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Autore: Flami Destrangis    07/12/2012    4 recensioni
Ad un mese dalla sconfitta dell'Organizzazione, Shiho Miyano ha provato a rifarsi una vita: l'iscrizione all'Università, il sogno di diventare ricercatrice, la speranza di andare avanti. Ma c'è qualcosa che resta ancora in lei e che non potrà mai scacciare: il passato. Shiho vuole chiarire ogni dubbio, vuole mettersi l'anima in pace. Ed è per questo che sente il bisogno di parlare con con l'unica persona che mai ha affrontato, con l'unica persona che sua sorella Akemi abbia mai amato: Shuichi Akai. Shiho decide di partire, di volare verso New York per confrontarsi con lui, per togliere ogni sassolino dalla scarpa.
Start from scratch. Per ripartire da zero.
****
Mini-long di due capitoli dedicata a Shiho Miyano e Shuichi Akai.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Start from scratch


Alive


Si ritrovarono seduti l’uno di fronte all’altro, in silenzio.

Tra loro aleggiava un mare di parole non dette e di pensieri intricati, un imbarazzo quasi palpabile che andava a posarsi sulle tazze da the che ognuno teneva davanti.

Era passato più di un anno dalla prima e l’ultima volta che si erano visti. Molte cose erano cambiate, ma altre erano rimaste immutate lì, all’interno dei loro cuori.

Shuichi osservava la ragazza che gli sedeva di fronte. Lei teneva lo sguardo basso, alcune ciocche di capelli le ricadevano sulla fronte. Le mani conserte sulle ginocchia, le dita che si torcevano nervosamente, le unghie dipinte di un rosa perlato che a tratti sbattevano tra loro. I capelli erano ancora tagliati a caschetto, appena più lunghi di come Akai li ricordava.

La camicetta bianca le stringeva leggermente il seno, evidenziandone poi i fianchi sinuosi, fino a ricadere sui jeans scuri.

Shiho si era fatta donna. Ed era bella, doveva ammetterlo. Guardarla così, faccia a faccia: le ricordava terribilmente Akemi. Non si somigliavano, questo no. Eppure c’era qualcosa che le accomunava, un gesto, un particolare modo di fare. Forse proprio quel torcersi le mani o quel guardare imbarazzata a terra.

Decise che era il momento di rompere il silenzio. Voleva sentire la voce di lei, vedere se anche quel particolare riusciva a riportargli alla memoria Akemi. Era passato più di un anno, erano successe molte cose, ma lui non riusciva a dimenticare. Non poteva dimenticare. E probabilmente nemmeno Shiho. Forse era proprio per quello che si trovava lì.

Cosa ti porta a New York?”

Avrebbe voluto iniziare la conversazione in modo meno diretto, ma non poté trattenere quella domanda. Shiho alzò gli occhi, azzurri come quelli di Akemi. Lui sperò di non essere stato troppo brutale.

Volevo parlarti.”

La voce le uscì flebile, leggermente incrinata. Una voce che gli ricordava molto quella di Akemi, l’ultima volta che si erano visti. Quando lei gli aveva confessato di aver capito tutto da tempo. E, con quello sguardo velato dalle lacrime, gli aveva fatto capire di amarlo.

Il the era ancora lì, davanti a loro. Si stava freddando, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a prendere in mano la propria tazza.

Credevo mi odiassi.”

E così avrebbe voluto. Sì, avrebbe voluto essere odiato da quella piccola donna castana. Lui meritava quell’odio e sentirne il peso sulle proprie spalle era un modo per espiare la sua colpa. Non voleva il perdono, non ne era degno.

Shiho sorrise amara. Ora guardava fuori dalla finestra. Qualche nuvola oscurava il sole. L’orologio batté le cinque del pomeriggio.

Ti ho odiato. Per lungo tempo. Se un mese fa Shinichi mi avesse permesso di incontrarti, penso che non sarei stata in grado di parlarti lucidamente, come sto facendo adesso.”

Quel ragazzo ha fatto di tutto perché non ci vedessimo.” disse lui, ricordando come Shinichi si fosse prodigato per evitare che Ai lo vedesse. Era stato un modo per proteggerla: non voleva farla soffrire ulteriormente.

Non fingere. Nemmeno tu volevi quell’incontro.”

Ora Shiho lo stava fissando. I suoi occhi non esprimevano rancore. Sembravano solo stanchi.

Shuichi abbassò lo sguardo. Era vero. Dopo la cattura di Gin e degli altri, era tornato subito a New York, senza trattenersi in Giappone un giorno di più.

Cosa te lo fa pensare?”

Avresti potuto cercarmi, se avessi voluto. Non l’hai mai fatto.”

Gli occhi di Shiho lo imploravano. Voleva solo sentire la verità. Gli chiedevano di non mentirle, come aveva fatto con la sorella. Che senso aveva, a quel punto, cercare di offuscare le proprie emozioni? Erano troppo cresciuti per giocare a nascondino.

Avevo paura.”

L’aveva detto. Non avrebbe mai potuto pensare di confessare a qualcuno i suoi sentimenti più segreti: non c’era mai riuscito, nemmeno con Akemi. Ed era quello il suo rimorso più grande.

Della mia reazione?”

Scosse la testa.

Di Akemi. Di rivederla nei tuoi occhi, nei tuoi movimenti, nel tuo sorriso. Avevo paura di quella realtà che cercavo disperatamente di dimenticare.”

Shiho continuava a guardarlo. Dai suoi occhi lacrimava compassione. Forse era riuscita a perdonarlo?

Ti spiace se fumo?”

Lei scosse la testa e alzò le spalle, come a dire: è lo stesso, non c’è problema.

Si accese una sigaretta. La nicotina avrebbe forse alleviato tutte le emozioni di quel momento. Rimasero in silenzio ancora un po’. Ora era lui a guardare fuori dalla finestra. Shiho aveva ripreso a torturarsi le unghie.

Questa volta fu lei la prima a parlare.

Anche io, sai. Anche io avevo paura.”

Lui si girò sorpreso. Lei? Di cosa poteva aver paura? Non aveva fatto niente di sbagliato. Shiho sembrò interpretare lo sguardo interrogativo che le era stato lanciato. Riprese a parlare.

Aveva paura che rivederti potesse riaprire la ferita della morte di Akemi. Volevo superare quel trauma. Per questo non ti ho mai cercato, fino ad ora.”

E ora, perché l’hai fatto?”

Si guardarono per qualche attimo, in silenzio assoluto. Sembrava di sentire il crepitare della sigaretta che andava bruciandosi.

Ho capito che era giunto il momento. Ho capito che per provare a superare almeno in parte la morte di Akemi, dovevo togliermi ogni sassolino dalla scarpa. Il più grande peso l’ho eliminato con la cattura di Gin e degli altri: tu eri l’ultimo sassolino rimasto incastrato. Dovevo conoscerti. In fondo, ci eravamo visti solo una volta, di sfuggita.”

Shuichi spense la sigaretta, schiacciandola sul posacenere, nonostante non fosse ancora del tutto consumata. Ora gli sembrava irrispettoso fumare. Non voleva che ci fosse più alcun fumo tra i loro occhi, né tra le loro coscienze.

Si morse il labbro inferiore, così tanto da sentire in bocca il sapore del sangue.

Mi dispiace. Per tutto.”

Si mise le mani sul volto. Non ce la faceva a guardarla in faccia. Sentì un tocco leggero sulle ginocchia. Shiho si era protesa verso di lui.

Non è il mio perdono che cerchi, vero? Sei tu che non riesci a perdonarti.”

Non si può perdonare chi uccide. E io l’ho uccisa.”

Gli occhi di Shiho si erano fatti lucidi. Si vedeva che lottava per non piangere.

E’ stato Gin a ucciderla. Non tu.”

La voce incrinata con cui pronunciò quelle parole fece capire quanto le fossero costate. Quanto avesse impiegato per convincersi di tutto ciò.

Ora si guardavano nuovamente.

Io l’ho portata fino a quel punto.”

Non è solo colpa tua.”

Shiho gli prese le mani tra le sue, costringendolo a fissarla negli occhi.

Anche io avrei potuto fare di più per fermarla. E’ anche colpa mia. E’ colpa di tutti, è proprio per questo non è colpa di nessuno.”

La ragazza non poté più trattenere le lacrime. Prese a piangere. Prima silenziosamente, poi i singhiozzi cominciarono a farle gonfiare ritmicamente il petto.

Shuichi si alzò e le andò vicino. Lei continuava a piangere. La prese tra le sue braccia, stringendola a sé. Lottò per scacciare dalla mente tutte le emozioni che quel contatto gli provocava. Momenti che credeva di aver dimenticato e che tornavano pian piano, uno dopo l’altro, come in marcia. Un calvario che non riusciva a sopportare.

Le lacrime di Shiho gli avevano bagnato la maglietta. Non ci fece caso. Ora, le stava accarezzando i capelli, nel tentativo di calmarla. Pian piano, il respiro di lei tornò regolare. Si staccò appena, asciugandosi le ultime lacrime che le scorrevano sulle guance.

Scusami. Avevo bisogno di un ultimo sfogo.”

Non c’è nulla di male nel piangere. Non devi scusarti.”

Lei si stropicciò gli occhi.

Sei stanca?” le chiese. Forse lo stress del viaggio le aveva impedito di riposarsi.

Shiho annuì.

Se hai bisogno di dormire, puoi usare la mia camera. Non c’è problema.”

Cercò di sorriderle con dolcezza, ma non sorrideva ormai da troppo tempo. Gli uscì un sorriso stentato.

Shiho lo ringraziò, scusandosi per il disturbo. Una decina di minuti dopo, dormiva beatamente, rannicchiata sul letto. Shuichi si soffermò a guardarla. Gli ritornò alla mente la notte passata in quell’appartamento con Akemi. Quella notte in cui lui non riusciva a dormire e aveva preso ad osservarla, mentre lei riposava al suo fianco. Quella notte, la prima volta in cui si era sentito uno stronzo.

Accarezzò appena i capelli di Shiho, ben attento a non svegliarla. Poi le si sdraiò accanto e la stanchezza ebbe il sopravvento. Cullato dal respiro regolare della ragazza, finì per addormentarsi.

E per la prima volta, da molto tempo, nessun incubo turbò il suo sonno. Dormì tranquillamente.

Di tanto in tanto, gli sembrò di intravedere, oltre le soglie dell’incoscienza, il sorriso dolce di Akemi.



La mattina successiva si svegliò a fatica, cercando di sfuggire ai raggi del sole che entravano prepotentemente dalla finestra. D'istinto, si girò dall'altra parte, nel tentativo di tornare a dormire. Ma poi, d'improvviso, ricordò tutto ciò che era successo. Shiho che si era presentata sulla porta di casa, i loro colloquio, il pianto liberatorio. Allungò il braccio e aprì definitivamente gli occhi. Non toccò nulla e non vide nessuno. Shiho non c'era. Che fosse stato solo un sogno? Si alzò di soprassalto, sperando di trovarla nell'appartamento. L'orologio segnava le sette della mattina e nella stanza regnava un silenzio assoluto. Andò in soggiorno. Due tazzine di the erano poggiate sul tavolino. Erano ancora piene. Emise un sospiro: Shiho era stata davvero lì con lui, non si era trattato solo di un banale sogno. Lo sguardo cadde su un bigliettino poggiato vicino alle tazzine, spiegazzato. Sopra c'era scritto con grafia incerta e confusa: “Grazie di tutto. Non c'è più motivo per cui io rimanga qui. A presto.”

Shuichi accarezzò appena le parole, e l'inchiostro si sparse intorno alle lettere. Era fresco. Shiho poteva essere al massimo arrivata all'aeroporto. Prese la sua decisione in meno di un minuto. Senza preoccuparsi di nient'altro infilò la prima giacca che gli capitò sotto mano e corse in garage. Cinque minuti dopo era già per le vie di New York, direzione aeroporto. Le arterie della città erano trafficate come ad ogni ora del giorno, e non c'era verso di imboccare scorciatoie. Non potendo fare altro, azionò la sirena posta sulla parte superiore dell'auto, e iniziò a guidare come se stesse inseguendo il nemico pubblico numero uno dell'America. Un'azione di polizia isolata alle sette e mezza di mattina: a New York poteva accadere questo ed altro, e i cittadini non si stupivano più di nulla. Più che come un poliziotto a caccia, guidò come un criminale in fuga. Passò più volte con il semaforo rosso, rischiò due incidenti, per poco non investì un pedone, ma dopo una ventina di minuti buoni giunse nei pressi dell'aeroporto. Vide i primi aerei volare sopra di lui, e si augurò di non essere arrivato tardi. Uno di quelli poteva essere il volo per Tokyo? Shiho poteva essere già a migliaia di metri di quota? In quel caso non ci avrebbe pensato due volte a prendere il volo successivo. Doveva riparlarle. Doveva dirle ciò che solo quella mattina aveva avuto il coraggio di ammettere a se stesso: da solo non ce la poteva fare. E poi ancora un'altra cosa, la più importante di tutte: grazie. E poi forse ancora dell'altro, sì, forse c'era altro da dire, ma ora doveva solo correre, doveva parcheggiare la macchina nel primo spazio vuoto e poi correre, correre, oltre le valigie, oltre le scale mobili, oltre le porte di sicurezza se fosse stato necessario. Meno di cinque minuti dopo era davanti al tabellone delle partenze, e scorreva con lo sguardo le destinazioni dei voli. Parigi, Beijing, Los Angeles, Madrid.. dov'era Tokyo, dov'era? Ah, eccolo lì. Ore otto e trenta. Guardò l'orologio. Mancava solo mezz'ora, Shiho doveva già aver superato il metal detector. Corse fino alla zona dei controlli, passò oltre le centinaia di passeggeri, e mostrò alle guardie il distintivo che lo contrassegnava come agente dell' FBI.

Devo passare. Assolutamente.”

Prima che potessero fargli altre domande, corse via. Non era il caso che gli agenti scoprissero che non era lì per un motivo inerente alla sua professione. O meglio, doveva sbrigarsi e trovare Shiho prima che si insospettissero e lo seguissero. Da dove si imbarcavano i passeggeri per Tokyo? Da dove, da dove? Gate otto. Corse a più non posso, nella speranza di trovarla ancora. Vide una piccolo crocchio nei pressi dell'uscita numero otto. Non tutti i passeggeri si erano ancora imbarcati. Shiho era ancora lì? Sperò con tutto il cuore di sì. Quando notò una testolina castana emergere tra le altre, sentì un peso abbandonargli lo stomaco. Era lei. Shiho, con la camicetta, un piccolo trolley e i suoi occhi azzurri.

Shiho!” la chiamò. Shuichi non aveva mai creduto nel destino. Ma quella volta la fortuna l'aveva davvero aiutato.

La ragazza si girò, guardandosi intorno. Da dove proveniva quella voce? Poi, quando vide l'uomo con il braccio alzato che le faceva cenno di avvicinarsi, sgranò gli occhi. Che ci faceva lì?

Shiho!” esclamò ancora.

Abbandonò la fila e si avvicinò, guardandolo attonita.

Akai.. che ci fai qui?”

La sua voce era sorpresa. Ma si vedeva che era contenta. Forse un po' ci sperava.

Shiho.” disse lui, per la terza volta. “Non partire, resta qui a New York.”

Ma io..”
“No, non dire altro. Per favore. Ho bisogno di te per andare avanti. Da solo non posso farcela a superare il mio passato.”

Forse il cuore di Shiho aveva perso qualche battito, dal momento che sentì girare vorticosamente la testa. Era davvero Akai l'uomo che le stava davanti? Così insicuro di sé, così bisognoso d'aiuto?

Ma io... come faccio a rimanere qui? A Tokyo ormai c'è tutta la mia vita.. devo testimoniare al processo..”

Ci andremo insieme, testimonieremo insieme a quel processo. Lo faremo per Akemi.”

Shiho abbassò la testa. Certo che le avrebbe fatto piacere rimanere. Cos'era quel sentimento che sentiva? Akai le trasmetteva la speranza. La speranza di poter andare avanti, e superare tutto il dolore passato.

Io..”

La voce le tremava. Anche lei, sì, anche lei aveva bisogno d'aiuto.

Akai le strinse la mano.

Andiamo avanti insieme, Shiho.”

Lei non riusciva più a parlare. Ora piangeva silenziosamente. Ma non erano lacrime di tristezza. Era la gioia, la gioia di aver finalmente superato ogni rancore, era la forza, la forza per continuare a camminare sulle proprie gambe, era la sicurezza di un futuro migliore del passato, era la voglia matta di continuare a vivere. E non più da sola.

Non ebbe la forza di dire sì. Abbracciò Akai, affondando il viso nella felpa di lui.

L'hostess le disse che, se voleva imbarcarsi, doveva sbrigarsi, stavano per chiudere. Fu Akai a rispondere.

La signorina non prende questo volo. Grazie lo stesso.”

Shiho non mosse il viso dal suo comodo rifugio. Ora non le importava più di quell'areo, non le importava più di niente. Voleva solo rimanere lì, accanto a quell'uomo. Ora era felice di essere di nuovo Shiho, di non essere più Ai. Perché ora non aveva più paura del passato, ma era pronta a ricordare e ad andare oltre.

Forse per entrambi quel futuro sarebbe stato solo un tentativo di riscrivere il passato, di rivivere momenti di cui erano stati per sempre privati. Ma non importava. Perché entrambi aveva dentro la voglia di vivere quei momenti. E questa era l'unica cosa che contava. Uno per uno, fino all'ultimo respiro. Insieme, in ogni caso e circostanza. Sempre.



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Ed ecco qui l'ultimo capitolo :) Spero che vi sia piaciuto!

Ringrazio tutti coloro che hanno letto e chi ha commentato!

Un bacione,

Flami

  
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