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Autore: Phenex    04/12/2012    1 recensioni
L'innocenza e l'ingenuità a volte possono portare anche ad amare la follia e la spietatezza di chi ci sta intorno. Terrence, un giovane adolescente appena trasferitosi, si ritroverà a vivere in un incubo fatto di segreti e paure, dove le emozioni si confondono con la follia e la follia si trasforma in terrore senza fine. Quando il ragazzo scoprirà una verità scioccante su di un tragico omicidio lui e la sua famiglia scivoleranno dritti all'interno di una mente contorta e spaventosa.
Genere: Drammatico, Horror, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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< Sei una bambina cattiva Samantha, hai di nuovo macchiato le coperte! Quante volte devo ripeterti che non si gioca in camera nostra? >

Sembrava quasi buffo che quelle fossero le uniche parole che vibrassero all'interno della mente di una bambina che, sopraffatta da un incubo notturno, si era recata in camera dei genitori trovando le lenzuola sporche di rosso. Chissà, magari una splendida creatura alata sarebbe potuta scendere dal paradiso per ricordarle che il sangue, come diceva sempre suo fratello Edward, è una brutta macchia, difficile da mandare via. In realtà il ragazzo non si era mai riferito a macchie reali, visibili come quelle dell'erba sui pantaloni o quelle d'olio sulle camice, bensì alle macchie che potevano generarsi nell'anima di qualsiasi essere vivente se corrotto dalla collera, dall'avidità e di quanto più di cattivo potesse esserci in quel mondo impuro. Quelle erano macchie difficili da pulire, tuttavia Samantha non era preoccupata come quando macchiava quelle candide lenzuola con i pastelli, questo perché mamma e papà non avrebbero potuto infuriarsi con lei per quegli enormi aloni scarlatti sul loro letto dove, per l'appunto, giacevano immobili con gli occhi rivolti all'indietro, le braccia contorte in un impulso difensivo dovuto al sistema nervoso e la bocca spalancata in quello che sarebbe potuto diventare un urlo di terrore se solo la lama argentea del coltello non avesse loro tranciato la gola prima che questa potesse dare fiato ad un qualsiasi suono.

Le mani del fratello, anch'esse imbrattate di sangue, si posarono sulla piccola Samantha, tingendo di cremisi la sua bianca vestaglia da notte. Nessuna reazione, nessun tremore, neanche un singhiozzo pervase la bambina, mentre sentiva il petto di Edward premere contro la sua schiena e le braccia avvolgerla in una stretta macabra ed affettuosa allo stesso tempo.

< Mamma e papà erano così sporchi non è vero Samantha? Avevano esagerato, non dovevano, hanno tentato di stroncare la nostra catena. Ti proteggerò io sorellina, a te non accadrà mai niente e staremo insieme, non ti lascerò mai sola. >

 

 

Crimson

-Legami indissolubili -

 

 

 

Capitolo primo: Amore fraterno

 

Era passata una settimana da quando la famiglia Stuart si era trasferita in quel luogo pacifico che era Crimson Garden, uno dei luoghi più verdi, pacifici e periferici dell'Inghilterra, ma già tutti i componenti della famiglia si erano abituati a vivere in quella tranquillità quasi disarmante per chi, come loro, proveniva da città piene di trambusto. Tuttavia, all'interno della famigliola felice c'era qualcuno che, al contrario degli altri membri, aveva trovato, e trovava ancora, la scelta di trasferirsi in periferia una grandissima idiozia: il primogenito Terrence.

Terrence aveva quindici anni compiuti da poco, i capelli castani, riccioli e gli occhi verdi. Era un ragazzino sveglio, brillante e popolare, insomma aveva tutti i requisiti sociali necessari per vivere all'interno di una società numerosa e problematica. Da quando era giunto nella nuova casa, il giovane Terrence trascorreva gran parte del suo tempo all'esterno, cercando disperatamente di rimpiazzare le sue partite di calcetto al parco con gli amici con continue escursioni della zona. Inutile dire che, per i suoi standard, quello era un pessimo rimpiazzo per il suo tempo libero. Nell'arco di cinque giorni aveva infatti già esplorato tutto il piccolo paese poco distante dall'abitazione, la foresta che lo divideva da esso e gli interi ettari di terra dove sorgeva la nuova casa. Inutile era stato il tentativo di cercare qualche coetaneo per passare il tempo, visto che gran parte degli abitati erano persone anziane che volevano solo attendere la morte in tutta tranquillità, anche se, per lo meno, qualche simpatica vecchietta si era presa in simpatia sua sorella minore Jessie ricoprendola di dolciumi fatti in casa a cui anche Terrence poteva attingere senza farsi troppi problemi.

La piccola Jessie aveva otto anni, occhi color nocciola, pelle candida come la neve e lunghi capelli biondi come quelli della madre che la vestiva con abiti lunghi ed agghindati che la facevano somigliare ad una bambola di porcellana. Il rapporto tra i due non era però roseo. Lei infatti aveva un carattere totalmente diverso da quello del fratello, era timida, impacciata ed estremamente paurosa. Al contrario Terrence non aveva mai avuto problemi a farsi strada nelle amicizie e nelle situazioni più sgradevoli o pericolosi, ciò lo aveva portato ad ignorare totalmente i problemi della sorella minore che si ritrovava molto spesso a piangere per i suoi insuccessi. La piccola, nonostante notasse il continuo menefreghismo del fratello, sembrava però molto attaccata a lui e, specie negli ultimi giorni, lo seguiva ogni volta che varcava la soglia di casa per fare un'escursione.

Quel giorno Terrence era determinato a raggiungere la enorme villa dei Crimson che si ergeva sulla cima di una collina verde che sovrastava casa sua da dove era possibile vederne l'ampio tetto scarlatto baciato dai raggi solari ed accerchiato dagli alberi verdi. Aveva sentito dire che nella villa viveva un solo esponente della famiglia di nobili, un tempo formata da quattro persone: due figli, un maschio ed una femmina ed i due genitori; in quel momento però, dopo un tragico incidente, vi era solo il figlio maggiore di nome Edward. Circa due anni prima i genitori erano stati vittime di un delitto estremamente cruento, mentre la figlia Samantha Crimson, era stata misteriosamente rapita. Questa era stata la testimonianza di Edward Crimson che a quei tempi aveva solo diciannove anni e si ritrovava a gestire un gigantesco patrimonio.

< Terry! Aspetta, è difficile arrampicarsi qui! >

Esclamò la piccola Jessie, arrancando sopra l'erba verde che andava a tingerle lo splendido vestito rosa. Terrence tirò un grosso sospiro e fece finta di nulla, continuando la sua scalata facendo lunghi passi per distanziare ancor di più quella palla al piede.

Il sole estivo splendeva nel cielo azzurro, emettendo forti ondate di calore ed illuminando gli alberi ed i cespugli che sembravano quasi luccicare a loro volta. Quello era uno dei motivi per cui Crimson Garden era ritenuto uno dei luoghi più tranquilli e belli di tutta la Gran Bretagna, ma ovviamente della bellezza e della tranquillità a Terrence non importava nulla, lui voleva divertirsi, passare del tempo con i suoi coetanei e magari con qualche ragazza se ce ne fosse stata l'occasione. Invece era costretto a trascorrere le sue amate vacanze estive con quella bimba priva di carattere e di forza d'animo.

< Siamo arrivati, datti una mossa. >

La ammonì il ragazzo, spiccando il balzo che lo portò finalmente a vedere l'entrata dell'enorme villa. Si trattava di una splendida costruzione ottocentesca con tanto di archi e colonne, incorniciata da uno stupendo giardino agghindato da numerose siepi e file di rose tutte perfettamente curate.

< Terry aiutami! Sto scivolando! >

Si lamentò ancora Jessie, nel vano tentativo di attirare l'attenzione del fratello che sembrava avere dei timpani immuni al suono della sua voce. Terrence era però rimasto talmente incantato dalla visione della lussuosa abitazione che qualsiasi suono gli era indifferente anche se, come suo solito, avrebbe comodamente ignorato quell'ennesima lamentela.

Quando la bambina riuscì finalmente a poter ammirare la villa, rimanendone estasiata addirittura più del fratello, quest'ultimo si era già incamminato all'interno del giardino senza curarsi minimamente del fatto che quella fosse una proprietà privata.

< Hai mai visto un posto più grande di questo? E io che pensavo che la nostra nuova casa fosse troppo grande per quattro persone. >

Osservò il ragazzo, sentendo la sorella avvicinarsi dietro di lui con passo svelto. La piccola non aveva il coraggio di far notare al fratello che non doveva entrare neanche in giardino senza permesso, perciò sapendo che la situazione poteva rivelarsi pericolosa o dannosa, si limitava a stargli appiccicata nella speranza che, se fosse accaduto qualcosa di spiacevole, la avrebbe difesa lui.

Per Jessie suo fratello era una icona molto importante, una sorta di idolo da imitare. Lui era simpatico, bravo a scuola, pieno di amici il modello perfetto da cui trarre ispirazione. Tuttavia, nonostante i numerosi sforzi, la piccola non riusciva mai a fare breccia nel cuore di Terrence che faceva di tutto per respingerla, insomma Jessie non riusciva ad ottenere quell'amore fraterno che tanto desiderava sin da quando aveva memoria.

< Lepre... >

Mugugnò la bimba, indicando con una mano una lepre che gironzolava nell'erba poco distante da loro. L'animaletto fu immediatamente spaurito da un urlo di Terrence che si lanciò all'inseguimento con trepidazione ed entusiasmo. Dava la caccia ai scoiattoli nei parchi di città da quando aveva sei anni, prendere una lepre non sarebbe stato così differente e poi una caccia sarebbe stato qualcosa di utile per ammazzare il tempo e per esplorare i dintorni della villa.

Il piccolo animaletto schizzò con rapidità in mezzo ai cespugli che Terrence non si curò neppure di saltare. Sentiva alle sue spalle le urla di Jessie che lo implorava, come ogni volta che si trattava di animali, di lasciare in pace la lepre, ma lui non si curava certo di prestarle attenzione. Alla fine la preda si mise in trappola da sola, finendo contro una delle mura laterali della villa dove, a contatto con il terreno, vi era una piccola feritoia che doveva collegarsi ad una cantina buia. La finestrella però non poteva rappresentare una via di fuga per la lepre, allorché dotata di tre sbarre di ferro troppo strette tra loro per consentirle di passare.

< Adesso ti porto a casa piccoletto, non avere paura. >

Sussurrò Terrence, avanzando lentamente verso la sua preda che stava per catturare con una certa soddisfazione. Tuttavia quando fu abbastanza vicino da poter tentare una presa fulminea qualcosa fuoriuscì improvvisamente dalle sbarre della feritoia facendolo sobbalzare dallo spavento. Un braccio magro, sporco, con lunghe dita ossute dalle unghie rotte e marcate di nero si avventò sulla lepre ignara afferrandola per il collo. L'animale tentò di liberarsi scalciando disperatamente, ma il braccio cominciò a strattonarlo con forza contro le sbarre troppo piccole per il suo corpo. La schiena ed il cranio della lepre sbatterono violentemente più e più volte sino a che un sonoro "crack" non si fece sentire, risuonando nelle orecchie di Terrence come un suono acuto ed atroce, insopportabile all'udito. Il corpo peloso e morbido si ripiegò su se stesso sino a che il braccio misterioso non riuscì a farlo passare all'interno della feritoia.

Terrence crollò involontariamente a terra, ancora incapace di comprendere a pieno cosa aveva appena visto. Nell'oscurità dietro quelle sbarre c'era qualcuno? Ma chi? Non poteva trattarsi di un uomo visto che quell'arto esile e pallido era talmente minuto da poter attraversare quelle fitte sbarre. La sua immaginazione cominciò a giocargli brutti scherzi per qualche secondo, poi deglutì e con una certa riluttanza si avvicinò tremolante alla feritoia incapace di non udire quella voce che lo intimava ad andarsene o a lasciare perdere. Quando fu abbastanza vicino portò il viso verso le sbarre e cercò di scrutare nell'oscurità più nera. Un rumore, simile ad un gemito, seguito poi da quello della carne che viene masticata lo guidò verso una sagoma accovacciata in un angolo, intenta ad avventarsi sul cadavere sbudellato della lepre di poco prima. Tuttavia il buio rendeva completamente anonima quell'immagine tetra e stomachevole, così Terrence si portò una mano dentro la tasca dei bermuda e tirò fuori il telefonino. Se avesse scattato una foto con il flash avrebbe potuto rendere visibile nello scatto ciò che le tenebre gli impedivano di vedere. Con mano tremante e con un "ma perché lo sto facendo?" marchiato nel cervello, fece passare il telefono oltre le sbarre per poi premere il tasto per scattare la fotografia. Il lampo biancastro invase l'intera stanza illuminando per un secondo quegli occhi rossastri e quel corpo magro, cadaverico e pallido come i lunghi capelli scompigliati ed ispidi che scendevano lungo la schiena di quella che sembrava essere una bambina della stessa età di Jessie. Le labbra sporche di sangue ed i denti infilzati nel corpo inerme della lepre sarebbero stati per Terrence un buon pretesto per vomitare, ma quando una mano si poggiò sulla sulla sua spalla la sensazione di vomito si trasformò in terrore che lo fece impulsivamente scattare in piedi facendogli scivolare di mano il telefono che cadde all'interno dell'oscura cantina.

< Sei pazza Jessie? Cazzo guarda che casino che hai combinato! >

Urlò rabbioso, una volta resosi conto che ad averlo sorpreso e spaventato altri non era stato se non quella stupida palla al piede di sua sorella che lo scrutava con sguardo spaventato e continuava a strattonarlo in modo quasi disperato, incurante degli insulti e dei rimproveri.

< C'è un signore... >

Lo avvertì con voce tremolante, prima che una voce maschile non risuonò per tutto il giardino della villa.

< Chi c'è?! >

Chiese la voce, facendo venire il cuore in gola a Terrence che, dopo quello che aveva visto non voleva restare un minuto di più vicino a quella villa. Dimenticandosi di aver perduto il cellulare ed afferrando la sorella con la mano cominciò a correre a perdifiato.

 

 

-

 

 

Edward Crimson aveva appena finito di asciugarsi i lunghi capelli neri dopo la doccia mattutina quando aveva udito dei rumori provenire dal giardino. Per precauzione, vista l'anormalità di ricevere visite in quel posto, si era infilato nella tasca dei pantaloni un grosso paio di forbici da cucina per poi uscire all'esterno. Per un secondo gli era sembrato di vedere una piccola bambina, vestita come una nobildonna, correre dietro i cespugli che portavano al lato destro dell'abitazione ma, una volta giunto sul posto, non trovò nessuno ne ottenne risposta alle sue urla.

La sua attenzione fu poi attratta da un debole fascio luminoso che proveniva dalla feritoia della "camera" di sua sorella Samantha. Un brivido gli corse lungo la schiena, qualcuno era entrato all'interno della villa ed aveva visto sua sorella? E forse adesso si trovava proprio lì con lei? Con questi pessimistici pensieri e le forbici strette nella mano destra, con la punta rivolta verso il basso il ricco ereditiere corse all'interno della propria casa per poi scendere le scale che portavano alle fondamenta, togliere i lucchetti di ferro alla porta sbarrata ed entrare nella stanza buia.

< C'è qualcuno qui con te ?! >

Gridò in tono autoritario e spaventato verso la sorella che nel vederlo si pulì con la manica della sporca vestaglia il sangue dal viso per poi indicargli il cellulare ancora acceso che giaceva a terra, poco distante della feritoia. Edward tirò un sospiro di sollievo, si avvicinò all'apparecchio e lo raccolse da terra notando l'anteprima dell'ultima foto scattata: sua sorella intenta a sbranare una sorta di animale selvatico appena catturato.

< Devono essere stati quelli nuovi, so che hanno un figlio piuttosto irrequieto. >

Dedusse, chiudendo il telefono ed infilandoselo in tasca. La sporca e cadaverica sorellina si avvicinò a lui, afferrandogli la mano con tutte e dieci le scheletriche dita.

< Volevano portarmi via? >

Mugugnò tristemente, poggiando la testa sul dorso della mano del fratello che si chinò su di lei sino a sedersi, per poi farla accovacciare sul suo grembo, accarezzandole i capelli sporchi ed annodati.

< Hai ucciso tu la lepre Samantha? >

Chiese in tono calmo ed affettuoso, scostando i ciuffi color avorio dal viso di lei che mosse la testa su e giù per rispondergli.

< Non si uccidono gli animali, poverini. >

La rimproverò, senza però cambiare tono di voce, quasi come se le stesse spiegando qualcosa di semplice. La bambina strinse la presa sui vestiti del fratello, poi posò l'attenzione dei suoi occhi scarlatti sul cadavere sventrato della lepre.

< Perché? >

Sibilò debolmente.

< Mamma e papà erano più indifesi di lei... >

Aggiunse poi, ritrovandosi improvvisamente avvolta in un forte abbraccio che la costrinse a schiacciare il viso contro il petto magro e scheletrico del fratello.

< Non dobbiamo parlare di questo Samantha, non dobbiamo. Loro volevano portarti via da me, volevano mandarti via da qui. >

Delirò Edward, stringendo sempre più forte a se la sorella che, magra come era, riusciva a malapena a sentire la stretta rinforzarsi sulle sue spalle.

< I genitori sono cattivi. Specie con i fratelli e le sorelle. Erano invidiosi perché noi eravamo una cosa sola e loro erano di un gradino inferiore, se la sono meritata quella fine. >

Continuò a parlare, mentre la piccola sollevava la testa per sbattere la fronte contro la sua. La piccola Samantha amava suo fratello, lo amava talmente tanto da non poter neanche percepire i torti che le faceva, si sarebbe lasciata uccidere da lui senza neppure difendersi. Suo fratello era l'unica persona di cui si fidava e non voleva vedere nessun altro perché le persone fuori dalla villa erano sporche nell'anima, corrotte e spietate verso il prossimo.

< Ti amo fratellone. >

< Ti amo anche io sorellina. >

   
 
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