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Autore: screaming_underneath    04/12/2012    13 recensioni
Rachel. Rachel, Rachel, Rachel. Quel nome non ti è uscito dalla testa neanche per un secondo, da quando il Fattaccio è successo.
Sei scappato via dalla spiaggia, correndo col culo nudo al vento – Rachel.
Ti sei barricato in camera tua, rannicchiandoti sul letto con gli occhi sbarrati – Rachel.
Ti chiesto, oh, come minimo un milione di volte il fottutissimo perché. Tra tutti i Lupi della riserva, tra tutte le donne del mondo – Rachel.
Mentre scivolavi nel silenzio della notte in cucina a mangiarti un panino, senza farti vedere da tuo padre – Rachel. Durante una pausa pipì – Rachel.
Tra le pagine dei libri di scuola: “Il processo di decadimento – Rachel – è un insieme di processi fisico-chimici – Rachel – che blablabla... – RACHEL!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Paul Lahote, Quileute, Rachel Black, Sam Uley
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
- Questa storia fa parte della serie 'Battlefields'
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[Questa storia partecipa al contest "The Life Of The Wolf", indetto da Erika8304 sul forum di EFP]
Nickname: screaming_underneath / LaViSvampita (forum) 
Titolo: Random time 
Personaggio: Paul 
Prompt: Imprinting 
Rating: Arancione 
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Romantico 
Avvertimenti: nada 
Introduzione o note d'autore: Di come Paul si ritrovò a che vedere con l'imprinting, ma sopratutto con Rachel Black. 




 

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Random time

 

"La radioattività, o decadimento radioattivo, è un insieme di processi fisico-atomici attraverso i quali alcuni nuclei atomici instabili o radioattivi decadono (trasmutano), in un certo tempo aleatorio detto tempo di decadimento, in nuclei di energia inferiore, raggiungendo uno stato di maggiore stabilità con emissione di radiazioni ionizzanti...".
Ulcerazioni. Sterilità. Mutazioni genetiche a carico del DNA e dell'RNA. Neoplasie. Alterazioni delle funzioni e degli apporti degli oligoelementi nel metabolismo organico – eh?
"L'avvelenamento per radiazioni nell'uomo si manifesta generalmente in una fase prodromica non letale nei minuti o ore seguenti l'irradiazione. Questa fase dura da qualche ora a qualche giorno e si manifesta sovente con sintomi, quali diarrea, nausea, vomito, anoressia, eritema. Segue un periodo di latenza, in cui il soggetto appare in buone condizioni. Infine sopraggiunge la fase acuta...".
Insomma, un bello schifo.

Chiudi con un sospiro il libro di chimica e ti appoggi pesantemente allo schienale in plastica della sedia, facendolo scricchiolare in modo preoccupante. Ti dimentichi sempre che adesso non sei più il ragazzetto magrolino che eri quando l'hai comprata, in svendita in un negozietto di articoli da ufficio di Tacoma.
Irrequieto, balzi in piedi, iniziando a camminare per la stanza.
Un passo, due passi, tre passi, quattro passi... Cinque passi da licantropo tra la scrivania e il letto – sfatto, ma tanto, chi ci fa più caso? Tuo padre no di certo, e per te vige la regola del "Perché rifarlo se ogni notte torno ad usarlo?".
Un passo, due passi... tre passi e mezzo. La distanza tra il letto e la finestra che dà sul cortile interno, quello divorato da erbacce spinose. Ti dovrai ricordare di dare una ripulita, prima che i vicini chiamino una ditta di disinfestazione al posto vostro. Sei sicuro di avervi visto scorrazzare almeno una dozzina di piccoli topolini, così come sai che il gatto dei Littlesea non è ingrassato mendicando cibo da altre case, ma semplicemente scoprendo che il vostro giardino è un banco macelleria ben più fornito della sua ciotola di casa, per di più aperto a tutte le ore.
Un passo, due passi.. tre passi. Adesso sei di nuovo al centro della stanza e il libro di chimica, chiuso ed abbandonato, pare accusarti proprio come tutto il resto. Persino il poster di Megan Fox, figa e strafiga nel suo costumino di tre centimentri quadri contati, scuote la testa delusa. "Niente fantasie zozze quest'oggi per Paul, no-no-no."
Inutile, non riesci neanche a studiare come si deve. Ti senti proprio come l'uranio 238: in piena caduta, o anzi, per meglio dire – la tua prof, quella vecchia ciabatta, ne sarebbe fiera – in pieno decadimento.  Per non parlare della radioattività. Quella ne hai così tanta in corpo che basterebbe a far ticchettare un contatore Geiger ficcato nel sedere di qualche eschimese mangiafoche del Nord Alaska, tic-tic, tic-tic.
"Il prossimo obbiettivo qual'è, Paulie? Fonte rinnovabile di energia per i bambini del Terzo Mondo o saltiamo a piè pari la parte dell'intrepido filantropo ionizzato dal cuore d'oro e ti lasci affogare nell'autocommiserazione come fai sempre?" Sbuffi. Nada, persino il tuo Lahote interiore non riesce a tirarne fuori una di quelle buone, oggi. Gli si deve essere seccata pure la vena ironica, oltre al cuore e qualunque altro strano organo o apparato concernente le emozioni umani.
"Cazzo, fai proprio schifo, amico. Hai l'empatia di un tostapane bruciato." Ecco. Già meglio, se non pensi che alla parola toast il tuo stomaco ha fatto una capriola al contrario con doppio avvitamento e giro della morte. Quante ore saranno che non metti qualcosa sotto i denti? L'orologio segna le diciassette e zeronove, e il calendario – quello con una Miranda Kerr anche troppo vestita per i tuoi gusti – afferma che sono passati almeno tre giorni da quella cosa lì, quella che ti fa sentire come se avessi ingoiato una barretta di uranio radioattivo spaccaviscere.
Tre giorni tre, che non esci di casa. Anzi, precisiamo. Tre giorni tre, che non esci da questa stramaledettissima stanza – tapparelle abbassate e tende tirate nel migliore spirito da eremita – giusto il tempo di una pisciatina e un panino al volo, neanche fossi uno schifoso succhiasangue con problemi di tanofobia.
Con un gemito piuttosto lupino, ti lanci di nuovo sul letto, sbattendo i talloni di malagrazia a terra. Materasso troppo corto, membra troppo lunghe. Se non fosse che già non ti rivolge la parola, potrebbe essere una buona scusa per cui litigare con tuo padre. Sono quasi otto mesi che ti lamenti riguardo al fatto di dover cambiare il mobilio per adattarlo alle tue nuove misure, ma lui pare troppo occupato a sospirare e stringersi nelle spalle e borbottare con tua madre al telefono di alimenti e spese legali dalle cifre esorbitanti.
Forse dovreste anche ritinteggiare le pareti. C'è una macchia di muffa nuova, sul soffitto, che deve essere apparsa durante l'ultima settimana, colonizzando una nuova porzione del vecchio intonaco e... "Ma a che cazzo sto pensando?"
«Paul! Telefono!» La voce di Chuck Lahote ti trapassa le orecchie, assieme al trillo del maledetto cordless, proveniente direttamente da sotto il tuo letto. Anche questa è una cosa che odi – urlare, urlare. Tuo padre non sa fare altro, come se non sapesse che ci senti anche troppo bene. 
Non ti prendi neanche la briga di grugnire una risposta: hai detto chiaro e tondo che non volevi parlare con nessuno, prima che L'Eremitaggio avesse inizio. 
"Magari è Mark che vuol sapere come sto." È un pensiero talmente sciocco che quasi ci credi, in un primo momento. Anzi, vieni persino pervaso da un gran senso di liberazione, come se la sola consapevolezza di poter avere un paio di orecchie amiche predisposte all'ascolto di mezz'ora delle tue lagne ti avesse tolto la maledetta barretta d'uranio dallo stomaco, e riportato al tuo stadio naturale di non-ionizzato.
E non lo capisci, no, per nulla, non ricordi se non quando ti sorprendi a sorridere, con una mano che già abbassa la maniglia della porta.
"Mark? Chi diavolo è Mark?" Le parole che Jared ti ha rivolto qualche giorno fa bruciano ancora, come sale su di una ferita infetta. Sono le parole del Lupo, quello dentro ognuno di voi, il mostro che ha allontanato tutti, amici, parenti, fidanzate. Sono la tua filosofia di vita, quella del branco. E non c'è nulla, ormai, più importante del branco.

(C'è quella cosa.)

No. No. Non c'è.
 C'è solo Mark, l'Amico, quello con la maiuscola, anzi, c'era, prima che diventasse l'ennesima cornice svuotata della tua vita, proprio come quella che una volta racchiudeva assieme te e tuo padre. Tua madre.
Padre che ancora sbraita, nella vana ricerca di un cenno di vita da parte tua. Senti i suoi passi pesanti che salgono le scale, poi qualcosa che potrebbe essere un sospiro scoraggiato. Ti fa sorprendentemente male, quel sospiro, quasi una pugnalata in mezzo alle spalle. "Sei un grandissimo pezzo di merda, Paul Lahote. Pezzo Di Merda in Fase Irrimediabilmente Acuta, altro che radioattività."
«Paul! C'è Sam al telefono, vuol sapere perché non rispondi ai messaggi. Ci parlerei volentieri io stesso, se solo sapessi cosa dirgli... Paul? Ragazzo?» 
Ahi. Non è mai un bene quando il Grande Capo chiama a casa. Forse l'hai fatta davvero grossa.
«Digli che arrivo». Fai una breve pausa, poi aggiungi: «Scusa, papà».
È tutto quello che riesci a tirare fuori senza che le tue guance si colorino di un porpora acceso e la tua voce tremi – tremi. Da quando ti manca il fiato per pronunciare due semplici parole? Eppoi, insomma, va bene essere un figlio degenere, ma certe situazioni si potrebbero rivelare estremamente imbarazzanti per entrambi, meglio non cedere troppo tutto in una volta. Avrai tempo più tardi per farti perdonare.
Apri la porta con lentezza, a capo basso, e Chuck sta già scendendo le scale, senza voltarsi e senza replicare. Ha una macchia di capelli di un bianco perlaceo in basso sul collo che non credi di aver mai visto prima, ed è l'ennesima considerazione che ti stringe lo stomaco, in quel modo tutto particolare che solo da quando sei un Lupo conosci. "Ormai non so più niente."
Il pianterreno arriva come una zattera in un oceano burrascoso di scale, bombardate dalla luce di un Sole di cui avevi persino dimenticato l'esistenza e che pare intenzionato a bruciarti anche quel poco che ti è rimasto dell'anima, insieme alle cornee. Mezzo cieco, allunghi una mano, fai franare un piccolo ninnolo di cristallo regalo di un qualche parente di Seattle e infine raggiungi la cornetta del telefono, plastica fredda contro i tuoi quaranta gradi corporei. Dovrai parlarci sul serio, stavolta, niente più scuse. Hai fatto il coglione anche troppo a lungo.
«P-pronto?» sibili. Dall'altro lato, un vociferare lontano e un altro sospiro. Ormai sospirano tutti, quando ci sei di mezzo tu. «Sam?»
Nada. Ancora silenzio.
"Tre giorni."
Tre giorni di pieno mutismo e cellulare spento. Ronde saltate, turni da rifare, novellini da istruire e tutta la lagna dei Cullen e della situazione di Bella-corrocoivampiri-Swan.
"Cazzo, questa è la volta buona che mi ammazzano."
Infatti. «Spero che tu abbia una valida scusa, razza di incosciente senza cervello. Si può sapere che diavolo ti è successo? Cosa ti passa in quella testaccia vuota, eh?» Sam grida alla cornetta, sgolandosi. È entrato in modalità Capo Severo, ed è proprio un bel casino.
«Sam, posso...?»
«No, ascolta: sai in che cazzo di acque hai deciso di lasciarci? Pensi che sia divertente? “Usciamo di scena per un po' e vediamo che cosa succede”?» altro sospiro. Si schiarisce la voce, abbassandola di mezzo tono. «Che succede? Siamo tutti preoccupati, continui a non rispondere al cellulare e pensavamo che...»
"Ah, la paternale no, eh?"
Tutto, ma non la solfa del bravo Alfa “sono tanto in ansia dimmi quale è il problema e lo risolviamo insieme”. Quello proprio non riusciresti a sopportalo, adesso. Va bene le grida isteriche, va bene le offese – credi di meritartele, almeno un po' – ma non quelle frasi preconfezionate che vanno tanto di moda nei film e suonano bene nella bocca di Sam Uley L'Uomo quanto un maiale che declama versi in lingua originale di Dante. 
Ringhi. Il Lupo non approva, il Lupo se ne frega se quella è la voce del maschio dominante, il capo. Come sempre, è un attimo. Un attimo sei calmo e un po' teso per il fatto della strigliata, e il secondo dopo vorresti soltanto fracassare e lacerare, gridare al mondo che è una presa per il culo, tutto, tutto quello. Così stringi forte i denti, e sputi fuori: «Ho avuto l'imprinting, Sam». Lo dici talmente veloce che viene fuori come una parola tutta unita, hovutolimprintingsam, ma sai che l'altro ha capito da come rimane, ancora una volta, in silenzio. Via il cerotto, via il dolore. Giusto?
«Chi è?» Sam non sembra tanto turbato – ovvio. Ancora non sa. Allora riderà, oppure capirà il cupo stato d'umor nero in cui sei caduto.
Ti esce dalle labbra una risata che pare lo stridio di denti su un foglio di alluminio. «Ah, questo ti piacerà».

 

~


Alla fine, non affrontate l'argomento che dopo una buona mezz'ora di strigliate e questo non lo dovevi fare vari, una palla stratosferica che non potevi evitare, e il cui succo è semplicemente un “mi hai deluso, Paul, ti pensavo meno impulsivo”. Cattivo cane, non si sporca sul tappeto.
«Farai le ronde notturne per un mese. E porterai con te Seth e Collin. Non mi importa se sono due ragazzini rompiscatole. Avevo dato per scontato che tu fossi molto più maturo di loro, ma a quanto pare posso fare più affidamento su due bambini che si trasformano da due settimane che sulla mia spalla sinistra, giusto? Qualcosa in contrario?»
"No, Capo, niente di niente in contrario. Tanto qui dobbiamo fare quello che dici tu, nel bene e nel male." «No. Chiarissimo. Splendente. Scusa» mastichi le parole con lentezza, guardando verso il mare increspato dal vento. Siete seduti su di uno scoglio di LaPush, faccia a faccia, e c'è uno strano silenzio. Sam deve aver mandato i ragazzi altrove, o forse sono solo impegnati coi succhiasangue. Comunque sia, è una situazione piuttosto imbarazzante, di quelle che non augureresti a nessuno. Il Grande Capo e il suo cipiglio autorevole sono una croce che non augureresti neanche a quel cazzone del fidanzato di tua madre, quello di ventisette anni coi capelli plastificati e la macchina alla Ken Carson, per intenderci.
«Ho fatto una cazzata» precisi, dopo un attimo di pausa. Il Lupo ti fa tremare le mani, ma è tutto ok per il momento. Nessuna voglia – o almeno, quasi nessuna – di fracassare qualcosa. Men che mai il cranio di Sam, un bel passo avanti. Paulie no spacca.
«Posso fare ancora affidamento su di te, Paul?»
«Ovvio».
«Ti sei calmato?»
«Sì».
«Chi è, lei?» Cazzo, è un interrogatorio. Uno sparisce per un paio di giorni, si fa una bella gitarella nel Paese dell'Eterno Giramento di Sfere e quando torna, bam! C'è subito qualcuno che ti punta un faretto in faccia e una pistola sulle gonadi. 
La verità è che non sai come dirlo, rimanendo serio così come la situazione vorrebbe che fossi. Perché c'è questa gran voglia di ridere, sopra a tutto il resto. Ridere fino a non avere più voce e poi ridere ancora, fino a strozzarsi. "Tra tutte quelle che potevano essere, lei. Come te lo spiego, Sam Uley Il Capo?"
Scuoti la testa. «Non ridere, ok? Perché potrei iniziare a farlo anch'io, e non credo sia il momento adatto».
«Paul, ho di meglio da fare che il fungerti da confessore. Tanto lo verremo a sapere tutti, prima o poi. All'imprinting non si sfugge».
"Ma avresti voluto farlo, vero?". Sam questo non lo dice, ma è piuttosto sottinteso. Lo si capisce da come curva le spalle come sotto un grande peso a quelle parole, o anche solo come si rivolge a Leah, impartendole comandi e parlandole solo lo stretto necessario. L'imprinting l'ha fottuto, fottuto per sempre.
Non vuoi assolutamente che questo accada anche con te. È radioattivo, proprio come ti senti tu in questo momento.
«È Rachel Black, Sam».
«Ah».
Rachel. Rachel, Rachel, Rachel. Quel nome non ti è uscito dalla testa neanche per un secondo, da quando il Fattaccio è successo.
Sei scappato via dalla spiaggia, correndo col culo nudo al vento – Rachel.
Ti sei barricato in camera tua, rannicchiandoti sul letto con gli occhi sbarrati – Rachel.
Ti chiesto, oh, come minimo un milione di volte il fottutissimo perché. Tra tutti i Lupi della riserva, tra tutte le donne del mondo – Rachel.
Mentre scivolavi nel silenzio della notte in cucina a mangiarti un panino, senza farti vedere da tuo padre – Rachel. Durante una pausa pipì – Rachel.
Tra le pagine dei libri di scuola: “Il processo di decadimento – Rachel – è un insieme di processi fisico-chimici – Rachel – che blablabla... – RACHEL!
Adesso, con gli occhi di Sam Uley che ti fissano, un po' divertiti e un po' comprensivi – Rachel, Rachel, Rachel. «Jacob non sarà contento». 
Oh, tutto qui, l'aiuto. Una bella constatazione, testa di canide, ma non sai che farci.
Ghigni. «Non credo. Non lo sono neanche io».
«Questo lo presumevo. Comunque, ormai è andata». Con un gesto definitivo, Sam si alza in piedi, allarga le braccia e alza le spalle. La messa è finita, andate in pace.
«Tutto qui? “Non sarà contento”? E io ora come glielo spiego? “Ehi scusa, sai Jake, è probabile che finirò con lo scoparmi tua sorella maggiore, una volta o l'altra”?» sputi per terra, schifato. «Senti, Sam, non posso proprio. Questa... Questa cosa non fa per me. Io ho paura dei legami, hai presente? Sono... io sono per un giro di prova e cambio d'auto ancora in corsa. I sedili in pelle li cerco ancora avvolti nella plastica protettiva, niente graffi, niente bruciature né macchie d'unto del Mc. Non posso avere una ragazza fissa, capo. Sarebbe come andare in giro per il resto della mia vita con la stessa Ford scassata di Jared – sai che palla immensa?» pesti i piedi forte, imbestialito.
Già te la immagini, questa tua esistenza deprimente: sempre chiuso in casa, sempre la stessa faccia, sempre lo stesso corpo che sfiorisce e si spegne con gli anni tra le tue braccia. Sempre lo stesso Lupo, inchiodato sul posto da un cappio di amore magico che ha dell'assurdo.
«Paul?» Sam ti ha dato le spalle nel mentre che ti perdevi nel tuo monologo, ma si gira quel tanto che basta per lanciarti una di quelle sue occhiate mezze serie e mezze no, che nessuno è mai riuscito a comprendere fino in fondo. Forse neanche Emily.
«Beh?» Sei impaziente, incazzato e pure parecchio stanco. Vorresti solo raggomitolare i tuoi quasi cento chili di muscoli e ossa sul letto di camera tua e rimanere lì per il resto della tua vita, senza più tanti giramenti di Sfere. 'Fanculo al branco, 'fanculo all'imprinting e 'fanculo a Paul il Grande Lupo, l'alter-ego con la pelliccia che non inviteresti mai ad una festa o con cui non parleresti mai di come, santamiseria, quella ragazza con gli occhioni verdi abbordata a scuola sappia fare magie con le labbra che nemmeno ti sogni, solo perché è innamorato.
Innamorato, capite, Signori e Signore?
«Prova a sparire ancora una volta per una cazzata del genere e giuro che lascio campo libero su di te a Jacob. Ok? È un legame un po' più forte degli altri, non una condanna a morte. Non è scritto da nessuna parte che dobbiate essere una coppia, potete sempre... essere amici. Pensaci su, mentre sei di ronda stasera. Ti lascio da solo, se mi prometti che non fai una stronzata delle tue» concede magnanimo. Poi si gira di nuovo e in tre o quattro passi da gigante, non è già più visibile.
«Amici! Amici! Cosa pensi che debba fare, giocarci insieme a bridge?» proponi, al limite dell'isteria. Ti risponde il vento, forse anche l'eco di una risata, ma non ne sei sicuro. Sai solo che il Lupo si agita sempre più nel tuo petto, borbottando come una locomotiva impazzita. Sam ti ha piantato sulla spiaggia come un coglione, uscendo di scena in grande stile.
"E io sono fottuto. Proprio fottuto."

~


Rimani ad ascoltare il rombo cupo del mare quasi fino a notte, masticando tra te e te domande e risposte, in un gioco a premi in cui l'unico concorrente sei tu. Avevi fame, prima che il Capo ti chiamasse a casa e decidesse che era ora di rimetterti tra i ranghi; adesso hai solo un nodo di nausea che ti attanaglia le viscere, stretto. Saresti capace di non toccare cibo per una settimana, dopo tutto quel discorso.
"Potete essere amici, Paul", dice Sam. "Non deve essere la tua ragazza per forza, Paul", dice, e intanto sa bene quasi quanto te che, nonostante abbia sofferto per come è stato costretto a trattare Leah, Emily è stato un vero affarone, un pesce facile da acchiappare, tutta timidina e seriosa e devota com'è.
Ma Rachel... Rachel... Rachel. No, lei no.
CazzosmettilaPaul. Smettila di pensare a lei."
E non ci riesci. Perché, oh, andiamo, eccola là quella bastarda della verità. Quella figura nera, incappucciata e un po' paurosa con su scritto “Io Ho Ragione” sul petto, come un cartellone pubblicitario. Quella che continua a sussurrarti che sì, sì, lo vorresti sul serio, invece. Basta prendersi in giro.
Senza neanche volerlo, sovrappensiero, hai creato un grattacielo pericolante di piccoli sassi impilati, oscillanti nel soffio caldo d'aria che viene dal mare. Lo spazzi via con un colpo del piede, nervosamente. Cosa si dice ad un ragazza in casi come questi? In Caso di Imprinting?
«Rachel... ti devo parlare. Sai quando mi hai visto nudo disteso sulla sabbia, qualche giorno fa? Ecco, è una storia lunga...»
"No, troppo dispersivo. È una cazzo di adulta, non gliene frega nulla di vita morte e miracoli di un ragazzone tutto muscoli e niente cervello". Sbuffi, ti concentri di nuovo. La luna che sale ti ipnotizza, scivola sul blu profondo e freddo del mare. È piuttosto rilassante. Anche al Lupo piace. "Ritenta, Paulie."
«Rachel... ho avuto l'imprinting. Ah, dici che non sai cos'è? Ecco, vedi, è un po' come le papere di Lorenz: loro lo seguivano perché ci vedevano la mamma, io non ho il becco però in compenso mi trasformo in un lupo di quasi due metri e...»
"Occristo, Lahote! Un po' di serietà."
«La verità è che i vampiri esistono e io per qualche ragione del cazzo mi sono innamorato della sorella di un mio amico, Rachel. Vorresti uscire con me?»
"Ecco, meglio, potrebb-"
L'orologio da polso che lancia un beep ti ricorda che è ormai ora, strappandoti dalla spirale di disperazione in cui sei finito; con un gesto del tutto automatico, allenti il cinturino, sfilandotelo dal polso e ficcandotelo sul fondo dei pantaloni. Quelli te li legherai ad una zampa, giusto per avere qualcosa da mettersi una volta tornato umano. Nudo ti hanno già visto una volta, ti ha visto, e per come sono andate le cose per te da quel momento, proprio non ci tieni a ripetere l'esperienza. Sam non te la perdona, se salti di nuovo una ronda, così ti trasformi senza perdere tempo, con un solo fluido guizzo del collo. Niente di più facile, niente di più normale.
Il Lupo ha un sacco da consumare: è rimasto bloccato nel tuo petto per quasi novantasei ore, un tempo ancor peggiore che infinito, ed ha abbastanza materiale da cui tirar fuori energia nervosa. Con un balzo, ti lanci in direzione della boscaglia, costeggiandone i confini con le zampe ancora affondate nella sabbia. È il classico giro di ronda intorno a LaPush, lo avrai iniziato da quel tratto di spiaggia almeno un milione di volte. Si passa davanti casa di Sam, poi più in là quella dei Clearwater, quella dei Littlesea, casa tua – da dove ti trovi tu, si vede bene solo il comignolo più alto, quello che tuo padre ha voluto colorare di un bel rosso acceso – casa Black un po' spostata sulla sinistra... Insomma. Nulla è diverso dal solito, sempre la solita palla; c'è giusto un po' più di silenzio.
Sei davvero da solo, solo solissimo. Niente pensieri di altri che ti invadono la testa, niente distrazioni, niente intrusioni del Capo con comandi cui non puoi ribellarti, niente curiosoni che vorrebbero sapere come ti è andata, con la ragazza del Comitato Studentesco, è davvero brava come si dice in giro, è davvero così disponibile?
C'è talmente tanta pace che quasi quasi ti senti solo, abituato come sei ad avere almeno quattro o cinque dei tuoi fratelli che ti parlano sopra, sbeffeggiandosi e facendo a gara a chi la spara più grossa, a chi compie il giro più veloce, a chi racconta la barzelletta più sconcia. C'è talmente tanta pace, tanti non-pensieri, che non riesci neanche più a preoccuparti della faccenda del tuo cazzo di imprinting, dopo quasi quattro giorni che non fai altro che piangerti addosso e lamentarti di essere stato colpito da una sfiga assurda, odiando tutto e tutti solo per il semplice fatto di esistere.
C'è talmente tanta pace che quando arrivi per la seconda volta davanti alla rimessa dei Black e ti trovi lei in persona davanti, a bocca aperta e occhi sbarrati, per poco non le passi attraverso con una spallata da lupo e un grande boom e crack di ossa rotte.

 

~


«Ma sei matto?»
Rachel si sta succhiando un pollice furiosamente, guardandoti invelenita. È seduta a terra, i pantaloni sporchi di terra e i capelli corvini ridotti ad un ammasso di foglie secche e legnetti. Ed è bellissima.
Questo, ovviamente, lo pensa il Lupo. Tu sei troppo intontito e schockato per arrivare ad una conclusione del genere, non ancora, almeno.
«Mi dispiace».
«Mi hai fatto storcere una caviglia, sporcato la giacca nuova e gettato a terra neanche fossi un sacco della spazzatura. Forse mi merito qualcosa di più di un semplice “mi dispiace”, non trovi, Paul Lahote? Cos'è, ai grossi cani sbadati non insegnano la buona educazione?» ti sfotte lei, nera come un temporale.
È come se tua madre – ai tempi in cui ancora riusciva ad essere una madre seria, ovviamente – ti avesse appena sgridato per aver rubato una fetta di torta, o per aver portato una brutta pagella semestrale. Avvampi, incapace di gestire le tue emozioni come si deve. «Scusami. Non è stato intenzionale»
«Anche farti beccare nudo disteso in spiaggia non è stato intenzionale, l'altro giorno? Tanto per capire. Mi sembra che tu abbia un concetto un po' malato della frase “abbordare una ragazza”. Solitamente le si inviano delle rose o si invita al cinema, l'opzione licantropo assassino ancora non l'avevo sperimentata. Beh, se volevi stupirmi, ci sei riuscito... se è per questo mi hai fatto anche parecchio incazzare, solo che ti perdono perché la storia su questi SemiFreddi o vampiri o che diavolo sono mi affascina un bel po'. Dimmi, ragazzo-lupo, ma questa sottospecie di magia è accaduta a tutti i maschi della riserva? No perché c'è un certo Beck che è dai tempi del liceo che ci faccio un pensierino, e se è diventato figo anche solo la metà di come lo sei diventato tu sarebbe...»
«Solo ai più giovani. Se ha la tua età, non credo che si sia trasformato» rispondi secco, improvvisamente irritato da quella insinuazione. Al Lupo non piace nemmeno un po', questo “Beck”. Ti riprometti di andarlo a cercare tra le Pagine Bianche il prima possibile. «Ci sono un sacco di muscoli in giro, comunque» ti affretti ad aggiungere. "Cazzo, ci sono qui io!" 
«Ah. Che peccato». Rachel si alza, spolverandosi il fondo dei calzoni di velluto con grazia. È talmente bella che potresti pure diventare fedele, per una con un culo e una parlantina così, e alla faccia della macchina nuova coi sedili col cellophane ogni settimana.
Solo che non sembra aver afferrato bene la situazione. Hai provato a spiegargliela al meglio che potevi, omettendo un bel po' di particolari – quello importante non è stato nemmeno lontanamente sviscerato – ma non potrà continuare a fingere di non averti visto correre sottoforma di un grosso lupo dal manto grigio scuro ancora a lungo. Prima o poi crollerà, ed è di vitale importanza che tu sia presente, quando ciò accadrà. Non è solo a rischio il Segreto, ovvero il culo di tutti. Qui, di culi, c'è da preoccuparsi sopratutto del tuo.
«Rachel... questa è una cosa seria. Sei sicura di aver capito?» ti informi educatamente. Forse la forza dell'impatto contro il tuo petto di lupo le ha procurato qualche danno permanente. Non può semplicemente aver bypassato certe informazioni.
«Capito? E cosa c'è da capire? Non sono mica idiota, sai, ragazzo? Chiunque si accorgerebbe che c'è qualcosa che non va in questo posto. Tutti questi ragazzoni grandi e grossi che sembrano essere stati sviluppati in un ormonificio devono pur venire da qualche parte... anzi, guarda, grazie. Grazie di avermi tolto questo peso dal cuore. Quando l'ho chiesto a mio fratello si è talmente accigliato che ho preferito tenere la bocca chiusa. Ci mancherebbe altro che farlo sentire in colpa per aver rivelato un così grande segreto di Stato!»
Sdrammatizza. Lei... sdrammatizza. Anzi, peggio: ti sta proprio prendendo per i fondelli, e non riesci neanche a reagire. La guardi, strabiliato.
«Guarda che è una cosa seria. Hai capito? Qui si parla di vam-pi-ri!» sillabi l'ultima lettera, pronunciandola di un tono e mezzo più bassa. Se ti sentisse qualcuno...
«Beh, credo tornerò in casa e aspetterò che mio fratello si faccia vivo. Ha giusto due o tre cosette da spiegarmi» continua lei, ignorando del tutto le tue insinuazioni. Ma ci sente o cosa? Le devi aver dato una botta più forte di quella che pensavi che fosse. Con tre falcate la raggiungi, chiudendole una mano intorno ad un braccio. La tua presa non è forte, ma decisa.
«No. Non si può. Tu non avresti dovuto saperlo, Rachel. È un segreto. Jacob mi ammazza, se lo viene a sapere».
«Allora dovrebbe farlo. Se questi sono i suoi amici e questo è come tenete nascosto un “segreto”, allora forse non sei un buon lupo, o come diavolo vuoi definirti. Senti, Paul, mi hai scocciata. Sono stanca, è notte fonda e la mia passeggiatina prima della nanna se ne è andata a farsi fottere. Mi sono pure dovuta sorbire mezz'ora di una storia assurda che parla di creature che paiono uscite dall'ultimo libro fantasy horror del momento e sto ancora arrivando a concepire che mio fratello a quanto pare ha una bestia intorno alle trecento quintalate provvista di tanto soffice pelo sotto quella mostruosità di muscoli che ha tirato fuori. E tu mi vieni a dire che non posso tornarmene a casa? Spostati, ragazzo, non vuoi farti male».
Di nuovo quel tono. Autorevole. Definitivo. Sicuro di sé. Ancora una volta, non sai come comportarti. I
l Lupo vorrebbe solo baciarla, ad esempio. Baciarla ed abbracciarla ed inspirare quel profumo di fiori assurdamente buono che le aleggia intorno. Possibilmente per sempre. Paul Il Radioattivo, invece, quello che allontana le persone ed è scostante come un mucca che ha pestato i suoi stessi escrementi, vorrebbe solo lasciarla perdere, lasciar perdere tutta quella farsa ed andarsene. Possibilmente a letto e pure in compagnia.
E poi ci sei tu. Tu che hai quella parola proprio lì sulle labbra e non va né su né giù, perché ci si è proprio incastrata, accidenti a lei. «Imprinting».
"Cazzo, l'ho detto davvero. Cazzocazzocazzo." 
«Prego?»
"... Non me lo far ripetere, per favore, Rach." 
E invece ripeti, e stavolta pure a voce alta. «Imprinting. Non posso lasciare che tu vada a casa perché Jacob mi ammazza, se scopre che ho avuto l'imprinting con te. Scusami, Rachel». E otto. Sarà l'ottava volta che ti scusi, durante l'ultima mezz'ora.
Ma adesso la sua attenzione è tutta su di te, il suo corpo non più teso nella direzione opposta alle tue mani. Lascia cadere il braccio per il quale la trattieni, di botto. «Che diavolo è? Un'altra forma mitologica di cui ignoravo felicemente l'esistenza? Una malattia di voi licantropi?» grida, al limite dell'isteria. Lei, che fino a quel momento era rimasta pacata e tranquilla e aveva sostenuto la notizia della vera natura di tutti i muscoli di LaPush senza battere ciglio, all'improvviso spinge in fuori gli occhi, agitando in alto le mani. «Senti, Paul Lahote, non prendiamoci per il culo. Ti credo perché ho sbattuto personalmente contro il tuo petto peloso da cagnolone, ma non esagerare con le cazzate. C'è un limite entro il quale il divertente e il reale cambiano strada e si sfocia nel ridicolo. Da dove nasce 'sta storia?»
«Ecco... ecco. Uh. H-hai presente le papere di Lorenz?» provi ad iniziare. Sei a petto nudo e i pantaloncini che indossi ti copriranno un decimo totale della coscia, ma ti pare ti essere stato come ficcato in una asciugatrice a testa all'ingiù. Boccheggi, in cerca di aria, sobbalzando in un mondo centrifugato.
Lei fa cenno di no, impaziente. «Ok, adesso basta. Vado, ciao» dice, ma non si muove. Le hai lasciato il braccio, ma non smette di guardarti negli occhi, immobile. È curiosa.
«No? Ok. Allora, è come coi pulcini: loro escono dall'uovo e la prima cosa che vedono... la chiamano mamma. Chiaro, no? Tutti dietro a mamma chioccia, che si prende cura di lor-»
«Aspetta, aspetta! Io non faccio da chioccia a nessuno, mettiamo le cose in chiaro!»
«No, no. Tranquilla... ecco, vedi, per noi lupi non è la mamma oca. Per noi è la compagna. Insomma... la donna perfetta. Quella che si sveglia presto, ti cura la casa, devota e piena di dolcezza coi figli...» Beh, non è venuto proprio come volevi, ma almeno la spiegazione c'è.
«Devota e amorevole con i figli? IO? Ah, ragazzo». Rachel Black scuote la testa, sorride – cazzo, un sorriso così ti stende – e ti da le spalle, marciando decisa verso casa. «Credo che il tuo lupo sia difettoso, dovresti provare con l'Ufficio Reclami Licantropi. Io non so aggiustare neanche una tazza con l'attack, figuriamoci i patemi d'animo di un ragazzetto che ha la vociona da uomo da neanche un anno» ironizza. Ha ancora foglie tra i capelli, li porta talmente lunghi che le sfiorano il bacino. «Buonanotte» se ne esce elegantemente.
«No, no. Ti prego, non andartene. Aspetta ancora un attimo» la supplichi. La supplica il tuo Paul Interiore, quello tutto amore e niente cervello. Quello che si è chiuso in una camera per tre giorni solo per trovare la forza di farle quel discorso.
«Puoi accompagnarmi fino alla porta di casa. Lì mi saluterai, e andrai a casa tua, nel tuo letto, e ci dormirai sopra. Hai detto così tante stronzate che non so come non ti si sia fuso il cervello» concede senza voltarsi, facendo un gesto con le dita per invitarti a seguirla. Non te lo fai ripetere due volte.
"Sono un folle." Peccato solo che tu non sappia come terminare il discorso. Cos'altro rimane da dire? La Leggenda la sa. Dell'imprinting lo sa. Il crollo emotivo ancora non c'è stato, ma essendo che è una donna, potrebbe metterci dalle due ore ai due anni per metabolizzare la cosa.
Così arrivate al maledetto vialetto d'accesso e ancora non avete aggiunto neanche una parola e l'unica cosa che sai per certo è che il tintinnio della chiave nella sua mano sta a significare che è arrivato il momento di salutarsi, figura di merda fatta, avanti il prossimo!
«Non dire niente a Jacob» sputi fuori, l'ennesima preghiera. Cazzo, sei proprio un rammollito.
«Non dirò nulla. Buonanotte. Grazie... grazie per avermi macchiato la giacca. Ti manderò il conto dalla tintoria di Forks» annuncia lei. Poi si volta, ti sorride misteriosa e accosta la porta di casa senza far rumore, tagliandoti fuori. Proprio come non avevi programmato.

 

~


Sei talmente affogato nella tua nube di nero umor nero che te ne accorgi solo quasi a metà vialetto: la porta che fruscia, un respiro più profondo degli altri. Lottando contro l'istinto, aspetti, senza voltarti.
«Comunque, è sì».
"Eh?" È un annuncio in via ufficiosa? "Sì." Ma – sì – cosa?
«Cosa?» gracchi. “Sì”. Ma – sì – quello?
«Non era questo che volevi, abbordarmi? A me sta bene». La voce di Rachel è di una leggerezza e tranquillità disarmante.
Ti volgi, stupefatto. Devi avere due occhi come due uova fritte, con tanto di triglia lessa. «Ab-bbordarti. Certo. Ovvio. Senti, ma almeno, hai capito la metà delle cose che ti ho detto?»
Non ci credi. Oh, andiamo. Lei è Rachel Black, non può aver detto intendendo a te sul serio. "Lahote ha fatto colpo di nuovo!" 
«Sei un licantropo – o qualcosa del genere. Muscoli, caldo, fame nera. Combatti qualcosa che chiamate Freddi o SemiFreddi o vattelappesca e a quanto pare hai una qualche specie di legame feticista in cui mi identifichi come la mamma chioccia curatrice di pulcini. Sbaglio?» Scuoti la testa, stupefatto. «Bene. La risposta è sì. Frequentiamoci, vediamo come va. Non ho niente da perdere e un po' di tempo da spendere qui prima di tornare agli oneri dell'università. Non ci vedo problemi, tu?»
«Problemi? No. Assolutamente no» riesci ad esalare. Non ti sono mai mancate le parole con una ragazza, possibile che adesso che servono non ne arrivi neanche una di quelle giuste? Il maledettissimo imprinting, ti ha infinocchiato proprio a dovere. 
E pensare che ti sei fatto tre giorni di Eremitaggio, un sacco di pippe mentali e hai persino sopportato una sfuriata di Sam per questo. Un “sì”.
Il “sì”. Così, detto quasi per caso.
«Perfetto, allora. Ci vediamo domani qui da me».
«Da te?» ripeti, come un completo imbecille.
«Ma tua madre ti ha chiamato Eco? Perché sembra di gridare in un burrone. Sì, Paul Lahote di Tacoma – guarda che sono documentata, so che mi fissavi il culo da piccolo – domani, da me. Esco con te, ma prima devi dirlo a mio fratello». Si soffia via i capelli dagli occhi, soddisfatta da sé stessa. È ancora più bella, tutta scompigliata com'è.
«Jake. Ah». Cazzo, ti sei rimbecillito del tutto. Andato. Partito. Ciaociao, cervellino santo. Parli a monosillabi come un telegrafo. Stop.
«Già, tesorino caro. Prima dici anche a lui di questa cosa che è successa tra me e te e poi quello che rimane di questi muscoli senza cervello lo porto a prendere un gelato a Seattle. Guido io, ovviamente. Che dici, è buon compromesso?»

 

~


Avevi creduto il peggio.
In uno scenario – forse un tantino esagerato, ma hai sempre amato pensare in grande – Jacob ti staccava la testa dal collo per usarla come palla da bowling. Era terribile, soprattutto quando arrivava la parte della lucidatura. In un altro, ti smembrava, pezzo per pezzo, per pisciare sui tuoi poveri resti e rimontarti al contrario. Potevi quasi sentire la sua voce soddisfatta, uno “ah-ah-ah” pieno di gioia nel mentre che tu provavi inutilmente a rimetterti in piedi sulle braccia.
Ne avevi talmente tante, di ipotesi, che una volta dato il via alla scena vera e propria ne sei rimasto piacevolmente deluso.
Un semplice pugno.
Un pugno. Certo, sul naso e, cazzo, quanto fanno male i pugni sul naso! Ma anche piuttosto semplice da guarire. Una torsione a destra, una a sinistra per raddrizzarlo e un po' di geni mutaforma al lavoro. Tempo dieci minuti, osso risaldato, cicatrice scomparsa. Magia.
Un pugno e un sacco di epiteti da scaricatore di porto, molti dei quali avevi già sentito in bocca a sua sorella. Su chi abbia insegnato a chi, potresti scommettere pure tuo padre. 
Un pugno soltanto, perché Rachel si è messa nel mezzo. Dal basso del suo metro e settanta, ha afferrato il fratello per un lembo della maglietta e gli ha detto che sì, poteva offendere ma no, non poteva toccare. Perché tu sei suo, e guai al fratello minore se avesse toccato ancora qualcosa di suo
Quel pronome ti ha fatto sentire strano, come un pezzo di carne sul banco di un macellaio o un soprammobile da camera, ma non ti è dispiaciuto del tutto. Persino il tuo Paul di maggioranza – il grande mietitore di ragazzine ingenue e piacenti – è rimasto zitto e buono. Forse l'imprinting ha sedato anche lui.
«Andiamo, ti va?» ti ha proposto Rachel, lasciando libero un Jacob senza parole. E tu non te lo sei fatto ripetere due volte. L'hai presa per mano in casa Black e l'hai tenuta così fino all'auto, una piccola Ford scassata che ha visto tempi decisamente migliori – alle volte, il destino, fa battute veramente pessime, Signori e Signore.

E l'hai tenuta per mano più tardi, mentre passeggiavate con un gelato quasi sciolto ciascuno, parlando di come i Sonics avessero fatto a pezzi quei gran bastardi dei Celtics nell'ultimo incontro di NBA; e l'hai tenuta ancora dopo, tra un bacio e un altro sotto l'ombra dello Space Needle, senza essere ancora stanco; e mentre lei guidava, tra una marcia e un'altra del maledetto cambio manuale.
E quando vi siete nascosti nella vecchia baracca di un altrettanto vecchio pescatore, e le hai finalmente lasciato le dita, è stato solo per poter percorrere il profilo delle sue labbra, e del suo collo, e del suo seno; è stato per accarezzarle quella pelle bianca e morbida e le cosce lisce da toccare con la punta della lingua per farla impazzire. È stato per zittire quella voce che diceva ancora quanto fosse sbagliato, sbagliato, sbagliato, innamorarsi di una persona senza possibilità di scelta; è stato per toccare Rachel e conoscerla e dire che forse invece l'amore esiste, che basta saperlo riconoscere e allora non servirà nessun legame chimico, o magico o vincolo fisico, perché due mani unite bastano e avanzano, bastano e avanzano. È stato mentre le aprivi le gambe con dolcezza ma con la bocca la cercavi frenetico.
È stato quando l'hai stretta forte, forte, carezzandole la schiena e sussurrandole che sì, forse, forse l'avresti amata; che forse l'amavi già.

 

~


«Rach?»
Non parlate già da un po' di tempo. Siete distesi sulla sabbia della spiaggia, contate le stelle. È una giornata estiva e fa abbastanza caldo da poter stare nudi persino a sera inoltrata, se si ha la fortuna di avere un licantropo-mutaqualcosa al fianco.
«Mmm». Rachel si stiracchia, allungandosi tra le tue braccia. Ha granellini di sabbia appiccicati ad una guancia come piccole lentiggini.
«Ti devo confessare una cosa» dici serio, senza staccare gli occhi dai suoi. Hai imparato che comunicate con gli occhi molte cose in più che con le parole.
«Se è qualcosa che riguarda “mostri, vampiri & company”, non mi dire nulla. Non voglio sapere nulla che non riguardi noi due soli».
Ridi. Stavolta non ha capito proprio niente. 
Non sa proprio dove andrai a parare, così le lanci uno sguardo carico di significato, giusto per instaurare un'aura di mistero. «Non c'entrano i mostri, i succhiasanque e nient'altro. È una cosa che riguarda noi due soli. O almeno, a quel tempo ero io solo, però c'eri anche te e... Non mi guardare con quella faccia! Sto cercando di fare un discorso serio, per favore!» protesti, facendo l'offeso.
«Spara. Giuro che non ti guardo».
«Sai quando diventi romantica e parli del fatto che è stato il destino che ci ha voluto insieme, e l'imprinting e quelle menate lì sono state la naturale conseguenza?»
«Mmm-mmm. Devo iniziare a preoccuparmi, Paul?» Adesso la voce di lei è molto meno assonnata, sfiora quasi l'allarme.
«Sei stata la figura erotica della mia adolescenza, Rachel Black».
Ecco, l'hai detto. Che cretino, ma non potevi risparmiartela, 'sta cosa? Socchiudi gli occhi, preparandoti al peggio. È solo che avete fatto l'amore, e siete rilassati, e tranquilli, e non dici una cazzata delle tue da quasi due ore. Ne senti proprio il bisogno fisiologico.
Ma Rachel ride. «Lo so. Te l'ho detto, so che mi fissavi il culo da piccolo. Mi fa piacere sapere che ho monopolizzato le tue fantasie, da allora. Sei un bravo ragazzino, tu» ti gratta sotto il mento, come un micetto. E tu ridi, e cazzo, ti sei tolto un peso dal cuore davvero notevole. Tutte le volte che la tocchi ti sembra di doverle qualcosa. Anni e anni di... «Mi dispiace» aggiunge.
La guardi, sorpreso. «E di cosa? Dovrei essere io a chiederti scusa per “appropriazione indebita”, no?»
«Paul?»
«Sì».
«Mi dispiace che per me sia stato Brad Pitt. Giuro, non volermene male; se non fossi stato un ragazzino tutto capelli, giuro che saresti stato tu!» ti sfotte lei, guardandoti sorniona. Ha quello sguardo, quello sguardo che ti fa perdere la cognizione di ogni cosa. E ride, e ride.
«Ah! È così? Credo che mi terrò la mia appropriazione indebita, allora». Ti alzi a sedere, lanci ancora un'occhiata alle stelle e poi torni di nuovo in basso, tra la sabbia calda, per posarle un bacio sulle labbra. Avete tutta la notte, se lo desiderate, e già le tue dita scendono ad accarezzarla di nuovo, in quel modo che tanto le piace.
«Dì: e questo te lo faceva, il tuo Brad Pitt?» sghignazzi, posando leggero il tuo corpo sopra al suo. Le geme e non risponde. «Ti amo, Rach» sussurri.
«Forse anche io, Paul».

E se hai imparato qualcosa dalla chimica, è proprio questo: che per creare amore, da due basi non zuccherate, ci vuole tempo; ma ce ne vuole ancora di più perché esso decada, perdendo la sua meravigliosa radioattività.
E questo basta ad entrambi, allo stato attuale delle cose.

   
 
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