Fanfic su artisti musicali > Black Veil Brides
Ricorda la storia  |      
Autore: Winry977    02/12/2012    2 recensioni
Stava lì, seduta sull'altalena cigolante. Era l'una di notte passata, e piangeva nel dolore. Sempre di più. Finché del calore umano non la riscosse e la incitò ad affrontare tutto con delle semplici parole.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sognava. O meglio... nella sua testa si stava verificando uno dei suoi soliti incubi. Sotto le coperte, sudava e si rigirava quasi con ossessione, nella speranza di cancellare le immagini che le si susseguivano nella sua mente. Ad un certo punto sobbalzò: nella sua mente si sentì un suono proveniente dalla sua realtà, dall'esterno, dalla camera accanto alla sua.

Si alzò di scatto e rimase in ascolto. Una porta si aprì, sbattendo contro il muro e ne udì le urla dei genitori. Un oggetto cadde. Un altro. E un altro ancora, che le parve di plastica, rotolò giù per le scale con un tonfo assordante. Non osò mettere neanche i piedi per terra, continuò a restare in ascolto, nella speranza che quello che udiva fosse solo in piccolo fraintendimento. Ma non era così. Sentì il tono del padre sopra quello di sua madre. Lui urlava come un ossesso, bestemmiava, la riempiva di colpe. Se ne voleva andare, diceva lui. Lo ripeté così tante volte che la ragazza cominciò a piangere in silenzio e a pregare chiunque ci fosse in cielo di farli smettere. Ma niente. Nessuno poteva porre fine a quella lite notturna.

Accese la piccola lampadina rossa sopra il suo comodino, e si mise a sedere. Nel dolore, nelle lacrime e tra i fazzoletti, prese l'oggetto più tagliente che teneva sempre chiuso in uno di quei cassetti e se lo rigirò tra le mani. Era una lametta molto tagliente. Era sua. Era la sua compagna di sofferenze, e la usava ogni volta che il dolore si faceva insopportabile. Dal corridoio si udì un silenzio temporaneo, poi qualcosa si ruppe cadendo per terra e le urla ripresero.

Era l'una di notte, e Taylor aveva ripreso a tagliarsi nella paura, nell'ansia, nel dolore e nel mezzo di un pianto. Quando non ce la fece più di udire e di provare quel dolore, decise di alzarsi. Si osservò allo specchio, e un ghigno di disprezzo per sé stessa si dipinse sul suo viso bagnato dalle lacrime. Odiava il suo corpo tanto quanto odiava il suo viso. In modo particolare i suoi due occhi. Non erano normali,come quelli delle altre ragazze o ragazzi che fossero. Erano di due colori diversi. Il destro era di un verde chiarissimo, neanche paragonabile all'erba, mentre l'altro era del colore del cielo di notte, blu scuro. I suoi capelli erano, a suo parere, in totale disaccordo con i suoi occhi: erano neri e ondulati, lunghi fino a metà schiena. L'unica cosa che vi faceva eccezione in quei capelli era il ciuffo che lei si ostinava a tenere liscio.

Arricciò il naso con senso di disgusto, e si vestì, coprendo con una felpa lo stesso risultato delle sue ingiurie ed uscì tremante dalla stanza.

Se li trovò davanti: i suoi due genitori, paonazzi e ansimanti, la fissavano quasi con gli occhi fuori dalle orbite.

-Perché sei vestita?- chiese sua madre.

-Esco.

Suo padre rise. La sua era una risata sprezzante. -E dove andresti, di grazia? All'una di notte, per di più.-

-In un posto in cui non posso sentirvi.- rispose la ragazza prendendo posizione e sentendo il braccio tagliato pulsare sotto la stoffa. Li sorpassò, ma una stretta alla spalla la costrinse a fermarsi.

-Tu all'una di notte non vai da nessuna parte!

Lei si scostò bruscamente. -Invece si! Non ce la faccio più a sentirvi! Adesso pure nel mezzo della notte dovete mettervi a litigare e a rompere oggetti! Basta! Questa notte la passerò fuori!- detto questo si girò e se ne andò, sbattendo violentemente la porta di casa.

 

L'aria fresca notturna le invase il viso e le lacrime le si congelarono sulle guance. Il cielo era nuvoloso, ma non pioveva; c'era solo una leggera brezza notturna. Si diresse al parco, ormai deserto a quell'ora, e dopo aver scoperto la sua ingiuria, la lasciò rinfrescarsi all'aria pura della notte. Si tirò sulla testa il cappuccio e si mise le mani in tasca. Giunse nel suo solito angolino del parco, dove erano situate due altalene, ormai dimenticate persino dai bambini di quella cittadina, e si sedette su una di esse. Rimase intenta a fissare il terreno umido, in tale condizione per via della giornata piovosa passata. Le urla le rimbombavano nella testa con frequenza continua e lei strinse gli occhi nella speranza di cancellarle, ma tutto quello che ottenne fu di visualizzare i visi dei suoi genitori. A riscuoterla fu la suoneria del suo cellulare.

-Maledetta me che non l'ho lasciato a casa.- mormorò estraendolo dalla tasca. Osservò il display. Era sua madre a chiamarla, ma lei non aveva alcuna intenzione di parlare con quella donna, quindi le staccò semplicemente la telefonata in faccia. Non passarono neanche cinque minuti che ricevette un'altra telefonata. Solo non dalla stessa persona, ma bensì dall'unica persona su cui poteva fare affidamento: il suo migliore amico, Ashley.

-Taylor! Ma dove sei? Tua madre mi ha chiamato ora e dice che hai deciso di passare fuori la notte!- “Bel modo di iniziare una conversazione notturna” pensò lei ironicamente.

-Non voglio tornare in quella casa, Ash. Non voglio proprio.

L'amico sospirò dall'altra parte del telefono. -Dai, dimmi dove sei? Solito posto al parco?

-Promettimi di non riportarmi a casa.- disse con tono basso.

-Promesso. Aspettami lì, che arrivo.

 

Rimase in attesa e pochi minuti dopo il suo migliore amico arrivò correndo. Vedendolo le si riscaldò il cuore, ma non abbastanza per coprire la sua tristezza. Lui si fermò davanti a lei piegato in due e ansimante per riprendere fiato, mentre lei continuava a guardare per terra.

Finalmente il ragazzo si riprese e si sedette sull'altalena accanto alla sua.

-Perché sei scappata di nuovo? Che è successo stavolta?

Taylor deglutì, nella speranza di estinguere il nodo che le si era formato in gola. Si ricordò del braccio scoperto, e senza dare nell'occhio lo coprì con la manica della felpa. -Hanno litigato per l'ennesima volta davanti alla mia stanza e nel bel mezzo della notte. Questa volta era peggiore delle altre. Rompevano e lanciavano oggetti a destra e a manca, e credo abbiano rotto un vaso pure, o qualcosa del genere...

Il ragazzo rimase qualche secondo in silenzio, e lei riprese a parlare.

-So che è una brutta cosa, ma a questo punto preferirei che si separassero. Per lo meno smetterei di...- non poteva di “autolesionarsi” e il silenzio che si stava prolungando tra loro non avrebbe promesso molte belle cose. -...di fare incubi.- “Beh, tanto è vero, questo.” pensò all'idea di aver coperto con un'altra verità ciò che aveva fatto quella sera.

Ashley sospirò. -Mi dispiace Tay. Davvero, ti ospiterei a casa mia pure per tutta la vita, ma lo sai cosa ne pensa tua madre. Al massimo ti concede di dormire ogni tanto a casa mia...- lo disse con tono amareggiato, perché pur di far vivere alla sua amica una vita migliore avrebbe fatto di tutto. Si girò a guardarla e incrociò il suo sguardo dai due colori diversi.

Lei riabbassò lo sguardo. -Se... se solo ci fosse ancora Chris... per lo meno vivrei più tranquillamente.- mormorò emettendo una nuvoletta di vapore dalla bocca a causa dell'aria fredda. -Tu lo hai sentito, Ash?- lo guardò di nuovo con aria speranzosa. -Ti ha chiesto di me?

Il ragazzo sull'altra altalena si incupì sotto lo sguardo della ragazza, e lei capì al volo che avrebbe ricevuto una risposta negativa.

-Parla poco con me, lo sai. Ci vediamo spesso, ma gli argomenti non giungono mai a parlare dei suoi... dei vostri problemi. Lui...

La ragazza lo interruppe. -Lui se n'è andato perché non sopportava la stessa situazione che non sopporto io. Però...- il nodo alla gola che prima aveva oppresso era tornato ad ammaccarle la voce. -... però avrebbe potuto farsi sentire da me, sua sorella. Io...- si alzò dall'altalena cigolante e si allontanò di un passo da essa. -Io ha bisogno di lui!- esclamò scoppiando in un pianto liberatorio.

Anni di solitudine le si riversarono addosso, insieme al freddo della notte, che aveva preso ad essere più pungente di quanto già non lo fosse. In quell'ambiente glaciale, si sentì circondare dalle braccia del suo migliore e unico amico. La strinse a sé, e lei vi trovò l'unico conforto che cercava.

-Andrà tutto bene, Tay. Tutto si aggiusterà. Gli parleremo, vedrai.- le sussurrò mentre lei si riscaldava col calore di lui. Tirò su col naso.

-Grazie Ash. Meno male che ci sei tu.- rispose ricambiando la stretta.

Dopo un po' si divisero, e lei rimase indecisa sul da farsi, lanciando occhiate di soppiatto all'amico. Quando alzò il viso, lui le guardava sogghignando. -Avanti, andiamo. Stasera dormi da me!- rise lui, avvolgendole le spalle con un braccio e cominciando a camminare. Rise anche lei. Era la prima risata dopo tutto quel tempo macabro, e la rincuorò. Sapeva che l'unica persona con cui era in grado di essere felice era quella accanto a lei, e, camminando, sotto le luci della città, si disse che con lui avrebbe affrontato il mondo.

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Black Veil Brides / Vai alla pagina dell'autore: Winry977