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Autore: Mary P_Stark    03/12/2012    5 recensioni
TERZA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Sono passati dieci anni dalla visita del principe Ellessandar di Akantar nel regno di Enerios. Tra i due regni, da quel giorno, intercorrono rapporti di amicizia e rispetto reciproci, anche grazie all'accorato lavoro di intermediaria portato avanti da Naell, principessa terzogenita del regno di Enerios. Principessa che, incalzata dal Consiglio della Corona e dal suo stesso padre, non può più nascondersi dietro mille scuse per evitare un matrimonio che non vuole. Perché a una principessa di Enerios è vietato vivere liberamente... amare liberamente. E a Naell questo va stretto, molto stretto. Libera di pensiero e d'animo, non vuole rinchiudersi entro quattro mura, con un uomo che non ama. Inoltre, su di lei, incombe ben di più di un matrimonio non voluto. Le parole del Dio-Lupo sono ancora fresche, nella sua mente. Tenebra e Luce devono ancora affrontarsi, e lei ne sarà direttamente implicata. Come, resta da vedersi. La sua unica consolazione è di non essere sola, sulle soglie di quel baratro. Ma i suoi cugini sapranno aiutarla nel momento del bisogno, come le ha predetto il Dio-Lupo? (riferimenti presenti anche nelle 2 storie precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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••1••

 

 

 

Naell si svegliò di soprassalto, le membra indolenzite, gli occhi sgranati e il volto ricoperto da un sottile strato di sudore.

Come sempre le accadeva, ultimamente, quel serpeggiante panico non sembrava abbandonarla mai, per lo meno non da quando aveva subito il primo attentato, sei anni prima.

Tutto era successo velocemente, come in un sogno – o, piuttosto, un incubo – e lei aveva visto per la prima volta la morte in faccia.

Solo la fortuna, e l’amore dei suoi sudditi per lei, l’avevano salvata dall’inevitabile.

Eppure, due volte aveva dovuto subire quello scherzo da parte di un destino avverso.

Due lame, due differenti mani, un solo scopo.

La sua morte.

Ma perché?

Da quel primo incidente, in cui aveva sfiorato l’abbraccio della Morte in un qualsiasi giorno di mercato, speso tra le bancarelle della piazza principale di Rajana, Naell aveva chiesto con forza che Kalia fosse mandata a chiamare.

Nessun altro aveva voluto per sé, a parte lei.

Non perché non si fidasse degli uomini comandati dall’amico di vecchia data Meyor, nuovo comandante delle guardie di palazzo, ma perché nessuno, a parte una donna, avrebbe potuto seguirla ogni dove.

Inoltre, voleva con sé la vecchia amica e figlia sacra del villaggio di Hyo-den, unica in grado di capirla veramente.

Non aveva mai saputo se il rifiuto di sposare il figlio del Conte Alderan, il giovane e coetaneo Coryn, avesse avuto a che fare con quegli eventi infausti.

Le era parso comunque strano che, a pochi giorni dall’ultimo, ennesimo rifiuto, qualcuno avesse attentato alla sua vita.

Suo padre, re Ruak di Enerios, aveva bollato quelle idee come folli e l’aveva rassicurata promettendole che, entro breve, la sua amica fidata sarebbe stata al suo fianco per proteggerla.

Già in passato Naell aveva chiesto figlia sacra Kalia di raggiungerla a palazzo.

Con la promessa che ben presto l’avrebbe accontentata, non aveva però esitato un attimo a dare risposta affermativa al re, non appena messa al corrente di ciò che era successo alla principessa.

In poco meno di due settimane, Kalia era giunta a Rajana e, su mandato stesso del re, era divenuta la sua guardia del corpo ufficiale.

Una stanza era stata predisposta per lei accanto a quella della principessa e, da quel momento in poi, erano state inseparabili.

Se già la corte, negli anni, si era mostrata in netto disaccordo con il re, quest’ultima mossa aveva dato voce alle lingue e ai veleni ancor più del solito.

Se già i tre lupi condotti a palazzo dai principi, avevano fomentato sgomento e rabbia tra i più, l’arrivo di Kalia aveva scatenato ulteriori attriti con la nobiltà, ma a Ruak poco era importato.

La necessità di mantenere in vita la figlia minore aveva avuto peso maggiore, che non le chiacchiere maligne dei cortigiani o del consiglio della corona.

Qualsiasi dubbio sull’utilità di Kalia era stata presto smentita dagli stessi fatti.

In occasione del diciassettesimo compleanno di Naell, in vista dell’ennesimo viaggio in direzione di Akantar – meta ormai assidua per la principessa – la bravura di Kalia come guardia del corpo era stata messa subito alla prova.

Un secondo attacco contro la principessa era stato mosso con abile maestria.

Soltanto grazie alla prontezza di riflessi di Kalia e alla mano veloce di Naell, si era potuto gridare allo scampato pericolo.

Da quel momento, lo stiletto che tanto gelosamente Naell aveva sempre tenuto nascosto tra le falde degli abiti, aveva fatto la sua comparsa in bella vista, legato a una preziosa cintura in filigrana argentata, dono della regina Elmassary di Akantar.

Nuovamente, la corte si era espressa in tal senso, e così pure il consiglio, sempre più desideroso di un prossimo matrimonio della principessa.

Re Ruak li aveva zittiti con aspro dire e, pur se le regole di palazzo prevedevano che nessuna donna potesse girare armata, lo stiletto era rimasto al suo posto.

Questo, però, aveva reso ancor più invisa ai nobili la giovane Naell, così al di fuori delle regole e degli schemi che, solitamente, una donna doveva tenere in pubblico.

Soprattutto se di sangue reale.

La definivano poco principesca, a conti fatti.

Il solo fatto che il re le avesse concesso di occuparsi del commercio estero del regno di Enerios, sotto la guida del più che titolato Ministro Korissar, era suonato come un insulto alle consuetudini.

Le donne, per consuetudine, avrebbero dovuto rimanere ben chiuse all’interno dei palazzi natii, e lontane dagli affari di Stato.

Spiegare alla corte intera le doti eccelse della figlia in materia di economia estera, non era parso utile, ben più che abituato alle intemperanze della corte.

Questo stratagemma era anche servito per tenere impegnata lontano da casa Naell, consentendole così di vivere il più liberamente possibile.

Ruak aveva sempre saputo quanto, la figlia, somigliasse allo zio e, per lei, aveva tentato il tutto e per tutto, pur di renderla felice.

I continui rifiuti della figlia di accettare un qualsiasi matrimonio a lei proposto, però, iniziava a irritare non soltanto il consiglio della corona, ma anche il re stesso.

 Neppure a una principessa come lei, in una famiglia progressista come la sua, poteva essere concessa una simile libertà.

Pur sapendo quanti malumori ciò avrebbe scatenato, Ruak aveva procrastinato anno dopo anno, sperando da par suo che Naell maturasse a sufficienza per comprendere la situazione.

Ciò, purtroppo, non era accaduto, e ora il re si ritrovava con il consiglio debitamente schierato contro di lui, e la figlia apertamente irritata con il padre.

L’unico a non apparire sdegnato in tutta quella situazione, ma pazientemente serafico, era il Conte Alderan che, negli anni, non solo aveva plaudito i successi di Naell, ma aveva accettato i suoi continui rifiuti.

Cosa ne pensasse Coryn, non era mai stato possibile saperlo, visto che i suoi interessi erano sempre stati seguiti dal padre.

Purtroppo per Naell, stava raggiungendo un’età in cui, obbligatoriamente, avrebbe dovuto essere maritata a qualcuno.

La famiglia del Conte Alderan era importante, munifica e potente. Davvero non il clan ideale da inimicarsi.

Occuparsi del commercio estero del regno, aveva aiutato Naell a crearsi un suo spazio, ma anch’ella sapeva bene quanto, tirare la corda, fosse ormai impossibile.

Le parole di Hevos, però, pesavano su di lei come macigni, rendendole impossibile pensare chiaramente a un suo futuro come moglie e madre, ma solo come parte di un piano cosmico più ampio del comprensibile.

Farne parola col padre, era improponibile, visto che le era stato caldamente vietato, perciò, come fargli comprendere quanto poco, un matrimonio, potesse importarle?

Quanto poco, le parole di un re – o le proprie – contassero, di fronte alle imposizioni di un dio?

Quanto poco, la lascivia di Alderan, potesse impensierirla, se rapportata al terrificante pericolo cui stava andando incontro senza conoscerlo?

Non si sarebbe mai maritata – o avuto un figlio – con il rischio di perdere marito e prole a causa del destino avverso che pendeva su di lei.

Prima di ogni altra cosa, doveva pensare a giungere pronta a quel fatidico momento pronosticato da Hevos.

Null’altro doveva importarle.

Ma era difficile mettere in fila tutti i problemi che la assillavano, se doveva anche pensare a un marito che non voleva.

Naell aveva avuto un aspro battibecco col padre, in merito a questo. Come sempre, negli ultimi anni.

Ormai stanco delle sue intemperanze, l’aveva rabberciata in malo modo prima di cacciarla letteralmente dallo studio, il volto reso arido dalla profonda delusione provata di fronte al comportamento irresponsabile della figlia.

La giovane si era limitata a reclinare colpevole il capo e, in silenzio, era uscita dallo studiolo – trovando Kalia ad attenderla nel corridoio – e si era diretta ai suoi appartamenti, dove un tempo aveva soggiornato suo zio Aken.

Lì, sua madre l’aveva salutata con un bacio e un abbraccio prima di entrare con lei nelle sue stanze e, turbata, le aveva chiesto cosa le stesse passando per la testa.

Non avere una risposta per la donna che tanto amava, l’aveva quasi ridotta in lacrime.

Sapeva di andare contro tutti i dettami previsti dal suo rango, sapeva di non comportarsi bene con i suoi genitori, ma la stessa idea di sposarsi la faceva impazzire di rabbia.

Come poteva far comprendere agli altri – senza parlare – quanto, una cosa simile, non le passasse neanche per l’anticamera del cervello?

L’unica cosa che aveva potuto dire per bloccare le mani del padre, pur essendosi sentita un verme nel farlo, era stato minacciare se stessa di morte.

Questo, più di ogni altra cosa, aveva reso le mani di Ruak restie a firmare qualsiasi accordo; il pensiero della morte della figlia per sua stessa scelta.

Naell aveva sentito il suo cuore andare in pezzi, nell’usare quella scorretta minaccia, ben sapendo di fare un torto al padre mettendolo di fronte a un simile, scellerato patto.

D’altro canto, la prospettiva di un matrimonio la atterriva più della morte stessa, perciò sapeva di non raccontare fandonie, promettendosi la morte in caso di un matrimonio da lei non voluto.

Ora, ansante e spaventata tra le lenzuola di seta del suo letto, Naell discese a terra poggiando i piedi su un morbido tappeto di pelli d’orso mentre Kalia, comparsa dalla stanza accanto con aria preoccupata, le si avvicinò guardinga, chiedendole: “Cosa turba il tuo sonno, hillan?”

Fiorellino.

Per quanto Naell avesse ormai ventidue anni, Kalia continuava a chiamarla a quel modo.

Lei gliene fu grata, in quel momento, perché si sentiva davvero fragile come un fiorellino di campo.

Si addossò a Kalia, poggiando il capo sulla spalla dell’amica, alta poco meno di lei – che superava abbondantemente il metro e settanta – e, sconsolata, mormorò: “La consapevolezza di aver ormai tirato troppo la corda. Non posso più procrastinare… ma non è il momento. Ora, non posso!

“Ciò che è successo stasera con tuo padre il re, ti ha condotta a più miti consigli? Sposerai dunque il tuo coetaneo Coryn? O qualche nobile delle pianure?”

“No!” esalò Naell, ritraendosi da lei sdegnata, prima di notare il quieto sorriso dell’amica. “Tu ti prendi gioco del mio dolore.”

“Tutt’altro. Cerco di scrollartelo di dosso” replicò Kalia, dandole una pacca sulla spalla prima di appollaiarsi sull’enorme letto di Naell e fissarla alla luce morente del fuoco del camino.

Sbattendo le braccia contro il corpo in maniera davvero infantile, Naell sbuffò contrariata: “L’intera situazione è assurda. Dovrei semplicemente fuggire da palazzo e mandare alla malora tutto, come fece mio zio tanti anni fa.”

“Lui fuggì per raggiungere l’amore. Tu fuggiresti per paura, o un'altra ragione che non vuoi dirmi. Non è la stessa cosa” precisò Kalia, sorridendole comprensiva.

Naell storse la bocca, fissandola bieca prima di recriminare seccamente: “Da che parte stai, tu?”

“Dalla tua, hillan. Ma solo finché rimarrai coerente con te stessa. La Naell che conosco io non scappa per paura. La Naell che conosco io ha affrontato un mercenario per salvarsi la vita. Perciò, da cosa fuggi, esattamente?

“Già, e ora ha la tremarella al pensiero di sposarsi con un uomo non scelto da lei” si irrise mestamente Naell, lanciando un’occhiata disperata verso la finestra.

Sapeva di non dire del tutto la verità, ma neppure a Kalia poteva dire del suo segreto.

Là fuori, il mondo libero che lei tanto amava, la chiamava a gran voce come un coro di sirene ammaliatrici.

Per quanto lei avesse spiegato al padre le sue esigenze, - tacendogli la verità - esso le sarebbe rimasto per sempre bandito, in quanto principessa reale.

Avvicinandosi con passi strascicati alla finestra, la aprì per lasciar penetrare la brezza notturna e i suoi profumi e, prendendone a pieni polmoni, sussurrò all’amica: “Conosco i miei doveri, ma non ammetto che io, perché donna, non possa avere gli stessi diritti dei miei fratelli. Loro si sono sposati con donne scelte da loro, per quanto di nobili origini. Io non avrei lo stesso diritto, secondo la costituzione. Mio padre potrà decidere per me l’uomo di suo gusto, ma non io! E ciò è assurdo!”

“E il consiglio della corona non accetta un cambiamento della legge” chiosò mestamente Kalia, scuotendo il capo.

“Già” biascicò irritata Naell, voltando le spalle di scatto a Rajana e al mondo tutto.

Detestava poterlo guardare solo attraverso lo stretto cunicolo di una finestra, senza poterlo toccare realmente.

Balzando giù dal letto con un saltello, Kalia la raggiunse e, poggiata una mano sulla spalla dell’amica, le sorrise benevola.

“Ci aspettano quasi due settimane di viaggio per mare, e tre mesi interi di vacanza ad Akantar. Parlane con la regina Elmassary. Lei è saggia e potente, e forse potrà trovare le parole giuste per affrontare tuo padre e fargli capire come ti senti.”

Naell ed Elmassary, la madre del principe Ellessandar, si erano vicendevolmente piaciute fin dal loro primo incontro e, nel corso degli anni, la loro amicizia si era rafforzata al pari di quella con il figlio della regina e della sua donna-felino, My-chan.

Con Ellessandar, aveva passato intere giornate a studiare le carte nautiche e stellari, a passeggiare nei giardini pensili di palazzo, o a discorrere di teoremi matematici – a Naell tanto cari – e di poesia.

My-chan, invece, l’aveva condotta in giro per il maniero dalle bianche mura e dalle vetrate colorate, facendole scoprire sempre nuovi angoli, o stanze sempre diverse.

In quel tempo passato assieme, Naell si era presa cura di lei come una madre avrebbe fatto con la figlia.

Insieme, erano cresciute e l’amore reciproco si era accresciuto con loro, rendendole l’una l’ombra dell’altra.

Ogni separazione era stata più dolorosa della seguente, come ogni incontro era stato più piacevole del precedente.

Le mancava.

Ormai, era assente da Akantar da più di otto mesi, a causa dei suoi molteplici impegni con il Ministro del Commercio, il mellifluo e fin troppo accomodante Korissar, che la seguiva in ogni suo appuntamento pubblico con fare cortese e sempre disponibile a qualsiasi sua richiesta.

Kalia lo aveva trovato viscido fin dal loro primo incontro, ma non si poteva dire che non sapesse fare il suo mestiere.

Era un asso, nel far di conto, e sapeva sempre stilare i contratti migliori per Enerios.

Da lui aveva imparato molto, e le sue lodi le erano sempre parse veritiere, pur se esposte col suo modo di fare piuttosto infiorettato.

“Scommetto che papà andrà su tutte le furie, quando glielo ricorderò” sospirò Naell, buttandosi sul letto a braccia e gambe aperte.

I lunghi capelli bruni, stretti in una treccia, finirono scompostamente su uno dei cuscini di piume e Kalia, sorridendole generosamente, la imitò e le rammentò: “Akantar è un partner commerciale troppo importante perché re Ruak lo scontenti, ed Elmassary ha richiesto la tua presenza a palazzo, prima dell’inizio dei festeggiamenti per i mille anni della loro famiglia come regnanti del Paese. Non puoi mancare, come non possono mancare i gemelli. E loro non possono andare senza la principessa, ti pare?”

Naell ridacchiò di fronte all’ineluttabilità di quella verità e, volgendosi prona sul letto, intrecciò le mani sotto il mento fissando l’amica.

“Credi che Aken ed Eikhe avranno avuto da ridire, quando ho chiesto la presenza di Enyl e Rannyl a palazzo?”

“Se anche avessero trovato la richiesta piuttosto bizzarra, non avrebbero potuto certo rifiutare, no?” le strizzò un occhio Kalia, imitandone la posizione. “Aken più di tutti comprende l’importanza di questo invito, ed entrambi loro non possono certo mettere un freno a quei due. Pur senza questo invito, ben presto Enyl e Rannyl avrebbero chiesto ai genitori di compiere un viaggio in giro per Enerios senza la loro costante presenza. Quei due non riescono a star fermi.”

“Già. Sembra che il villaggio stia loro stretto” ammise Naell.  O, forse, sentono che qualcosa sta accadendo, esattamente come sta succedendo a me.

Naell non aveva dimenticato il monito che, anni prima, lo stesso dio-lupo Hevos aveva predetto per lei e per i gemelli.

Pur se negli anni nulla di così tremendo si era verificato, ciò non voleva dire che esso non potesse avvenire a breve.

I suoi due attentati potevano essere il primo sintomo di un cambiamento, così come la sua ansia sempre maggiore, il suo desiderio incessante di muoversi, di non restare a palazzo.

Nell’ultimo anno, inoltre, i due gemelli si erano fatti irrequieti, chiedendo con sempre maggiore veemenza di poter intraprendere viaggi di volta in volta più lunghi e senza la presenza dei genitori.

Questo, aveva messo in allarme sia Aken che Eikhe che, però, non si erano mai rifiutati di accontentarli.

Per i figli del branco era normale stare lontani da casa anche per settimane intere ma, nelle richieste dei due gemelli, era parsa comparire un’urgenza tale da lasciare interdetti i genitori.

Era sembrato a entrambi che i due gemelli volessero, in qualche modo, prepararsi a qualche evento di cui, però, non volevano far parola con nessuno.

Naell ipotizzava soltanto che la frenesia dei gemelli fosse la stessa che la animava a sua volta e che, negli ultimi due anni, l’aveva portata a comportarsi nel modo in cui, poi, aveva fatto.

Non aveva mai detto ai genitori dei suoi assidui allenamenti a cavallo, così come delle lezioni di scherma prese da Meyor.

Il tutto era stato fatto a loro insaputa, e per ottimi motivi.

Non potendosi confidare coi genitori, si era limitata a riceverne sonori richiami, fino al rimbrotto feroce di quella sera che, a quanto pareva, le aveva guastato il sonno.

“Dormiamoci sopra, Naell e, stavolta, vedi di non svegliarti” ridacchiò Kalia, dandole una pacca sul braccio.

“Resterai qui?” le domandò Naell, con voce tremante.

“Se vuoi, sì, hillan.”

Detto ciò, si volse per sistemarsi comodamente contro i cuscini e, dopo aver fatto segno a Naell di imitarla, le sistemò le coltri attorno al corpo.

“Non pensare a matrimoni vari, ma al viaggio che intraprenderemo non appena i gemelli saranno a corte.”

“D’accordo” annuì la principessa, sorridendole nell’appoggiare il capo sul cuscino. “Ti voglio bene, Kalia, lo sai, vero?”

“Certo che lo so, e io ne voglio a te, o non sarei qui. Ordini o non ordini del re” ridacchiò lei, chiudendo gli occhi. “Ora dormi.”

“Agli  ordini” mormorò Naell, abbassando le palpebre sugli occhi grigio-azzurri.

Sapeva già che non avrebbe dormito bene ma, per lo meno, ci avrebbe provato.

La bellezza aveva tanti nomi ma, uno in particolare, scivolò sulle bocche dei soldati, non appena la piccola carovana di cavalieri raggiunse il cortile interno del palazzo di Rajana.

Baciata da un sole dorato come i suoi capelli, Enyl, figlia di Aken ed Eikhe, bloccò la sua cavalcatura con un sussurro delicato indirizzato al suo baio.

Scivolata con grazia giù dalla sella, sorrise sorniona al fratello gemello e, infine, gli domandò con voce roca e naturalmente sensuale: “Non sei contento di essere arrivato?”

Rannyl, scuro di capelli e dalla carnagione bronzea come quella del padre, imitò la sorella, lasciando che il suo fisico slanciato scivolasse a terra silenzioso.

Con passi eleganti e ferini, si avvicinò a Enyl sistemandole nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, prima di rabberciarla dolcemente.

“E’ mai possibile che tu debba sempre fare la vanitosa?”

Scrollando il capo di capelli biondo platino e che giungevano, liberi da freni, fin oltre la vita in sinuose onde scintillanti, Enyl replicò bonaria: “La treccia mi stava facendo venire l’emicrania. Parli bene, tu, che li porti corti come i militari di palazzo.”

“Nessuno ti ha detto di farli crescere così tanto” brontolò Rannyl, lanciando occhiate furenti ai soldati che, dalle mura, stavano osservando la sorella con interesse malcelato.

Alta, slanciata e dal viso cesellato - si diceva - dallo stesso dio Hevos, Enyl era la copia vivente della capostipite della razza, l’umana Hyo che il dio-lupo aveva amato in passato.

Sopraffina in bellezza quanto in intelligenza, Enyl non si faceva troppi scrupoli nell’usare il suo fascino, quando occorreva, ma sapeva essere letale quanto il fratello.

Con arco e frecce non aveva rivali, e la sua ferale daga, che portava sempre allacciata alla vita, aveva dato più di un assaggio della sua bravura.

Rannyl, più chiuso della sorella ma non meno affascinante, raggiungeva già in statura il padre Aken e, pur se non robusto quanto lui, era già un ottimo combattente.

Preferiva di gran lunga lo scontro fisico, all’uso delle armi e, chi aveva combattuto contro di lui, aveva solo potuto tesserne le lodi.

Lesto come un serpente e altrettanto pericoloso, era il più riflessivo tra i due gemelli, l’ombra protettiva di Enyl in qualsiasi circostanza.

Muovendosi lesto e agile tra i carri e gli uomini addetti allo scarico merci, un paggio in livrea si avvicinò alla coppia per rendere nota la sua presenza.

Dopo essersi compitamente inchinato, li invitò a entrare a palazzo assieme a lui per raggiungere il re, ansioso di rivederli dopo più di un anno di mancanza da Rajana.

Enyl fu la prima a muoversi, come al solito, mentre Rannyl le si mise alle spalle, a un passo di distanza.

I lupi dei due giovani, Fell e Kerr, si unirono a loro zampettando leggeri sulle rocce lisce del cortile.

Consegnate le loro armi alle guardie di palazzo, i gemelli si mossero agili entro quegli ambienti che, ormai, avevano imparato a conoscere.

Nell’incrociare alcune dame di corte, entrambi i gemelli si esibirono in brevi quanto educati saluti, cui le signore risposero con risolini e rossori profusi.

Che lo volesse o meno, Rannyl sapeva come far colpo sulle donne e la bellezza squisita di Enyl, invece di creare invidia nel gentil sesso, produceva l’effetto esattamente opposto.

Salito che ebbero due piani del palazzo, lasciandosi alle spalle il gruppetto di cortigiane, i gemelli affrettarono il passo, obbligando il paggio a fare altrettanto.

Quando infine raggiunsero la Sala dei Ricevimenti,  un altro paggio in livrea batté il suo bastone a terra, declamando i loro nomi con voce tonante.

“Le loro Altezze Reali, i principi Enyl e Rannyl!”

Dall’interno, le porte vennero aperte da un paio di guardie armate di alabarda e, nel mettere piede sul lungo tappeto color carminio che conduceva fino al palco reale, Enyl sussurrò al fratello: “Una volta o l’altra, mi sfonderà i timpani. Credo che, ogni volta che ci presentiamo qui, lui alzi di un’ottava il tono di voce.”

“E’ evidente che vuole attirare la tua attenzione” mugugnò Rannyl, avanzando assieme a lei e i lupi, che corsero avanti per andarsi a sistemare ai piedi del palco.

All’erta, i due lupi li attesero pazienti, controllando tutt’attorno come a sincerarsi che non vi fossero pericoli.

Enyl, nel frattempo, lanciò un’occhiata scettica in direzione del fratello prima di rivolgere un sorriso deliziato allo zio, assiso sul trono con aria lieta e che, nel vederli, si levò in piedi per raggiungerli a braccia aperte.

Perso di vista ogni desiderio di essere affascinante a tutti i costi, Enyl allungò il passo per gettarsi tra le braccia di Ruak, che lei adorava e, stringendosi a lui, mormorò gaia: “Sono così felice di vederti, zio! Sembra sempre passare un secolo, tra una visita e l’altra!”

“Quanto hai ragione, mia cara e, ogni volta, non riesco a capacitarmi della tua bellezza. Smetterai mai di diventare sempre più avvenente?” ridacchiò Ruak, scostandola da sé per ammirarla affascinato e sì, incredulo.

Aken aveva dimostrato più che palesemente la sua ansia di fronte alla bellezza sempre più fiorente della figlia e, mal volentieri, aveva accettato i suoi primi viaggi lontano da casa.

Si era sempre dichiarato – in segreto – timoroso che la sua avvenenza avrebbe potuto cacciarla in qualche guaio.

Tutto ciò non era successo, ma la paura rimaneva e Ruak, nell’osservare quel viso perfetto, i vividi occhi ambrati e le ciglia lunghe e arcuate che li solleticavano, non poté che comprendere le paure del fratello.

Enyl era veramente pericolosa, con la sua bellezza ultraterrena, ma poteva altresì mettersi in pericolo, a causa del suo bel viso.

Allargando le braccia per un ben più mascolino abbraccio a Rannyl, Ruak non poté non riconoscere in lui lo stesso fascino.

Esso era però molto meno marcato, non così evidente e, su un uomo, esso non produceva lo stesso effetto distruttivo, almeno ai suoi occhi.

Rannyl, inoltre, non faceva nulla per metterlo in mostra, cosa cui invece Enyl non pensava minimamente.

“Hai finito di crescere, Rannyl, o conti di superare in altezza il mio caro fratello?” domandò il re al nipote, sorridendo generosamente.

“Solo Hevos può dirlo” mormorò serafico Rannyl, prima di veder comparire la regina Renke, seguita da figli, nuore e nipotini.

“Ah, i miei due nipoti delle montagne!” esclamò Renke, giungendo da loro in un frusciare di stoffe pregiate.

“E’ un piacere rivederti, zia” sorrise Enyl, baciandola calorosamente sulle guance.

Renke ricambiò con affetto prima di sorridere generosamente al nipote.

“Mi sia testimone Iralva, tu diventi sempre più spettacolare, nipote mio. Ti ruberò a tua madre e ti terrò qui a palazzo, così che le cortigiane siano gelose di me perché posso godere della tua compagnia.”

Rannyl scoppiò a ridere di gusto e, baciata la zia, celiò serafico: “Rifiuterei, anche se fosse Hevos stesso a chiedermelo. Non potrei mai abbandonare Hyo-den, anche se scoprire gli effetti della mia presenza qui a corte, sarebbe divertente.”

Meriton ridacchiò nell’abbracciare i cugini, chiosando: “Chissà che non si dimentichino dei guai causati da Naell, avendoti qui intorno.”

Ruak scosse il capo, disturbato da quell’accenno e Staryn, dopo aver dato un colpetto di gomito al fratello a mo’ di ammonimento, intervenne dicendo: “Siamo lietissimi di avervi qui. Il viaggio è andato bene?”

“Ottimamente” annuì Enyl prendendo in braccio il piccolo Sysan, il figlio di quattro anni di Meriton e sua moglie Ylvire. “E tu, splendore, come stai?”

Sysan si mostrò affascinato da Enyl esattamente come tutti gli uomini dai due ai novant’anni e, sorridendo allegramente, le si strinse addosso dandole un bacio sulla guancia.

“Bene. E tu?”

“Ora che ti vedo, sto benissimo” sorrise la figlia sacra, baciandolo sulla fronte prima di metterlo a terra per dedicarsi alle mogli dei cugini. “Il matrimonio vi si confà. Oserei dire che siete ancor più belle dell’ultima volta che siamo venuti qui.”

Emelde, la moglie di Staryn, ridacchiò a seguito del suo commento e, abbracciandola, replicò: “Detto da te, è un vero complimento, cugina. I tuoi genitori e tuo fratello maggiore stanno bene?”

“Tutti benissimo. Myssa e Narad stanno diventando due cavallerizzi davvero eccezionali. Antalion ha detto che lui, Liana e i figli verranno con la prossima carovana assieme ai nostri genitori quindi saranno qui, all’incirca, tra tre settimane” spiegò Enyl, dando un buffetto sulla guancia a Sysan, che le si era allacciato alla gamba.

“Allora, ritarderemo il nostro rientro a Elior” propose Staryn alla moglie, che annuì. “Sarà un piacere rivedere tutti loro.”

“E a loro farà piacere vedere voi” asserì Rannyl prima di lasciar perdere le formalità e domandare: “Naell non sta bene, per caso?”

Ruak scosse il capo, vagamente infastidito, e mormorò: “Vi aspetta nelle sue stanze. Sta preparando i bagagli per la partenza per Akantar, da quel che ho capito.”

Enyl e Rannyl si guardarono dubbiosi per alcuni attimi ma, preferendo non approfondire oltre quell’argomento, si astennero dal fare commenti.

Era evidente la tensione tra il re e la figlia, perciò era meglio non sollevare polveroni inutili.

Con la promessa di rivedersi a pranzo, abbandonarono la sala e si diressero lesti verso la torre dove si trovavano le stanze di Naell.

Possibile che i rifiuti della cugina di sposarsi, avessero incrinato una volta per tutte i rapporti col padre?

Se solo avessero potuto parlare, tutto sarebbe stato chiaro!

Naell non poteva affatto sposarsi, con il destino incerto a gravare sulle sue spalle. Doveva pensare solo a questo, non ad altro.

Percorsi in fretta i gradini con il sottofondo delle unghie dei loro lupi, che picchiettavano sulle rocce scure del pavimento, i gemelli giunsero infine alle stanze di Naell e lì Enyl, dopo aver bussato, disse a mezza voce: “Naell, siamo noi. Possiamo entrare?”

Un attimo dopo, Kalia venne loro ad aprire e, dopo averli abbracciati calorosamente, li lasciò entrare chiedendo loro: “Già salutata la famiglia reale?”

“Sì” annuirono entrambi, lanciando uno sguardo incuriosito in direzione della cugina.

Contrariamente al solito, Naell non indossava le ingombranti vesti di raso scuro con guardinfanti che soleva usare a palazzo ma, al contrario, era abbigliata in maniera piuttosto esotica.

Indossava dei salwar a palloncino color fuoco, tipici di Akantar, e una kameez ricamata bianca e rossa.

Ai piedi, indossava delle pianelle dalla punta rialzata, al posto delle classiche scarpette dal tacco alto e la punta arrotondata.

Dopo averla guardata per un po’ mentre, con mani leggermente tremanti, Naell si appuntava la lunga treccia dietro la nuca, Enyl le domandò: “Immagino che quelli siano gli abiti che usi ad Akantar ma, mi chiedevo… perché indossarli ora?”

Naell si volse a mezzo per sorridere loro mestamente, le mani impegnate con le ultime forcine e, a mezza voce, mormorò: “Mio padre non potrebbe essere più arrabbiato di quanto già non sia ora. Vedermi con gli abiti che porto a Yskandar non peggiorerà la situazione, e io li preferisco.”

Rannyl si accomodò a gambe incrociate su uno degli enormi cuscini che la cugina teneva di fronte al camino, ora spento e, osservatala attentamente, replicò gentilmente: “Getti olio sul fuoco, se me lo permetti. La rabbia può crescere fino a vette che neppure immagini e questo farà accrescere, e di molto, quella dello zio.”

“Tanta saggezza in un sedicenne fa quasi paura” commentò Kalia, sorridendogli generosamente. “Ma mi vedo costretta ad assentire con lui, Naell. Mettere tuo padre di fronte a questo, è davvero troppo.”

“Lui deve sapere dove preferisco stare. Forse, questo gli aprirà gli occhi” brontolò Naell, nervosamente.

“Non sei figlia di Elmassary ed Erenokt, per quanto essi ti vogliano bene. E, finché rimarrai qui, sarai sottoposta alle leggi di Enerios, non di Akantar” le ricordò gentilmente Kalia. “Non puoi comportarti così con tuo padre. In fondo, in tutti questi anni, è sempre stato dalla tua parte, appoggiando ogni tuo comportamento, sensato o meno che fosse. Devi dargliene atto.”

Perdendo di colpo la testa, Naell sbottò e, volgendosi verso l’amica con aria più che mai irritata, le gettò in faccia un foglio pergamenato, ringhiandole contro: “Leggi questo, prima di difenderlo tanto!”

Sorpresa da tanta veemenza e, soprattutto, da quella reazione spropositata, Kalia raccolse da terra il foglio sotto gli occhi allibiti di Enyl e Rannyl e, ad alta voce, lesse il contenuto della missiva che, a quanto pareva, aveva condotto Naell a mettersi apertamente contro il padre.

 

Poiché tra noi, ormai, non vi è più un dialogo costruttivo, e le male parole ben si accordano con il nostro attuale stato d’animo, mi vedo costretto a scriverti questa mia, figlia diletta. Non posso più accettare che tu conduca una vita al di fuori di qualsiasi legge, legge che io, per primo, sono tenuto a rispettare in quanto re di questo Paese. Esse possono apparirti ingiuste e, su alcune di esse, non posso che renderti atto che lo sono ma, almeno per il momento, mi è impossibile intercedere per te presso il consiglio della corona perché, negli anni, ti sei giocata fin troppe volte la loro pazienza e, ora, non sono più disposti ad ascoltare le tue lagnanze. Al tuo ritorno da Akantar, che non posso negarti poiché l’invito dei reali di Yskandar è troppo importante, per poter essere messo sotto silenzio, tu ti atterrai a quanto deciso da me e ti mariterai assieme al figlio del Conte Alderan. Tra tutti i tuoi pretendenti, si è dimostrato il più paziente, e quindi il più meritevole, a prenderti in moglie. Non accetterò un ‘no’ come risposta, sappilo, poiché ormai non posso più nulla per salvarti da te stessa e questo, credimi, mi fa soffrire molto più di quanto possa mostrare in pubblico, o a te, mia dolce Naell.                     Tuo padre.

 

Gli occhi sgranati e la bocca molle per la sorpresa, Kalia lasciò scivolare a terra lo scritto prima di rivolgere uno sguardo comprensivo in direzione dell’amica.

“Non sai quanto mi spiaccia.”

Enyl e Rannyl fissarono la cugina con un gran desiderio di abbracciarla, ma si astennero nel momento stesso in cui incrociarono lo sguardo glaciale di Naell.

In quel momento, qualsiasi dimostrazione di affetto l’avrebbe fatta esplodere, soprattutto se si considerava che, un tale guazzabuglio, era nato a causa di Hevos.

“Come vedi, non sono molto ben disposta verso di lui, oggi” ringhiò Naell, indossando due lunghi pendenti dorati alle orecchie e pesanti anelli d’oro brunito alle mani.

“Ti rapirò la notte prima delle nozze e, di te, non rimarrà alcuna traccia” le promise Enyl con un mezzo sorriso. “Tu non avrai alcuna colpa, l’onore della tua famiglia sarà salvo e il Conte Alderan non potrà dire nulla.”

Sorridendo grata alla cugina, Naell le replicò bonariamente: “E dove andrei a stare, mia cara?”

Lanciando un’occhiata significativa a Rannyl, che annuì sornione nell’alzarsi, le disse: “Esistono luoghi che neppure le figlie sacre di Hyo-den conoscono. Se anche i soldati venissero a cercarti nei villaggi delle sorelle del branco, non ti troverebbero.”

“E voi, come fate a conoscerli?” domandò loro la cugina, incuriosita.

“Faceva parte del… beh, dell’addestramento, per così dire” scrollò le spalle Rannyl, ammiccandole con intenzione.

Naell comprese al volo. Hevos.

Kalia li fissò dubbiosa, mugugnando: “Ogni tanto, voi tre parlate per enigmi e questo mi irrita ma, se avete un modo per salvare Naell da quel viscido imbrattacarte, mi unirò a voi.”

Fissando i cugini e l’amica con rinnovata fiducia, Naell disse loro: “Mi fiderò di voi, e non mi getterò dalla goletta quando saremo in piena navigazione, allora. Andiamo ad Akantar, e che gli dèi ce la mandino buona.”

“Per Hevos, so che sarà così” esclamò Enyl, poggiando il suo pugno chiuso sul petto, a mo’ di giuramento.

Rannyl e Kalia la imitarono e Naell, per ultima, seguì il loro esempio, mormorando: “Per Hevos, sarà così.”

Non appena le sue parole scaturirono dalla bocca socchiusa, un brivido la percorse.

Era giunto il momento.

Qualsiasi cosa volesse significare.

 

 

 




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N.d.A.: Ed eccoci di nuovo in compagnia dei personaggi di Occhi di Lupo. Per chi non lo ricordasse, Naell e i gemelli di Aken ed Eikhe hanno ricevuto la visita speciale del Dio-Lupo Hevos, che ha predetto loro eventi infausti, che loro avrebbero dovuto affrontare assieme per poter risultare vincitori.
Grazie fin d'ora a chi leggerà e/ commenterà la storia, o a chi vorrà dispensare consigli. ^_^
  
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