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Autore: Layla    01/12/2012    1 recensioni
"Maria de los calaveras", Maria dei teschi, è una versione moderna di Cenerentola. Maria, figlia di una rock-star, viene vessata quitidianamente dalla matrigna tra l'indifferenza generale. Con l'aiuto di un teschio magico finirà per incrociare di un giovane triste, che pur non essendo un principe, la salverà.
E i malvagi pagheranno per le loro azioni.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Maria de Los Calaveras.

C’era una volta, in una città lontana dell’America, un uomo molto felice. Egli aveva avuto la fortuna di fare il mestiere che più gli aggradava e di trarne un lauto guadagno: era il chitarrista in una band rock che tutti amavano.
Era sposato con una donna molto bella e con un carattere meraviglioso, era stata la prima ragazza di cui si era innamorato quando era ancora un ragazzo ricco solo dei suoi sogni e ora le poteva dare la vita che meritava.
A completare la sua felicità la donna era incinta di una bambina, a cui lui poteva scrivere ninne nanne.
La bambina nacque in un profumato giorno di maggio e fu chiamata Maria – che significa “amata” –  dai due felici neogenitori. Era una bimba bellissima, aveva già alla nascita folti capelli neri e occhi di giada.
Crescendo divenne ancora più bella, fu questa l’ultima gioia della madre perché in un giorno di novembre morì divorata dal cancro quando Maria aveva cinque anni.
L’uomo ne fu devastato fino a perdere completamente il senno, non si curava della bambina e non usciva di casa se non per il necessario.
Fu in questo momento infelice che il male si infilò nella sua vita sotto le spoglie innocue della baby sitter della sua bambina. Questa donna aveva capito che se fosse riuscita a dare l’impressione di amare Maria come se fosse sua figlia avrebbe – in questo modo – sistemato lei e le sue due figlie per la vita.
La donna si chiamava Irina ed era una bellezza rara dagli occhi azzurri e dai capelli biondissimi e veniva da una terra lontana e fredda in cui aveva imparato a mentire e sfruttare le situazioni a suo vantaggio fin da piccola.
Tanto disse e tanto fece che il pover’uomo ne fu irretito e la sposò, lasciandole in mano la gestione della casa e pregandola di prendersi cura della povera Maria che era  tanto triste senza la madre.
Irina sorrise e lo rassicurò, amava Maria come se fosse sua figlia e avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per farla felice.
Questa era ovviamente una bugia, non appena il padre uscì dal cancello della villa la donna diede in mano una scopa alla piccola e le disse: “Vai a pulire le camere delle tue sorelle, Cenerentola, perché questo d’ora in poi sarà il tuo compito.
Brutta e stupida come sei non sei niente e sarai sempre niente.”
La donna l’aveva chiamata Cenerentola perché una volta si era rovesciata in testa il posacenere pieno di cicche del padre e la cenere le aveva ingrigito i capelli.
Maria prese in mano la scopa e spintonata dalla donna sistemò la camera delle sue sorellastre, aveva ormai sette anni. Le due sorellastre si chiamavano Elèna e Jessica.
Jessica aveva nove anni, era bionda e con gli occhi azzurri ed era piuttosto robusta, ma dalla madre aveva ereditato la capacità di farsi benvolere da tutti nonostante avesse in realtà un carattere freddo e crudele. Elèna invece aveva sette anni come Maria, era esile con gli occhi verdi e i capelli rossi e aveva un carattere timido, gentile ed estremamente debole: non approvava la condotta della madre, ma non aveva la forza per opporvisi.
Iniziò così l’incubo di Cenerentola.
La donna la cacciò dalla sua camera e la mise a dormire in cantina, la svegliava ogni giorno alle sei e la obbligava a preparare la colazione per tutti e a risistemare le camere delle sue figlie, picchiandola ogni qualvolta il lavoro non era ben eseguito.
L’accompagnava a scuola solo per minacciarla: se Maria avesse parlato l’avrebbe spedita in un orfanotrofio o in un istituto per bambini ritardati.
Maria taceva, piangendo solo di notte quando nessuno poteva sentirla, e si adattava alla sua nuova vita.
Avrebbe voluto dire tutto al padre, ma l’uomo – a causa del lavoro – era a casa solo poche settimane all’anno e Irina era abile a inscenare una commedia in quelle occasioni.
Innanzitutto le ridava la sua vecchia stanza e poi la trattava con cortesia e dolcezza, come la migliore delle madri. Ogni volta che la bambina provava timidamente a lamentarsi l’uomo la guardava stupito e l’accusava di essere ingrata e viziata.
La bambina ricacciava indietro le lacrime e rinunciava a fargli vedere le braccia piene di lividi, con  il tempo smise persino di provare a fargli capire quale fosse la verità.
Una volta, quando aveva dieci anni, mentre guardava di nascosto la televisione in sala  si segnò su un pezzo di carta il numero del telefono azzurro e approfittando della distrazione – forse volontaria – di Elèna prese il suo cellulare e compose il numero.
Non fece in tempo a parlare con l’operatore perché la matrigna – comparsa dal nulla – le tolse il telefonino dalle mani e lo distrusse sotto i suoi occhi terrorizzati.
“Piccola bestia, non ti permetterò di rovinare la vita che mi sono costruita con tanta fatica. Tu sei solo un ostacolo, ma io sono brava a rendere innocui gli ostacoli!”
Detto questo, batté senza pietà la piccola fino a lasciarla quasi morta.
Maria si risvegliò la sera dopo nella sua stanzetta nei sotterranei, qualcuno l’aveva portata a letto e le aveva lasciato una ciotola di cereali, dei pancake, una bottiglietta di sciroppo d’acero e una bottiglia.
Doveva essere stata Elèna, di nascosto dalla madre a volte le passava del cibo e lei gliene era grata.
Un giorno sarebbe stata in grado di restituire quelle gentilezze.

 

Trascorse così l’adolescenza di Cenerentola: la mattina preparava la colazione per tutti e sistemava le camere delle sorelle per poi andare a scuola. Non aveva mai avuto amici, per tutti era la strana ragazza piccola e scura infagottata in abiti troppo grandi o strizzata in abiti troppo piccoli.
Il pomeriggio doveva ripulire la casa che una domestica aveva già pulito alla mattina per il semplice capriccio della matrigna che a volte la picchiava adducendo come scusa dello sporco inesistente. La sera preparava la cena e rigovernava tutta la cucina, poi c’erano lo stirare, il lavare i panni e il fare i compiti.
Dormiva sempre troppo poco e quando Jessica organizzava qualche festa lei ne approfittava per recuperare il sonno perduto nonostante il volume troppo alto della musica.
Le uniche sue consolazioni erano una chitarra che Elèna le aveva fatto avere di nascosto insieme a un vecchissimo corso di musica e una statuina che le aveva lasciato la madre messicana. Era una ben strana statua perché era a forma di teschio ed era tutta colorata. Il colore di base era un azzurro chiaro, le orbite erano rosse e i denti verdi, sulla fronte c’erano dei fiori gialli e bianchi e delle linee nere e rosse, anche intorno agli occhi. Sul mento c’erano un fiore bianco e dei segni decorativi. Il particolare più strano era però costituito da due lacrime sotto le orbite, come se anche il teschio piangesse la sua sorte.
Cenerentola parlava a lungo con quel teschio, era il custode dei suoi segreti e nei rari momenti liberi suonava la chitarra e componeva.
Finito il liceo la matrigna le disse che il tempo dell’istruzione era finito e che era ora che lei si dedicasse a tempo pieno a loro.
Cenerentola impallidì, durante le notti di lacrime solitarie l’unica cosa che le aveva dato la forza di resistere era stato il fatto che a diciott’anni avrebbe potuto andarsene di casa.
“Madre, io ho diciotto anni e ho finito il liceo nessuno mi obbliga a stare qui.”
La donna era esplosa in una lunga risata sprezzante.
“Vattene pure, sciocca, ma ricordati una cosa: non sei niente.
Non sei bella, non sei brava a fare niente, cosa faresti là fuori?
Nulla, non saresti in grado di trovarti un lavoro e senza soldi non puoi permetterti una casa né il cibo.
Qui invece, piccola sciocca saccente, hai vitto e alloggio assicurato, ma vai pure se ci tieni!”
La ragazza non poté che soccombere davanti alla logica della matrigna e quindi si rassegnò al suo destino, non potendo agire diversamente
La donna licenziò la cuoca e la domestica e delegò queste funzioni alla povera ragazza, Jessica pretese che Cenerentola diventasse la sua estetista, parrucchiera, massaggiatrice personale e costrinse anche Elèna a fare lo stesso. La rossa, nonostante fosse ormai maggiorenne, non aveva ancora la forza di opporsi al volere delle due tiranne e dopo averle lanciato uno sguardo di scusa l’aveva pretesa come schiava al pari di Jessica.
La poverina non ebbe più un momento libero, un anno trascorse in questo modo.
Vide pochissimo il padre che non voleva tornare a casa per vedere quella figlia che considerava nel suo cuore ingrata e cattiva ed ebbe pochi momenti per parlare con il teschio e suonare la chitarra.
Solo la sera del suo ventesimo compleanno – una notte di luna piena – poté suonare un po’ seduta sul letto, mentre guardava malinconicamente il teschio.
“Piccolo teschio, amico mio e mio confessore, perché la mamma mi ha lasciato solo te?
Bello sei bello, ma non puoi aiutarmi contro Irina, lei sarebbe capace di distruggerti e io non voglio.
Ah! Vita amara!
All’esterno sembra abbia tutto,  ma la verità è che sono solo una prigioniera a cui hanno crudelmente gettato via la chiave.
Come posso liberarmi, o teschio?”
Dalla finestra entrò un raggio di luna che colpì il fiore al centro della fronte della statua, immediatamente le orbite rosse si illuminarono e poco dopo si mossero le mascelle.
“Oh Cenerentola, Cenerentola.
Asciuga le lacrime,
chiusa non è ancora la partita.
Non dopo aver ascoltato queste rime
Che in te porteranno una speranza rifiorita.”
La ragazza guardò stupita lo statua.
“Chi sei?”
Le chiese leggermente timorosa.
“Teschio, mi chiamano
Della tua famiglia sono il guardiano.
Dai tempi antichi fino ai tempi recenti
 Vi ho reso ricchi e indipendenti.
Ho provato a proteggervi dai vostri difetti
Anche se qualche volta cedetti.
Non parlo a tutti, solo agli eletti,
In circostanze particolari e senza trucchetti,
Sei vergine e pura in una notte di luna piena
Questo mi ha risvegliato per lenir la tua pena.”
Lenire la sua pena? Per lei c’era dunque una via di salvezza? Un modo per evadere dalla sua prigione?
La speranza – come un tenero germoglio a primavera – cominciò a fiorire in lei e guardò con occhi colmi di gratitudine la piccola statua.
“Cosa devo fare, piccolo teschio?
Dimmelo e lo farò, non voglio vivere il resto della mia vita qui.”
“Cenerentola, dà retta alla luna.
Lei sarà l’artefice della tua fortuna.
Va’ dall’uomo che disegna
Che della sua mano sei degna.
Fa fiorire una rosa affranta
Sulla tua spalla bianca.
Torna da me
E ci sarà un abito per te.”
La ragazza annuì e la luce sparì dalle orbite del teschio facendo piombare la stanza nel buio.
“L’uomo che disegna? Cosa avrà voluto dire?
Devo fare alla svelta, perché non so quando avrò un’altra sera solo per me!”
Maria ci pensò ancora per un po’ e poi si ricordò che il migliore amico di sua madre era un tatuatore che abitava poco lontano da loro. Rapida e silenziosa come un’ombra uscì dalla casa e percorse le vie e i vicoli che la separavano dalla casa dell’uomo.
Pur conscia dell’ora tarda si attaccò al campanello finché dalla porta non uscì un uomo barbuto dai capelli lunghi e neri e l’aria arrabbiata. Era probabilmente pronto a cacciarla, ma quando la riconobbe sbiancò.
“Ma tu sei la piccola Maria! Che ti è successo, ragazzina?
Sembri reduce dalla prigione di Alcatraz così magra, pallida e pesta come sei!”
“Non ti posso spiegare, ho un favore da chiederti e temo non sarà l’ultimo.
Per favore tatuami una rosa affranta sulla spalla sinistra.”
L’uomo rimase a lungo in silenzio, non sapeva cosa fare: era una richiesta talmente assurda che se fosse stato qualcun altro a fargliela l’avrebbe mandato a quel paese senza indugio.
Maria però era speciale, era la figlia della donna che aveva sempre amato e che troppo presto era stata tolta da questo mondo, ogni volta che guardava gli occhi di giada di quella ragazza rivedeva lei e per far sorridere lei si sarebbe gettato nudo nel fuoco senza uno scopo.
“Forse avresti più bisogno di chiamare la polizia, mi sembri maltrattata…”
“NO! Irina mi ucciderebbe e farebbe sparire il mio corpo come se non fosse mai esistito prima dell’arrivo degli agenti.
Ti prego, Antonio, fa’ quello che ti chiedo.”
Lui si convinse del tutto, a quegli occhi così strani non poteva dire di no. L’uomo prese le chiavi del negozio e le fece cenno di seguirlo. Scesero una scala e si ritrovarono nel luogo dove Antonio tatuava i suoi clienti, lei si sedette su un lettino, mentre lui metteva in funzione la macchina.
Il tatuaggio non fu doloroso, un’ora dopo sulla sua spalla destra era fiorita una rosa bianca con delle lacrime di sangue: una rosa affranta.
“Ti ringrazio, Antonio. Ora vado prima che Irina ritorni.”
Gli diede un bacio leggero sulla guancia e sparì così come era arrivata.
Arrivata nella sua stanzetta si rivolse al teschio.
“Teschio, mio amico e confessore.
Ho fatto come mi hai detto, la rosa affranta è fiorita sulla mia spalla.”
Dalle orbite della statuina scaturì una luce fortissima e quando scomparve sul letto di Cenerentola c’era un vestito come non se ne erano mai visti.
Era un corto abito di seta nera, morbidissima e lucente, con dei bordi di pizzo finissimo, il seno era tempestato di diamanti così come l’unica spallina:era come se la notte stessa l’avesse cucito con il suo buio e le sue stelle apposta per lei.
La piccola Cenerentola.
La sguattera di casa.
“Grazie, amico mio.”
Sussurrò commossa.
Il giorno dopo riprese la sua stessa vita e solo un mese dopo ebbe di nuovo la casa libera, era un’altra notte di luna piena.
Come l’altra strana notte la ragazza aveva suonato un po’ seduta sul letto, poi si era seduta davanti al teschio e quello si era messo di nuovo a parlare.
“Cenerentola cenerentola
Muta la tua sfortuna in fortuna
Dando retta alla luna.
Va di nuovo dall’uomo che disegna
Tu sola ne sei degna.
Imprigiona due rondini azzurre e rosse.
Dove le tue clavicole scavan le fosse.”
“Teschio teschio,
Il tuo ordine eseguo,
ma perché il corpo mio di tatuaggi si deve riempire?
A cosa mi servirà per l’avvenire?”
La statuetta sorrise a suo modo.
“Il tuo destino è grande e gioioso,
ma il modo per raggiungerlo non è noioso.
A piccoli passi devi procedere,
abbi fiducia in me che ti accompagno nel tuo incedere.
Torna presto da me
E qualcosa ci sarà per te.”
La ragazza annuì e come l’altra volta corse da Antonio che ancora la supplicò di andare dalla polizia, senza ottenere risultati. L’uomo era seriamente preoccupato per lei perché in quel mese era diventata ancora più magra e pallida, ma nonostante tutto bellissima.
“Antonio, se andassi dalla polizia mi ammazzerebbe.
Tu non la conosci. Ti prego tatuami due rondini una per clavicola.”
Ancora un volta l’uomo cedette e in un paio d’ore il tatuaggio fu finito. Maria sorrise e lo ringraziò con un altro bacio sulla guancia per poi tornate in camera sua.
“Teschio, mio amico e confessore.
Ho fatto come mi hai detto, le rondini sono imprigionate sulle mie clavicole.”
Come era successo un mese prima un luce fortissima invase la stanza e sparì lasciandosi dietro di sé un paio di scarpe nere, fatte come di pietra, con un tacco di un rosso brillante. Cenerentola se le rigirò tra le mani, pensando che i tacchi sembravano fatte di rubini che non si trovavano su questa terra.
“Grazie , amico mio”.
Mormorò grata.
Un mese dopo ancora il teschio si animò di nuovo, sempre quando Maria era sola in casa.
“Cenerentola cenerentola
Muta la tua sfortuna in fortuna
Dando retta alla luna.
Va di nuovo dall’uomo che disegna
Tu sola ne sei disegna.
La morte santa fa apparire
Sulla spalla con poco soffrire.”
La ragazza annuì.
“Sì, amico mio, vado.”
Come le altre volte corse dal vecchio amico di sua madre e lo implorò di tatuargli un teschio messicano sull’altra spalla.
L’uomo sospirò e annuì, questa volta rinunciò a consigliarle di andare dalla polizia avendo capito che era inutile.
Il tatuaggio fu meraviglioso come al solito, Cenerentola sorrise e gli lasciò un bacio sulla guancia prima di andarsene, Tornò a casa sua veloce come il vento e silenziosa come un’ombra.
“Teschio, teschio mio.
Al tuo omonimo ho pagato il fio.”
Come le due volte precedenti una luce fortissima la accecò e un dono trovò sul letto: un parure di diamanti composta da orecchini, collana e un braccialetto.
Sembravano fatti di stelle, come se il cielo di nuovo l’avesse omaggiata di qualcosa.
“Un’altra volta ancora ci sentiremo, oh Maria mia
Poi da qui potrai andare via.”
La ragazza deglutì, iniziava ad intravvedere sul serio la possibilità di andarsene da quell’inferno e non vedeva l’ora che accadesse. Era stanca di essere maltrattata.
Trascorse un altro mese di vita dura e avvilente, poi finalmente Maria ebbe ancora la casa libera e si sedette sul letto a suonare e a pensare a quelle meraviglie che le aveva regalato il teschio.
Era felice al solo pensiero di possederle – senza nemmeno poterle sfoggiare – perché nessuno, tranne la defunta madre le aveva mai fatto dei regali.
All’improvviso il teschio si animò di nuovo.
“Suona, oh Maria
Quella meravigliosa melodia!
Da qui ti farà andare via!”
La ragazza si fermò un attimo e pensò a una canzone composta per la madre e cominciò a suonare e a cantare, ignara che proprio la sua voce avrebbe cambiato il suo destino.

 

Nella grande città viveva un giovane molto ricco.
I suoi genitori erano morti da poco ed essendo il loro unico figlio aveva ereditato una cospicua somma, peccato che non sapesse di cosa farsene.
Egli era un ragazzo triste, i suoi genitori gli mancavano molto e non aveva amici con cui gozzovigliare o ragazze a cui fare regali a causa del suo aspetto.
Non era brutto, ma vestiva in modo trasandato, aveva i capelli tinti di blu ed era pieno di piercing e tatuaggi, non ascoltava la musica che piaceva a tutti o andava alle feste.
A complicare le cose e ad allontanare la gente da lui si aggiungeva che era stato male a causa della droga quando era molto giovane e molto stupido. Così nessuno si era mai soffermato troppo a lungo a guardare nei suoi occhi castani per accorgersi di quanto fosse in realtà buono e bisognoso di affetto.
Quella sera stava camminando sul marciapiede vicino a una grande villa quando sentì la voce di un accompagnata dal suono di una chitarra. Si innamorò istantaneamente di quella voce e giurò a sé stesso che avrebbe trovato e sposato la proprietaria.
Per questo motivo la settimana dopo organizzò una festa per vedere se avesse avuto la fortuna di trovarla. Non appena Irina seppe del party disse alle figlie di andarci, Jessica lo fece con piacere, Elèna per obbligo.
La giovane amava, ricambiata, da un anno un ragazzo troppo povero secondo gli standard della madre. La madre lo sapeva e cercava in modo subdolo di deviare l’attenzione della figlia verso qualcun altro, era persino arrivata a minacciare il ragazzo.
Anche Maria seppe della festa e capì che era per quel motivo che il teschio le aveva fatto avere il vestito, le scarpe e i gioielli.
Quando le sorelle e la matrigna uscirono si preparò accuratamente e per la prima volta nella sua vita si vide bella. Il nero faceva risaltare la sua pelle bianca e i gioielli davano luce al suo viso, il trucco scuro che aveva scelto faceva risaltare i suoi occhi di giada.
Prese un taxi e arrivò alla festa dove attirò l’attenzione di tutto incluso il proprietario che sentiva di conoscere quella ragazza anche se non l’aveva mai vista prima.
Cercò per tutta la sera di parlare con lei per verificare se fosse quella che cercava, ma non ci riuscì.
Cenerentola invece si annoiò per tutto il tempo, non le piaceva stare in mezzo a tutta quella gente e poi aveva paura che la matrigna e le sorelle la riconoscessero.
Ad un certo punto uscì su una delle terrazze della grande casa e si mise a cantare per ingannare il tempo, non sapendo che il giovane proprietario la stava ascoltando pur non riuscendo a vederla.
Il suono del campanile della vicina chiesa che batteva le undici e mezza la face tornare in sé, come una secchiata di acqua gelida, facendole capire che era ora di andarsene.
Approfittando di un albero vicino alla terrazza, scese in giardino e corse via, sicché quando il giovane di nome Alex uscì trovò la terrazza vuota.
Imprecò tra sé contro la sfortuna e si accorse di un oggetto che luccicava, era una scarpa da donna con un tacco rosso.
Doveva appartenere alla cantante e l’oggetto gli permise di capire che probabilmente costei altri non era che la misteriosa ragazza dagli occhi di giada con cui tanto aveva provato a parlare.
Finita la festa scorse la lista degli invitati e chiese notizie degli imbucati – tra cui Jessica ed Elèna – ma nessuno sapeva chi fosse la misteriosa ragazza.
Il ragazzo non si scoraggiò e decise che l’avrebbe trovata tramite la scarpa.

 

Ben presto il pettegolezzo giunse alle orecchie della matrigna, che ovviamente decise di approfittarne per maritare quella che era la figlia più stupida – a suo parere – ovvero Eléna.
La voce diceva che il giovane cercava una ragazza dai capelli neri, che cantasse divinamente accompagnata dalla chitarra e il cui piede doveva corrispondere alla misura di una scarpetta.
“Ragazze, forza! Tingetevi i capelli di nero!”
Ordinò imperiosa.
“Ma io amo i miei capelli rossi….”
Provò a protestare timidamente la minore.
“Come ami quel morto di fame. Entrambi sono sbagliati, vatti a tingere i capelli senza tante storie.”
Detto questo si diresse verso la camera di Cenerentola. La ragazza si stava vestendo quando la donna entrò.
“Brutta sei brutta, quindi non puoi essere tu. Ma so che quella stupida di Eléna ti ha regalato una chitarra e che canti, quindi canterai al posto delle mie figlie.”
“Non voglio essere partecipe di questo inganno, non lo farò.”
La donna la prese per i capelli e la fece voltare verso di sé per darle due sonori schiaffi.
“Non ci provare, nullità. Se ti ostini a non collaborare ti ucciderò e sai che lo farò!”
Così la povera Cenerentola fu costretta a partecipare l’inganno.
Alex si presentò anche a casa loro e provò a far calzare la scarpina ad entrambe le due ragazze presenti.
Il piede di Eléna era troppo piccolo, quello di Jessica leggermente troppo grande.
“È un po’ gonfio, aspetti un attimo.”
La matrigna trascinò Jes in cucina e con un coltellaccio le tagliò via la parte del calcagno in eccesso.
“Vedi? Ora calza. È lei la tua ragazza.”
“Mi faccia sentire come canta.”
La donna sorrise e annuì.
“Eléna, vai a prendere una chitarra a tua sorella.”
La rossa eseguì e portò una chitarra a Jessica e cercò di far capire in qualche modo al ragazzo che lo stavano ingannando, ma era tra due fuochi: da una parte la paura della madre e della sorella, dall’altra il desiderio di aiutare Maria.
La sorellastra cominciò a suonare e poi a fingere di cantare, Alex ne era incantato, era quella la voce di cui si era innamorato.
Il destino però decise di far capire in qualche modo al ragazzo che non era lei la ragazza che cercava: Jessica cadde per terra e la voce continuò a cantare e la chitarra a suonare.
“Mi stai ingannando! Questa non è la ragazza della festa e il suo calcagno sta sanguinando!”
La matrigna mollò una botta in testa al malcapitato e corse nella stanza accanto dove Cenerentola stava suonando, decisa a toglierla di mezzo una volta per tutte.
Aprì la porta di scatto e si avventò sulla ragazza picchiandola selvaggiamente, Eléna tentò di fermarla, ma la donna la spinse via e la ragazza urtò contro lo stipite della porta cadendo a terra svenuta e quasi morta.
“Adesso ti sistemerò una volta per tutte,  disgrazia della mia vita!”
Tolse dalla tasca un coltellaccio che aveva preso dalla cucina e stava per calarlo sulla povera vittima innocente quando un mano le afferrò il polso.
“Cosa stai facendo? Sei pazza?”
Alex si era presto risvegliato dalla botta e aveva avuto sentore che per la cantante sarebbero stati guai.
“Jes,  stordisci il tuo futuro marito!”
La malvagia ragazza fece per avventarsi su di lui, ma un vento gelido cominciò a spirare all’improvviso nella stanza, paralizzando tutti.
Sulla soglia della stanza c’era una figura incappucciata con una falce in mano, tra lo stupore e il terrore generale puntò il dito verso la matrigna.
“Troppo hai tirato la corsa, malvagia donna,
Ora è giunto il momento di pagare per le tue colpe.”
Detto questo avanzò fluttuando verso Irina e le inferse un colpo di falce a metà schiena.
Uscì una marea di sangue dalla ferita, ben presto però sparì come se non fosse mai esistito e la donna giacque morta: il suo cuore crudele aveva smesso di battere.
La figura puntò poi il suo dito scheletrico verso Jessica.
“Per stasera sei salva, ma non passerà molto tempo che noi ci rivedremo ancora.
E non sarai così fortunata!”
La ragazza scappò urlando, i suoi capelli erano diventati di colpo bianchi.
In ultimo puntò il suo dito verso Elèna.
“Alzati, fanciulla. Non è ancora giunto il tuo momento.”
Elèna aprì gli occhi e guardò stupita la terribile apparizione.
“Sei libera, va dal tuo fidanzato e siate felici.”
Poi si volse vero i due giovani rimasti.
“Vivrete una lunga vita felice e con questo mi congedo.”
La figura sparì, Maria guardò Alex negli occhi.
“Grazie per avermi salvato la vita, mi chiamo Maria.”
“Di nulla, io sono Alex e ora verrai con me, vuoi?”
La ragazza annuì e insieme alla sorellastra e al ragazzo uscì dalla stanza. Elèna abbracciò Maria e corse via, prese le sue cose ed andò a vivere dal suo ragazzo. Era felice perché finalmente era libera dalla tirannia della madre.
Anche Maria trasferì le sue cose a casa di Alex e presto impararono a conoscersi ad amarsi, un anno dopo i tragici avvenimenti si sposarono.
Fu Antonio ad accompagnare la fanciulla all’altare, lei pur avendo perdonato il padre non credeva fosse l’uomo giusto per accompagnarlo all’altare.
La festa durò tre giorni e tre notti.
I due giovani vissero felici per tutta la loro vita, allietata da figli e nipoti.
L’anno dopo anche Elèna si sposò con il suo ragazzo ed anche lei ebbe una vita felice, amata da suo marito, dai figli e poi dai nipoti.
E Jessica?
Come lo spirito le aveva promesso non molto tempo dopo si incontrarono di  nuovo: lei stava camminando lungo una strada deserta quando venne circondata da una banda di giovinastri.
Dopo averla derubata e seviziata la uccisero.
Aveva finalmente pagato per le sue colpe, il cerchio si era chiuso.

 

   
 
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