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Autore: Mikayla    20/06/2007    6 recensioni
Sorrido.
Ma vorrei solo piangere.
[ Della serie Tales of True Life. ]
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chibiusa, Hotaru/Ottavia
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dondolo

Dondolo.
Avanti indietro,
Indietro ed avanti.
Dondolo.

Muovo le dita.
Avanti indietro,
Indietro ed avanti.
Muovo le dita.

Sorrido.
Osservo il fuoco ardere nel caminetto.
Sorrido.

Ma vorrei solo piangere.


Mi dondolo ancora, avanti ed indietro.
Seduta sulla sedia a dondolo, avvolta nel tepore del fuoco, lavoro a maglia.
Sono brava, a lavorare a maglia, un po’ meno a fingere.
È freddo, questo inverno; ed il freddo mi penetra nelle ossa, superando il mio maglione.
E dondolo.
E lavoro.
Non è freddo solo in questa stanza, anzi, davanti al caminetto fa caldo, un caldo assurdo.
Che però non mi raggiunge.
Ho freddo… e sorrido.

Un giorno come un altro, questo.
Un uggioso pomeriggio di novembre.
Grigio è il cielo, fuori dalla finestra.
Pioverà.
Lo penso sorridendo… e sorrido davvero.
So che adesso anche i miei occhi violacei sorridono.
Sì, perché io non posso piangere, ma il cielo piangerà per me.
Ascolto il crepitare del fuoco, il ticchettio dei ferri, lo scalpiccio del legno della sedia sul pavimento, il piede che batte ritmico.
Un concerto, questo.
Manca solo la voce principale.
Ma una goccia cade sul vetro della finestra.
Ecco arrivato il mio miglior soprano.
Ed ascolto.
E dondolo.
E lavoro.
Sorrido.

« Hotaru, ecco il tè. »
« Grazie, mamma. »
« Hotaru… »
« … Mh? »
« Ti dispiace se sto un po’ qui? »

Sì, tanto.

« Nient’affatto, mamma! »

Sorrido.
Osservo Setsuna avvicinare la poltrona al caminetto e sorrido.
La guardo prendere tra le mani la tazza fumante e sorrido.
Fisso la sua bocca che soffia piano sul tè, spazzando via la nebbiolina e sorrido.
Ammiro i suoi occhi bordeaux socchiudersi e sorrido.
La contemplo sorbire la calda bevanda e sorrido.
Sorrido.

« Hotaru, perché mi fissi così? »

Voglio ricordarti bene, mamma.

« Ti stavo fissando? »
« Sì. »
« Scusa. »

Abbasso lo sguardo e riprendo a lavorare.
Tanto lo so che adesso è lei che mi scruta.

Sorrido, e lavoro a maglia, e dondolo.

« Mamma… »
« Sì? »

Esito.
Mi mordo il labbro ed esito.
Per riparare poso il mio lavoro e prendo la tazza di tè tra le mani.
La sorseggio ed alzo lo sguardo.
Deglutisco e parlo.

« Quando verrà a trovarci, Chibiusa? »
« È per lei la coperta? »
« Sì. Quando verrà? »

Io sorrido, lei pensa.

« Non so, penso per natale… il compleanno di Makoto lo perdiamo per via del concerto di Michiru. »
« Meno male, temevo di non riuscire a finire il regalo prima che ci venisse a trovare! »

Sorrido, bevo, mento.
Tra noi cala il silenzio del mio concerto.
La vedo posarsi una coperta grigia e rossa sulle gambe, si prende un libro e lo apre.
Inforca gli occhiali e legge, a voce alta.

« Questa scritta stava sulla porta a vetri di una botteguccia… »

La Storia Infinita, Michael Ende.
Questa storia mi suona d’ironico e sarcastico.
La amo e la odio.
Perché mi ricorda la mia condanna. La odio.
Perché ha un lieto fine. La amo.

« Perché ti sei fermata? »
« … »
« Mamma? »
« Quando riprenderai a frequentare l’università? Non perdi troppe lezioni seguendo Michiru e Haruka in giro per il mondo? »

Abbasso lo sguardo al mio lavoro a maglia.
Do un punto.
Lo sbaglio.
Lo sciolgo.
Lo rifaccio.
Rialzo lo sguardo su mia madre e sorrido.

« A gennaio, mamma. »

Riprenderò a gennaio, tranquilla.

« E non c’è problema per le lezioni, sono organizzata. »

Mi fissa senza dire una parola.
Mi scruta con sguardo indecifrabile.
Riprende il libro e legge.
Sorrido, abbasso lo sguardo, e lavoro a maglia.

« Ende? »
« Ciao Michi! Sì, la Storia Infinita. »
« Ti piace, Hotaru? »
« Abbastanza, papà Haruka. »
« A me non piace che Bastiano abbia lasciato tutto il dovere ad Atreiu, per il resto la storia è affascinante. »
« Possiamo ascoltarti, Suna? »
« Certamente, prendete posto! »

No, non sedetevi, non costringetemi a sorridere anche a voi!

« A te spiace, Hotaru? »

Sì. Mi dispiace. Mi dispiace tanto, troppo.

« Certo che no! »

Sorrido.
Sorseggio.
Dondolo.
Lavoro.

« Ottimo! »

La storia riprende.
Mamma Michiru l’ascolta rapita, adora quella storia, ed adora come mamma Setsuna la racconta.
Papà Haruka l’ascolta distratta, è troppo forte ed orgogliosa per accettare il comportamento del protagonista, ma adora ascoltare la voce di mamma Setsuna che riempie la stanza silenziosa.
Nessuna delle tre apprezza il mio concerto.
Poco male, me lo godrò solo io, allora.

« Hanno suonato alla porta. »

Dondolo.

« Vado io, voi andate avanti nella lettura. »

Lavoro.

« Ma guardate chi è venuta a trovarci! »

Sorrido.

« Usagi, Mamoru e la piccola Chibiusa! »

… Muoio.

« … aru, Hotaru! »

Ricostruisco il mio viso infranto, poggio la mia maschera felice sul viso, alzo lo sguardo… e vedo un fagottino color pesca stretto tra le braccia di Usagi.
Una mano grassoccia sbuca da quello che solo ora riconosco essere un vestitino e si chiude imprigionando una ciocca di capelli della madre.
Chibiusa ha cinque mesi.
Io ho ventisette anni.

« Hotaru, la vuoi tenere in braccio? »

No. Non voglio. Io non voglio questa Chibiusa, io voglio la mia Chibiusa! Rivoglio la mia amica! Cosa me ne faccio di una creaturina che ha ventisette anni meno di me? Come potrà mai essere la mia amica?

« Certamente! »

Mi viene posata tra le braccia.
È grassa.
È sporca.
Puzza da latte.

« Ciao, Chibiusa. »

Ciao, sconosciuta che porti il nome della mia migliore amica. Ciao, bambina che non mi ha mai visto prima e che non ricorda d’avermi salvata dal baratro. Ciao, creaturina che con me non ha nulla a che fare.

« Io sono Hotaru, Chibiusa. »

Le sfioro la fronte in segno di saluto.
So bene che non ha capito ciò che ho detto, ma non importa.
Dondolo, e lei dondola con me.
Chiude gli occhi, e li chiudo con lei.

« Diventeremo amiche, grandi amiche. »

È una bugia, ma non importa.
Non mi può capire.
Io soffro, ma nessuno lo sa.
Li vedo tutti contenti attorno a me, tutti felici.
Sorrido.

« Accidenti, così hai già visto il regalo di natale, non vale! »

Ridono, loro.
Ridono, i miei amici.
Sorrido, per loro.
Ma ormai sono incapace di sorridere, per davvero.
Temo che questa smorfia verrà scoperta… anzi, ne ho la certezza.
Perciò, piccola Chibiusa sconosciuta, ti restituisco a tua madre.

« Non è bellissima, Hota? »

No, non lo è. La mia Chibiusa, lo era.

« Sì, è una bambina splendida. »

Sorrido.
Dondolo.
Torno al mio lavoro.

« È meglio se andiamo a casa, Chibiusa ha deciso di fare i capricci! »

La porta sbatte, mamme e papà si siedono al loro posto.

« Dunque anche il libro portava l’emblema… »

Sospiro.
Ascolto.
Lavoro.
Dondolo.
Sorrido.

Quest’inverno sarà più rigido di quanto pensavo… sarà un inverno caldo come l’inferno.




Note di fine fan fiction:
Allora, primissima cosa da dire: questa fic è un esperimento.
Lo è soprattutto per lo stile che ho deciso di usare, e la narrazione in prima persona. Spero abbia reso bene il dolore di Hotaru, mi è sembrato il modo migliore per far risaltare il suo personaggio.
Poi, come segnato dalle note, questa è una What if… e risponde alla mia domanda: se Chibiusa non nascesse quando Usagi ha ventidue anni, ma una decina d’anni dopo? E se, di conseguenza, non nascesse il regno della Regina Serenity? Come la prenderebbe Hotaru? Come si comporterebbe con questa piccola Chibiusa sconosciuta, così simile ma così diversa dalla Chibiusa che conosceva -e noi con lei?
Ultima cosa da dire è questa: la storia di cui sopra è stata scritta per il tema della Writing Community Frammenti Stagioni -da cui prende il titolo.
Ah, mi smentisco, non è l’ultima nota, c’è ne ho un’altra! XD Questa è soprattutto per i lettori, e per chi mi conosce e ha letto le tre one-shot che ho scritto sempre su Hotaru. Ecco, vi chiedo di non linciarmi perché anche questa è una storia triste su di lei, si vede che di storie felici, in questo momento, non son capace di scriverne, perciò sopportatemi, eh! ^_-
   
 
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