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Autore: Lauur    06/12/2012    4 recensioni
Mi sorpresi a esprimere un desiderio. Un desiderio composto da una sola parola. La stessa che da mesi ormai esprimo sotto varie forme.
Una preghiera, davanti a una lapide nera. Una bestemmia, sibilata a denti stretti. Una maledizione, urlata contro tutto e tutti. Un singhiozzo, implorante.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Firenze era stupenda quella sera.
 
O almeno così aveva detto mia sorella qualche ora fa, fissando l’Arno scorrere silenzioso da sopra il suo cocktail analcolico.
Io avevo continuato a bere il mio Negroni, limitandomi ad interegire tramite un leggero cenno del capo. Era stato davvero stupido da parte mia credere che un viaggio potesse far cadere un’ombra su ricordi dolorosi. Ferite ancora aperte che non si rimargineranno mai.
Nemmeno la signorile bellezza di Firenze nel mese di Agosto può aiutare il mio lento processo di cicatrizzazione.
 
Ho lasciato l’albergo quando la mezzanotte era già passata da un pezzo. Mi sentivo soffocare lì dentro, stretto da pareti fisiche e oniriche, che tendevano sempre a ripropormi lo stesso copione pieno di tetti, svolazzi neri e sangue. Molto sangue.
Mi sono ritrovato spesso a rimpiangere gl’incubi sull’Afghanistan.

 
Camminai senza meta, in quella città dove mi orientavo appena.
Mi ritrovai seduto per caso sulla scalinata di palazzo della Signoria, a fissare l’acqua della fontana di Nettuno zampillare non curante.
 
Sentii una lacrima silenziosa rigarmi il viso. Alzai la testa all’insù per ricacciare indietro le zelanti colleghe che stavano arrivando per farle compagnia, quando la vidi.
 
Stupenda e luminosa, divise il cielo decorandolo con un bagliore unico. Lo attraversò da parte a parte, con la coda che si andava snellendo.
Era la stella cadente più bella che avessi mai visto.
Ne avevo viste miliardi solcare il cielo del deserto Afghano, ma nessuna aveva mai mi aveva scosso così nel profondo.
 
Mi sorpresi a esprimere un desiderio. Un desiderio composto da una sola parola. La stessa che da mesi ormai esprimo sotto varie forme.
Una preghiera, davanti a una lapide nera. Una bestemmia, sibilata a denti stretti. Una maledizione, urlata contro tutto e tutti. Un singhiozzo, implorante.
 
Torna.
 
Un sorriso amaro attraversò il mio viso.
Una stella cadente. Come avevo fatto a non pensarci prima.
Un paragone dolce-amaro con quello che era – che era ancora – il mio migliore amico, mi raggiunse come una valanga.
Mi sono aggrappato a lui come un bambino che crede ancora nelle fate e nei miracoli.
Lui è stato il mio miracolo in effetti. Era il mio pianeta. Un punto fisso.
Gravitavo intorno a lui come un satellite, attratto dalla sua irresistibile forza magnetica.
Mi aveva trascinato con lui in un vortice di emozioni che credevo di non poter più provare.
 
Ma non mi ero accorto che, in realtà, lui non era un pianeta. No. Era una stella. Una stella cadente.
 
E come tale mi ha donato tutta la sua luce durante la sua meravigliosa ma breve corsa, e poi è caduto. Ha dovuto. E’ caduto tramutandosi in una cosa morta.
Un sasso, un cadavere. Che differenza faceva? Il dato oggettivo era che semplicemente non c’era più.
Il mio sguardo umido si mosse nuovamente sui passanti.
Fino a qualche mese avrei ritrovato in ognuno di loro qualcosa di lui. Lo vedevo dappertutto.
 
In una sciarpa blu, in una massa di ricci neri, in un’andatura dinoccolata, in ogni stramaledetto paio di occhi azzurri.
 
Ora no. Questa tortura era finita.
Ma ne era iniziata un’altra, perfino peggiore.
 
Lo vedo in me stesso.
Nel nuovo modo in cui osservo la gente. Nei due cucchiaini di zucchero in più che metto nel the. Nella mia inappetenza. Nello sguardo che mi rivolgo ogni giorno. Nelle battute acide che riservo a chiunque provi a parlarmi. Nel sorriso sghembo che faccio, solo quando penso a lui.
 
Mi ha cambiato a livello molecolare. Mi si è innestato dentro. E io non sono riuscito a fermare la sua caduta.
 
Alzo nuovamente la testa.
Ed eccone un’altra. Ma non è neanche minimamente paragonabile alla bellezza e allo splendore della prima. Nessuna stella sarà bella come quella.
No.
Mai più.

 

 
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Una gabbia.
Dorata, ma pur sempre una gabbia.
Bloccato. Annoiato. Tentato.
Saperti qui è una tortura.
Maledetto Mycroft. Doveva fermarti. Prima. Con una scusa. Ma non l’ha fatto.
Non c’è alcun pericolo, mi ha detto. Dovevo solo stare fermo e zitto.
Neanche il violino a farmi compagnia.
 
Chiuso qui dentro da 23 ore, 16 minuti, 25 secondi. Una vita.
Vita? Che strano. Tecnicamente io non ne ho più una.
 
Noia. Passanti. Noia. Stupida fontana. Noia. Inutile fiume. Noia. Odioso Mycroft. Noia.
 
Uomo seduto sulle scale di Palazzo Vecchio. Ha attraversato la piazza zoppicando. Ha circa quarant’anni. E’ triste. Si asciuga il viso con il dorso della mano. Aria familiare.
Sei tu.
Fitta di dolore all’altezza dello sterno.
Voglia di gridare. Non resisto. La tentazione diventa desiderio. Non posso. Moriresti. Non posso.
 
Cedo all’altra tentazione.
Le mie mani esperte fanno scattare le chiusure della scatola blu velocemente.
I gesti che seguono sono automatici. Involontari. Bramosi. Incoscienti.
Cosa voglio di più? La risposta è chiara nella mia mente. Risuona decisa tra i corridoi del mio Mind Palace.
Ma non posso averti.
Mi accontento? No, ma devo.
 
La vena si inchina docile.
Soluzione alla noia. Soluzione al dolore. Soluzione al 7%.
 
Sensazione familiare. Caldo. Freddo. Leggerezza. Onnipotenza.
 
Ti guardo di nuovo seduto su quelle scale. Solo. Indifeso. Dolore, mio, tuo.
Guardi in su. Seguo il tuo sguardo. Il cielo si divide.
I miei occhi amplificano la visione luminosa di una stella cadente.
 
Frammento di cometa o di asteroide. 
Entra all'interno dell'atmosfera terrestre, si incendia a causa dell'attrito.
Penetra nella nostra atmosfera con velocità fra i 11.2 e i 72.8 km/s.
Pressione dinamica. Surriscaldamento della superficie.
Prosegue la sua caduta, processo di ablazione: perde massa, lascia dietro di sé gocce di materia fusa. Una scia luminosa: stella cadente.
 
Chimica. Fisica. Io vedo questo.
 
Magia. Miracolo. Questo vede la gente comune.
 
E tu cosa vedi? Forse stai esprimendo un desiderio.
Ordinario. Banale. Umano. Dolce.
Per me?
Sì. Riesco a leggerlo nei tuoi occhi, pur non vedendoli.
 
Torna.
 
So che lo stai pensando. Dolore. Mancanza.
Odore di the e di legna. Poltrone e giornali. Casa.
Rido. Di cuore. La cocaina ride con me. Per me.
Una stella cadente. Stelle. Pianeti. Sistema solare. La mia ignoranza.
Il tuo sguardo accusatore, divertito, allibito, caldo, stupendo. Mio.  
 
Frammenti indelebili. Gigantografie appese alle pareti del mio palazzo mentale.
Non le cancellerò mai.
Mi fai sentire vivo. Anche se dovrei essere morto.
 
Ti guardo di nuovo. Piangi. Scorgo chiaramente la tua schiena scossa dai singhiozzi. No. Dolore.
 
I tuoi occhi piangono sempre a causa mia.
I tuoi occhi possono piangere ancora grazie a me.
Magra consolazione.
 
Altra stella cadente. Solca il cielo. Meno potente della prima.
 
Tornerò.
 
E’ il mio desiderio. Ma non solo. E’ la mia promessa.
 
 


Spazio della pseudo-autrice
Mi sono appena accorta che pubblicando ieri sera, in qualche modo, mi sono persa le note.
*scuote la testa ricordando con nostalgia la sua perduta salute mentale*
-Perché Firenze? Come la maggior parte di voi saprà, nel canone, è una delle città in cui Sherlock si reca dopo la caduta.
-Per la descrizione “scientifica” data da Sherlock sulla stella cadente mi sono affidata alla cara vecchia zia “Wikipedia”, perché se mi fossi affidata alle mie conoscenze…

Beh direi che può bastare. Vi ho già tediato abbastanza. Grazie per il calore con cui avete accolto la mia prima fatica *sparge cuoricini*…e grazie a chiunque voglia leggere questo mio “secondo prodotto” *venghino signori venghino*
E scusate la tristezza dilagante.
Laura
  
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