‘Garantisco che per noi ci saranno tempi duri, garantisco che uno di noi due o tutti e due alla fine si stancherà.
Ma garantisco anche che se non ti chiederò di essere mia per sempre lo rimpiangerò a vita, perché sento nel mio cuore che sei l’unica per me’
Ho bisogno di sentire la tua mano sul mio viso.]
Avere un carattere forte non voleva
dire per forza essere forti.
Era una delle prime cose che Lily
aveva capito, sebbene con un po’ troppo
ritardo.
Pensava che erigere davanti a se un
muro che la dividesse dalle altre persone
l’avrebbe protetta dal “resto”; dal resto della gente, delle persone,
delle
cose, delle chiacchere.
Era un meccanismo di difesa,
sebbene il suo carattere fosse tutt’altro che
difensivo.
La mattina, quando Lily appoggiava
i piedi nudi sul pavimento freddo, rimaneva
fissa ad osservare la sua faccia stanca riflessa allo specchio:
rimaneva ferma
qualche secondo, stropicciandosi gli occhi scuri con il palmo della
mano.
La mattina appena sveglia, quando
Lily si vestiva, gonfiava il petto
d’orgoglio, la testa di dignità e la bocca di parole.
Aveva sempre pensato che un
carattere forte equivalesse al sembrare forte, ma
si era accorta che sembrare non
voleva dire essenzialmente esserlo.
La prima volta che aveva
provato quella sensazione di debolezza è stato
quando si era innamorata.
L’aveva paragonato ad una sorta di
caduta, una caduta del tutto normale come
quelle che ti scorticano le ginocchia, ti fanno uscire il sangue dalle
mani:
quelle che in un primo momento non ti accorgi neppure che ci siano, ma
dopo
fanno male.
Poi aveva capito che quella
sensazione era qualcosa di più forte, simile a
quando cade un muro e crolla qualcosa.
E cominci a sentirti vulnerabile, a
sentirti esposta, debole, un libro aperto, ti senti come se ti avessero
messo
con le spalle contro il muro.
La seconda volta che si era sentita
debole è stato quando sentiva che qualcosa
andava storto, anche se in una relazione del genere tutto andava per il
verso sbagliato.
Si faceva fatica a contare i giorni
felici da quelli in cui ci si urlava
contro, ma era una relazione, lei era innamorata.
La seconda volta che aveva sentito
quel dolore era quando qualcosa non andava.
E se n’era accorta dalla reazione
dei suoi fratelli, dal padre che le mandava
troppe lettere, dalla troppa premura dei cugini.
Si era resa conto che qualcosa
puzzava dal momento in cui era “cresciuta” e
aveva aumentato le difese e, oltre all’orgoglio, la dignità e le
parole, aveva
innalzato l’indifferenza verso quei comportamenti.
La terza volta che si era sentita
così è stato quando lui l’aveva portata in
una angolo del castello, l’aveva guardata con quegli occhi troppo
chiari e lei
sapeva già quello che lui volesse dirle.
Questa volta sentiva le gambe
tremare, e gli occhi pizzicarle.
Vacillava, Lily.
E quel qualcosa, che prima non
aveva identificato, ora aveva capito cos’era.
Non cadeva qualcosa d’indefinito,
di stupido; cadeva il suo muro e tutte le
certezze che aveva da una vita.
Cadevano le parole della madre
quando le aveva detto che lei era una bambina
forte, cadeva tutto e non si sapeva di preciso in quale baratro
andassero a
finire.
E poi il silenzio circonda e ti perseguita]
Lily Luna Potter si era sempre
definita una ragazza forte; come potrebbe
esserlo qualsiasi ragazzina di quindici anni che erige il proprio Ego
in un
metro e sessanta di tanti capelli rossi e lentiggini ovunque.
Lily Luna Potter, quando pensava a
se stessa come una ragazza forte, lo pensava
senza aver fatto i conti con l’amore e con quello che provava per lui.
“Guardami” le aveva sussurrato,
accarezzandole piano il viso pieno d’efelidi
mentre lo alzava appena verso il suo. “Lily, ti prego.”
Ti prego.
Uno strano impulso di scoppiare a
ridere sembrava bruciarle la gola, mentre i
suoi occhi nocciola guardavano ovunque ma non lui.
In quel momento la sua mente era
bloccata in una sorta di limbo ed elaborava e
rielaborava.
Pensava a parole, a frasi da dire.
Immaginava situazioni, luoghi, posti in cui
erano e dovevano stare.
Pensava a sentimenti che doveva
provare e a sentimenti che effettivamente
provava.
Elaborava qualcosa da dire e le
venivano in mente solo parole scontate, frasi
già fatte, pensieri melensi, lacrime che non
doveva versare.
Avvertiva il suo orgoglio andare in
frantumi, la sua dignità lasciarle la mente
e la bocca secca, non c’erano parole.
Ma non poteva stare zitta, con le
guance rosse e le mani che le tremavano.
Sembrare forte non vuol dire
esserlo, ma era già un passo avanti.
“Non mi ricordavo che uno dei tuoi
migliori pregi fosse quello di essere un
codardo, oltre che un villano.”
Se fosse stata un’altra ragazza,
con un altro ragazzo e un’altra storia- forse
le parole giuste sarebbero state: “Ti amo. Non lasciarmi.”
Eppure non sembravano adatte per
chi, come loro, aveva creato il proprio
rapporto su qualcosa di diverso dal colpo di fulmine o da una stupida
uscita ad
Hogsmeade.
Sul volto pallido di Scorpius si
era formata una smorfia di dolore nello stesso
momento in cui tutta la pazienza che aveva conservato in quel momento
era
svanita in un soffio.
La mano ancora appoggiata sulla sua
guancia aveva perso la fermezza di poco
prima, mentre senza proferire parola faceva scivolare le dita lungo il
collo
della ragazza, ascoltandone divertito il battito del cuore accelerato.
Senza mai spostare lo sguardo da
lei, aveva spostato il pollice verso la sua
bocca, accarezzandogli piano il labbro inferiore riuscendo finalmente
ad
attirare gli occhi della ragazza verso di se.
“Sei davvero bella quando piangi.”
Un moto di rabbia aveva percorso il
corpo di Lily, mentre serrava le mani così
forte che le nocche le erano diventate bianche.
Aveva schiuso le labbra per
controbattere, ma le parole le erano morte in gola
proprio nel momento in cui lui aveva avvicinato appena la bocca alla
sua.
Era come se respirasse direttamente
dai suoi polmoni, ma non lo toccava- lui
non la toccava.
“Quando vorrei baciarti... ma non
possiamo stare insieme, Lily. Non possiamo.”
Non ricordava bene se
Era rimasto lì ad un centimetro dal
toccarla e non si era mosso, mentre la
guardava negli occhi. E lei piangeva.
Potevo sentirti dietro i miei occhi
Sei entrata nel mio flusso sanguigno
Potevo sentirti fluttuare dentro me.]
Aveva paura di toccarla,
aveva paura di infettarla, di sporcarla.
Aveva paura di spezzarle le ossa, inquinarle la pelle e avvelenarne il
sangue.
Era un pensiero morboso, di chi non voleva toccare qualcosa di
prezioso.
Sentiva qualcosa di sporco, di sbagliato nel sfiorarla come l’aveva
sfiorata e
guardarla come l’aveva sempre guardata.
‘E’ piccola Scorpius, ha solo quindici
anni.’
Faceva scivolare le dita lungo quei fili rossi lentamente,
ascoltandola
respirare, osservandola mentre guardava un punto indefinito sopra il
suo petto.
‘Non possiamo stare insieme.’
Lo aveva ripetuto all’infinito e ogni volta che l’aveva pronunciato gli
sembrava sbagliato, ingiusto, gli grattava la gola e percepiva un vuoto
dentro.
“E’ per mio padre o per il tuo?” l’aveva sentita mormorare, mentre la
stringeva
appena. Si doveva toccare come si toccano le bambole di porcellana, le
bomboniere di cristallo, come si trattano le cose preziose.
Aveva abbassato lo sguardo verso di lei, osservandone i particolari
della
camicia stropicciata, delle gambe magre e dello sguardo vuoto.
“E’ per mio padre, per il tuo, per i tuoi fratelli, la mia famiglia, il
tuo
cognome e il mio. E’ perché sei tu… E sono io.”
La sentiva agitarsi, sentiva i suoi pensieri ronzargli fastidiosamente
nelle
orecchie mentre gli scompigliava le lenzuola del letto, tratteneva la
rabbia,
le lacrime e la voglia di alzarsi da li e scappare via.
Si doveva toccare come le bomboniere di cristallo, ma lui l’aveva
toccata in
modo possessivo, disperato, forte, impetuoso, su di lei che era
fragile.
E l’aveva sentita dentro, ovunque, l’aveva sentito nel sangue quello
che
provava per lei.
Era un pensiero malsano, di chi non voleva toccare qualcosa di
sacro.
[Gli spazi in
mezzo
A due
menti e tutti i posti che hanno visto
Gli
spazi in mezzo
Ho
provato a metterci sopra il dito
Ho
provato a metterci sopra il dito.]
“Quindi la finiamo qui.”
Il buon odore che emanava la sua
pelle non sembrava addolcire le parole.
Continuavano a sbattere impetuose
contro il suo muro e contro i pensieri di
lui. La sentiva ad ondate, a pause brevi.
La prima volta l’aveva paragonata
ad una caduta, la seconda era qualcosa di
forte, la terza era come il crollo del muro di Berlino.
“Si, finiamola qui.”
E questa volta non aveva distolto
lo sguardo, l’aveva guardato dritto negli
occhi mentre la gente li fissava.
Le veniva da piangere e aveva
bisogno di appoggiarsi a qualcosa di solido, ma
rimaneva ferma perché lei era la bambina
forte, quella che si sentiva
vacillare e cadere.
Non riusciva a capire lo sguardo di
lui, che tratteneva il fiato come se non
riuscisse a respirare e lo vede passarsi una mano sul viso, stando in
silenzio.
Vorrebbe baciarlo e non sentirsi
come se stesse sprofondando nel Lago Nero.
Vorrebbe baciarlo e si avvicina,
gli scosta la mano, tira indentro le lacrime,
lo guarda negli occhi e lo bacia.
E lo sente il profumo, le sue
labbra calde e il sangue sembra riscaldarsi nelle
vene mentre se lo sente dentro le ossa, sulla pelle. Lo sente fluttuare
dentro
ed entrargli nel sangue.
Lo sente, ma si allontana.
E le barriere cedono, l’orgoglio
cade, le parole non servono e la dignità non
ricorda neanche cosa sia.
Potevo sentirti dietro i miei occhi
Sei entrata nel mio flusso sanguigno
Potevo sentirti fluttuare dentro me.]
Aveva come l’impressione di essere rimasto in apnea dal giorno in cui l’aveva lasciata lì e le aveva voltato le spalle, come se l’unico profumo che riuscisse mai a percepire fosse il suo.
Erano movimenti meccanici: Alzarsi dal letto, mangiare, andare a lavoro, sopravvivere, ritornare a casa e salutare l’altra.
Era un movimento meccanico quello di alzare il petto e riabbassarlo in modo da far riempire i polmoni d’ossigeno.
E non c’era giorno in cui non se ne pentiva, Scorpius, di quello che aveva fatto.
Perché era rimasto fermo, mentre la vedeva piangere, riprendersi, crescere, fidanzarsi e dimenticarsi.
Perché l’aveva fatto anche lui e aveva lasciato che tutto andasse come doveva andare: come volevano i suoi, come doveva essere.
Ma aveva smesso di respirare, lo sapeva; nello stesso momento in cui aveva smesso di toccarla, di considerarla, di ricordarsi com’era fatta.
Smetteva di respirare ogni istante in cui la pensava e si mordeva la lingua con forza mentre usciva di casa e sopravviveva.
E se qualcuno per sbaglio gli chiedeva come stesse, lui sorrideva e rispondeva: “Sto bene, è solo che mi manca l’aria.”
Mentiva Scorpius, non stava bene. Non respirava più.
Sembrare forte non significava essenzialmente essero, lui lo aveva capito troppo tardi.
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Okay, innanzitutto perdonatemi se non ci avete capito un accidente.
Volevo farla un po' nonsense e ci sono riuscita alla grande.
Diciamo che una linea logica penso che ci sia: la parte iniziale di Lily mi serviva principalmente per spiegare il fatto che lei è forte, ma debole quando si parla di amore.
La terza parte se non sbaglio è quella di Scorpius. E beh, non penso ci sia tanto da capire. Stanno in camera di lui e le spiega il perché della decisione di lasciarsi.
Ora! Se mi chiedete che diavolo ho scritto io non lo so! Il problema è che faceva freddo, pioveva, avevo la musica alle orecchie ed è partita Bloodstream dei Stateless e mi è venuta l'ispirazione.
Ringrazio infinitamente la mia beta d r e e m e tutti quelli che hanno recensito "La Situazione di Lui&Lei."
Se questa ff avrà un pochino ino ino ino di successo, forse ho qualcos'altro in cantina! A prestissimo.