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Autore: ferti    04/12/2012    0 recensioni
"I pensieri migliori vengono la notte, quando tutto diventa scuro e per potersi orientare si segue la luce proiettata dai sogni,fari nelle tenebre"
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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-Superbia-
Fuori faceva freddo, le mani erano congelate e gli studenti si affrettavano ad entrare nelle aule per assaporare il tepore degli amati caloriferi, amanti insaziabili. Giulia era come al solito in anticipo, un anticipo clamoroso, ma in fondo le piaceva arrivare a scuola quei venti minuti prima. Sosteneva che la scuola era un mondo a parte quanto vigeva il silenzio assoluto e le sue aule non erano piene di teste ansiose e scosse da ormoni. Il liceo scientifico: la dimora delle paure di tutti, delle speranze ma anche della voglia di riuscire. Lei però non amava la scuola, non sperava e non temeva i professori o i voti. Lei amava osservare, ma non essere osservata. Passava costantemente in osservato, eppure memorizzava tutto. Diceva sempre che “osservare è il miglior modo per poter capire le persone” infatti a volte pareva che sapesse leggere nel pensiero.
 
Fu così che andai alla finestra, quella che era l’unica ancora di salvezza della mia giornata senza speranza, e non lo vidi subito.
C’era una ragazza vestita di azzurro, con dei lunghissimi capelli biondi ed una collana giamaicana, sembrava particolarmente agitata e fin troppo felice. Muoveva le mani in modo fluido, due sottili rami d’albero che si dimenavano come durante una tormenta, forse poteva apparire quasi esagerata se non si guardava e considerava il contesto che la circondava. Davanti a lei c’era un ragazzo alto, avrà avuto un paio di anni in più di me, forse di quinta per il piglio deciso. Capelli neri e portamento fiero, come un leone a caccia. Si guardavano in un modo a me troppo noto, lei lo desiderava, non lo amava perché se lo avesse amato lo avrebbe guardato negli occhi, avrebbe notato che lui la stava guardando e avrebbe distolto lo sguardo; invece la ragazza inclinò la testa leggermente a destra, strinse gli occhi e le labbra.
“Le persone sono facili” pensai,facendo l’errore più grosso della mia vita, e così lo vidi. Impassibile, imperturbabile, nero come la pece e come le notti più buie,con quella camminata strana: lo odiai all’istante. Si muoveva lentamente ma era fermamente deciso a non farsi capire da me. La mano stringeva in una morsa agghiacciante una sigaretta e lentamente la portava alla bocca aspirando ed espirando nuvole dense di odio puro. I suoi erano gesti automatici, semplici, meccanici, eppure sembravano sofferti e densi. Lo vidi che varcava il cancello. Dal balcone della mia classe si poteva controllare tutto il parco della scuola, era una posizione strategica per una come me. Entrato si fermò a salutare una brunetta, molto bella, forse anche una ragazza molto intelligente. La baciò sulla guancia e proseguì inesorabile il suo cammino senza sapere che una ragazza lo spiava dall’alto della sua torre (e della sua presunzione oramai disfatta dall’incontro con l’eccezione di tutte le definizioni). Quel ragazzo senza definizione non aveva nome, camminava consapevole della sua bellezza e conservava all’interno di quegli occhi neri un desiderio, una speranza oramai totalmente compressa dalla vita che scorreva lenta sul suo corpo,sulla sua stessa anima. Lo guardavano ammirate le ragazzine di prima come quelle di terza, era strabiliante e mi scosse dentro, tanto che quella notte lo pensai. I pensieri migliori vengono la notte, quando tutto diventa scuro e per potersi orientare si segue la luce proiettata dai sogni. Penso di aver dormito male quella notte, scioccata e confusa da quell’incontro così amaro e dolce allo stesso tempo.
  
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