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Autore: _YouKnowWho_    03/12/2012    1 recensioni
«Fortunatamente no» risposi, cercando di mantenere la calma. «Anche quando sono a casa cerco di non guardare i Giochi, perché non provo nessun piacere a vedere dei ragazzi della nostra età morire» avevo aggiunto, catturando nuovamente l’attenzione del ragazzo che tornò a guardarmi.
«Saresti la prima» commentò a bassa voce.
Mi misi a sedere sullo scoglio più vicino all’acqua immergendo le gambe fino al ginocchio.
«Sì, credo di essere l’unica a cui non piacciono, infatti mio padre pensa che io sia strana… Comunque io mi chiamo Dorothea» mi presentai, sorridendo al ragazzo che ancora mi guardava, senza lasciar trapelare alcuna emozione dopo il sospetto precedente.
«Io sono Atlas».
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le onde si infrangono violente sulla spiaggia su cui sto correndo. Il vento sbatte fastidioso sulla mia faccia, stravolge i miei lunghi capelli che mi colpiscono in viso, cerca di fermarmi, ma io non demordo e continuo a correre. Improvvisamente il mare scompare accanto a me e mi ritrovo in un tunnel nero, ma non mi fermo, anche se un senso di paura fa breccia in me. Continuo cauta, rallentando, con una mano posata su un muro che non riesco nemmeno a vedere. Ad un tratto in fondo al tunnel scorgo una luce e inizio a correre di nuovo, rischiando di incespicare nei miei piedi. La fonte luminosa diventa sempre più grande più mi avvicino e facendo ciò riesco a notare maggiori particolari. Ci sono delle persone che camminano, parlano, ma solo quando mi trovo davanti a loro capisco cosa stanno facendo.
Un gruppo di Pacificatori trasporta un ragazzo, lo trascina fino al centro della stanza dove ci troviamo e lo butta a terra.
Lo riconosco in un istante.
I capelli biondi, il torso, spogliato dai vestiti, muscoloso e abbronzato per il lungo lavoro al sole, e poi i suoi occhi, che incontrano i miei, e in quel verde che sembra aver perso la speranza vedo paura e tristezza.
Vorrei urlare, ma non ci riesco. Provo ad avvicinarmi a lui, ma è apparso un muro invisibile che non me lo permette.
E lui continua a guardarmi, parlandomi, ma non riesco a sentirlo.
Leggo allora le sue labbra e capisco solo due cose.
‘Aiuto’.
‘Resta con me’.
Poi i Pacificatori iniziano a frustarlo ed è come riacquistare l’udito, mentre le sue urla mi riempiono la testa.
 
Apro gli occhi e mi metto seduta. Mi rendo conto che sto tremando e mi sento sudata e appiccicaticcia.
E’ un sogno, solo un sogno.
Ma io so che non è vero, perché quello che ho visto è davvero successo.
Mentre l’urlo si spegne nella mia mente, cerco di fare profondi e regolari respiri per calmarmi. Poso i piedi a terra, con l’intenzione di alzarmi, ma ho paura che le mie gambe non reggano. Poi, però, mi decido e mi metto in piedi, fortunatamente senza ricadere sul letto.
Mi dirigo verso il bagno, fermandomi a vedere la mia immagine nello specchio.
I miei lunghi capelli risaltano per il loro colore azzurro. La mia pelle è più pallida del solito sul viso e i miei occhi color nocciola lasciano ancora trasparire il timore e l’infelicità che avevano riempito quelli del ragazzo del sogno.
Non riesco nemmeno a ripensare al suo nome.
Ogni volta che penso a lui le lacrime mi riempiono gli occhi e vorrei solo scappare e tornare da lui.
Distolgo lo sguardo dal mio riflesso, avvicinandomi alla doccia. Metto in funzione alcuni saponi e spruzzi a caso e poi mi tolgo i vestiti ed entro sotto il getto rinfrescante dell’acqua, iniziando a perdermi nei ricordi.
 
Il treno sfrecciava veloce e io ero seduta su un divanetto dello scompartimento che dividevo con mio padre. Guardavo fuori dal finestrino il paesaggio, molto diverso da quello che potevo vedere da una finestra della nostra casa a Capitol City.
Quando arrivammo nel Distretto quattro il mio stupore davanti alle novità aumentò quando mi trovai di fronte al mare. Avevo undici anni e quell’immensa distesa d’acqua mi aveva rapito il cuore. Passai tutto il giorno a guardarlo dalla finestra della nostra villa delle vacanze, perché mio padre non voleva che mi avvicinassi all’acqua, non sapendo nuotare, ma un giorno riuscii a convincerlo. Non sarei entrata in acqua.
Scesi sulla spiaggia e mi tolsi le scarpe, provando quella bellissima sensazione della sabbia tra le dita. Presi a camminare, da sola, fino a quando non raggiunsi dei massi che mi sbarravano la strada. Iniziai ad arrampicarmi, rischiando anche di scivolare. Trovai un masso abbastanza piatto su cui sedermi e presi posto, voltandomi ad osservare il mare dall’altra parte degli scogli, immaginando di vederlo deserto. Ma tra le acque c’era un ragazzino immerso fino alla pancia. Stava immobile e teneva delle reti in mano, come in attesa di pesci da pescare. Rimasi ad osservarlo ferma e in silenzio, quando improvvisamente lui si mosse e io sussultai. Il ragazzo tirò fuori la rete, ma dentro questa c’era solo un piccolissimo pesce impigliato. Rigettò la rete e alzò la testa, insieme ad una mano per togliere le gocce di sudore dalla fronte e fu allora che mi vide. Rimase con la mano ferma in aria per qualche secondo e poi l’abbassò, riprendendo la rete.
«Ciao» mormorai, timida.
Lui rialzò lo sguardo e mi fissò intensamente.
«Ciao» rispose poco dopo. «Che strani capelli che hai» aggiunse, facendo uno scatto con la testa, come a voler indicare la mia capigliatura.
Corte ciocche fuxia erano tenute in ordine da un cerchietto e cadevano sulle spalle.
«Sembri una di quelle strane donne di Capitol City che si colorano pelle e capelli in modo davvero stravagante» commentò, poi tornò a dedicare la sua attenzione alle reti.
Io iniziai a scivolare sul masso accanto a quello su cui ero seduta, con l’intento di avvicinarmi a quel ragazzo. Era bello poter parlare con qualcuno che non fosse mio padre e ancora di più che avesse quasi la mia età.
«In realtà io vengo da Capitol City» chiarii, ma mi pentii subito di aver pronunciato queste parole.
Un’espressione di diffidenza apparve sul volto del ragazzo.
«Perché sei qui?» domandò. «Non dovresti essere nella tua casa di lusso nella capitale a divertirti guardando le persone uccidersi in televisione?»
Queste parole mi si colpirono con forza. Ecco come dovevo apparire ai suoi occhi, anche se ero ancora una bambina.
«Fortunatamente no» risposi, cercando di mantenere la calma. «Anche quando sono a casa cerco di non guardare i Giochi, perché non provo nessun piacere a vedere dei ragazzi della nostra età morire» avevo aggiunto, catturando nuovamente l’attenzione del ragazzo che tornò a guardarmi.
«Saresti la prima» commentò a bassa voce.
Mi misi a sedere sullo scoglio più vicino all’acqua immergendo le gambe fino al ginocchio.
«Sì, credo di essere l’unica a cui non piacciono, infatti mio padre pensa che io sia strana… Comunque io mi chiamo Dorothea» mi presentai, sorridendo al ragazzo che ancora mi guardava, senza lasciar trapelare alcuna emozione dopo il sospetto precedente.
«Io sono Atlas» rispose lui, tornando alla sua occupazione.
Io rimasi in silenzio, osservandolo, ma dopo poco non riuscii a tenere a freno le mie domande.
«Cosa stai facendo precisamente?»
Il ragazzo torno a guardarmi, sorridendo.
«Cosa ti sembra che stia facendo?»
Io risi.
«E’ ovvio che stai pescando, ma mi chiedevo perché» spiegai, mentre mi mettevo comoda posandomi sui gomiti.
«E così che mangiamo noi, pescando» rispose lui. «Non abbiamo il cibo pronto come voi a Capitol City. Questo è l’unico modo per mangiare e visto che non so farlo bene sto cercando di migliorare per portare quanto più cibo a casa mia. Ora, scusami, ma devo fare silenzio e concentrarmi».
Il ragazzo tornò alla rete e alla fine riuscì a pescare un pesce abbastanza grande. Fiero di sé lo mise in spalla e raggiunse la spiaggia, trascinando la rete. La raccolse, mentre io lo osservavo e poi si voltò verso di me.
«Ciao Dorothea» disse, agitando la mano. «Domani ti troverò di nuovo qui?»
Io gli sorrisi.
«A domani» dissi, aprendo e chiudendo la mano per ricambiare il saluto.

 
L’acqua è diventata troppo calda, così mi sposto da lì, premendo poi alcuni pulsanti per regolare la temperatura. Quando torno sotto il getto metto le mani sui capelli per favorire la discesa dell’acqua e quando arrivo alle punte, che ormai arrivano sotto al seno, le alzo e rimango ad osservare il loro colore.
Azzurro.
Proprio come era il mare quel giorno che incontrai Atlas.




Angolo dell'autrice.

Et voilà! :) 
Eccomi qui con una nuova storia ^^ Personalmente mi piace abbastanza (ed è raro che mi piacciano le mie 'opere'), spero piaccia anche a voi. 
Mi piacerebbe anche avere il vostro parere u.u Non fatevi problemi a dire che fa schifo ;) 
Nei primi capitoli ci sono i flashback e quindi i cambi temporali. Ho controllato i verbi più volte, spero che siano tutti corretti, chiedo venia se non è così.
Boh, non mi viene nient'altro da dirvi per ora, sicuramente appena chiudo mi renderò conto che dovevo scrivere ancora milioni di cose xD 
A giovedì per il prossimo aggiornamento.
Fefè 

  
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