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Autore: Jerry93    07/12/2012    7 recensioni
Dicono che siamo padroni del nostro destino. Non mentono.
Solo noi siamo i signori delle nostre decisioni e delle conseguenze di queste.
Hermione ha fatto la propria scelta, tramutando l'argine di un fiume. Draco non resterà a guardare.
Con la Guerra a fungere da scenario, la lotta per la sopravvivenza ha inizio mentre la ricerca degli Horcrux porta un gruppetto di ragazzi lontani da casa.
[Seguito di You and Me]
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VII libro alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'Becoming Us'
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Chapter two, Song of a White Crow

Al mondo dei GdR online.

A chi vi ho incontrato, indistintamente.

A chi ha dato peso al mio parere e a chi no.

Ma, sopra ogni cosa,

A Bryan, Alexander, Aden, Raphael ed Aaron.

 

Continuava a ripetersi che quelle ferite non erano profonde e che Hermione, sapendo benissimo quello che stava facendo, aveva riposto la massima attenzione nell’evitare ad ogni costo d’urtare, anche solo per errore, un organo vitale. Queste parole, però, non riuscivano ad avere neppure lontanamente il bramato effetto di pacificargli lo spirito: la sua mente continuava ad impuntarsi sul fatto che una qualsiasi lesione, per quanto superficiale, fosse una condizione anomala per il corpo d’un essere umano. Sentirsi il cuore nel petto, in quegli istanti, gli parve una maledizione, poiché sapeva che ad ogni pulsazione l’alta velocità della pressione riversava il suo sangue all’esterno. Lontano, in un luogo che gli era mortifero per il semplice fatto che gli strappava quel liquido così fondamentale alla sua esistenza. Percepì una strana solitudine tanto diversa da quella che aveva provato piangendo sul corpo di sua madre, quanto terrificante. Soffocante.

Gli mancò il respiro e le sue mani, prese a tamponare la recisione, si portarono al collo, stringendolo nel disperato tentativo d’ingoiare un soffio d’aria. Fu l’inizio.

Annaspava ma questo non gli permetteva d’escludere dalla propria testa l’odore ferroso che il suo olfatto aveva riconosciuto: era sporco di sangue.

No, era cosparso di sangue. Scuro, denso, salato. Si sentì comprimere, quasi come se qualcuno si stesse divertendo a spremerlo per stillare dal suo corpo anche l’ultima goccia di calore. Tutto divenne improvvisamente inarrestabile, mentre le sue mani, disarcionato il proprio padrone, continuavano a stringere la presa attorno alla sua stessa gola, cercando d’anticipare il sopravvento della morte.

Poi, fu solo calore. Lo avvertì insinuarsi sotto i suoi vestiti, nelle pieghe della tela. Stava per dipartire in un mare scarlatto, stava per affogare nel proprio sangue.

Voleva urlare, ma sapeva che, se lo avesse fatto, avrebbe solo ottenuto solo la spiacevole conseguenza di velocizzare quel fin troppo rapido processo. La sua bocca si sarebbe riempita e, non potendo fare altro, avrebbe dovuto deglutire. E morire.

Si ritrovò al suolo, in ginocchio, con una mano stretta a pugno contro l’erba umida e con l’altra tesa sull’addome. Gli era parso che i suoi polmoni, nella disperata ricerca d’aria, fossero sul punto d’implodere, perciò, quando la spiacevole sensazione della Smaterializzazione terminò, prese ad annaspare terrorizzato: quella sensazione soffocante non se ne era ancora andata. Era confuso: troppo per poter mantenere saldo il controllo sui propri timori e per agire con logica consapevolezza di ciò che gli stava accadendo.

Percepì sul viso le dita sicure della donna che lo aveva salvato.

«Drew, respira».

La voce di lei, priva di inflessioni e pacata, parve sedarlo. Il caos nei suoi pensieri, fortunatamente, mascherò quel tintinnio di preoccupazione che, altrimenti, avrebbe avvertito nel modo in cui aveva pronunciato il suo nome.

Al rezzo dell’albero del Dolore, i suoi occhi si chiusero sull’increspatura tremante della sua voce. Quel sussulto d’amante scivolò, non visto, tra le dita di lei, con cui, docile e decisa, gli sfiorava il volto.

«Ho improvvisato una fasciatura, ma dobbiamo raggiungere Madama Chips il prima possibile. Ce la fai ad alzarti?». 

Solo in quell’istante l’uomo riconobbe che la consistenza grezza che avvertiva sotto le dita era quello di una benda e che non poteva essere il tessuto morbido della sua camicia. Quando l’altra avesse lanciato quell’incantesimo, non riusciva proprio a capirlo. Fortunatamente, negli ultimi anni, la sua rapidità doveva essersi ancora incrementata. C’era qualcosa, però, che la strega non riusciva a spiegarsi: come poteva quel ragazzo essere così debilitato da ferite che, fondamentalmente, non erano neppure lontanamente mortali? Aveva assistito alla scena: la Mangiamorte era intenzionata a prolungare molto a lungo quella tortura che lo avrebbe condotto alla morte, non si sarebbe mai concessa un incantesimo mortale. Drew, infatti, era disarmato, un Avada Kedavra avrebbe risolto ogni problema. Senza contare che, non avendo utilizzato la maledizione Cruciatus, chiaramente bramava d’ucciderlo lentamente. Non aveva perso sufficiente sangue.

Eppure, i suoi occhi erano sbarrati e vuoti.

Testardo e risoluto, lo vide provare ad alzarsi.

La ragazza, rimanendo schiacciata dal suo peso, riuscì ad afferrarlo prima che rovinasse al suolo.

«Maledizione» imprecò a bassa voce, troppo presa a pensare ad una soluzione per poter anche solo immaginare d’avere l’autorità di preoccuparsi. Dalla manica sinistra della giacchetta di pelle nera trasse la sua bacchetta che, flessuosa, frustò l’aria mentre dalla sua punta già si librava il primo incantesimo. Una panchina, posta al limitare del sentiero che, fiancheggiando un fitto bosco, conduceva ad Hogwarts, si animò, affrettandosi per raggiungerli. Con non poca fatica, il Falco riuscì a farlo stendere, assicurando il suo corpo con un paio di corde che aveva evocato con una blanda versione di un incanto Incarceramus.

«All’infermeria, muoviti! Io vi seguo in volo, procederemo molto più velocemente» ordinò all’oggetto magicamente animato.

Le sue braccia si ricoprirono di piume mentre il corpo, rimpicciolendosi, assumeva i connotati di quello di un rapace. Sul petto candido dell’animale, laddove prima brillava un piccolo diamante nero incastonato in un ciondolo dall’aria antica, vi era una macchia più scura che ne richiamava perfettamente la forma.

Con un paio di possenti battiti d’ala, che frustarono l’aria con un suono sordo, l’animale si librò in aria, cominciando la corsa.

 

La calura di quella prima mattinata di mezza estate sembrava essere intenzionata  a togliergli il respiro. Non che non apprezzasse quella torrida perturbazione che, insolitamente, aveva scacciato gli abituali nuvoloni di pioggia dal cielo plumbeo di Hogwarts, ma quell’afa rendeva ogni azione molto più faticosa del normale.

Così, desideroso di godersi il profumo fresco che la Foresta Proibita emanava, camminava piano lungo quel sentiero ciottoloso, sfruttando l’ombra delle fronde per trovare ristoro da quel sole, ormai prossimo allo zenit, che pareva essere più impietoso del solito.

I fili d’erba, ingialliti dalla calura, spuntando sparuti dal terreno riarso, imploravano dell’acqua, mentre instancabili formiche correvano dall’una all’altra parte in quella che avrebbe potuto essere scambiata in un’implorante danza della pioggia. Sopra il silenzio si ergeva potente una litania che ora era cicaleggio ora invito all’ozio, ma che, ininterrotta, scandiva il lentissimo susseguirsi dei minuti.

Sabbia che, frusciando sui propri stessi granelli, andava ad ammucchiarsi in una clessidra.

Intravide Hagrid nella propria capanna che, sudato, si prodigava nella preparazione di qualche strana pietanza che avrebbe rifilato ad una delle sue mostruose creature. Drew bussò piano sul vetro lercio della finestra, attirando la sua attenzione e rivolgendogli un cenno di saluto alzando la mano. Il Mezzogigante, con un sorriso a trentadue denti, gli venne incontro, spalancando l’infisso con un cigolio sinistro. Per quanto ottimo fosse stato il lavoro dei professori di Hogwarts, McGranitt in testa, non era stato possibile rimuovere completamente i segni dell’incendio innescato da Piton: la mobilia, scarti di cose diroccate quasi come la Stamberga Strillante, era completamente nuova e, sulle assi del pavimento e delle pareti, il legno assumeva una sfumatura nerastra.

Non appena il Guardiacaccia si sporse per stringerlo in un abbraccio con cui quasi gli incrinò un paio di costole, un refolo di putridume misto a zolfo schiaffeggiò il suo olfatto.

«Il pranzo per gli Schiopodi!» asserì Hagrid, in risposta al quesito del giovane Kennan.

Dopo essersi intrattenuto con l’uomo per qualche minuto, il suo sguardo cadde sull’orologio, confermandogli che l’ora del suo appuntamento con la nuova Preside di Hogwarts si stava avvicinando.

Rifiutando con affabile cortesia l’offerta ad abbuffarsi con alcuni dei suoi famosi biscotti rocciosi, Drew se ne congedò, promettendogli però, che un giorno si sarebbe fermato per assaggiare la sua Tisana d’Erba Piperita, particolarmente rigogliosa, a dire di Hagrid, in quel periodo dell’anno, nel primo sottobosco nelle vicinanze del Lago Nero.

Finalmente, riprese il suo cammino. Intravide, di sfuggita, Pomona Sprite con un cappello di paglia rattoppato schiacciato sulla testa, mentre si apprestava ad entrare nella Serra delle Piante Magiche Tropicali.

Da quello che era riuscito a capire, la donna aveva ottenuto il baccello di una rarissima pianta della foresta Amazzonica, cui si stava dedicando completamente. La cosa però, entusiasmava solo lei e Neville Paciock, disposto ad anticipare il suo ritorno a scuola per aiutarla almeno un paio di volte alla settimana. Voci di corridoio però, dicevano che si fosse accampato ai piedi del germoglio, così da non perdersi neppure una fase del suo lentissimo sviluppo.

Ridacchiando, l’uomo spinse la pesante anta del portone d’ingresso, che si rischiuse con un tonfo sordo alle sue spalle.

Le spesse ed antiche pareti dell’edificio, con suo grande piacere, parevano essere in grado di mitigare un po’ il clima all’interno, quasi come se potessero rilasciare progressivamente il freddo accumulato nelle fondamenta durante l’inverno precedente.

O forse, quel genio un po’ folle del professor Vitious aveva ideato un particolare incanto Refrigerante.

Risalì l’ampio scalone, svoltando l’angolo a destra. Non era sua abitudine essere in ritardo e questa non sarebbe stata un’eccezione.

Attraversò nella loro interezza alcuni corridoi fino a quando uno strano verso gracchiante attirò la sua attenzione.

Era la Cooman che, reggendo un paio di bottiglie di sherry semivuote, avanzava verso di lui barcollando. Da quando Silente era morto, nel timore che, senza il suo principale protettore, qualcuno la cacciasse dal castello, la fattucchiera si era concessa completamente al suo superalcolico preferito. Poi, quando la McGranitt si era insediata e le aveva promesso solennemente che nessuno l’avrebbe mai cacciata, aveva preso a bere per festeggiare. A conti fatti, la professoressa di Divinazione non era sobria almeno da un paio di mesi. Drew quindi, on rimase poi molto basito dinnanzi a quel suo cantare stonato e a quel suo pericoloso ondeggiare.

«Buongiorno» le disse, conscio che, probabilmente, quella neppure lo aveva riconosciuto.

La donna però, parve come ridestarsi da un lungo sonno.

Urlando, gli corse incontro agitando le braccia, come a voler frustare l’aria. Giunta al suo cospetto, guardandolo dal basso a causa della propria statura, lo fissò attraverso le sue lenti circolari e spesse.

I suoi occhi si voltarono all’indietro e lei gli si gettò tra le braccia avvinghiandosi al suo collo.

«Il tuo avvenire risiede nel tuo sangue» gli sussurrò all’orecchio.

«Se per il tuo sangue sacrificherai te stesso, Chimera, avrai in cambio il dono della vita!».

Intimorito, Drew rimase in silenzio, senza muovere la Veggente che ancora gli stava addosso. All’improvviso, qualcosa accadde: un sonoro rutto presagì che anche l’ultimo sorso di sherry aveva raggiunto il suo fegato.

«Scusa» bofonchiò la Cooman, mentre, rimettendosi in piedi, riprendeva la propria strada.

Il giovane Kennan la imitò, dirigendosi nella direzione opposta. Aveva appena assistito al melodioso canto del corvo bianco e ne era ancora provato.

Gli restavano solo quegli ultimi scalini che, al suono della parola d’ordine, si sarebbero palesati alle spalle del monolitico gargoyle. Non sapeva per quale motivo Minerva lo aveva convocato ma, essendo a conoscenza da mesi di duelli diplomatici trascorsi, si ritrovò ad attendere qualche istante, quasi a volerle concedere un attimo in più per ripetere nella propria testa, quel discorso che, a breve, gli avrebbe riproposto. Le offriva, per quanto questa potesse valere, la cortesia di concedersi un momento per trarre un respiro profondo.

Quel contatto fisico improvvisto lo fece sobbalzare, Qualcuno, che per un secondo intuito pensò si trattasse della Cooman, gli aveva schiaffeggiato con decisione il sedere e, ne era certo, quella mano colpevole si era soffermata su quella zona erogena per un tempo spudoratamente lungo.

Esterrefatto, Drew si scostò dall’alto pilastro cui si era appoggiato, rivolgendo uno sguardo alle sue spalle, avendo cura di completare la sua espressione attonita con un ghigno sarcastico.

Se anche avesse voluto tramutare il suo mutismo in una qualche forma di insulto, la possibilità gli venne strappata da una giravolta rapida e da una risata gioviale.

«Vedo con estremo piacere che ti sei tenuto in forma, Drew» scherzò la donna, con un sorriso smagliante sulle labbra.

«Amelia Fay» scandì lui di ritorno, dopo averla immediatamente riconosciuta.

Era cambiata molto dall’ultima volta che l’aveva vista: non era più una ragazza, tuttavia vi ritrovava i suoi non più così dolci lineamenti, escludendo il taglio drastico ai capelli, i quali le lambivano appena le spalle, sebbene un tempo fossero lunghi fino alla base della schiena.

La sua corporatura era rimasta invariata, lasciandola gracile, quasi esile, e non particolarmente alta. Un candido vestito senza spalline rimarcava la sua siluette, celando il seno minuto, ma portato con grande fierezza, e chiudendosi, con un’alta cintura nera, sulla sua vita sottile, salvo poi aprirsi in una vistosa ma raffinata gonna a balze, i cui fronzoli si interrompevano a qualche centimetro dalle ginocchia.

Il suo viso, perse le linee morbide della fanciullezza, s’era fatto più spigoloso, accentuando gli zigomi alti e le labbra sottili, valorizzate da un rossetto bordeaux. Immutato era, invece, il suo piccolo naso all’insù.

Malcelato dalla frangia sbilenca dei suoi capelli corvini, il suo sguardo pareva aver assunto una tinta ancora più scura, sfumata dal carboncino d’un ritrattista di strada.

«Proprio lei!» esclamò in risposta «In tutta la mia sfavillante bellezza e su questo improponibile paio di tacchi» ironizzò, lanciando all’indietro la gamba destra, dimostrando, nonostante il disagio delle calzature, un’innata agilità. Quelle meravigliose décolleté, dello stesso colore dei suoi capelli, seppur ingraziosite da un nastrino di raso battevano il ritmo pesante di una marcia militare contro il pavimento. La sua figura veniva così privata di sinuosità, sebbene il tintinnare delle grosse pietre del braccialetto che portava alla mano sinistra sobillassero una più femminile cadenza.

«Cosa ci fai qui?» comandò Kennan, alzando un sopracciglio.

Quella, sdegnata, incrociò le braccia al petto.

«Dov’è finita la tua rinomata cordialità, brutto bifolco?». Detto ciò, prese a borbottare qualcosa che poteva benissimo suonare come una maledizione.

Drew, finalmente spensierato dopo molto tempo, scoppiò a ridere.

«Sono qui per incontrare la nuova Preside, comunque».

Colmati gli sconquassamenti delle risa, le si avvicinò e, prendendola per un polso, se la tirò al petto e l’abbracciò.

«Bentornata, Amy» le disse, posandole un bacio sulla guancia.

Quella, ancora più infervorata, allontanandolo da sé facendo leva con una mano contro il suo corpo, alzò lo sguardo per fissarlo negli occhi.

Sfruttando la mirabile altezza datale dai tacchi, congiunse le loro bocche per alcuni istanti, accogliendo tra le proprie, il labbro inferiore di lui.

Dopo aver cancellato con il pollice una traccia rosso scuro, inequivocabile prova del delitto, gli pestò un piede, senza però riporci troppa violenza.

«Questo è un bacio del “bentornata”» motivò, voltandogli le spalle sghignazzando. «E devo dire che mi fa piacere constatare che sai ancora di miele».

«Tu, cosa ci fai qui?» proseguì poco dopo chiedendo a sua volta, come se nulla fosse accaduto.

«Devo essere all’altezza delle tue aspettative, visto che non molti anni fa mia hai incoronato come “ragazzo più bello della nostra annata”» rispose, con il palese obbiettivo di destabilizzarla «E comunque, anche io sono stato chiamato a colloquio con la nuova Preside».

Fu il turno della donna di scoppiare a ridere.

«Era dell’intera Hogwarts!» esclamò, tutt’altro che scioccata. «Ammetto però, che fino all’ultimo gli addominali di Charlie mi hanno fatta vacillare e, se non fosse stato che per colpa sua mi sono dovuta accontentare del ruolo di Battitrice della squadra di Quidditch, forse avrebbe vinto» cominciò Amy ritrovandosi a riflettere ad alta voce e a fissare il suo interlocutore come a voler trovare, sul suo corpo, una conferma della scelta passata.

D’improvviso, dopo aver a lungo scrutato i muscoli e la leggera peluria di lui lasciati scoperti dalla camicia più sbottonata del dovuto, s’illuminò.

 «Capisco che per te la Mc è come una madre ma vuoi davvero presentarti da lei così? Povera donna, per quanto arzilla comincia ad avere una certa età!».

La frase lasciò Drew disarmato che, alzando le mani, dichiarò la propria resa.

« Stiamo facendo tardi» si limitò a constatare.

Alla parola d’ordine “Pigna, pizzicotto, manicotto e tigre”, la scultura di pietra si animò e, dopo essersi spostata, rivelò il passaggio.

«Andiamo» propose Kennan, mentre educato, visto lo sguardo intimorito di Amy dinnanzi alla scalinata, le porgeva un gomito a cui ancorarsi.

 Dopo aver bussato ed essere stati invitati ad entrare, i due fecero il loro ingresso accompagnati dai mormorii degli abitanti dei numerosi quadri appesi alle parti. Dalle ampie scaffalature erano stati tolti molti degli arredi appartenuti a Silente, rendendo così molto più spoglia l’intera stanza.

Troneggiava ancora però, l’antico Pensatoio, la cui superficie era increspata da brulicanti pensieri tormentati che l’anziana signora aveva qui riposto, in cerca di sollievo.

Quando lo scorse, si alzò stanca dalla poltrona, poggiando le mani sul piano della scrivania. Sopra il suo capo, protetta da una vetrina magica, pendeva la leggendaria spada di Godric Gryffindor.

«Vedo che vi siete già incontrati» esordì, stendendo le righe del viso in un sorriso «Prego, sedetevi» continuò, animando, con un gesto della mano, la lunga veste viola dalle ampie maniche. L’immancabile confezione metallica dei biscotti era affiancata da un vassoio di pasticcini decorati con i colori caldi e accesi della frutta fresca. Avvicinandolo di qualche centimetro, facendo scivolare piano, invitò loro a prendere qualcuno. Mentre Amy portandosi i capelli dietro all’orecchio si piegò in avanti, per quanto le gambe accavallate le permettessero, per sceglierne uno, Drew si limitò ad un pacato gesto di diniego.

Atteso il tempo necessario a che la giovane desse un morso al dolcetto e ne valorizzasse la bontà, la McGranitt cominciò a spiegare loro il motivo per cui si trovavano in quell’ufficio.

«Amelia, non so per quale motivo Albus ti avesse convocata e tu non sei arrivata in tempo per scoprirlo ma, come ti ho già detto, mi fa molto piacere rivederti, dopo tutto questo tempo» quell’introduzione, durante la quale lo sguardo di Minerva era corso verso il ritratto del suo predecessore, il quale sonnecchiava beatamente con gli occhiali a mezzaluna calati sul naso, presagiva amare constatazioni. «Purtroppo, il momento non è affatto dei migliori. Come sapete, la precedente dipartita di Silente ha lasciato molte cose in sospeso: poiché il suo assassinio non gli ha permesso di candidare un sostituto, il Ministero, che come sapete è effettivamente in mano al Signore Oscuro, sebbene Scrimgeour sia ancora in carica, aveva intenzione d’eleggere un nuovo Preside in maniera autonoma». La donna, con un austero chignon a chiuderle i capelli sulla nuca, mosse qualche passo verso l’ampia finestra che dava sul Parco. «Non ero neppure sicura che aprire i cancelli di Hogwarts fosse una scelta opportuna, ma non potevo permettere che venisse insediato a capo di questa scuola uno schifoso traditore come Piton». La sua mano destra si strinse a pugno sulla veste, in un moto d’orgoglio. «Così, ho candidato me stessa, sperando che le mie numerose referenze, nonché la mia superiore esperienza e preparazione, fossero sufficienti a scalzarlo dalla nomina. Ma, ovviamente, mi sbagliavo».

Amy, indignata dallo smacco che la sua prima insegnante di Animagia Avanzata aveva subito, riuscì a malapena a trattenere un moto di stizza.

«Sentii il peso della mia inferiorità rispetto ad Albus e temetti di non poter fare nulla per impedire che questo luogo venisse profanato« riprese la McGranitt.

«Mi manca la sua verve, la sua astuzia, la sua intelligenza,. Nonostante ciò, gli anni mi hanno insegnato che anche io posseggo delle qualità e, tra queste, la puntigliosità non mi ha mai tradito».

Finalmente, l’anziana donna si concesse un sorriso soddisfatto.

«Un vecchissimo decreto, tanto antico da non essere riportato sul regolamento scolastico da almeno un secolo. Così vetusto da risalire alla Fondazione di Hogwarts, ovvero prima che il Ministero, così come è composto attualmente, fosse concepito. Una legge, mai abrogata, contro la quale non potevano ordire alcuna contromossa, ideata da Helga Hufflepuff in persona. Fu l’ultima Fondatrice a spirare e, temendo che l’arbitro imparziale, il preside appunto, il quale avrebbe governato la scuola alla sua morte, potesse dimostrarsi incapace di tale compito, ideò una soluzione conforme alle sue idee».

Drew, silenzioso ma concentrato, la invitò a spiegarsi meglio.

«Il codice 21.2 dello Statuto Originario recita che, in caso di inadempienza da parte del capo d’Istituto, un appartenente al corpo docenti, ottenuto il favore dei quattro fantasmi delle Case e dei relativi Direttori, può prendere il posto, con i relativi poteri ed incarichi, oneri ed onori».

Non fu necessario specificare , dunque, che se anche Piton avesse ottenuto la cattedra somma di Hogwarts, lei avrebbe fatto ricordo, adducendo che, come da prescrizione, quell’incarico le spettava, in quanto detentrice degli otto assensi.

«Patteggiando r accettando alcune dovute condizioni, sono riuscita ad evitare che Piton potesse rientrare in questa scuola anche per un’ora soltanto».

Drew, che già era a conoscenza di tutto ciò poiché l’aveva aiutata sia durante gli incontri diplomatici sia durante le ricerche in biblioteca, cui avevano collaborato anche gli altri insegnanti e con particolare zelo di Madama Pince, che molto aveva da farsi perdonare, rimase dubbioso.

«Capisco che Amy, probabilmente, non fosse al corrente di tutto ciò, considerando come tutto è stato taciuto dalla stampa, Cavillo escluso» disse, non tacitando un astio quasi ironico. «Ma cosa centriamo noi due con tutto questo?».

Albus Silente, risvegliatosi dal suo torpore, molto sospetto, prese a ridacchiare.

«Il mio nuovo incarico mi impedisce di occuparmi della mia materia, dunque ben tre cattedre sono vacanti. Poiché Babbanologia risulta tra le discipline facoltative e poiché, comunque, pur non nutrendo io speranze a riguardo, la professoressa Charity Burbage potrebbe essere ritrovata, al momento attuale il problema più incalzante è un altro». La Preside, facendo scricchiolare le sue ossa stanche, si sedette. «Quindi, signor Kennan vorrei che lei divenisse il nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, mentre auspico che lei, signorina Fay, voglia prendere il mio posto come insegnate di Trasfigurazione».

 

Aveva sfrecciato attraverso la scuola sfrecciando sopra le rampe di scale e tra i contorti corridoi, planando all’interno dell’infermeria prima ancora di riassumere la sua forma umana e ritrovandosi a frenare la scivolata con le proprie comode scarpe da ginnastica.

Madama Chips, pensando di dover trascorrere una delle sue ultima giornate di tranquillità estiva, s’era concessa un pisolino pomeridiano. La voce di Amy la risvegliò completamente, facendole ritrovare dopo un iniziale e comprensibile spaesamento, la fredda lucidità che il suo lavoro richiedeva, con tutti gli incidenti che capitavano continuamente in quella scuola. Ancora una volta, conteggiò mentalmente gli anni che le mancavano al pensionamento, rendendosi conto, nuovamente, che era ancora troppo giovane.

«Cosa sta succedendo?» domandò, uscendo dal suo ufficio mentre la professoressa Fay si stava togliendo, accaldata, la giacchetta di pelle scura, rimanendo in canotta.

«Il professor Kennan è stato ferito da un Mangiamorte» rispose lei, indicando il ragazzo già adagiato su un lettino. Intanto, una panchina sconsolata faceva ritorno alla propria dimora. «Le ferite non sembravano così profonde, eppure…».

Non ebbe il tempo di concludere quella constatazione, l’infermiera era già accorsa dal suo nuovo paziente.

«Buongiorno, Poppy» la salutò l’uomo, tranquillizzatosi nel corso del tragitto, sebbene fosse troppo provato per potersi definire pienamente cosciente.

«’Giorno Drew, è sempre un piacere averti qui» replicò lei, alludendo implicitamente, alle molte volte in cui aveva avuto bisogno delle sue cure.

«Sono stato peggio, vero?» le chiese, volendo sdrammatizzare la situazione.

Lei, prima di rispondere, si prese qualche istante per visitarlo. Trovò il suo battito cardiaco estremamente accelerato. Con un colpo di bacchetta esperto, sciolse la fasciatura ed esaminò la ferita. O almeno ci provò. L’enorme quantità di sangue che fuoriusciva dalle diverse incisioni rendeva impossibile individuare con precisione i punti in cui la carne era stata recisa.

Afferrato un panno pulito e sterile, tamponò la parte lesa.

Improvvisamente, i suoi occhi si illuminarono.

Cedette l’onere di vare pressione alla giovane che, nel farlo, si sporcò nuovamente di sangue.

Mentre fisava Drew nei suoi occhi vacui, mormorò una lunga litania e, alla fine di questa, toccò il collo del ragazzo con la bacchetta.

Laddove quel contatto era avvenuto si generò una ragnatela nera, la quale altro non era che l’apparato circolatorio del professor Kennan.

«Magia Oscura» riferì Madama Chips anche ad Amy «Molto potente e altrettanto complessa da rendere innocua».

«Puoi curarlo?».

«L’unico esperto di questo genere di incanti reperibile al momento attuale è  disteso su questo lettino» confermò lei, certa che quella che le era stata rivolta non fosse una vera e propria domanda quanto, invece, una mai detta supposizione. «Tutto ciò che posso fare è rimetterlo sufficientemente in forza da essere in grado di sciogliere questa maledizione da solo».

Senza molta grazia, la allontanò dal giovane.

«Esci di qui immediatamente e va ad avvisare Pomona che è giunto il momento di dimostrare che quella sua Mangrovia è veramente miracolosa come dice» le ordinò, senza dare il minimo adito ai suoi tentativi di rimanere. «E invia un gufo alla McGranitt. E’ corsa dai Weasley per assicurarsi che tutti stessero bene».

Amelia, recepito il messaggio, si trasfigurò immediatamente in falchetto.

Eppure, qualcosa non le tornava.

«Non è la prima volta che sento parlare di questi sintomi, sai?» disse l’infermiera al proprio paziente, dopo essersi assicurata che nei pressi non vi fossero ascoltatori indesiderati. «Due Mangiamorte, se non erro, i cui cadaveri sono stati ritrovati davanti al portone di Azkaban, li presentavano. Magari mi sbaglio, ma erano tra quelli che avevano ucciso tua madre…».

Drew alzò le spalle senza dire nulla.

«Lo sappiamo entrambi che questa è una tua creazione, puoi anche smetterla di nasconderti dietro questo mutismo».

L’affondo di Madama Chips  non lo lasciò indenne, eppure, non ebbe la possibilità di pensare ad una soluzione.

«È questo?».

La Medimaga, con un incantesimo avanzato, era riuscita a bloccare, almeno temporaneamente, il riversamento del sangue e, pulendo i lembi delle ferite qualcosa l’aveva colpita.

Un simbolo, un messaggio di Hermione. Doveva proteggere il loro segreto.

LA sua mano si era stretta sulla bacchetta e, prima ancora che l’altra potesse comprendere ciò che stava facendo, il suo incantesimo Confundus l’aveva colpita.

«Mi dispiace Poppy, ma è meglio se ne resti fuori» disse Kennan, nel tentativo di pacificare la propria coscienza «Meminion».

Il particolare incantesimo di Memoria andò a buon fine.

«Non hai visto alcun simbolo, solo una brutta ferita. Non hai riconosciuto i sintomi della mia Maledizione, ma sai che devi rimarginare la ferita, così poi io potrò intervenire per il resto. Infine, impedirai a chiunque d’essere presente al cambio dei bendaggi. Tutto chiaro?»

Dopo aver ricevuto un cenno d’assenso, concluse l’incanto e chiuse gli occhi, provato.

«È proprio una brutta ferita» confermò Madama Chips, poco dopo.

Lui le diede ragione e cercò di prendere sonno, prima di dover fronteggiare qualche visitatore, Amy in particolare.

 

***

 

All’improvviso l’oscurità smise di sommergerli e i tre ripresero il controllo su vista ed udito. Finalmente, l’opprimente sensazione della Smaterializzazione era sparita, abbandonandoli in uno squallido vicolo senza uscita in Tottenham Court Road, nella Londra Babbana. Non si trovavano così lontani dal British Museum, ma avevano preferito tenersi distanti dalla comunità magica.

L’imbrunire, ormai prossimo a tramutare in notte, immergeva quel viottolo e il suo asfalto consunto in una penombra che, in parte, celava la loro presenza lì. Ancora stravolti da ciò che era accaduto alla Tana, le loro menti, poco razionali e troppo emotive, continuavano a riempirsi di pensieri angoscianti. Mai come in quell’istante, la mancanza di Hermione si faceva sentire. Lei, con quella maturità e con la sua intelligenza, sarebbe sicuramente stata in grado di trovare una soluzione a tutto ciò.

Avevano bisogno di trovare un riparo, un rifugio in cui raccogliere le idee ma, acconciati così elegantemente, avrebbero attirato sicuramente l’attenzione. Anche perché la moda del mondo magico era decisamente troppo diversa da quella Babbana.

«Siete tutti interi?» chiese Harry tastandosi, nel timore d’essersi spaccato a causa dell’affrettata Smaterializzazione che era stato costretto ad eseguire. Di nuovo, se Hermione fosse stata al suo posto non si sarebbe posto un dubbio del genere. Dopo un cenno d’assenso dei due Weasley, trasse un grosso respiro di sollievo.

Rimasero in silenzio per alcuni istanti mentre Ron, poggiandosi al muro, pareva annaspare alla ricerca della lucidità persa. Ginny, al contrario, continuava a percorrere la breve larghezza di quella viuzza. Il rumore dei suoi passi scandiva un tempo che sembrava non voler scorrere.

«Gli altri… tutti gli invitati…» mormorò Potter, senza rivolgersi ad un preciso interlocutore.

«Non possiamo pensare a loro adesso» gli rispose in un sussurro Ginny, raggiungendolo per afferrare dolcemente il suo viso e guardarlo nei suoi occhi verdi. «È a te che danno la caccia, Harry; se tornassimo metteremmo tutti ancora più in pericolo». Le loro labbra si incontrarono per un bacio lieve, in grado, però, di ridare un battito al loro ruggente cuore Gryffindor.

Prima ancora che il ragazzo sopravvissuto potesse controbattere qualcosa, Ron, che nei molti anni della loro amicizia aveva imparato a conoscerlo, lo anticipò.

«Ha ragione» asserì, schierandosi con la sorella e spostando su di lui il suo sguardo, fino a quel momento perso nelle mattonelle della parete che gli stava innanzi.

«Gran parte dell’Ordine era lì, si occuperanno loro di tutti».

Intanto la strada principale si era affollata. Un gruppo di uomini, tra cui il più sobrio stentava stare in piedi, avanzava barcollando, mentre intonava con passione ed energia una qualche canzonetta appartenente alla più squallida tradizione popolare.

 Tra una volgarità e l’altra, se non erano troppo concentrati nel portarsi nuovamente alle labbra la propria bottiglia, o anche quella di un altro, si prodigavano in non voluti complimenti verso le giovani donne che passavano loro accanto, ignare che quella sera il vecchio Alfred stava dando il suo addio al gioioso periodo del celibato.

Ginny, per quanto nascosta dalla mancanza di illuminazione, si strinse di più al proprio fidanzato.

«Dovremmo andarcene da qui» propose.

Entrambi le diedero ragione, ma la conversazione sprofondò nell’ennesimo silenzio quando iniziarono a pensare ad una possibile destinazione.

«Forse la campagna è più sicura» suppose Ron, tutt’altro che sicuro della propria affermazione.

«Magari potremmo provare a raggiungere Hogwarts» propose, invece, Ginny. Harry scosse piano la testa.

«Sicuramente Hogsmeade è pattugliata dai Mangiamorte e non è possibile Smaterializzarsi direttamente entro i confini della scuola» le rispose, ritrovandosi a valutare l’ipotesi di utilizzare la Metropolvere, ma scartandola subito dopo essersi ricordato quanto pochi fossero gli allacciamenti che il camino nell’ufficio del Preside aveva.

Dalla parte opposta della strada, in un pub, una coppia di operai corpulenti, seduti su una panca, stavano chiedendo il conto alla cameriera, presa dalla masticazione di una gomma. Il locale era talmente lurido da far loro preferire quei puzzolenti bidoni della spazzatura. Anche da quella distanza infatti, erano certi di poter vedere, districandosi sulle macchie di sudiciume della vetrina e le tendine ingiallite dal tempo, uno spesso strato di unto sugli economici tavolini di formica.

I due uomini erano già sull’uscio, quando un lampo verde colpì in pieno petto la barista, facendola crollare al suolo senza vita. Le loro bacchette, già sfoderate, puntavano verso i tre ragazzi, mentre correvano per raggiungerli.

La prima a sguainare la propria fu la più giovane dei Weasley, la quale, però, non appena la impugnò, capì di non poterla usare: essendo lei ancora minorenne, usarla avrebbe attivato la Traccia. Era stato così che quei due li avevano trovati. Mentre le loro prime Maledizioni Senza Perdono, scagliate senza prendere troppo la mira, si infrangevano sulla parete di fondo di quel vicolo, capirono che quel fuoco aveva il solo fine di non farli scappare. Una volta raggiunti, infatti, si sarebbero ritrovati in una trappola senza via d’uscita. Harry, facilitato dai lampioni della strada principale che illuminavano perfettamente i loro avversari, prese la mira e colpì il biondo dei due con uno Schiantesimo. Questo, fortunatamente, si dimostrò sufficiente per fargli perdere i sensi. L’uomo si afflosciò al suolo.

Per tutta risposta il suo compagno, con un caratteristico volto sfigurato, lanciò un incanto verso Harry, che Ginny, però, intercettò facendogli scudo con il proprio corpo. Corde lucide e nere le impedivano qualsiasi movimento.

L’urlo rabbioso di suo fratello fu l’ultima cosa che quel Mangiamorte sentì  prima di svenire.

«Reducto». L’incantesimo infatti, era stato indirizzato verso uno dei bidoni, il quale, urtato, aveva investito il Mangiamorte.

Negli istanti successivi fu il caos.

Harry tentò di liberare la Weasley, ma riuscì solo al secondo tentativo, dopo averla ferita leggermente al braccio.

Il primo avversario parve rinvenire.

«Via di qui!» gridò Ron, azzardando una Smaterializzazione Congiunta.

Sotto i loro piedi sfrecciò l’ennesima fattura.

I tre si ritrovarono al centro di una piazza di una piccola città.

«Dove stiamo andando?» domandò Potter, ancora incredulo che l’amico, bocciato all’esame per essersi dimenticato metà sopracciglio, fosse riuscito a salvarli, portandoli al sicuro.

«Da qualcuno che ci deve un favore» rispose misterioso lui, con la bacchetta ancora in mano, mentre li sospingeva verso un angolo buio.

«Ginny» continuò poco dopo. «Preferisco che tu ti difenda, anche se questo attiva la Traccia, piuttosto che farti colpire da una possibile Maledizione». Il suo sguardo si alternava studiando prima la sua ferita, poco più che superficiale, e poi accusando tacitamente Harry.

«Se lo avessi fatto, ora saprebbero dove siamo» si limitò a constatare lei, proseguendo poco dopo. «Voi siete riusciti a vederli in faccia?».

«Quello biondo era presente la notte in cui è morto Silente» osservò Harry.

A chiarire i loro dubbi fu Ronald, che aveva visto uno sui manifesti dei ricercati e che conosceva l’altro.

«Penso fosse Thorfinn Rowle» disse, respirando a fondo. «L’altro era Dolohov».

La ragazza arrestò quella che, da una rapida passeggiata, la cui meta conosceva solo suo fratello, era diventata una corsa affannata.

«L’assassino degli zii?».

Solo un assenso, prima di ricominciare a muoversi.

Lo fecero per almeno quindici minuti, svoltando spesso per controllare se, eventualmente, qualcuno li stesse seguendo. Così facendo però, allungarono di molto la strada. Alla fine, il complesso urbano si aprì verso la campagna. Un piccolo pendio culminava su una villetta le cui stanze del piano terra erano illuminate a giorno.

Il più anziano dei Weasley continuava imperterrito, mentre i suoi compagni si lanciavano occhiate dubbiose e molto eloquenti.

I tre, superato un piccolo cancelletto, percorsero un ciottolato immerso in un perfetto giardino inglese. Fu proprio questo particolare ad illuminare anche l’altra rossa che, a causa del buio e dell’agitazione, si era sentita spaesata come Potter.

«Sei un idiota!» esclamò, rivolgendosi al fratello. «Non potevi pensarci un po’ prima?».

Quello si limitò a mettersi addosso un’espressione spazientita.

Giunti alla soglia, suonarono il campanello.

Quando la porta si aprì, un ragazzo, evidentemente annoiato, li squadrò da capo a piedi. Sbadigliò, mentre con la mano si spettinava i capelli, già piuttosto disordinati. Era a piedi nudi e indossava solo un paio di pantaloncini grigi lunghi fino al ginocchio e una canotta nera che non nascondeva affatto la sua pelle abbronzata.

«Tesoro, abbiamo visite» gridò, voltando la testa verso qualcuno all’interno della casa. «Rogne, senza dubbio» completò, dopo aver lanciato loro, da sotto il ciuffo ribelle, l’ennesima occhiata. Se si escludeva questa porzione della sua testa, il resto dei capelli era stato tagliato molto corto di recente.

«Ti sta bene il nuovo taglio» disse gentile Ginny.

Quello sollevò le spalle.

«A mia moglie piaccio così» rispose lui, come se quella fosse l’unica cosa che gli importasse. Una voce spazientita si avvertì alle sue spalle.

«Blaise, quante volte devo dirtelo che è maleducazione tenere i propri ospiti sulla porta?».

Profondissimi occhi verde scuro, in grado di narrare racconti così terrificanti da far accapponare la pelle anche ad un prigioniero di Azkaban. Fatti realmente accaduti, di cui la sua carne portava ancora i segni.

Bellissima capelli color del grano, raccolti in un’acconciatura perfetta, poiché l’eccellenza era il suo fine, il suo tormento e la sua fobia.

Immancabili tacchi vertiginosi, portati con eleganza anche nell’atrio di casa propria.

Daphne Greengrass era più bella che mai.

Quando riconobbe chi aveva alla sua porta, corse loro incontro, non riuscendo a trattenersi, per quanto questo infrangesse la sua impeccabile alterigia, dall’abbracciare Ginny.

«Entrate prima che qualcuno vi veda» li esortò poco dopo, lanciando un’occhiata circospetta al giardino, che Zabini intercettò.

«Mi fumo una sigaretta»

Affermando ciò, mentre gli altri venivano guidati da Daphne in salotto, superò la veranda e si immerse nel buio del cortile.

La notizia della caduta del Ministero era giunta anche a loro.

La sicurezza, in tempi come quelli, non era mai troppa.

 

Aveva assistito impotente mentre il padre di Daphne la trascinava via, dopo il funerale di Silente. Non era accettabile che un rampollo Slytherin, Purosangue per giunta, si schierasse apertamente contro Lord Voldemort. Soprattutto se suo padre ne era un fedelissimo servitore.

La Greengrass, tuttavia, aveva voluto fare di testa propria, in un moto di indipendenza che avrebbe pagato a caro prezzo. Sapeva perfettamente come le cose sarebbero evolute, così come ne era a conoscenza il suo promesso sposo.

Proprio per rimanere tale aveva dovuto restarsene in disparte, durante la battaglia di Hogwarts. Per questo la McGranitt aveva Trasfigurato il suo aspetto. Lui rappresentava la sua unica speranza di sfuggire a quella prigionia.

Conscio di quello che sarebbe successo alla ragazza, Blaise si era presentato alla porta d’ingresso della residenza Greengrass di prima mattina, nell’indomani.

Ad aprigli fu Asteria, la sorella minore di Daphne. Lesse molte cose nel suo atteggiamento timoroso.

Si avvicinò per salutarla, ma lei arretrò velocemente, con il terrore negli occhi. La paura verso suo padre era tale da spingere il suo cervello a vedere nel contatto di chiunque, una violenza. Di nuovo, Blaise si ritrovò a capire perché Daphne non potesse abbandonarla ma, anzi, si prendesse carico anche delle torture che sarebbero spettate, ingiustamente, a lei e a sua madre.

«Scusa» mormorò Asteria, dispiaciuta.

Zabini alzò le spalle.

«Dov’è tua sorella?» le chiese, senza alcuna inflessione nella voce.

«Nella sua stanza, ma non puoi…».

Non attese altro, qualsiasi bieca motivazione non sarebbe stato sufficiente a tenerlo distante. Se avesse dovuto combattere contro il capofamiglia lo avrebbe fatto. Se alla fine fosse stato rinchiuso ad Azkaban, avrebbe affrontato il Bacio del Dissennatore a testa alta.

Le sue certezze crollarono quando la vide, nonostante i tentativi di fermarlo.

Seduta, dinnanzi ad uno specchio, con addosso una vestaglia leggera che lasciava scoperti gran parte dei bendaggi che un Elfo Domestico armato di unguenti e medicamenti, le stava applicando.

La madre, con gli occhi gonfi di lacrime, le pettinava i capelli singhiozzando.

Gli sguardi dei fidanzati si incrociarono, ma entrambi rimasero in silenzio.

Il suo viso, dalle linee così delicate, era ricoperto di ematomi.

Non era mai arrivato a picchiare il volto. Troppo difficile da nascondere, troppo evidente la magia applicata per capire il misfatto.

Un occhio nero, uno zigomo rotto, un taglio profondo sul labbro inferiore, una ciocca di capelli strappati. Sua madre tentava di celare il possibile.

«Uscite» ordinò Blaise imperioso, correggendosi poco dopo. «Per favore».

Ben presto la stanza si svuotò, lasciandoli soli. Si avvicinò, temendo che anche solo il suo avvicinarsi potesse farle del male.

«Riesci ad alzarti?» le chiese.

Quella indicò una boccetta, oramai piena per meno della metà, di Ossofast. Trattenere l’ennesimo attacco di rabbia, per il giovane Zabini, fu tutt’altro che semplice.

«Se io riuscissi a portare via di qui tua madre e tua sorella, tu…» provò, di nuovo, sapendo già che l’orgoglio della ragazza le avrebbe fatto formulare un rifiuto. Ma così non fu.

«Sì, ti sposerei» disse lei, con voce bassa e stanca. »Ma deve essere tutto perfettamente legale, non voglio mai più appartenergli in alcun modo».

Una vittoria.

Avrebbe avuto l’opportunità di darle una nuova vita.

«Entro la fine dell’estate sarai mia moglie» la rassicurò lui, sicuro di sé. Qualcosa non andava.

La vide tentare d’alzarsi, nonostante le ferite. Tremava. Piangeva.

Le gambe a stento la reggevano, mentre le mani, rallentate dalle troppe ferite, le fecero scivolare lungo la schiena l’abito leggero che indossava.

Si coprì il seno con una mano, mentre obbligava quel cadavere livido che era il suo corpo a dargli la schiena.

Tra le scapole, un’incisione, ancora arrossata sebbene fosse stato usato un incanto per cicatrizzarla. Una parola: puttana.

«Non ce la faccio più».

Blaise aveva atteso anni per sentirglielo dire. Non si era mai piegata, non si era mai data per sconfitta. Ora voleva voltare pagina.

L’abbracciò da dietro. Lei non riuscì a trattenere un gemito. Blaise cercò di allentare la presa, ma non era in grado di staccarsi da lei.

Doveva proteggerla.

«Tre settimane» la rassicurò, sussurrandole all’orecchio mentre delicatamente la aiutava a rivestirsi. «Tornerò stasera per parlare con tuo padre, fisserò la data e imporrò qualche condizione. Lo minaccerò affinché non ti tocchi più».

Daphne mormorò un ringraziamento.

«Resisti».

Posò un bacio leggero su una porzione di pelle non escoriata e la salutò.

Doveva ordire una fuga e organizzare un matrimonio in pochissimo tempo Sua madre era in vacanza con il suo nuovo marito.

Draco e Narcissa erano il suo unico appoggio. Magari loro avrebbero saputo a chi chiedere aiuto.

 

L’arredamento moderno della casa trapelava il rinomato buongusto di Daphne, la quale, prima di invitare i nuovi arrivati a sedersi sul divano, diede una veloce sistemata ai cuscini sgualciti. Alcuni più di altri portavano l’evidente passaggio di Blaise.

«Scusate il disordine, abbiamo saputo solo poco fa la notizia e non eravamo preparati a ricevere alcuna visita».

Nel suo modo di fare c’era la gentilezza e l’educazione tipica della perfetta padrona di casa.

«Ci dispiace molto essere di disturbo, ma non sapevamo dove altro andare« rispose subito Ginny. «E comunque, anche nel suo momento peggiore questa bellissima casa rasenterebbe la perfezione».

«Non lo siete affatto» li tranquillizzò lei pacata. «Considerando ciò che avete fatto per noi, l’uscio di questa casa sarà sempre aperto per voi» continuò poco dopo, sorridendo. «E poi come potrei sbattere la porta in faccia alla mia damigella?»

Harry, che si sentiva escluso poiché non aveva potuto partecipare alla missione di salvataggio di Asteria e sua madre e al successivo matrimonio di Daphne in quanto imprigionato dai Dursley, avanzò un quesito.

«Sai qualcosa degli altri invitati?».

La Greengrass si sedette loro di fronte. Quel gesto li mise in agitazione.

«Il numero di feriti è alto, ma sembra che l’Ordine sia riuscito ad evitare il peggio». Cominciò, parlando con tranquillità dell’associazione segreta, poiché vi era entrata in contatto quando aveva nascosto la sua famiglia presso l’attico di Narcissa Malfoy. «La vostra famiglia è al sicuro, sono tutti stati condotti nella Villa Conchiglia, dove sono protetti da molti Auror. Anche la McGranitt ha voluto assicurarsi che tutti stessero bene». A quella informazione, pronunciata guardando ora l’una ora l’altro Weasley, i due trassero un respiro di sollievo. «Purtroppo, ci sono anche delle brutte notizie».

Trasse un profondo respiro, che Blaise sfruttò per intromettersi nella conversazione.

«Draco sarà qui a momenti» le riferì dopo aver fatto un giro di ronda, sedendosi sul bracciolo della poltrona su cui lei stava elegantemente composta.

«Perfetto» gli rispose, mentre si voltava in cerca dell’elfa domestica. «Peggy, ti prego, servi del tè freddo».

Vedendola procrastinare, i tre si incupirono, reclamando spiegazioni.

La mano di Zabini si posò sulla sua spalla, dandole forza.

«Pare che il professor Kennan si sia ferito molto gravemente» spiegò, ottenendo fin da subito uno sguardo colpito. Drew, nel tempo che avevano trascorso a contatto con lui, era parso completamente invulnerabile.

«La Maledizione utilizzata per ferirlo rientra in un livello molto avanzato della Magia Oscura e Madama Chips dice d’essere in grado solo di stabilizzarlo e curare le ferite più esterne».

«Ma si riprenderà?» chiese Ron, portandosi alla bocca riarsa il bicchiere che la creatura gli aveva avvicinato.

«Si auspica che sia abbastanza in forze da essere in grado di eliminare gli effetti dell’incantesimo da solo, visto che, al momento attuale, è l’unico in tutta Hogwarts a sapersi destreggiare così bene con questo genere di Arti».

«Non mi sembra una notizia tanto tragica…» constatò Harry, non più in grado di impressionarsi facilmente dopo aver scoperto della morte di Malocchio, proprio durante il suo trasferimento alla Tana.

«Drew e chi l’ha salvato sostengono che la Mangiamorte che lo ha attaccato sia Hermione».

La voce gelida di Draco causò un brivido lungo la schiena di ognuno dei presenti.

Tante cose, viste da quell’ottica, prendevano senso. Terribilmente.

Le risposte sempre più sporadiche ai gufi che le inviavano, il continuo aggravarsi delle condizioni di salute di sua nonna, le quali la tenevano lontana dalla dimora dei suoi genitori e le avevano impedito prima di partecipare allo spostamento di domicilio di Harry, per la quale era stata sostituita dal professor Kennan e, poi, al matrimonio di Bill e Fleur. Aveva anche rimandato o annullato ogni appuntamento con ognuno di loro, spingendoli a pensare che fosse sparita.

La notizia della separazione da Draco r il grave male che stava conducendo alla morte uno dei suoi pochi parenti che ancora era in vita però, li aveva spinti a desistere dall’insistere troppo. Infondo, lei era Hermione Granger una Gryffindor valorosa, una guerriera, un’amica. Lei era stata la soluzione a molti dei problemi che Lord Voldemort aveva posto sulla loro strada.

«Non è possibile» scandì chiaro Ron, dando voce anche al pensiero dei suoi compagni.

Malfoy si limitò a scuotere piano il capo. Era lui il primo con il cuore infranto, sebbene nessuno paresse rimembrarlo. Era lui il primo ad essere stato deluso. Pensò ad un impropero, mentre, standosene ancora in piedi, caricava l’affondo finale.

«Sono appena stato a trovare la signora Jean…» cominciò, mentre già le teste dei tre presero a muoversi in segno di diniego. «… ed era ancora più allegra e vispa dell’ultima volta che l’ho vista».

Si soffermò su ognuno di loro per qualche istante.

«Un’arzilla vecchietta in piena salute e che, su sua stessa ammissione, non vede la propria nipote da quasi due mesi».

Potter scattò in piedi. Avrebbe voluto urlare, scaraventare qualcosa al suolo, rompere quella dannata testa platinata. Sentiva che tutto quello che stava accadendo aveva una spiegazione. Doveva avercela.

Sentire la mano di Ginny sulla propria schiena placò il suo spirito.

«Vorremmo credervi» cercò di scusarsi lei. «Ma cercate di capirci: fino a pochi secondi fa lei era uno dei nostri pilastri. Abbiamo bisogno che sia lei a dire di averci voltato le spalle per schierarsi con il Signore Oscuro. Abbiamo bisogno di un confronto».

I muti assensi del suo fidanzato e di Ron valsero più di mille parole.

«Dovrete attendere che io abbia il mio» chiarì Draco, con un tono che non aveva alcuna tipologia di replica.

«Resta il fatto però, che, Granger o meno, Silente ci ha lasciato una missione da compiere» disse Blaise che, per la prima volta, si era inserito nella conversazione.

«Partiresti anche senza di lei, Sfregiato?» domandò Malfoy.

Harry parve non avvertire neppure il suo insulto.

«Assolutamente» disse con fermezza. «Anzi, dovremmo muoverci ancora più velocemente, onde evitare che il Signore Oscuro, avvisato da Hermione, recuperi gli Horcrux prima di noi».

«Una missione con ben poche possibilità di riuscita» constatò la Greengrass che, corrucciata, stava tormentando la mano che Zabini le aveva porto. «Gli unici indizi che abbiamo sul dove si trovino sono nel messaggio cifrato che quel pazzo di Silente ci ha lasciato con il suo testamento».

Malfoy si intromise nuovamente.

«Senza contare che questa sua indicazione non è nascosta tra le parole delle sue volontà, visto che il Ministero, prima di darci ciò che ci spettava si è premurato di controllare approfonditamente che non vi fosse nulla di anomalo». Così dicendo gettò una copia di quel documento sul tavolino, suggerendo, implicitamente, che la chiave, dunque, doveva trovarsi negli oggetti ricevuti.

Da un cassetto di una vetrina, Blaise trasse un libricino dall’aria antica e con la copertina logora.

«A Blaise Aiden Zabini lascio il Manoscritto di E.H., mio personale ritrovamento, certo che apprezzerà l’amore per l’ozio del protagonista» citò a memoria, lanciandolo sul tavolo.

«A Ronald Bilius Weasley lascio il mio set di Scacchi Magici da viaggio, nella speranza che questo non faccia che accrescere la sua passione» continuò il rosso posando un sacchetto sgualcito e dall’aria antica sul tavolo.

«A Daphne Meredith Greengrass lascio il mio Deluminatore, nell’auspicio che si ricordi di me quando lo usa» recitò la ragazza, aggiungendo agli altri oggetti qualcosa di simile ad un accendino.

«A Draco Lucius Malfoy lascio una piccola fiamma gubraitiana, così che questa lo aiuti a dissipare i suoi dubbi». Si trattava di una boccetta simile ad una clessidra, in cui bruciava ininterrottamente un fuocherello vispo.

«A Harry James Potter lascio il Boccino che catturò nella sua prima partita di Quidditch ad Hogwarts, in memoria delle ricompense che perseveranza e abilità meritano, e la leggendaria Spada di Godric Gryffindor, così che questa metta in luce il suo grande coraggio» concluse Harry, che non avendo potuto appropriarsi di un patrimonio storico dell’intera comunità magica, mostrò solo la sferetta alata, brillante nel suo colore aureo.

«Ancora una volta» commentò Ginny. «Quell’uomo è stato cristallino».

Ciò stemperò l’atmosfera, fin troppo tesa. Se fosse stato vero quello che si diceva di Hermione, il gruppo avrebbe dovuto affrontare un ennesimo problema: risolvere l’enigma senza una parte del quesito e senza la mente brillante della Granger.

«Ginny, vieni con me, magari c’è qualcosa di comodo nei nostri armadi per te e i ragazzi» esordì d’improvviso Daphne, dopo che più di un’ora era trascorsa senza che nessuno avesse avuto qualche idea.

Draco, salutando tutti, se ne era andato, portando con sé la sua parte di eredità. Il programma era che i tre sarebbero rimasti presso Blaise e Daphne fino al primo giorno di scuola, dove Draco li avrebbe raggiunti il più spesso possibile per tentare di capire dove Voldemort potesse aver nascosto i sui Horcrux.

«Ho chiesto personalmente al professor Kennan di imporre qualche protezione su questa casa» li aveva rassicurati la Greengrass, mentre Blaise, stanco, si era andato a infilare a letto.

 

***

 

Rare gocce di una fiacca pioggia di fine estate si frantumavano contro le vetrate di un silenzioso bar sperduto nella campagna inglese. La proprietaria del locale, bella sebbene non più giovane, dopo aver raccolto i lunghi capelli biondi in una treccia distratta che le ricadeva sulle spalle e sul seno abbondante, stava cercando, con risultati piuttosto scadenti, di non farsi prendere un infarto dopo aver scoperto che le proprie finanze erano pesantemente in rosso. I boccali di birra che serviva la sera ai suoi clienti abituali, purtroppo, non sembravano essere sufficienti per mandare avanti la baracca, costatò dopo aver ringraziato l’unico cameriere del bar, il quale, posandole la mano sulla spalla cercando di confortarla, si diresse verso uno dei pochi tavolini occupati da qualche cliente, reggendo abilmente il vassoio sul palmo aperto della mano sinistra. Se Marise, alla fine di quei conti con tanto di calcolatrice scientifica, avesse dichiarato bancarotta, lui si sarebbe ritrovato disoccupato e con una costosa retta da pagare per i suoi studi. Aspetto, quest’ultimo, che l’avrebbe costretto a ritornare a capo chino dai suoi genitori per implorare che lo aiutassero, nonostante l’ultima volta che li aveva visti il rumore della porta d’ingresso sbattuta fosse stata l’unica parola che si erano scambiati.

Pochi passi furono più che sufficienti per permettergli di raggiungere quel tavolino addossato al muro in cui si apriva un’ampia finestra che dava su una strada solitaria, calpestata solo dai passi pesanti del tempo ubriaco, e su un piccolo parco addobbato da alcune querce, le cui fronde secolari appena si muovevano sotto il respiro del vento.

«Due cappuccini e tre brioche al cioccolato» disse il ragazzo mentre posava le ordinazioni.

Due ragazzi, diametralmente opposti in tutto, sedevano l’uno di fronte all’altro. Uno riempiva il silenzio, l’altro lo ascoltava in modo composto.

Sorrise educatamente ai due e, in risposta, ottenne un leggero assenso con il capo e un ringraziamento gentile. Iridi di miele di castagno e capelli color del grano all’inizio di settembre, accompagnarono la riconoscenza del giovane, che si appropriò immediatamente del piatto su cui si trovavano i tre croissant. La sua fame da abile giocatore di Quidditch, evidentemente, non lo aveva ancora abbandonato, nonostante che da quasi un paio di mesi non mettesse più piede ad Hogwarts. Quella scuola, in cui presto avrebbero fatto ritorno con l’inizio del nuovo anno scolastico, non era più ritenuta un rifugio sicuro da quando Silente era morto. Molti suoi compagni di casa, proprio per questo motivo, erano stati obbligati dai propri genitori a trasferirsi a Durmstrang o a Beauxbatons.

Quell’incontro, il sabato mattina, era diventato ormai un’abitudine. Stesso locale, stesso tavolo, stesse ordinazioni. Il diverso era tutto il resto, loro per primi.

«Davvero è così grave la situazione?» aveva bofonchiato il biondo mentre addentava la prima brioche, la quale, con due morsi ben assestati, si ritrovò ingerita ed accompagnata verso lo stomaco con due pugni pesanti contro il petto, che evitarono all’affamato ragazzo di soffocare.

L’altro, ridacchiando in un frangente di spensieratezza a quella scena, si portò la tazza contenente il cappuccino alle labbra sottili e ne bevve un sorso. Un leggero segno biancastro, lasciato dalla schiuma della bevanda, marcò il contorno rosato di quella bocca per pochi istanti, prima che questa venisse pulita dall’educato utilizzo di un tovagliolo.

«Dovresti andarci piano con tutti quei dolci che ingurgiti, se non vuoi ritrovarti grasso e solo» disse, non riuscendo a nascondere la bruciante invidia per quel suo maledetto metabolismo e l’odio verso quella ferrea dieta cui spesso si ritrovava costretto a sottostare per mantenere in perfette condizioni il suo fisico da atleta. Nel dire quelle parole, con cui ancora una volta veniva ad essere rimarcato il profondo divario tra i due, Logan Forsyth non poté non soffermarsi su tutte quegli aspetti su cui i loro essere differivano.

Faceva fatica a convivere con il fatto che, se accostati, Daniel riusciva a metterlo sullo sfondo anche solo con un sorriso, rendendo costantemente quelli che erano i suoi difetti un proprio punto di forza. A volte, si sentiva solo l’ombra di una luce splendente, di cui, pur non volendolo, si ritrovava ad essere un banalissimo marcatore dei vastissimi confini: era un mare nero reso “nulla” da uno scorcio bianco.

Si era tagliato i capelli corvini con un taglio militaresco che i suoi genitori, altolocati Purosangue, avevano disprezzato in quanto troppo poco nobiliare, nella speranza che le ragazze, a volte, fantasticassero anche su di lui e non solo sulle linee morbide del biondo scuro del giovane Alleyn. Aveva fatto a gara con l’altro, pur sapendo d’essere l’unico a gareggiare a quella tenzone, a chi riusciva ad avere il fisico più tonico. Si era anche imposto di smettere di fumare pur d’arrivare ad arrancare dietro un’idealistica perfezione che credeva fermamente di non poter raggiungere.

Ogni volta che lo guardava negli occhi, però, capiva quanto lontano fosse dalla possibilità d’esserne all’altezza: un banalissimo marrone, privo di sfumature che potessero essere associate a gioielli raffinati o a imprevedibili malesseri del cielo. Eppure, il suo era uno sguardo che sapeva riempirsi degli aspetti migliori della vita, della bellezza della sua imprevedibilità e della sconvolgente originalità della sua semplicità. Erano iridi, le sue, che cantavano fin dalle prime ore del giorno un accalorato inno alla vita.

Nulla a che vedere, quindi, con quella tetra oscurità con cui Madre Natura aveva ricucito i pezzi della sua anima. Uno specchio infranto e portatore di malasorte.

Una nota morta in gola.

L’altro, preparandosi ad azzannare il secondo croissant, alzò le spalle e, addentata la pasta friabile ferendo a morte il suo cuore pulsante cioccolata, si preparò a rispondergli per le rime.

«Sono sicuro che la persona a cui piaccio lo farebbe anche se occupassi entrambe le piazze del nostro letto».

Il suo interlocutore si prese un sorso del proprio cappuccino e lui, rimanendo in silenzio, ebbe la possibilità di constatare quella classe innata nel suo portamento, che sapeva benissimo non avrebbe mai posseduto. Non Daniel Alleyn, il Mezzosangue.

Il nodo perfetto alla cravatta blu scuro e l’elegante giacca dal taglio moderno, abbandonata sullo schienale della sedia, sul cui taschino spiccava una spilla d’oro bianco con il simbolo del suo casato. In confronto, lui, con la sua maglia leggera con cui fronteggiava quel prematuro autunno britannico, sembrava essere uscito per errore di casa con il pigiama addosso.

Tra i due c’era solamente un anno di distanza, il cui peso a volte era fin troppo opprimente. Non che Logan evitasse di farglielo notare costantemente, trattandolo come un bambino e offrendosi di dargli ripetizioni di Storia della Magia.

«Dovresti sapere che quella persona, pur amandoti, ha un fila di ragazzi che aspettano solo di avere uno straccio di possibilità», gli rispose Logan, sapendo quanto questo avrebbe scatenato la sua gelosia quasi infantile.

«Prima o poi ti costringerò a dirmi tutti i loro nomi» concluse l’altro, mentre con un gesto veloce, si preparava ad ingurgitare anche l’ultimo pezzo di brioche. Il ritmo pacato con cui girava il cucchiaino in senso antiorario per sciogliere lo zucchero che aveva versato nel proprio cappuccino, però, anticipò che il silenzio lo aveva portato a riflettere sulla questione da cui tutto aveva avuto inizio.

«Quindi le cose si stanno mettendo veramente male» constatò amaro, esternando quello che era il pensiero che stava prendendo il dominio nella sua testa in quell’istante. Lo aveva intuito dal fatto che Logan non avesse voluto parlarne, tergiversando la sua domanda e concentrando la loro conversazione su argomenti ben più rilassati.

L’espressione del suo interlocutore si rabbuiò, mentre, dopo aver dato un’occhiata circospetta ai Babbani presenti in quel locale ed aver avuto la conferma d’essere sufficientemente lontani da occhi indiscreti, sfilava da una tasca interna della propria giacca un giornale arrotolato. Daniel, spostando la propria tazza per coprire il più possibile la foto magicamente animata dell’oramai ex-Ministro della Magia, Cornelius Caramell, con un’espressione seria e pensosa. Dal titolo, che il ragazzo lesse rapidamente e di sfuggita, intuì che il padre di Luna Lovegood, nell’ultimo periodo, stava dando il meglio di sé, accusando l’anziano uomo d’avere l’abitudine di torturare e poi cucinare in crosta tutti Folletti che gli capitavano a tiro di bacchetta.

«Non pensavo che fossi un lettore del Cavillo» gli disse, guardandolo basito.

Il sospiro di Logan fu perentorio, messo di infausti presagi.

«Ne ho parlato con mio padre» questo incipit, se possibile, lo intimorì ancora più di quello che già era. Se Logan era arrivato a chiedere informazioni a suo padre, uomo freddo e scostante, favorevole, per quanto non facente parte dei Mangiamorte, all’ascesa di Lord Voldemort, la situazione doveva essere tragica «Tu-sai-chi si è infiltrato nel Ministero, facendosi largo con spie e Maledizioni Imperius. Ora, da quando Rufus Scrimgeour è morto, è completamente nelle sue mani» si prese una pausa per permettere a Daniel di immagazzinare le informazioni, sapendo che dall’ultima volta che si erano visti, due settimane prime, non aveva potuto ricevere alcuna informazioni sul Mondo Magico «Se non altro, pare che sia morto senza svelare dove si nascondesse Potter. A reggere il governo, in questo momento, è Pius O’Tusoe, una marionetta completamente in mano al Signore Oscuro».

«Quindi, tutti i maggiori giornali nazionali sono in mano sua» continuò, per lui, il giovane Gryffindor, capendo per quale motivo quello sconclusionato mensile fosse diventata l’unica fonte di informazioni veritiere.

«Esattamente» confermò Forsyth con un lieve cenno d’assenso «Da questa posizione, nulla è più sicuro. Potrebbe benissimo infiltrare qualche burattino all’interno di qualsiasi associazione o organismo pubblico. Pare che l’abbia fatto anche con il San Mungo, sostituendo il Primario con un suo fedelissimo. Fortunatamente, non ha avuto gioco facile con Hogwarts: la McGranitt ha deciso di scendere in campo, nonostante i rischi che corra nel farlo», continuò poco dopo.

L’espressione di Daniel era una muta richiesta. Sapeva che la direttrice della sua Casa non avrebbe ceduto a Lord Voldemort, ma non poteva non temere per la vita dell’anziana donna. Neppure Silente era sopravvissuto a quel folle e il solo pensiero che colei che era stata per tutta la sua generazione un punto di riferimento insostituibile perisse per sua mano era inaccettabile.

«Che ha fatto?». Nella sua voce, un tremore parafrasava la sua preoccupazione.

«Ha sfruttato un’antica regola per ottenere la carica di Preside a tempo indeterminato e, poi, ha dichiarato la scuola indipendente dal giogo ministeriale. Nel farlo, ha perso buona parte dei sovvenzionamenti governativi, oltre alla protezione del corpo degli Auror. Per ora, la cosa sembra funzionare, ma è probabile che a breve sarà costretta a scendere a trattative, se non vuole rischiare che Hogwarts venga chiusa. Per non parlare, poi, delle varie e possibili ripercussioni di cui il corpo docenti potrebbe essere vittima … ».

Alleyn rovinò contro lo schienale della sedia. Stanco, improvvisamente.

«Perché l’ha fatto?».

«Pius O’Tusoe aveva individuato in Piton il successore di Silente. La McGranitt non lo avrebbe mai permesso» rispose pacato Logan, passando con fare consolatorio una mano tra i capelli di Daniel «Avanti, mangia pure anche la mia brioche» continuò, poco dopo, trascorsi alcuni istanti di silenzio totale.

Il biondo, come prevedibile, non se lo fece ripetere due volte, ottenendo che sul viso dell’altro si aprisse un’espressione ilare. La facciata splendente di un mondo rovinato al suolo, di domande che non avevano e non avrebbero avuto alcuna risposta. Un luogo dove era stato imprigionato il timore, solo per poter ostentare un coraggio vuoto, ma vero e profondamente sentito.

Solo una settimana, poi la scuola sarebbe ricominciata. Forse, quest’anno, qualcuno avrebbe notato il loro talento nel Quidditch, dopo tanti allenamenti. Ore di sudore e fatica, condivise e convissute, con l’unica certezza che, se mai i loro sforzi fossero valsi a qualcosa, si sarebbero ritrovati avversari. Gryffindor e Slytherin. Mezzosangue e Purosangue. Alba e tramonto.

Nulla, nella loro esistenza avrebbe suggerito quella loro strana armonia.

Marise, intanto, si dava sconfitta e, chiamando vicino il suo cameriere, gli annunciava piano che l’unica cosa che potevano fare era cercare di stabilire quanti giorni, ancora, sarebbero riusciti a rimanere aperti.

«Si sa qualcosa degli insegnanti a cui sono state assegnate le cattedre mancanti?» chiese ancora Daniel, reso ancora più curioso dalla lunga lontananza dal mondo magico, in quello sperduto angolo Babbano in cui si ritrovava ad abitare.

«Nulla.» rispose pacato «Pare che la McGranitt voglia evitare che i nuovi acquisti subiscano delle ritorsioni per aver accettato i loro incarichi. Tra Hogwarts e il Ministero è ufficialmente guerra fredda».

Logan lo conosceva fin troppo per non notare la preoccupazione nel suo sguardo. Forse avrebbe dovuto misurare meglio le parole.

«Un passo falso della Preside basterebbe a far riempire i corridoi di Mangiamorte» constatò Alleyn, senza alcuna inclinazione nella voce.

La risposta dello Slytherin fu solo un cenno affermativo con la testa. Rimasero in silenzio per alcuni minuti. Necessari e dovuti.

«Sono stufo di stare qua dentro, andiamo fuori» esordì improvvisamente Logan, mentre afferrava la propria giacca e lasciava cadere un paio di banconote sul tavolino, invitando con un gesto eloquente Daniel ad alzarsi e seguirlo.

«Tenete pure il resto. Arrivederci» disse ad alta voce, sbrigativo. Aprì la porta e il suono di una campanella accompagnò quel gesto. Basito e trascinato per un braccio, l’altro non poté fare altro che seguirlo, abbozzando un saluto che gli morì in gola quando Forsyth lo trascinò con più forza.

Si ritrovarono, bagnati, sotto la pioggia estiva, la quale presto sarebbe mutata in temporale, solo per scemare nel nulla. Corsero fino a raggiungere un vicolo secondario, dove potevano ripararsi sotto un tetto spiovente.

«Sai, vero, che con quel resto potranno tenere aperto il bar almeno per il prossimo mese?» gli domandò, leggermente affannato.

«Davvero?» domandò Logan, sinceramente incredulo «Stupidi soldi Babbani … »

Fu un attimo. Lo spinse contro il muro, facendogli avvertire il calore del proprio corpo.

La sua mano destra, bagnata dalla pioggia, risalì placida la linea del suo collo, andando ad aprirsi dolcemente sulla sua guancia e causandogli un fremito che, per il piacere dello Slytherin, non fu in grado di nascondere. L’altra, intanto, scese sul fianco, stringendolo con forza vorace. La troppo prolungata distanza aveva reso la mancanza di quel contatto insopportabile.

Piegò leggermente il viso, così da avere un più facile accesso alla sua bocca. Proprio su questa si soffermò, a pochissimo da che le loro labbra si potessero finalmente sfiorare. L’affanno della corsa e del momento mischiava i loro respiri, bussando alle reciproche bocche con una affettuosa insistenza. I loro occhi si riflettevano in quelli dell’altro, in un gioco di specchi infiniti e di bagliori.

«Mi devi una brioche». Quel sussurro scivolò nelle membra dell’altro, con un bacio leggero a sancirne l’immanenza. Le mani di Daniel, da inermi e vinte, ritrovarono vigore. Salirono sul suo petto, scivolando sulla camicia bianca e zuppa, che nulla lasciava all’immaginazione. Raggiunse il colletto e, sgualcendolo, lo strinse tra le dita, tirando di nuovo a sé quel viso. Con un colpo di reni ben assestato, invertì le loro posizioni.

«Ti devo una brioche». Rispose, con un sorriso divertito sulle labbra. Sì, era felice.

Cercò le sue labbra, per un bacio più profondo.

Da mesi, anche lui sapeva cos’era l’amore.

 

***

 

Infine, anche quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo “primo giorno di scuola” era giunto.

L’Espresso per Hogwarts però, sarebbe approdato ad Hogsmeade, dove si trovava la stazione più vicina alla scuola, solo un paio d’ore più tardi. Il regime di Lord Voldemort, instaurato da quando Pius O’Tusoe, fantoccio sotto Imperius , era divenuto Ministro, stava muovendo i primi passi.

Così, decine di Mangiamorte, cui le fila si stavano ampliando notevolmente da quando il Signore Oscuro era risorto, saturavano le vie di quel villaggio magico, attendendo di poter mettere le mani su qualche studente particolarmente remunerativo. La taglia posta sul capo della giovane Asteria Greengrass, come anche quella su sua madre, prometteva infinite ricchezze, ma mai paragonate a quelle che Bellatrix Lestrange era pronta a sborsare per sua sorella Narcissa e suo nipote Draco.

Per questo motivo, il tradizionale attraversamento del Lago Nero in barca per quelli del primo anno era stato sospeso. Tutti avrebbero raggiunto il castello mediante le carrozze trainate da Thestral, che gli insegnanti avevano opportunamente protetto con incanti per evitare qualsiasi attacco. La McGranitt, con quelle che ora mai erano considerate doti di contrattazione, aveva ottenuto dai Centauri che questi si disponessero nella penombra della boscaglia addossata al sentiero, così da poter eliminare un eventuale assalitore. Inutile dire  che gli studenti maggiorenni, nel caso improbabile in cui fosse necessario, avrebbe potuto utilizzare la propria bacchetta per difendersi.

Per quel che le era stato bisbigliato all’orecchio, comunque, in molti, specie tra i provenienti da famiglie Babbane e Mezzosangue, erano già stati accompagnati a scuola dai propri genitori, da un appartenente al corpo docente o da qualche Auror fidato.

Lei, invece, camminava senza alcun timore verso Hogwarts, lasciandosi alle spalle la fin troppo trafficata Hogsmeade e dirigendosi, indossando già alla perfezione la propria divisa, su cui spiccava una nuova spilla.

Nessun Mangiamorte avrebbe osato anche solo pensare di sfiorarla.

Nel suo incedere però, c’erano i vistosi segni della punizione che Lord Voldemort le aveva inferto.

Il non essere riuscita ad uccidere Drew Kennan aveva avuto delle conseguenze che, se non fosse stato per l’inattesa testimonianza di altri servi fedeli, tra cui Bellatrix, l’avrebbero condotta sicuramente alla morte.

Aveva quasi iniziato a supporre che in lei, l’Oscuro Signore avesse intravisto una qualche forma di guadagno.

Nonostante ciò, non era stato facile sopportare per tre giorni consecutivi la Maledizione Cruciatus, scagliatale dallo stesso Voldemort e il ghigno di soddisfazione di Piton, incaricato di curare con la Magia Oscura i danni arrecati dal maleficio sul suo corpo, così che la tortura potesse continuare senza che la morte la interrompesse.

Le ore parevano non trascorrere mai. Vi erano solo le sue grida e quella sofferenza lancinante in grado di romperle le ossa.

E la soddisfazione, nello sguardo scarlatto del suo boia.

Avrebbe voluto farlo, ma non si arrese. Non aveva ridotto Drew in fin di vita per nulla.

Drew, Draco, Harry, Ron, Ginny.

Come avrebbe retto I loro sguardi?

Come avrebbe sopportato il disprezzo della McGranitt?

Non lo sapeva, ma stava per affrontare questo suo timore.

Con la mano sinistra, la cui manica della camicia aveva volutamente arrotolato fino al gomito per lasciare scoperto il Marchio, spinse la possente anta della porta d’ingresso.

In lontananza gracidava un corvo.



Note dell’Autore

Non è stato semplice, ma ci siamo riusciti. Parlo al plurale non per indicare le mie molteplici e psicopatiche personalità, ma perché questo capitolo, visto che tra le rogne dell’ultimo periodo rientra anche la rottura del mio pc, è stata battuto al computer da Lady Annette, cui va, ancora, il mio più sentito ringraziamento.

Ok, ci ho messo un po’, ma ce l’ho fatta, non odiatemi ^^

Ho avuto un paio di impicci, tra problemi di salute e primi esami all’università, ma hey non vi ho abbandonate u.u Vi voglio troppo bene :3

Vorrei ringraziare chi mi ha reclamato ai miei doveri, non tanto perché ne avessi bisogno, ma perché mi hanno fatto sentire apprezzato. Non faccio nomi, so che sapete chi siete xD

Un ringraziamento di cuore a Nihal, che mi ha adottato come Pandino. E uno anche alla Tam, che, in sintesi, possono essere ritenute due dei pilastri più spessi della mia esperienza nel mondo dei GdR.

Buon Weekend dell’Immacolata e, se non dovessimo risentirci prima, Buon Natale ^^

A presto,
Jerry

   
 
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