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Autore: Sashuras    07/12/2012    2 recensioni
"Era un pomeriggio come quelli quando ne trovai una, di maschera, diversa da tutte le altre, ancora incartata e ricoperta di polistirolo, nascosta chissà per quale motivo in un angolo buio del negozio. La curiosità ebbe il sopravvento su di me e cominciai, senza far rumore, a toglierne l’imballatura."
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mercante di maschere

Era normale per me, da piccolina, giocare con le maschere di mio zio. Il fratello di mia madre non aveva mai avuto la testa apposto. Nonostante la sua età avanzata, egli aveva aperto un negozio di maschere. Mille volti senza anime che sembravano fissarti, implorandoti di essere comprate, spolverate e mostrate sul tuo volto durante le festività. Da piccola, tutto questo mi affascinava. Il negozio era di fronte casa mia, non era difficile fuggire dalle grinfie di mia madre per giocare un po’ nel negozio dello zio. Indossavamo tutti e due una di quelle strambe mascherine di cartapesta e d’un tratto non eravamo più noi. Dame eleganti, capitani di velieri abbandonati, antichi imperatori romani, tutti, tranne che noi stessi. Ci perdevamo le mie giornate in quello scambio di ruoli, a discapito dei compiti scolastici e di tutte le attività che mia madre programmava nel pomeriggio. Non ce n’era per nessuno.
Era un pomeriggio come quelli quando ne trovai una, di maschera, diversa da tutte le altre, ancora incartata e ricoperta di polistirolo, nascosta chissà per quale motivo in un angolo buio del negozio. La curiosità ebbe il sopravvento su di me e cominciai, senza far rumore, a toglierne l’imballatura. Era grande, una mix di colori tra il rosso, il nero e qualche spunta di arancio qua e la. Di occhi così grandi non ne avevo mai visti, nessuno l’avrebbe mai potuta indossare. La bocca nascondeva un macabro sorriso che mi rendeva ancora più curiosa. Avevo voglia di provarla ma non feci in tempo che mio zio la strappò via dalle mie mani. Mi dovetti sorbire una bella ramanzina. In parole povere, non voleva per nessun motivo che toccassi quella maschera. Tornai a casa ancora turbata, con mille domande che mi frullavano nella testa, perché mai avrebbe dovuto dirmi una cosa del genere? Era una maschera come tutte le altre …
Il giorno dopo ero di nuovo lì, ma non ero venuta per perdermi nei giochi di mio zio, ero venuta per la maschera. Rifeci la stessa operazione del giorno prima, ma sentivo che c’era qualcosa di diverso nell’aria, d’improvviso sentivo freddo e la maschera sembrava viva. Non capivo cosa stava succedendo, due occhi rossi comparirono su quello strambo volto che, fino a quel momento, non aveva dato segni di vita e fu come se mi mangiò. E fu buio più totale.
Quando mi svegliai ero distesa su un freddo pavimento. Poco distante da me una figura nera con al posto del volto la maschera, quella che nel negozio mi aveva incuriosita. Sembrava che mi attendesse, una figura possente, girata di spalle che aspettava il mio risveglio. Provai ad alzarmi in piedi e a capire dov’ero. Pareti di color legno ed oro mi circondavano e un pavimento con mille decorazioni ricopriva ogni angolo di quell’immenso posto. La maschera voleva che indossassi una maglia nera sopra il mio vestitino rosso e giallo. All’inizio non volevo ma la maschera insisteva e non volevo farla arrabbiare. Così la indossai, mi prese per mano e mi fece fare un giro per quel posto che sembrava  conoscesse bene. C’era gente che andava e veniva con dei bigliettini bianchi e neri tra le mani. Mi portò in una grande sala e sembrava fosse una stazione ferroviaria. Stranamente non c’erano orologi e le tabelle erano vuote, non segnavano né le partenze né gli arrivi … anche se ben presto notai che treni che arrivavano non ce n’erano … L’essere mi fece sostare lì per un po’, le persone sembravano senza vita, in attesa di qualcosa di deciso e con occhi rassegnati e visi bianchi si fissavano senza emozione l’un l’altra. Anche se provavo a interagire con loro non ricevevo risposta. Era tutto molto freddo e distaccato, nessuno piangeva o sorrideva, non si percepiva nessun tipo di emozione. Veloce come il vento, senza neanche che me ne accorgessi mi portò via da li, tirandomi forte per un braccio, così forte che mi fece urlare dal dolore.
Questa volta era una stanza nera e buia la nostra destinazione, con solo un letto con le coperte anch’esse di colore nero e una luce fioca che lasciava intravedere il tutto. Il comodino su cui era poggiata questa luce era di legno ma vuoto, non c’era niente sopra, ne tantomeno dentro. Mi girai, la maschera mi salutò con una mano e col suo triste sorriso. La porta della stanza si chiuse di scatto e sentii un rumore di chiavi. Corsi verso l’uscio e provai ad aprire la porta, ma niente, ero chiusa a chiave, rinchiusa in quella tetra stanza, chissà per quanto tempo. Non potevo fare altro che aspettare, e così feci.
Passò quel che mi sembrava un’eternità, mentre cercavo di escogitare un piano per fuggire. Presi la debole luce che avevo a disposizione e esplorai la prigione in cui mi aveva rinchiusa. Notai una finestra che non avevo notato prima. Fu un’impresa aprirla, ma alla fine ci riuscii e la luce invase la mia stanza. La finestra era piccola piccola, posta in alto e non riuscivo a scorgere cosa c’era fuori. Spostai il letto sotto la finestra e finalmente vidi qualcosa. Un prato e dei bambini, ognuno vestito di un colore diverso che giocavano. Era la prima volta da quando ero capitata in quel posto che vedevo un po’ di vita. Ma fu la prima e l’ultima. In lontananza sentii dei passi, pesanti e veloci che venivano verso la mia camera. Una forte ansia mi salì, col terrore che fosse la maschera. Provai a chiudere la piccola finestrella ma niente, le serrature troppo arrugginite mi impedivano di muoverla. La porta si spalancò e la maschera coi suoi orrendi occhi rosso sangue mi fissò e tirò un urlo, acuto e prolungato. Mi scagliò lontano dalla finestra e la richiuse con altrettanta velocità. Una volta che tutto fu di nuovo scuro e tetro il suo voltò si girò e mi guardò. Non potevo fare a meno di non fissarla. Si stava avvicinando verso di me, non volevo che mi toccasse, non sapevo cosa volesse farmi. Così provai a togliermi la maglia, ma era come se una forza opposta me lo impedisse. Provai più e più volte, fin quando, con un ultimo sforzo, riuscii a levarmela e a gettarla sul pavimento. A quel punto scorsi gli occhi della maschera, colmi di rabbia, saltarmi addosso. La afferrai per il volto e con i piedi cercai di staccare il resto del corpo da quell’orrenda copertura. Quando la tolsi, non rimase che un corpo, in piedi e immobile, senza volto, e la maschera nelle mie mani. A quel punto, non sapevo più cosa fare, quando all’improvviso una luce, partendo dal centro di quel corpo senza vita, lo ridusse in mille coriandoli colorati. Tutto divenne luce, chiusi gli occhi, era troppo forte per essere osservata ma, poco dopo, quando li riaprii, ero sommersa da mille occhi tra i quali una coppia familiare. Gli occhi di mio zio. Mi prese in braccio e mi riportò a casa, dicendomi che ero svenuta.
 
Non raccontai a nessuno quel che avevo visto, perché ero sicura che non era solo un semplice sogno, non poteva esserlo. Mi è capitato proprio l’altro giorno di incontrare durante un giro turistico un negozio di maschere, come quello di mio zio, e mi è ritornata in mente questa storia. Ora capisco, la maschera, quell’essere nero non poteva essere altro che la morte. La stazione, il punto di sola andata e di mai ritorno. Tutte le persone che lasciavano questa terra e che attendevano impassibili il loro momento, senza nessuna possibilità di cambio, la rotta era sola una come la sua destinazione. E i bambini che giocavano, loro erano la vita, quel bene prezioso di cui non tutti si accorgono, era raffigurata  come la gioia e i colori.
Non posso credere che tutto ciò sia stato solo un sogno casuale, dettato dal mio cervello, non posso credere di non essere svenuta di proposito. Quella maschera nasconde un segreto, un’essenza che va oltre il normale, oltre il comune. Tutto aveva un senso, ma bisognava scoprirlo.
Della maschera non ne ebbi più notizia, mio zio raccontava ogni volta una storia diversa,una in particolare mi ha colpito: ha detto di averla venduta ad un uomo, alto, vestito di nero e col volto coperto da un cappello altrettanto nero. Non ha lasciato nome, indirizzo, numero di telefono o qualsiasi altra cosa che possa ricondurmi alla sua identità, ha solo preso la maschera e pagato, per poi scomparire nel nulla.
 
 
  
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