Fanfic su artisti musicali > Marilyn Manson
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Autore: The queen of darkness    04/12/2012    2 recensioni
Ok, lo so che non dovrei con altre storie in corso, ma non ho proprio resistito. Naturalmente non ho nessun diritto di manipolare le vite di questi stupendi musicisti e so che sarà uno strazio, quindi ci tengo a sottolineare che tali eventi non sono mai accaduti sul serio, ma sono solo frutto della mia mente perversa e malata. Detto questo, spero vi divertiate
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La valigetta nera in mano, gli occhiali posati sulla radice del naso, i capelli tirati all'indietro.
Era da anni che non entrava in un'università. Era assolutamente spaesato e infastidito, per diverse ragioni: per prima cosa non era abituato a svegliarsi così presto. In secondo luogo, le scarpe erano strette da morire e terzo, il trucco gli mancava moltissimo. Anzi, forse era la cosa che più gli mancava di tutta la menata che era stata la sua vita. Un infinito gioco a rincorerre qualcosa di fatto inesistente ed effimero, che non aveva neanc'ora capito a che diavolo servisse.
Probabilmente non era mai stato tanto normale, in un sobrio completo scuro, fasciato in abiti usuali ad un uomo che lavora e che vive, il più delle volte, in modo civile. Per non dire monotono, si diceva, ma voleva negare l'evidenza.
Il bello era che progettava questa cosa da tantissimo tempo, e quando tutto era già stato portato a termine cominciava a pentirsene.
I corridoi silenziosi erano diversissimi da quelli sporchi e pieni di scritte a cui era abituato, le porte celavano solo un lieve brusio e non delle voci assordanti che si accavallavano, luci psichedeliche e pubblico in visibilio.
Si era divertito finchè era durato, ma non voleva consumarsi, perdersi nel modo in cui stava succedendo. Voleva vivere, il buon vecchio caro protagonista della sua vita fino ad allora. E chi era lui, personaggio secondario dietro le quinte, per opporsi?
Arrivò davanti ad una lucida porta di legno, e bussò discretamente tre volte, come avevano tentato di insegnarli quand'era bambino.
Odiava le porte in legno: le trovava prive di senso. Perchè una porta doveva essere elegante?, pensava.
Non serviva a nulla, dal momento che nessuno cagava minimamente l'aspetto della porta, ma solo quello che c'era dietro, ovvero una camera d'albergo, una casa o un ufficio, nel suo caso. Ma che senso aveva pulire e curare un semplice blocco fra stipite e stipite, un rettangolo a dimensioni umane che serviva a schermare l'aria tra una stanza e un'altra?
Non lo avrebbe mai saputo.
Una signora ultra settantenne sbucò fuori dall'uscio, in modo così repentino da farlo sussultare. Era così assorto nelle invettive verso la porta da non accorgersi della vecchia.
Anche lei, rifletteva, rispecchiava l'oggetto: legnosa, sottile, dritta e curata, con dei fastidiosissimi occhiali che terminavano a punta dalla montatura viola. E non un viola discreto, ma anche piuttosto aggressivo, come se lo stesse sfidando.
-E lei?- chiese annoiata.
-Sono il nuovo professore di arte-, si presentò.
Sua madre glielo diceva dalla notte dei tempi: la prima impressione che dai è la più importante. Quindi, l'aver offeso una porta, essersi spaventato davanti ad una vecchietta e non aver nemmeno salutato giocavano di certo a suo sfavore.
-Entri- concluse la megera, dandogli una rapida occhiata.
Non gli rimase che obbedire. L'ufficio, all'interno, era come se l'era aspettato.
Una scrivania essenziale che doveva costare un sacco di soldi, tappeti soffici ma vecchi, quadri pacchianissimi alle pareti e una scaffalatura assolutamente rispettabile rimpinzata di tutti i maggiori classici letterari. Non c'è che dire, vecchietta, i miei complimenti.
La donna gli fece cenno di sedersi; era leggermente claudicante, e camminava un po' curva.
La sedia scricchiolò sonoramente appena si sedette: ma perchè le brutte figure doveva farle tutte il primo giorno?
Lei si sistemò la catenella degli occhiali e scartabellò qualcosa, fogli che gli sembravano irrilevanti. Dalla finestra, come nei film, filtrava appena una piccola parte di luce dorata, che si diffondeva parzialmente a strisce arancioni sul pavimento. Rimasero in silenzio a lungo, anche perchè lui non sapeva proprio cosa dire.
-Ho capito- disse la vecchia spezzando il silenzio, ma a cosa si riferisse rimaneva un mistero. Lui sorrise cortese, mentre una volta le avrebbe urlato in faccia qualche parolaccia e buona notte. 
Strinse una mano sul proprio ginocchio, come a dire "trattieniti". Una goccia di sudore rotolò sulla sua tempia. Quanto gli avrebbe fatto piacere un bello scotch in quel momento!
-Bene, signore, il suo curriculum mi è arrivato la settimana scorsa, e devo dire che mi fa molto piacere notare i suoi requisiti- Un altro scricchiolio di sedia sottolineò il concetto. -Per me può iniziare domani
Ottimo, pensò. Il suo sorriso si allargò, ma non in modo troppo aperto, perchè aveva paura che vedesse il tremito sui suoi denti. Finalmente si accorse della targhetta dorata posata sulla scrivania. La vecchia si chiamava Miss Harper, e si chiese se non fosse veramente il suo nome e cognome, prima di darsi del cretino.
Le strinse una mano: era una persona, quella che gli stava di fronte, che non sorrideva né si scomponeva, e a lui tanto bastava. Gli ci volevano un po' di tipi professionali dopo anni di cazzoni incopetenti.
-La ringrazio- riuscì a dire. Intravide un flash nel quale reggeva soddisfatto il premio "baccalà dell'anno".
-Si figuri. Benvenuto fra noi, mister Brian Warner.
  
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