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Autore: Winry977    03/12/2012    2 recensioni
Nella palestra risuonava solo il suo respiro, solo il rumore dell'impatto tra le fasce che le ricoprivano i pugni e la plastica che ricopriva il sacco da boxe. Si sfogava. Sfogava la sua rabbia, sicura del fatto suo e con un solo amico pronto sempre a fasciarle le ferite.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Ehi, Lydia! Che fai, resti qui ad allenarti fino a tardi anche stasera?

-Si!

-Ok, allora dopo chiudilo tu il portone!

Il suo maestro abbandonò la palestra e Lydia rimase completamente sola. Sola con un semplice sacco da boxe. Le sale erano tutte buie, tutte tranne l'unica in cui lei si tratteneva sere e sere. Faceva solo una cosa: prendeva a pugni un sacco appeso al muro, nell'attesa che la sua rabbia lo facesse crollare a terra con la forza di un semplice pugno. Ormai le sue nocche erano viola, lo sapeva. Lo sapeva perché le facevano male ad ogni colpo. Eppure, persisteva e continuava a picchiare, perché era il suo unico sfogo. Era arrabbiata, soffriva e si sentiva sola. Più di chiunque altro al mondo. Si sentiva così anche quando stava tra la gente, gli amici, i parenti. Ne soffriva, e basta. E quella sofferenza, tramutata in rabbia, veniva sfogata tramite degli energici pugni.

Nella palestra risuonava solo il suo respiro, solo il rumore dell'impatto tra nocche, fasciate con delle semplici strisce in tela, e plastica. Il silenzio attorno a lei non la inquietava, come non la avrebbe neanche inquietata incontrare qualcuno all'esterno che le potesse fare del male. Era sicura di sé, degli insegnamenti del suo maestro: sapeva che se qualcuno le avesse fatto del male, lei lo avrebbe fatto pentire.

Ad un tratto si fermò. Sentii un brontolio provenire dallo stomaco, e concordò che fosse tardi, e che fosse giunta l'ora di tornare a casa. Camminò lentamente fino al suo borsone, posto su una panchina in legno. Estrasse una bottiglietta d'acqua, bevve, e si cambiò di vestiti, per poi raccattare le sue cose e uscire dalla palestra, chiudendola come le aveva raccomandato il suo maestro.

Camminava per le fredde strade della sua cittadina, in un periodo di mezza stagione, dove non soffiava il vento ma dove non c'era neanche il sole. Udì un tuono provenire da sopra il suo capo, ma non si scomodò, non aumentò il passo: se avesse piovuto avrebbe accolto volentieri la pioggia sul suo capo, a costo di prendersi un accidente.

Mentre camminava tra le strade deserte un lampo illuminò la sua strada e lei si accorse che c'era qualcosa che non andava. Non era sola. C'era qualcuno alle sue spalle, ne era sicura. Si accigliò, ma non si fermò, per lasciare che il suo udito le facesse capire se il suo dubbio era reale. Si, qualcuno c'era. Fece la sua classica prova per vedere se c'era qualcuno di troppo. Si fermò, facendo finta di allacciarsi una scarpa, proprio davanti una vetrina illuminata a stento dal lampione davanti ad essa. Mentre era chinata osservò il riflesso del vetro e vide una figura avvicinarsi dietro di lei. “Lo sapevo, ne ero certa.” pensò con un mezzo ghigno.

Non si alzò. Rimase inginocchiata, e poi si girò su sé stessa, facendo uno sgambetto a chi le stava dietro, facendolo cadere a terra. Era un uomo, alto, poco robusto e in quel momento, pure dolorante. Si rialzò quasi subito, avvicinandosi pericolosamente alla ragazza, ma lei era troppo sicura di sé per lasciargli possibilità di ferirla anche solo con un guanto. Gli prese un polso, glielo torse e l'uomo si ritrovò immobilizzato con un braccio dietro la schiena. Riuscì a liberarsi, prendendola alla sprovvista e dandole un pugno in pieno muso. Le spaccò il labbro. Ma lei non si scoraggiò neanche davanti a quello. Si rigirò nella sua direzione, lo studiò per un paio di secondi e.. Bum! Un calcio nelle parti intime, uno in faccia, e via, di corsa verso il suo appartamento.

Era contenta, quasi. Chiunque sarebbe rimasto scosso o traumatizzato nell'affrontare una situazione del genere, ma lei... lei non era chiunque. Aveva fegato da vendere e tanta voglia di picchiare qualcuno. Non era un semplice pugno a fermarla. Giunse piena di adrenalina a casa. Aprì il portone di casa e si trovò davanti un uomo paonazzo. Era suo padre, ed era furioso. Prese tra le mani i suoi lunghi capelli raccolti in una modesta coda di cavallo e li tirò verso il basso.

-Hai idea di che ora sia?! Quando la smetterai di fare così tardi?!- le urlò contro. Poi la scrutò meglio. -Che diamine hai fatto al labbro?- non allentò la presa ai capelli, e lei rimase ancora con la schiena piegata all'indietro.

-Niente, un pazzo ha solo attentato alla mia vita, ed io mi sono difesa. Questo è il mio trofeo di guerra.- disse soddisfatta.

-Trofeo un corno! Lo sai che non devi camminare da sola per le strade! Tu non ci stai più fino a tardi in quella palestra! D'ora in avanti ti vengo a prendere io! E dopo un'ora di allenamento!

Lei riuscì finalmente a liberarsi dalla presa. -Ma non se ne parla neanche!

-Preferisci che ti cancelli l'iscrizione?!

-Non preferisco nulla! Lasciami stare! A quest'ora, se non era per quella palestra, neanche mi trovavi su questa porta!- lo schiaffo arrivò veloce e sonoro sulla sua guancia. Dallo stesso lato in cui l'uomo l'aveva colpita qualche minuto prima. Il sangue sgorgò dal suo labbro inferiore senza troppe diplomazie, ma lei non se lo asciugò. Restò immobile a fissare con aria di sfida il padre. Lui la sorpassò, uscì di casa e si ripromise di non tornare più.

Lydia gli diede poca importanza: il padre non faceva mai quello che si prometteva. In quel momento desiderò solo fermarlo e prenderlo a pugni. Non faceva né diceva mai nulla che la gratificasse, non si preoccupava di lei, non pensava che potesse soffrire. No, lei era Lydia, la marionetta di ghiaccio. Da quando la madre le era morta erano rimasti solo lei e suo padre e lui non aveva mai fatto nulla che potesse giovare alla figlia.

Colma di rabbia scese nel seminterrato, alla ricerca di qualcosa da spaccare. La trovò: un'asse di legno, ferma, appoggiata al muro. “Perfetta. Sarà la mia nuova vittima.” penso avvicinandosi ad essa e stringendo i pugni. La spostò in una parte di muro in cui c'era più spazio, e senza neanche fasciarsi le nocche, le mollò il primo pugno. Poi il secondo, il terzo, il quarto... continuò così finché non si vide il sangue uscire dalla pelle. Lo osservò per un po' con nervosismo. Ma poi lo ignorò e ricominciò a prendersela con quel pezzo di legno.

Ad un tratto sentì bussare alla porta. Si fermò, col sangue che gocciolava sul pavimento freddo in marmo dai pugni serrati. -Che c'è, papà?!

La porta si aprì piano, ma non si mostrò il volto del padre. -Non credo che tuo padre busserebbe...- no. Non era proprio suo padre, ma il suo unico migliore amico. La sua unica luce in quelle tenebre. Christian. Si fissarono per un po', poi lui abbassò lo sguardo sul pavimento e scosse la testa con disapprovazione. -Lyd, ma che combini?

Le si avvicinò e prima che lei potesse rispondere o scoppiare in un pianto rabbioso, lui la abbracciò, lasciandola impietrita. Perché, si chiedeva, perché non aveva qualcun altro nella sua famiglia come lui che capisse tutto al volo e che la abbracciasse senza dire nulla? Perché aveva un padre come quello? Così cattivo.

L'amico si staccò da lei e la fissò dritto negli occhi marroni. -Che occhi lucidi.

Lei abbassò lo sguardo sulle sue mani sanguinolente e con voce tremante gli chiese: -Come sei entrato?

-Beh...- cominciò lui. -Mi aggiravo per delle strade deserte quando ho visto un uomo buttato a terra nella via che portava alla tua casa, ma pensa che fosse un caso. Poi mi viene incontro un uomo rosso in viso, quasi correndo, che rischia di sbattermi contro se io non mi scosto in tempo.- si accigliò. -Doveva pur essere successa qualcosa... e così mi sono diretto qui, e mi sono accorto che la porta era aperta... ho sentito dei rumori provenire da qui giù, e... puff! Eccoti qui, con le mani impregnate di sangue, intenta a prendertela con una povera asse di legno.- la fissò, poi addolcì la sua espressione. -Vieni, mentre che ti aiuto a porre rimedio alle tue mani che rischiano di sgretolarsi a terra mi racconti.- le circondò le spalle con un braccio e salirono al piano superiore, mentre lei cercava di formare delle frasi sensate. Quando riuscì a raccontare tutto all'amico, questo le stava già fasciando le ferite, anche se in silenzio e completamente serio.

-Per quanto tu possa essere coraggiosa, hai rischiato non poco. Lyd, tu hai solo diciassette anni! Non puoi rischiare così! Persino io me la farei sotto in una situazione del genere!

Lydia inarcò un sopracciglio.

-Ehm, ok, forse gli spaccherei la faccia allo stesso modo in cui lo hai fatto tu...- ammetté lui. -Ma la cosa non cambia. Hai rischiato, e da una parte tuo padre ha ragione: non puoi gironzolare tutta sola per le strade di una città in piena notte. Poi che lui sia un idiota non c'è ombra di dubbio, e sulla sua violenza su di te sono totalmente contrario. Eppure, vedrai che capirà.

-Ma per favore, Chris! Quando mai si è sforzato di apprezzarmi? O capirmi, per lo meno. Mai. E così sarà per sempre.- abbassò lo sguardo sconsolata.

-Su, su.- lui glielo rialzò. -C'è qui il tuo Christian che ti sta accanto.- lei si raddolcì, facendo comparire sul suo viso un sorriso velato da uno strato di malinconia.

Il ragazzo, vedendo che non riusciva a strapparle un sorriso sincero, le si parò davanti con la faccia più buffa che potesse fare, gonfiando le guance e strabuzzando gli occhi. La fece scoppiare a ridere.

-Ecco, è così che ti voglio vedere.- sorrise soddisfatto.

Lei sospirò, scuotendo da un lato all'altro leggermente il capo, pur sorridendo.

-Ora promettimi una cosa, Lyd.- tornò serio. -Promettimi che non farai più una cosa del genere alle tue mani.- Lei aggrottò la fronte, si fissò le mani calde e pulsanti a causa del dolore, ormai arrossate. -Promettimelo Lyd.

Lei alzò lo sguardo. -Promesso.

Christian si illuminò, e alzandosi, le prese la testa e la strofinò contro le sue dita, a mo' di fratello maggiore.

-Ahi! Chris, così mi stacchi la testa!- rise lei.

-E' che a questa zucca serve un po' di sale!- esclamò lui, sfregando le dita tra i capelli della ragazza, ormai completamente scombinati.

La rendeva felice pensò Lydia, mentre scoppiavano a ridere insieme. Era l'unica persona di cui poteva fidarsi, l'unica che la rendeva felice nei momenti più bui che potesse vivere. L'aveva trovata accasciata contro un muro in una fredda sera di gennaio, e si era subito interessato a lei. E da quel momento non aveva più smesso di prendersi cura di lei, e di farla sorridere in ogni momento.

  
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