di psicologa o poliziotto è lei?
Angela portò le ginocchia al petto, fissandomi in attesa di una mia risposta.
Sospirai, notando in quel momento che una folla di curiosi mi osservava dal basso – Sto per morire, Angela. E’ una questione di anni, mesi o anche solo giorni e il mio cervello smetterà di dare ordini. Diventerò uno stupido vegetale. D'altronde, dopo che perdi la vista e l’udito cosa ti rimane?
- Il tatto, l’olfatto e il gusto – rispose.
La guardai, sicuro che mi stesse prendendo in giro – Non sono importanti.
Lei sorrise, guardando il sole tramontare davanti a sè – Oh, al contrario. Semplicemente non vengono mai considerati a sufficienza. L’essere umano è egoista da quando ha messo piede sulla Terra e tutto ciò che non è sufficientemente interessante viene scartato e messo in secondo piano.
Una folata di vento caldo ci colpì, pretendendo silenzio davanti ad uno spettacolo concesso pochissime volte.
- Ma solo con la vista possiamo ammirare panorami come questi, solo con l’udito possiamo comprende il prossimo – risposi.
- Vero. Ma come ho detto non consideri i dettagli più insignificanti – mi provocò, tornando a far ciondolare le gambe.
Si udirono delle sirene in lontananza.
- Allora parlamene, visto che sei tanto esperta in materia – risposi.
- Da cosa vuoi cominciare? – chiese poi annuì – Ma sì, iniziamo con la Signora Vista – disse posando i gomiti sulle ginocchia – Paesaggi, opere d’arte, colori… tutte cose che si possono vedere, non trovi?
La fissai – Che razza di domanda è? Certo che si possono…
- Benissimo, ma ripeto non osservi i dettagli – mi interruppe – L’essere umano è stato dotato della vista per distingue il bene dal male, per comprendere quanto bella possa essere la natura. Semplicemente per capire che ha a disposizione tutto quello che vuole, se solo sa osservare nel modo giusto. Crescendo, l’uomo ha imparato a conoscere le emozioni umane e a manifestarle dando una piccola svolta alla sua vita. Sono poche le persone che riescono a notare semplicemente con uno sguardo che una persona non sta bene o che sta mentendo…
Scossi il capo confuso – Aspetta, stai parlando di profiler e psicologi?
Lei rise – Quelli sono solo nomi assegnati a dei ruoli che comprendono queste caratteristiche. Non stiamo parlando di lavori, ma di vita. Guarda semplicemente come il sole cede ogni giorno il proprio posto alla luna, abbandonando il suo trono. Cosa ti dice tutto questo?
Guardai le stelle che iniziavano a trovare il loro posto nel cielo – Tristezza, ma beatitudine. Il cielo stellato da libero sfogo alla fantasia creata da menti artistiche senza limiti.
- Non bisogna essere per forza artisti per avere fantasia – rispose.
- Questa sarà la mia ultima notte – sussurrai iniziando ad avere freddo.
Lei scosse il capo – Non ho ancora finito con te. Non darti per spacciato finchè non te lo concedo.
Suonava come una minaccia, ma funzionò spingendomi a proseguire - L’Udito. Se non parliamo di cantanti e di musica allora cosa… - iniziai cercando di cambiare argomento mentre alcune pattuglie della polizia parcheggiavano sotto al palazzo.
- Hai sentito la polizia arrivare, hai sicuramente ascoltato della musica venendo qui… - iniziò a elencare Angela sulla punta delle dita – Ma…
- Non ho osservato i più piccoli dettagli, già – proseguii al suo posto – Allora cosa dovrei aver ascoltato?
Lei si alzò e iniziò a camminare dietro di me, obbligandomi solo ad ascoltarla – Sai che nei film horror viene messa una determinata quantità di basse frequenze per far provare angoscia agli spettatori? – mi informò – Funziona così la musica. Tutti pensano che la musica classica ci rilassi, che la techno sia musica da giovani e ti incasini la testa. Ma non hanno mai fatto un’analisi a scontro diretto con le emozioni e situazioni. Una donna intenta ad ascoltare musica classica mentre fa ginnastica che viene disturbata potrebbe diventare altamente irritabile, mentre una ragazza o un ragazzo sdraiato sul letto intento ad ascoltare musica techno ha la testa libera dai pensieri anche se per pochi minuti.
- Ma stiamo parlando solo di musica, suppongo che ci sia di più di questo – commentai.
- Quando senti qualcuno piangere cosa provi? – chiese.
- Tristezza. Quando vedo Daniela piangere mi sento… inutile. Come se la colpa del suo pianto sia in parte anche mia.
- L’udito è strettamente collegato alla nostra immaginazione e alle nostre emozioni. Sentendo un rumore siamo capaci di collegarlo direttamente a qualcosa anche senza vederlo. Sappiamo distinguere lo stato d’animo di una persona semplicemente dal suo tono di voce. Si può mentire con uno sguardo, ma non con la voce – commentò.
Si era fermata e aspettava una mia reazione, ma in quel momento riuscivo solo a pensare a Daniela.
- Lei sa che sei qui? O meglio, lei sa il perché sei qui? – chiese sussurrando.
Sorrisi debolmente – Le ho mentito per tutto questo tempo. Le ho detto che andava tutto bene, perché questo era quello che lei desiderava, perché questo è quello voleva sentirsi dire. Ma lei deve averlo capito. Forse sin dal primo giorno. Forse proprio dal mio tono di voce… Non sono mai stato bravo a mascherare le mie emozioni.
Il gracchiare di un microfono attirò la mia attenzione – John, sono il capo della polizia. Mi ascolti, qualsiasi cosa non vada verrà risolta lei...
- Chiudi gli occhi, John – sussurrò Angela.
Ubbidii.
- Cosa senti? – chiese.
Inclinai leggermente la testa, ignorando il rumore del megafono  – Qualcuno nei paraggi sta ascoltando della musica, deve essere ad un volume notevole considerata l’altezza a cui ci troviamo. Sento un gufo e il rumore delle foglie proveniente dal parco qua sotto… il poliziotto là sotto spera che prenda una decisione in fretta. Non gli importa molto che io viva o muoia. Vuole solo tornare a casa.
- Ora, ignora quello che senti e dimmi ciò che vedi – ordinò.
Isolai i miei sensi e mi guardai attorno – La luna è magnifica, così alta e libera. Pensa di essere la più grande, quando in realtà le stelle che la circondano sono molto più grandi di lei… Rappresenta tutti quanti noi, che vogliamo essere protagonisti della nostra vita. E’ una luna egoista.
- Vai avanti.
- I palazzi si illuminano di notte come piccole discoteche. E le luci della polizia danno a tutto un che di irreale – conclusi rimanendo a fissare la folla con i nasi in su, rivolti verso di me.
Angela ricominciò a parlare – Ora pensa alla tua vita senza di essi. Pensa alla tua vita senza la vista e l’udito.
Tirai su col naso – Io mi butto.
- John, si sistemerà tutto – gracchiò il megafono.
- Se ti butti non avrai la possibilità di scoprire gli altri sensi – mi fece notare invece Angela.
Scossi il capo – Non mi interessa.
La sua mano mi strinse un polso – Tu non ti butterai giù. Io non ho ancora finito.
- Io invece sì – commentai, scollandomela di dosso.
- Allora morirai da vigliacco, se è questo che desideri – rispose, allontanandosi da me di qualche passo.
L’affermazione mi colpì nell’orgoglio, impedendomi di lanciarmi giù – Perché continui a volermi salvare? Perché…
- Perché te lo devo – rispose – Possiamo proseguire?
Deglutii – Il Gusto. Perché dovrebbe essere così importante? Potrei anche mangiare le cose senza apprezzarne il gusto. Vivrei comunque.
- Certamente, ma passeresti una vita monotona. Non esisterebbe la “novità” nel campo culinario. Verrebbe ignorato il significato completo “dell’essere diverso” anche se per pochissimi dettagli. Ma voglio farti una domanda… Che gusto hanno le lacrime?
- Sono salate – risposi immediatamente.
- La tristezza ha un gusto salato – concluse – Il tuo primo bacio?
- Non saprei… qualcosa di dolce e particolare – risposi.
- Dolce con una punta di mistero per l’amore. E la delusione e la sconfitta?
-Amaro, decisamente amaro.
Lei tornò a sedersi, questa volta dando la schiena al vuoto – Le emozioni hanno un gusto.
-Questa volta ho una domanda io. Potremmo considerare le emozioni come un senso?
Angela inclinò la testa – Ottima domanda. Sono collegate quasi a tutto, possono essere un ingrediente dei sensi, come uno di essi. Sta a noi la scelta, John.
Annuii tirando su col naso – Sei mai stata sicura di qualcosa per poi vederla cadere a pezzi, Angela?
Lei annuì – A me si aggrappano tutte le persone, cercando un ultimo appiglio per fingere che vada tutto bene.
-Se davvero questa è la tua funzione allora andiamo avanti, ti prego – la supplicai spinto da un istinto che pensavo di aver perso da tempo.
- Senti cosa aleggia nell’aria?
Chiusi gli occhi e respirai a pieni polmoni – Pini e umidità, probabilmente più tardi pioverà. Sento odore di dolci, deve essere la fabbrica qui vicino…
-Il nostro naso funziona proprio come le nostre papille gustative. Abbiamo un piccolo archivio che registra ogni singolo odore che sentiamo e ci fa provare emozioni a riguardo.
Stava parlando in termini tecnici e la mia attenzione fu nuovamente attirata dalle ambulanze e dalle autopompe dei pompieri che si fermavano sotto al palazzo.
I poliziotti correvano a destra e a manca, parlando fittamente tra di loro.
Angela si sporse – Sai cosa si stanno dicendo?
Scossi il capo.
- Molto probabilmente stanno considerando lo schifo da ripulire che procureresti su quel marciapiede – commentò disgustata – E la folla? Non vedi come il mondo sta andando a pezzi? Nulla impressiona più nessuno.
Mi sporsi leggermente e sentii l’incitamento della folla di buttarmi giù e di farla finita, mentre mi riprendevano con il cellulare.
Arretrai disgustato e spaventato – Come possono desiderare che io mi butti?
Angela alzò le spalle – L’uomo è egoista e pretende sempre di più. Quegli uomini laggiù vogliono solo scommettere su quanto tempo ci impiegherai a buttarti e a riprenderti con il telefonino. Tu il giorno dopo non ci sarai più, mentre loro andranno in giro a mostrare il tuo video a tutto il mondo.
Arrivarono anche i telegiornali e i pompieri montarono il gommone di salvataggio.
- Perfetto, ora hai il tuo pubblico al completo – commentò Angela che si era alzata e camminava alle mie spalle – Possiamo andare avanti?
- John! Dicci ciò che vuoi e noi te lo portiamo, ma ti prego, non ti buttare – gracchiò il megafono.
Mi sporsi in avanti, cercando la fonte di tale richiesta.
- Tanto non ti sentirebbe, anche se urli. Verranno su – commentò Angela – Continuiamo.
- Voglio Daniela – sussurrai chiudendo gli occhi, cercando di fermare le lacrime.
Una di queste scese lungo il volto e volò giù nel vuoto.
- Che odore ha Daniela, John? – chiese Angela, stringendomi la mano e cercando di attirare l’attenzione su di sè.
Chiusi gli occhi – Odora di arancia. Lei le adora, qualsiasi cosa che possa contenerle la compra. Quando sono con lei nel letto adoro posare la testa all’altezza del suo collo e lasciarmi trasportare da quel profumo aspro, ma unico.
Angela si sedette sul cornicione – Ami tua moglie?
- Più di ogni altra cosa – sussurrai.
Lei annuì e cambiò discorso – Pensa ad una vita senza odori. Pensa anche soltanto agli animali. Ai cani ad esempio, lo sai che il loro fiuto salva un sacco di vite?
- Intendi le unità cinofile? – chiesi distraendomi per qualche secondo.
- Esattamente, pensa che senza i profumi il tasso di criminalità salirebbe. Pensa a quando annusi il caffè la mattina che ti ricorda che sta per iniziare un nuovo e faticoso giorno, ma sai che sei fortunato ad essere ancora vivo e disposto a viverne altri così – mi fece notare.
La porta dalla quale ero passato per salire sul tetto si aprì, facendomi sobbalzare.
Un poliziotto mostrò le mani, muovendo qualche passo – John?
- Cosa vuole? – chiesi istericamente, per essere stato interrotto.
- Non faccia follie – commentò il poliziotto – Si può risolvere tutto.
Guardai giù – No, non si può risolvere niente… niente.
- Fissare l’abisso non ti aiuterà, come ascoltare le altre persone o gustare e odorare il senso della paura – mi fece notare Angela.
- Io mi butto – commentai, ignorando le sue parole, ormai allo stremo delle forze.
- Non lo faccia… - iniziò il poliziotto, ma non fu la sua voce ad attirarmi.
- Fallo, tanto il tuo momento è perso. Buttati e non scoprirai mai il perché è stato creato il quinto senso. Fallo – commentò Angela, alzandosi e sparendo dalla mia vista.
Tremai, sentendomi improvvisamente vuoto e spaventato – Non mollare! Non con me!
Il poliziotto sobbalzò per il mio scatto, mentre Angela si voltò lentamente – Vuoi davvero andare fino in fondo?
Annuii – Fino in fondo.
Angela si avvicinò e salì sul cornicione accanto a me – Il Tatto.
Annuii tirando su col naso – Toccare oggetti…
-Oggetti e persone – mi corresse stringendomi la mano – Cosa senti?
Fissai le nostre mani – Sei calda e rassicurante.
- Tu sei gelido e le tue mani tremano – ricambiò – Quindi caldo e freddo vengono percepiti in questo modo – si sporse, raccogliendo a palmo aperto una mia lacrima – Le lacrime sono bagnate, come il mare. Come l’acqua. Possiamo fare lo stesso esempio con il calore.
Il vento ci colpì, costringendomi a chiudere gli occhi.
- John? – mi chiamò una voce sin troppo famosa per le mie orecchie.
- Daniela – sussurrai.
- Cosa… - cercò di iniziare.
-John? – mi chiamò Angela – Dobbiamo finire.
-Finire cosa? – chiesi guardandola.
Daniela si avvicinò – Con chi stai parlando?
- Lei non può vedermi, John – commentò Angela.
La fissai e poi fissai mia moglie – Mi dispiace tanto, Daniela.
- Perché?
-Perché volevo essere il marito perfetto. Volevo darti una vita meravigliosa, un figlio… ma…
Angela sospirò.
-Ma i risultati sono positivi ad un tumore maligno – concluse Daniela.
La guardai, chiedendomi come avesse fatto a capirlo.
Lei sorrise debolmente – Ho preferito guardarli per sicurezza il giorno stesso in cui sei tornato.
-John, ascoltami. Lei è qui per te, come questo cornicione continua ad accoglierti senza lamentarsi del tuo peso. I tuoi piedi sentono quanto è duro e forte e il tuo animo spera di essere come esso. Ma il tatto non significa solo toccare, significa anche capire… - commentò, nel momento in cui una mano si intrecciò alla mia.
Mi voltai trovando Daniela intenta a stringermi la mano con lo sguardo supplicante.
- Il mio lavoro è finito, John – commentò Angela – Ti ho spiegato il senso della vita. Ti ho dato cinque motivi per sopravvivere, ma ora tocca a te scegliere. Tua moglie ti aspetta, come ti aspetta anche il marciapiede là sotto.
Deglutii, ma quasi subito fu chiara la mia scelta – Chi sei veramente?
Lei rispose e sorrisi dandomi dello stupido per non averlo compreso subito – Grazie.
Scesi lentamente dal cornicione e mia moglie mi abbracciò di slanciò, stringendomi forte – Grazie a Dio, grazie a Dio…
- Va tutto bene – sussurrai – Andrà tutto bene.
Strano come la gente possa prendere decisioni importanti come la scelta di vivere, dopo aver ascoltato ben cinque motivi…
Dovevo ringraziare quella donna.
Quella donna che non si chiama Angela.
Quella donna che non si chiama Daniela.
Quella donna che aveva ragione, che sarebbe andato tutto bene.
Quella donna che si chiama Speranza…
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Laura Anita Winchester