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Autore: TellMeAStory    02/12/2012    4 recensioni
La storia di Kim...
...con Harry
DAL CAP X
“Harry...”, cercai di frenare quel fremito. “Tranquilla, non c'è nessuno in casa...”. Non seppi come interpretare quella frase. Ma lui capì il mio disagio. “Io...non volevo dire, insomma...cioè!”. Sorrisi per l'imbarazzo che avevo provocato, ricambiando quel bacio. “Andiamo di sopra...”, afferrò la mia mano e mi trascinò su per le scale. Poi si girò di scatto, ancora una volta imbarazzato. “A studiare...andiamo di sopra a studiare”.
...con Zayn
DAL CAP XIII
“Allora ti chiedo scusa. Avrò capito male io...”, “Esatto”, “Mi hai baciato perchè non potevi evitarlo, eri in piena crisi, ed io non avrei dovuto...”, “No, bene vedo che stai riacquistando il senno”, “E quindi non accadrà mai più niente del genere tra di noi...”, “Mai...”
Chi sarà il ragazzo giusto per lei???
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Eccomi tornata con una nuova storia. Sarà molto diversa dalla precedente, anche se uno dei protagonisti maschili sarà sempre lui...Zayn (che ancora non compare almeno per questo capitolo!). Spero sia di vostro gradimento e baciii :)


 


CAPITOLO 1

"Chiudi la porta e siediti". 
Lo feci e presi posto nella poltroncina di velluto rosso di fronte alla scrivania. Mi ero cacciata nei guai ancora una volta. Aevo mandato a quel paese la prfessoressa di Storia, la signorina Lance, le avevo gettato il libro contro e imprecando avevo lasciato l'aula sbattendo la porta. Non ero spaventata o preoccupata per quello che poteva accedermi, anzi. Quelli erano gli unici momenti in cui provavo qualche cosa. Continuavo a ficcarmi in faccende più grandi di me perchè solo così riuscivo ad andare avanti. Arrabbiata con il mondo, con tutti, con tutto. Erano ormai cinque anni che giravo da un'istituto ad un'altro. Erano cinque anni che la mia vita era cambiata. E quella era ormai la sesta volta che mi trovavo in quella situazione. Lì seduta con le gambe accavallate, le braccia conserte, l'aria di sfida, di chi non teme niente e nessuno, ero pronta a sentirmi dire la solita frase: "Ci dispiace, ma non puoi restare più qui. Ci abbiamo provato, ma non c'è stato verso. Prepara le tue cose e domani verrai trasferita".Un classico. Non aspettavo altro. Mi trovavo al St. Patrick di Bradford , da circa due mesi. Quel posto non mi piaceva affatto, come tutti gli altri del resto. Ma dovevo resistere altri sei mesi e poi sarei stata maggiorenne e finalmente avrei potuto trasferirmi a Londra. Aspettai in silenzio il responso sul mio futuro. L'uomo calvo e magrolino sulla sessantina, mi guardava intenerito. Probabilmente non riusciva a trovare le parole giuste per sbattermi fuori. E dopo un pò prese fiato.




"Kimberly, Kimberly", "Kim, mi chiamo Kim"
. L'uomo mi sorrise, cercando di ignorare il tono con cui lo avevo corretto."Cosa bisogna fare con te? Io capisco la tua situazione complicata, difficile. Ma devi reagire cara, e questo non è il modo giusto per farlo. Credi che combinando guai di continuo possa aiutarti a superare il dolore. Io lo so...", "No, lei non lo sa". Odiavo quando le persone pronunciavano quelle parole "Lo so", ma cosa ne potevano sapere loro, della mia vita? Parlavano del mio dolore, ma non sapevano che non ero in grado di provare neanche più quello. "Hai ragione, non lo so. Ma ho visto tanti ragazzi come te, sono al St. Patrick da tanti anni", "Ogni persona è diversa", "Certo, ma avete una cosa in comune. Gli occhi. Quegli occhi spaventati, impauriti, che mascherate con sguardi di sfida.". "Senta, arrivi al dunque, e mi dica dove mi trasferiscono questa volta. Sulla costa, al nord?" "Trasferirti? No Kimberly, Kim, non ti trasferiamo da nessuna parte. Non è di questo che hai bisogno. Ti ho convocato perchè ho preso una decisione." "E sarebbe?","Andrai alla scuola pubblica. Hai bisogno di socializzare con persone che non hanno problematiche simili alle tue", "Gente normale insomma?", "Se vuoi definirli così, va bene, ma non è quello che intendevo e lo sai". "Io non voglio andare a scuola, me ne fotto della scuola!", "Devi andarci, cosa mi hai detto quando sei arrivata? Che dopo i 18 anni te ne saresti andata a Londra giusto?", "Ed è quello che farò!", "Bene, ma te lo impedirò se non porterai a termine gli studi", "Lei non può farlo!", "Certo che posso, sono il tuo tutore legale!". Non sapevo se quello che mi stava dicendo fosse vero, ma se quello era l'unico modo per farmi uscire da quell'incubo l'avrei fatto. E poi uscire ogni tanto da quel posto non mi avrebbe fatto male, anzi. in più alcuni soldi che i miei avevano messo da parte, mi sarebbero stati consegnati soltanto dopo la maggiore età. Non avevo scelta. "Bene,il tuo alloggio sarà qui. La mattina prenderai l'autobus fino a scuola. Le lezioni sono fino alle tre, dopo devi tornare qui per studiare. Inizi lunedì". Mi alzai e corsi nella mia camera. Mi gettai sul letto e misi le cuffiette. La musica, ero l'altro mio veicolo di fuga da quella penosa realtà. E ogni volta che mi succedeva qualche cosa, l'ascoltavo e mi confidavo. Lei era l'unica famiglia che avevo.

Ero distesa su quel letto da ormai un'ora. Era sabato pomeriggio e in genere gli altri ragazzi dell'istituto andavano in città per svagarsi un pò. Potevano stare fuori fino alle dieci. Ma io non ero mai andata con loro, perchè non avevo stretto rapporto con nessuno, non mi piaceva nessuno di loro. Ad un certo punto sentii la mano di qualcuno scuotermi la spalla, tolsi le cuffiette e vidi una ragazza di colore, con tanti capelli ricci  neri, tenuti da una fascia viola, sorridermi.


 
"Ciao sono Grace!", "E chi diavolo sei?", "Sono la tua nuova coinquilina", mi ripose gentilmente, nonostante l'avessi trattata con freddezza. Me lo dovevo aspettare. Quella camera era per due, e le prime settimane l'avevo condivisa con un certa Lillian, che poi era stata adottata da una famiglia scozzese. Non avevo avuto neanche il tempo di odiarla che mi aveva lasciata da sola in quella stanzetta luminosa ma piccola. Ed ora questa qui che non smetteva un'attimo di sorridere. Non l'avrei sopportata neanche un secondo. "Mi hanno detto ti chiami Kimberly. Sono felice di condividere la stanza con qualcuno. Nell'altro istituto ero da sola e...", "Senti bella, 1 mi chiamo Kim, Kim. E 2 non ti fare strane idee. Non mi piaci, non sono simpatica e non diventeremo amiche!", "Come vuoi!", mi disse sempre sorridendomi. "E 3 smettila sempre di ridere. Cosa hai una paralisi?", "mi dispiace questo non posso promettertelo, ma cercherò di non disturbarti!". Si girò e iniziò a disfare le sue valige. Io mi rimisi le cuffie e stavo per premere il tasto play, quando la porta si aprì di nuovo. "Buon pomeriggio ragazze!", era quella smorfiosa della signorina Devis, la responsabile del dormitorio femminile. "Allora Grace hai conosciuto la nostra cara Kim?", "Si, signorina Devis", "Bene bene, sono sicura che con il tempo diventerete amiche". Cercai di non sclerale, non avevo voglia di beccarmi una punizione. Il sabato preferivo passarlo ad ascoltare musica, e risistemare i libri in biblioteca proprio non mi andava. Così cercai di mantenere la calma. "Allora preparatevi che alle sei il pullman vi porterà in centro. Così Grece potrai visitare la nostra cittadina. Vedrai ti piacerà","Si mi piacerebbe molto", "Perfetto, Kim, tu le farai da guida!", "Non se ne parla. Io resto qui!", "Non credo proprio signorina. È un ordine del direttore. Vi aspetto giù per le sei, capito?", "No, io non vengo!", "Bene, in tal caso la biblioteca ti aspetta!", "Va bene, va bene...". Non aggiunsi altro, già sabato scorso mi era toccata quella tortura perchè avevo lanciato per aria il vassoio del pranzo di Mary Beth, che come al solito aveva fatto battutine stupide e insensate sul mio conto. Sarei andata in città, mi sarei liberata di quella ricciolina e magari sarei andata in pub per una birra.

Alle sei in punto, Grace mi invitò a scendere. "Kim, sei pronta? Andiamo su!", "Ti raggiungo lì", "Va bene!". E aspettai che uscisse dalla porta, per aprire la mattonella sotto al mio letto. Appena arrivata in un istituto nuovo, facevo sempre così, cercavo un nascondiglio per mettere le mie cose. E questa volta avevo scovato un posticino sotto al letto, una mattonella che alzata mostrava un piccolo incavo. La precedente proprietaria di quella camera aveva evidentemente le mie stesse esigenze. Li avevo nascosto dei soldi che avevo racimolato qua e là, qualche bottiglietta di alcool e le sigarette. Tutte cose che non era permesso tenere in nessun istituto, compreso il St. Patrick. Presi queste ultime e rimisi il quadrato di ceramica al proprio posto. Infilai una felpa e raggiunsi gli altri. "Ehi Kim, finalmente alla signorina Devi ho detto che avevi avuto un problema in bagno. Voleva lasciarti qui.","Potevi farti i cazzi tuoi", "Prego non c'è di che". Il solito sorrisino, quella tipa la conoscevo da un'ora e già mi stava sulle palle.
"Oh guardate chi ci ha raggiunti stasera. Kim pel di carota. Aiuto che paura!"


 
Mary Beth, l'odiosa, stronza Mary Beth. La odiavo con tutto il cuore. Tutti i suoi amici si misero a ridere imitando gridolini di spavento. "Ti sei fatta un'amica vedo. Chi sei cioccolatino!", "Ciao piacere mi chiamo Grace!". Mary Beth scoppiò a riderle in faccia, e così tutti gli altri. "Credi di essere in un concorso di bellezza con questo sorriso smagliante? Ti sparirà presto da questo bel faccino...", "Ragazzi su ora basta salite sul pullman". Avevamo fatto come la signorina Davis ci aveva suggerito. Avevo iniziato ad osservare Grace che era rimasta in silenzio di fronte agli sfottò di Mary Bath. Mi aveva rivolto un sorriso e aveva preso posto accanto a me in silenzio, per non disturbare. Quella ragazza era strana peggio di me, ma essere amiche non era nei miei piani. Io non ho amici, io non voglio legami.
   
 
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