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Autore: giuli_vashappenin_    06/12/2012    2 recensioni
Quel giorno persi l'autobus per tornare a casa. E ringrazio Dio per la mia sbadatezza. Perché da quel giorno la mia vita cambiò. Completamente.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Correvo verso la via di casa mentre con una mano reggevo il bordo dello zaino e con l'altra cercavo di ripararmi dalla pioggia. Mi ero ormai abituata alle tipiche giornate invernali di Londra, quasi sempre fredde e piovose, anche se inizialmente era stato difficile adeguarsi alla forte differenza climatica tra Italia e Inghilterra. I primi mesi dopo il mio trasferimento erano stati parecchio difficili: abituarsi al normale uso di una lingua diversa dalla tua, il cambiamento radicale del tuo stile di vita, la perdita di punti di riferimento familiari. Ma l'aspetto più doloroso era stato la lontananza dai miei più cari amici. Nuove scuole, nuovi compagni e finalmente, anche se dopo un arco di tempo che sembrava infinito, nuove persone su cui contare. I miei capelli erano ormai completamente bagnati e così anche il mio cappotto. Erano circa le due del pomeriggio e le strade erano quasi deserte dato che giustamente la maggior parte delle persone si trovava al caldo nei vari locali, per trascorrere la pausa pranzo. Rallentai il passo, esausta, e decisi di fermarmi per chiamare mia madre, dicendole che mi sarei fermata fuori a mangiare poiché, sebbene dopo aver perso l'autobus ce l'avessi messa tutta per tornare a casa entro un'ora decente, ero davvero troppo stanca e affamata per continuare il mio percorso. Terminata la telefonata con mia madre ripresi a passo svelto la mia camminata ma purtroppo dopo pochi passi il tacco del mio stivale scivolò sul suolo bagnato. Cercai in qualche modo un appoggio esterno con cui aiutarmi a rimanere in piedi, un muro, una ringhiera: niente. L'unica mia possibilità di sostegno poteva essere rappresentata da un ragazzo a pochi passi da me che si stava dirigendo dalla parte opposta alla mia. Mi aggrappai istintivamente alla sua giacca, trascinando anche lui verso il basso. Nonostante questo gesto mi ritrovai lo stesso a terra anche se la mia caduta era stata probabilmente meno violenta di come sarebbe risultata se mi fossi trovata da sola. Mi accorsi, mentre ero ancora seduta a terra, che anche il ragazzo al quale mi ero aggrappata era caduto per causa mia, ma si era subito rialzato e ora, con aria scocciata, si ripuliva la giacca che si era probabilmente ammaccata a contatto con il suolo. Leggermente stordita cominciai a mormorare parole di scuse mentre cercavo di raccogliere i pochi libri che erano scivolati fuori dallo zaino e che ora si stavano bagnando sotto la pioggia. Guardando il ragazzo di sottecchi notai che nel suo sguardo, che si era abbassato sul mio viso, la seccatura aveva ceduto il posto ad una nota più dolce. Accorgendomi dei suoi occhi puntati su di me sollevai la nuca per studiare l'aspetto del ragazzo che mi aveva involontariamente salvato da una brutta caduta. I nostri occhi si incrociarono e potei in questo modo notare nel suo sguardo una luce familiare. Gli angoli della sua bocca si incresparono in un leggero sorriso e notai che da qualche secondo la sua mano era tesa verso di me. La afferrai per aiutarmi a sollevarmi da terra e ci ritrovammo faccia a faccia. Lo guardai imbarazzata in modo da poter osservare meglio il suo volto a cui non riuscivo però a dare un contorno definito a causa delle gocce di pioggia che ci separavano e del cappello di lana che lo copriva parzialmente. Anche la sua bocca e i lineamenti del suo viso mi sembravano stranamente familiari ma non potevo dirlo con certezza. Trovai finalmente il coraggio di parlare. -Mi... Mi dispiace, scusami!- mormorai. -tranquilla, non è stata colpa tua- rispose lui. Che voce dolce... -bè, sarei dovuta stare più attenta- -non ti preoccupare, davvero- disse con una tenerezza che mi fece abbassare nuovamente lo sguardo. Possibile che anche la sua voce fosse così assurdamente familiare? Era come se l'avessi ascoltata centinaia e centinaia di volte, era forse solo un'impressione? Dopo pochi istanti mi accorsi dai movimenti delle sue labbra che stava ancora parlando, ma le mie orecchie erano completamente sorde alle sue parole. L'unica frase che riuscii a capire fu -...è ora di pranzo e fa freddo. Io stavo pensando di andare a mangiare qualcosa in un ristorante qui vicino, se ti va...- Senza pensare mormorai evidentemente qualche parola di assenso dato che dopo pochi secondo lo vidi sorridere e dire -perfetto allora- Cominciò a muoversi e io mi misi al suo fianco in modo da seguire i suoi passi. Camminavo in silenzio accanto a lui, sotto la pioggia che si era fatta meno violenta, le mani al caldo nelle tasche del cappotto e lo zaino sulle spalle. Il mio corpo si muoveva ma la mia mente era completamente assente mentre nel mio stomaco si era creato il vuoto più totale. Cercai di prendere coscienza di ciò che era realmente accaduto: ero inciampata e per evitare di cadere mi ero aggrappata ad un ragazzo a pochi passi da me. Ma possibile che quel ragazzo fosse...? "No, non può essere" pensai "ora vi sederete al ristorante e scoprirai che quello è un ragazzo qualsiasi che per educazione ti ha invitata a pranzo con lui". I miei pensieri poco convinti vennero interrotti. -Eccoci- disse il ragazzo tenendo aperta una porta alla sua destra che dava su un piccolo ma molto accogliente ristorante che non avevo mai visto. Dopo che fui entrata chiuse la porta alle sue spalle. Non trovavo il coraggio di guardarlo in viso e mentre lui parlava ad un membro del personale per ottenere un tavolo, mormorai, fissando un punto al di là del bancone -vado un secondo alla toilette...- Dopo un suo cenno mi avviai, sempre senza guardarlo, verso una porta che avevo riconosciuto come quella del bagno, mentre continuavo a sentire i suoi occhi puntati su di me. Entrai nella piccola stanza e il mio sguardo fu attraversato dall'orrore quando si soffermò sul mio viso riflesso dallo specchio. Mi ripulii frettolosamente il viso e gli occhi da cui il poco mascara era colato, rendendomi simile a una specie di panda. Tirai fuori dallo zaino una piccola borsetta e stesi un leggero velo di trucco per cercare di rendermi più presentabile. Presi poi a pettinarmi i capelli, quasi completamente fradici, con fare ostinato. Studiai poi il complessivo risultato finale. -Un po' meglio- dissi, poco convinta. Erano passati solo pochi minuti quando uscii dal bagno; mi guardai intorno cercando tra i numerosi volti quello del ragazzo che non mi aveva ancora rivelato il suo nome. Lo trovai, seduto ad un tavolo poco distante, intento a studiare il menù che aveva davanti agli occhi. Si era tolto il berretto di lana e in questo modo tutti i pensieri e le supposizioni che mi avevano assalita mentre camminavamo sotto la pioggia ebbero conferma. Venni invasa da una sensazione mai provata prima: il mio cuore cominciò a battere con una rapidità assurda, il naso cominciò a pizzicarmi come se fossi sul punto di piangere e nel mio stomaco le farfalle si muovevano più agitate che mai. Era lui. Stavo forse sognando? Era vero ciò che stavo vedendo? Studiai con sguardo dolce ogni minimo particolare del suo volto, per esserne sicura. I suoi begli occhi marroni raddolciti dalle lunghe ciglia, la carnagione che tendeva ad un colore più scuro rispetto a quello dei tipici londinesi e i capelli neri, spettinati ma come sempre impeccabili con il loro perfetto ciuffo biondo che copriva parzialmente la sua fronte. Respirai profondamente e mi diressi a passi rapidi verso di lui. Lo vidi alzare lo sguardo e sorridermi con la stessa tenerezza che esprimevano i suoi occhi. Mi tolsi il cappotto e lo appoggiai sul divanetto su cui mi sedetti, davanti a lui. Chiusi gli occhi per qualche secondo e li riaprii puntandoli sul suo volto. -Tu... Tu sei...- Mi sentivo come paralizzata e non capivo come fossi riuscita a pronunciare quelle poche parole. A quel punto anche lui sembrò imbarazzato ma il suo sorriso si raddolcì ulteriormente mentre mi faceva cenno con il capo, come mi ero aspettata. Era lui, ora avevo avuto anche la sua conferma. -e il tuo nome è...?- mi chiese, sempre con un leggero sorriso. -Juliet- risposi velocemente. Ero cosciente del fatto che le mie guance stavano diventando dello stesso colore delle pareti del ristorante. -Mi piace il tuo nome- disse lui. Voleva probabilmente farmi venire un collasso. -E mi piacciono le tue lentiggini- ok, adesso era evidente: voleva farmi svenire. Riuscii finalmente a trovare il coraggio per fissare i miei occhi nei suoi e sorridere rispondendogli con un semplice -grazie- in un tono che speravo invano non avesse lasciato trasparire la mia crescente agitazione nel guardare Zayn Malik.
  
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