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Autore: Gan_HOPE326    22/06/2007    21 recensioni
Una breve one-shot sulla maternità di Chichi e sul modo in cui lei e Goku si rapportano al proprio essere genitori. La gravidanza sembra andare per il meglio, ma arriva una lettera...
Riflessioni, ricordi e un finale che, ne sono sicuro, vi sorprenderà!
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chichi, Goku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pre-maman

Storia scritta per un concorso del forum, ma che avevo in mente già da tanto tempo. Si ambienta nel periodo che intercorre tra Dragonball e Dragonball Z… non credo ci sia molto altro da dire, scoprirete tutto leggendo. Commentate numerosi!

 

 

Pre-maman

di Gan_HOPE326

 

L’orologio alla parete non era che un bianco e sterile cerchio, e le lancette, due brevi linee nere, scandivano il tempo con una lentezza esasperante.

Sulla parete di fronte, una ragazza magra e nervosa giocherellava con i suoi lunghi capelli neri, arricciandoli tra le dita.

Accanto a lei, una grassa signora di mezza età con le dita piene di anelli pesanti sfogliava una rivista di abbigliamento i cui modelli erano ormai passati di moda da un pezzo; uno di quei giornali d’antiquariato che si possono trovare solo negli studi medici.

La segretaria, segaligna e severa, i capelli biondicci tirati all’indietro, batteva sulla tastiera del computer con una cadenza precisa come quella di un metronomo.

Chichi continuava a fissare lo sguardo, alternativamente, sull’una o sull’altra cosa, cercando il segno di un cambiamento, qualunque cosa le facesse percepire lo scorrere del tempo in quella sala d’attesa che cominciava a sembrarle irreale. L’orologio, la ragazza magra, la signora di mezza età, la segretaria, di nuovo l’orologio.

La lancetta lunga aveva fatto un piccolo scatto in avanti: un altro minuto era passato.

Si guardò accanto. Goku stava sulla sedia in una posizione rigida e leggermente innaturale, a disagio come lo era sempre indossando abiti civili.

Vedendolo muoversi e rigirarsi alla ricerca di una sistemazione più comoda, pensò “Beato lui che sa estraniarsi da qualunque problema”; e subito dopo, “Non si preoccupa per nulla. Non capisce quanto è seria la situazione”.

Era la sua angoscia che si tramutava in rancore; ma lei non se ne rendeva conto, e continuava a inveire mentalmente contro suo marito, come se la colpa di ciò che era successo fosse stata sua.

Cercò di rasserenarsi posando le mani sul suo ventre gonfio e rotondo. Sentire la creatura che si muoveva lì dentro, in quel piccolo ambiente chiuso e liquido, nei mesi passati le aveva sempre dato un senso di calma senza pari; ma ora non funzionava più.

Quel gesto le riportava solo alla mente la lettera, e la lettera era il motivo per cui ora si trovava in quella sala d’aspetto, tremante, a implorare che quelle maledette lancette nere si decidessero a girare un po’ più velocemente, e che venisse finalmente il suo turno di entrare.

La porta si aprì, la segretaria fece un gesto. Entrò la ragazza magra, senza smettere di rigirarsi un ricciolo di capelli neri tra l’indice e il pollice.

La porta si richiuse, e Chichi pensò che il momento in cui sarebbe toccato a lei era un po’ più vicino, e ne fu sollevata, e ne ebbe paura.

 

La lettera era arrivata solo il giorno prima.

 

Quel pomeriggio, entrando in cucina, Chichi era stata leggermente stordita da una sorta di molesto fetore, di cui non riuscì subito ad identificare la fonte. Nel suo stato era diventata particolarmente sensibile agli odori, a quelli sgradevoli in particolare, e sentì subito salirle la nausea e una leggera vertigine. Dovette sedersi; non le dispiacque, anche perché, con il peso che dovevano sopportare, le sue gambe ora si stancavano molto più facilmente. Si guardò intorno con indolenza e finalmente capì cosa fosse a puzzare così fastidiosamente: il lavello, o meglio quello che esso conteneva. Pile infinite di piatti sporchi, su cui si erano ormai incrostati i resti dei pasti dei giorni scorsi, attirando sciami di insettini velocissimi che tremolavano nella luce che filtrava dalle tende semichiuse.

 “Accidenti, Goku, possibile che non si possa mai contare su di te?”

Qualche giorno prima si era sentita particolarmente male e, temendo di sforzarsi troppo e finire per partorire prematuramente, aveva stabilito con suo marito che avrebbe trascorso un po’ di tempo a letto, a riposare. Tranquilla, le aveva detto lui, penso a tutto io. Queste rassicurazioni non l’avevano convinta un granché: ed ecco la prova definitiva di come la sua diffidenza fosse motivata. Figurarsi se un ragazzo di appena vent’anni che aveva trascorso l’infanzia vivendo come un selvaggio tra le montagne poteva tenere pulita e ordinata e una casa! Sicuramente era scappato ad allenarsi da qualche parte.

Chichi si carezzò la pancia.

-         Dovrò pensarci io a rimetterlo in riga, eh, piccolo? Quando nascerai tu, io non avrò solo un bambino a cui badare: ne avrò due. E scommetto che tu sarai quello che mi darà meno grattacapi.

Sorrise e si lasciò andare alla sonnolenza che sempre le prendeva in quei lunghi pomeriggi di attesa; noiosi, certo, ma la noia era persino dolce, trascorsa in compagnia del suo piccolo passeggero, a cercare di immaginare il suo volto, se fosse un maschio o una femmina, a fare progetti su come l’avrebbe cullato, allattato, educato, a parlargli sottovoce. Come sarebbe diventato, una volta cresciuto, il piccolo… già, quale sarebbe stato il suo nome? Bah, a questo ci avrebbe pensato dopo, assieme a Goku. Alto, bello… ma non era detto che sarebbe stato un maschio, giusto? Comunque, se fosse stato un maschio… alto, bello, muscoloso no: per quello bastava e avanzava papà! Su questo Chichi era sicura, sarebbe stata categorica. Niente altri guerrieri in famiglia, niente allenamenti e arti marziali. Suo figlio non sarebbe diventato uno che lasciava i piatti da lavare alla moglie incinta per poter andare a spaccare rocce a colpi di onde kamehameha! E se fosse stata una femmina, invece? Allora sarebbe stata certamente una bambina splendida, con due occhi grandi e…

 

Si svegliò d’improvviso quando si accorse di essersi addormentata. Il collo le doleva parecchio perché l’aveva appoggiato alla spalliera della sedia in una posizione assurdamente scomoda, così girò la testa da ogni lato per sgranchire i muscoli intorpiditi, e le cadde lo sguardo sulla busta.

Non l’aveva notata, prima. Era una busta bianca e rettangolare, lasciata sul tavolo senza particolare attenzione, dove doveva averla messa Goku; sull’intestazione spiccava un simbolo che Chichi riconobbe subito come quello della clinica ginecologica di East City alla quale aveva affidato tutti i controlli sulla propria salute e su quella del bambino. I risultati delle analisi del sangue le erano arrivati pochi giorni prima, ed i valori erano risultati tutti in regola, dai dosaggi ormonali a quella malattia dal nome strano (to…toko…toxoplasmosi? Sì, le pareva si chiamasse così) che si prendeva una sola volta nella vita, e non doveva assolutamente accadere nel periodo della gravidanza, o il piccolo ne avrebbe sofferto. Era risultato, per sua fortuna e tranquillità, che lei quella malattia l’aveva già avuta anni prima senza nemmeno rendersene conto. Così, quello doveva per forza essere il referto dell’ecografia della settimana scorsa. Gliel’aveva fatta un infermiere, in uno stanzino buio del laboratorio, dove la luce aliena dello schermo e il suono ossessivo del battito cardiaco del bambino, monitorato da un altro marchingegno, le avevano messo addosso un angoscia indicibile. Dopo mezz’ora di quell’esperienza straniante l’infermiere l’aveva praticamente spinta fuori, dicendole che prima di avere i risultati bisognava che il dottore esaminasse le immagini, che comunque non c’era niente da temere, da quel poco di esperienza che aveva gli pareva tutto perfettamente normale, e in ogni caso di lì a un paio di giorni le sarebbe arrivato il referto a casa.

Senza troppa ansia, ancora immersa nella sua torpida sonnolenza, Chichi aprì la busta e ne estrasse un foglio intestato con poche righe scritte al computer. Saltò i convenevoli e lesse direttamente il corpo della lettera, costringendosi a focalizzare l’attenzione su ogni sillaba per non addormentarsi di nuovo:

 

…siamo spiacenti di comunicarLe che dall’ecografia morfologica risultano delle gravi anomalie di cui non ci pare opportuno discutere in questa sede. La preghiamo, quindi, di venire alla clinica entro dieci giorni dalla data di invio della presente, per un colloquio privato con il dr. Maeda, che si occuperà del Suo caso. Qualora…

 

Fuori soffiava un vento pigro, e il sole del pomeriggio illuminava la campagna con una luce quasi feroce. Nessun rumore nell’aria affocata, solo il silenzio.

Chichi posò il foglio sul tavolo, senza staccare gli occhi da quelle parole.

Fuori, e dentro, solo il silenzio.

 

La porta si riaprì dopo quasi un’ora, riscuotendo Chichi dai suoi pensieri. La ragazza magra, ora, sembrava avere qualcosa di diverso. Era ancora leggermente stordita, incerta nei movimenti.

In quella clinica facevano anche interventi in ambulatorio. Quelli dovevano essere i postumi dell’anestetico.

Cos’aveva di diverso?

“Sta piangendo” osservò Chichi.

La ragazza magra tirò fuori un fazzoletto con cui si sfregò frettolosamente gli occhi, asciugandosi le lacrime.

Chichi capì cos’era cambiato, in lei. Non era una cosa che si potesse vedere. Era uscita un po’ più leggera di quando era entrata. In quell’ambulatorio aveva lasciato qualcosa; qualcosa che forse avrebbe desiderato tenere con sé.

…dall’ecografia morfologica risultano delle gravi anomalie…

“Mai”, decise Chichi, guardandosi la pancia. “Qualunque cosa abbia, per quanto grave possa essere. Io non lo farò mai”.

L’aveva aspettato troppo, desiderato troppo, quel figlio. Fin da quando era bambina e cullava i bambolotti, non aveva sognato altro. Non le importava come sarebbe stato. Gli avrebbe comunque voluto bene.

Ebbe per un istante l’idea assurda che Goku potesse ostacolare questa sua decisione, e lo fissò con rabbia, come se già questo timore si fosse avverato. Poi si rese conto di quanto folle la stava rendendo la sua ansia e cercò di non pensare più a nulla.

O io stessa mi sentirò in colpa per aver immaginato tutte queste cattiverie”

 

Goku vide la ragazza che usciva dalla sala d’aspetto con passo svelto, senza guardare gli altri, cercando di nascondere le lacrime. Non capì perchè piangesse, ma gli dispiacque ugualmente per lei. Si chiese cosa avessero potuto farle, là dentro, per farla intristire tanto.

Stavolta era la signora di mezza età ad entrare. Goku osservò con sospetto la porta che si apriva per inghiottirla. Era meno preoccupato di Chichi, ma non perché ci tenesse meno di lei al bambino. Piuttosto, era diffidente nei confronti di tutti quei dottori saccenti, di quei macchinari astrusi, di quelle strane procedure cui sua moglie si sottoponeva da mesi. Potevano essere necessarie tante complicazioni per una cosa naturale come far nascere un bambino? Chichi gli aveva spiegato come una di quelle analisi avesse rivelato che il loro figlio soffriva probabilmente di qualche malattia. E se anche fosse, aveva ribattuto lui, a che ci serve saperlo prima che nasca? Chichi, a questo, non aveva risposto nulla, era semplicemente scoppiata a piangere. Goku si era pentito della propria stupidità, l’aveva consolata e aveva deciso di smetterla di infastidirla con i suoi commenti da ignorante.

“Lei queste cose le sa molto meglio di me, di sicuro”.

Si voltò a guardare sua moglie, che sembrava quasi aggrappata alla sedia, tanto era nervosa e angosciata. Tremava. Le posò leggermente una mano sulla pancia, e lei sorrise appena, ricordandosi di quando Goku aveva fatto la prima volta quel gesto, alcuni mesi prima.

 

Era cominciato tutto quando Chichi aveva rivelato a Goku di essere incinta, e lui si era ritrovato costretto a chiederle cosa volesse dire. Lei gli parlò di tutto ciò che c’era da sapere. Gli spiegò che avrebbe portato dentro di sé un bambino, il loro primo figlio, che sarebbe cresciuto nel suo ventre per un bel po’ e che, quando sarebbe venuto il momento, il piccolo sarebbe uscito (“Ma come fa a sapere quando è il momento giusto?” “E’ la natura, Goku, non preoccuparti. Le cose succedono quando devono succedere.”), e loro avrebbero dovuto prepararsi ad accoglierlo. E poi cominciò a parlare di quel bambino, come fosse già una persona vera, lì, davanti a loro, con un volto e un nome, e di tutto quello che avrebbe significato nelle loro vite un simile avvenimento.

Goku rimase perplesso. Non che non capisse cosa stesse succedendo,  solo non si capacitava del perché Chichi fosse così felice ed eccitata. Personalmente, lui non aveva mai pensato a stesso nel ruolo di padre, né trovava niente di così strano nella nascita di un bambino. Nel mondo c’era così tanta gente, chissà quanti bambini nascevano ogni giorno! Così, nonostante lui avesse cercato di mostrarsi contento, Chichi si era accorta che il suo era un entusiasmo finto, troppo esitante per essere sincero. Quando Goku era davvero felice lo dimostrava con tanto trasporto che era impossibile non esserne contagiati, la sua era una gioia spontanea e senza freni. Ma sua moglie lo conosceva troppo bene per arrabbiarsi di fronte a questa freddezza. Non ti preoccupare, Goku, gli disse, so che per ora non lo capisci, ma aspetta nove mesi e lo capirai. Per me è già vivo, è vero, è qui dentro, ma tu adesso non te ne rendi conto. Solo nove mesi, e lo capirai.

 

Invece aveva dovuto aspettare molto meno. Una sera Chichi si era abbandonata mezza addormentata su una sedia di legno, poco dopo aver cenato, mentre Goku spegneva gli ultimi tizzoni che ancora si ostinavano a bruciare nel camino con la loro luce rossastra. Ad un tratto, un tocco leggero la svegliò. Goku le aveva posato la mano sulla pancia, e aveva uno sguardo strano, confuso, sorpreso.

L’aveva sentito. Era solo una fiammella, una voce solitaria che sussurrava in mezzo alle urla di una folla infinita, quasi sommersa dall’aura molto più forte di Chichi, che la ospitava dentro di sé. Un debolissimo spirito che però lo diceva chiaro e tondo.

“Io esisto.”

A Goku non era mai capitato di percepire una cosa simile. Non sapeva cosa fare, e alla fine riuscì solo a dire:

-         E’ proprio qui dentro…

E scoppiò a ridere. Proprio in quel momento, “lì dentro”, il piccolo dovette pensare che era il caso di farsi notare, perché sferrò il suo primo calcetto, facendo sobbalzare la mamma.

-         E’ forte quasi quanto te, Goku!

Risero entrambi, e quella volta Chichi ne fu sicura, perché lui l’aveva contagiata, perché ridevano insieme, di una risata spontanea e senza freni, Goku adesso aveva capito, era davvero felice.

 

Finalmente, venne il momento. Anche la signora di mezza età uscì dallo studio e se ne andò, lasciando dietro di sé un odore strano e sgradevole, profumo misto a sudore. La segretaria consultò il suo computer premendo svelta qualche tasto, quindi annunciò che il dottor Maeda era pronto per il prossimo consulto.

-         Tocca ai signori Son, adesso. – precisò.

Chichi strinse forte la mano di Goku e insieme si alzarono e imboccarono la porta. C’era un corridoio lungo e bianco, dopo, pieno di porte chiuse; in fondo, finalmente, c’era lo studio del dottore, e la risposta al dubbio che li assillava entrambi. Si sedettero sulle poltroncine, giusto di fronte alla scrivania dove il dottor Maeda si affaccendava su mucchi di carte e istantanee ecografiche.

-         Oh, voi siete i signori di… ma… sedetevi, sedetevi, prego. Sono da voi tra un minuto.

Si alzò in fretta e scappò via in uno stanzino laterale. Era un tipo smilzo, occhialuto, con i capelli troppo grigi per la sua età, che sembrava muoversi a scatti. Chichi e Goku non riuscirono a reagire a quella foga. Restarono fermi, incantati, sulle poltroncine, a guardarsi l’un l’altro.

-         Sembra molto preoccupato – osservò Chichi – Non vorrà dire che…

-         Non spaventiamoci prima del tempo. – disse Goku.

-         Sì. E’ meglio.

Finalmente, il dottore tornò. Stringeva tra le mani una busta gialla, che aprì e svuotò sul tavolo. Era piena di piccole fotografie indecifrabili, chiazze bianche e nere senza apparente logica. In alcune di esse si potevano intravedere sembianze umane: la sagoma di una testa, una mano, una gamba.

-         Ecco le ecografie. Io le ho guardate tutte, le ho guardate e riguardate e… penso che non ci siano dubbi. Sono molto dispiaciuto, ma vi invito a non disperarvi. Sono sicuro che qualcosa si potrà fare. Un piccolo intervento, subito dopo il parto, e poi… ecco…

Il dottor Maeda pareva sempre più confuso e imbarazzato. Balbettava un po’. Frugò tra le foto sul tavolo, cercandone qualcuna in particolare, fece crollare parte di quella montagna di fogli sul pavimento e alla fine si ritrovò con la scrivania più disordinata di prima, e senza l’ecografia che cercava. Il suo evidente nervosismo mise ancora più angoscia addosso a Chichi e Goku. Continuavano a stringersi le mani: e Goku, preoccupato, finì per stringere così forte che Chichi dovette avvisarlo con un gemito sommesso di allentare la presa, o le avrebbe rotto qualche osso. L’altro si scusò, e tornarono ad ascoltare il dottore.

-         Certo, qualcosa bisogna pur fare. Ma non temete, vedrete che… risolveremo tutto, ecco. Ci posso pensare io stesso. Non penso sia il sintomo di qualcosa di ancora più grave, e se il problema è tutto lì, si può sistemare, penso. Per quanto, devo ammetterlo, sia la prima volta per me… insomma, in tutta la mia carriera, e persino sui libri, non avevo mai visto una cosa simile…

-         INSOMMA, CI VUOLE DIRE COSA C’E’ CHE NON VA IN NOSTRO FIGLIO? – gridò infine Chichi, angosciata ed esasperata.

Il dottor Maeda tirò un sospiro, rassettò le carte, si ricompose. Cercò di darsi un’aria rilassata e professionale. Posò le mani sulla scrivania, davanti a sé, e si protese leggermente in avanti.

-         Vostro figlio – disse – ha la coda.

 

FINE

 

 

  
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