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Autore: Kodamy    25/06/2007    9 recensioni
Momo strinse le labbra in una linea sottile. “Non mi piace, ha l’aria cattiva.”
“Non mi piace.” Fece eco lui, un sussurro risentito. “Ha l’aria stupida.”
Hitsugaya Toushiro, Capitano della Decima Brigata.
Hinamori Momo, Tenente della Quinta Brigata.
"Avresti potuto dirmelo, che era questo il tuo sogno."
"Ma non lo era."
Che strade hanno seguito, per arrivare dove sono adesso?
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hitsugaya Toushirou
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Prologue:

0. This ol’ kind of home-sick nostalgia.
[Your home’s here.]

 

L’ombra si muoveva furtiva nella notte, premurandosi di non fare il minimo rumore. Il rumore, infatti, ne avrebbe potuto disturbare l’udito, teso a cogliere ogni più piccolo cambiamento nel respiro dell’altra persona presente nella stanza.
Un improvviso battito di ali, fuori dalla finestra socchiusa, la fece trasalire più del dovuto. Inconsciamente, il respiro le si bloccò in gola, facendole arrestare ogni più piccolo movimento mentre, in fretta e furia, si guardava attorno alla ricerca della fonte del rumore.
Nulla.
Nulla di nulla.
Intuito il falso allarme, tentò di calmare il respiro, cavandosela piuttosto egregiamente.  I suoi occhi scuri – ormai abituati al buio – lanciarono uno sguardo accusatorio alla finestra: ma, naturalmente, anche lì non videro nulla. Deglutì.
Doveva mantenere la calma: cosa che reputava vagamente difficile, data la situazione.
Le mani le tremarono mentre cautamente si chinava sul futon, sentendo il freddo del tatami in legno che le penetrava i piedi e le ginocchia nude. In silenzio ispezionò le lenzuola macchiate di scuro, prima di gettare uno sguardo al ragazzino che, in quel momento, giaceva sull’altro futon nell’angolo della stanza buia.
Non si era mosso di un millimetro.
Respira anco…?
Non andò a fondo nel pensiero, perché sarebbe sicuramente entrata nel panico.
Aveva sicuramente sognato troppo – ancora una volta. Erano soltanto di residui del sogno, tutto qui.
Si convinse che era colpa di quel qualcosa di strano che si sentiva, quella notte, nell’aria. Un soffio di vento si fece strada tra le ante semi-aperte della finestra - rabbrividì, sentendo più freddo del dovuto alle gambe e all’inguine.
No, no, no, non doveva pensare a cose del genere. Non era il momento di pensare a cose del genere.
Certo che respira, sciocca.
Aveva sicuramente cose più importanti di cui occuparsi.
Piano si protese sulle lenzuola, incerta sul come procedere facendo il minor rumore possibile. Ne sfiorò l’orlo, ripiegandolo appena su sé stesso, prima di…

“L’hai fatto di nuovo.”
La voce secca alle sue spalle – quel tono annoiato che conosceva troppo bene – la fece saltare sul posto dopo quattro piccoli infarti di fila. Un gridolino le sfuggì dalle labbra, prima che potesse provare a trattenerlo.

“D-di cosa stai parlando, Shiro-chan?” arrangiò lei, con vocina piccola piccola ed imbarazzata, arrotolando furiosamente le lenzuola e nascondendole dietro la schiena, prima di voltarsi verso il ragazzino. Sul suo viso, l’espressione colpevole che avrebbe un bambino scoperto a rubare i regali dal sacco di Babbo Natale.
Gli occhi verdi di lui, perfettamente vivi, svegli e seriamente divertiti, la guardarono dal basso. Il loro proprietario arricciò il naso a quel nomignolo, ma – stranamente – non disse nulla al riguardo.
Probabilmente perché aveva ben altro materiale, con cui replicare.

“Hai di nuovo bagnato il letto.” rispose, con quel tono pratico e serio, battendo ciglio. Lei avrebbe riso – come sempre si ritrovava a fare davanti a quell’espressione - se la situazione non le stesse suggerendo di prendere il pozzo più vicino e gettarvisi dentro.
I capelli neri le nascondevano il viso, ma certamente non riuscivano a nasconderne l’imbarazzo.
Lo capiva dal modo in cui la fissava.

“Io non-“

“Ma puzzi, Momo. Hai di nuovo bagnato il letto.” ragionò lui, candidamente. Sembrava ancora vagamente assonnato dietro quella tenda di capelli bianchi, pensò lei, e se la fortuna fosse stata dalla sua parte, magari il giorno dopo non avrebbe ricordato nulla di nulla.
La fortuna non guarda molto da queste parti, comunque.

“N-non ci posso fare niente, io!” si giustificò debolmente, dopo qualche attimo di silenzio, voltandogli le spalle e affrettandosi a ripiegare le lenzuola. Lasciò altalenare lo sguardo da quel fagotto al futon, cercando di pensare chiaramente a cosa fare.

La nonna sarà semplicemente esasperata.” osservò il ragazzino, sollevandosi sui gomiti e poggiando il mento sui palmi delle mani. Sgambettò un po’ sotto le coperte, sovrappensiero.

“Le laverò io.” tagliò corto lei, fin troppo frustrata per riuscire ad intrattenere un discorso talmente snervante, alzandosi in piedi.
E di nuovo il freddo alle gambe e lì in basso.

Deglutì. Ora doveva solo raggiungere la porta, e…

“Momo, hai le mutandine tutte bagnate.”
Dal suo angolino, Toushiro la guardava innocentemente – non gliela avrebbe mai data a bere – dal basso.
Lei si limitò a batter ciglio, ragionando che, per quella sera, ne aveva avuto abbastanza. Era troppo esasperata per prenderlo a calci, al momento – e qualcosa le suggeriva che sarebbe stato lui a prenderla a calci, se non fosse stato troppo disgustato dal prendere a calci qualcosa zuppo di…
Perché non riesco a farmi rispettare da un ragazzino alto la metà di me?!
… Un po’ difficile, farsi rispettare quando hai le mutande bagnate di…

Interruppe lì il filo dei pensieri, non azzardandosi ad andar oltre.

“Ah, basta! Shiro-chan, quando fai così ti detesto!” sbottò, esasperata, afferrando un angolo del futon con la destra e sollevando il fagotto maleodorante con la sinistra. “Torna a dormire, ti va?” soggiunse, guardandolo da sopra una spalla, prima di lasciare la loro stanza trascinando con sé la scena del ‘crimine’.

“… solo se la smetti di chiamarmi Shiro-chan.” borbottò distrattamente l’altro, alla porta ormai chiusa.

Quando ritornò nella stanza, lui stava già dormendo.
Momo sospirò, scuotendo il capo ed avanzando qualche passo silenzioso sul tatami. Il legno era ancora freddo sotto i piedi nudi, ed apparentemente le sarebbe toccato dormire all’addiaccio.

“Oi, Shiro-chan?” mormorò, con quella voce bassa – quella voce che si addice alla notte, quella voce che, effettivamente, non sveglia nessuno.
Per questo motivo, rimase sorpresa quando gli occhi di Toushiro, lentamente, si aprirono. Lui batté ciglio, una, due volte, quasi a voler focalizzare per bene la figura della ragazzina. Dopodichè, forzò uno sbuffo dalle labbra.

“Che vuoi?”
Adorabile, come sempre.

“Fammi un po’ di spazio.”

“… non se ne parla neanche.”

Alla risposta caustica – quel ragazzino ha sempre espressioni cattive, sul volto – lei si limitò a sbuffare, tirandogli appena la coperta. Un mugolio contrariato sfuggì dalle labbra infantili quando si ritrovò senza la protezione del tessuto, un mugolio ben presto seguito da qualcosa simile ad un ringhio.

“Ti ho detto che non se ne parla neanche! Andrà a finire come l’altra volta, che hai fatto la pipì a letto e mi sono bagnato anche io, ed è una cosa assolutamente disgustosa e…”

“Insomma, Shiro-chan, quanta pensi che ne abbia, in corpo?!” sbottò Momo, frustrata e leggermente imbarazzata al ricordo del risveglio di quella mattina di non molto tempo prima. “Fa freddo, non voglio dormire per terra. Fammi un po’ di spazio.”
Riluttante, il ragazzino acconsentì, spostandosi di qualche centimetro. Lei inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia al petto. Evidentemente, pensava di risultare abbastanza intimidatoria da riuscire a farlo spostare ancora un altro po’, ma si illudeva.
Lui rimase fermo, tranquillamente, lì dov’era.
Sconfitta, Momo si infilò sotto le coperte di quell’angolino, sbuffando. “Eri già sveglio?”

“Ovvio.”
Unico brontolio come risposta. Tuttavia, lei sorrise.

“Scusa per il disturbo.”
Questa volta non rispose, ma preferì voltarle le spalle. Lei batté ciglio, fissando quella zazzera disordinata di capelli bianchi. Nei primi tempi, l’aveva amabilmente detestato con tutta sé stessa, per un unico, semplice motivo: si era talmente abituata ad essere l’unica ad abitare con la nonna, lì nel Rukongai, che il condividerla con qualcun altro le era sembrato un sacrilegio. Non solo era un po’ come essere figlia unica, ma era un po’ come essere figlia unica nel Junrinan: aveva tanto sentito parlare degli altri distretti del Rukongai, da giungere alla conclusione di essere stata decisamente fortunata a capitare lì.
Poi, dopo anni, lui era stato mandato lì. Con la nonna.
Oh, quanto l’aveva detestato, quel ragazzino che borbottava sempre, e che la prendeva sempre in giro con quell’espressione tremendamente seria e da bambino.

 

 

“Momo-chan, è arrivato un fratellino. Non dovrai più dormire da sola no? Tu detesti dormire da sola.”

Di primo acchito, lei non rispose, troppo occupata a cercar di studiare quel bambino che ostinatamente si teneva nascosto dietro la manica del kimono della nonna, affacciandosi di tanto in tanto per spiarla con uno di quegli incredibili occhi verdi.
“… oh.” aveva commentato Momo, stringendo appena le labbra in una linea sottile. “Non mi piace, ha l’aria cattiva.”
Avrebbe potuto giurare di aver visto una vena scoppiare sulla fronte del ragazzino.

“Non mi piace.” Fece eco lui, con poco più d’un sussurro risentito. “Ha l’aria stupida.”
Ma la nonna aveva sospirato, prima di scuotere leggermente il capo con quel sorriso incorniciato di rughe.

“Ah, mi sa che non ci si può far niente.”
Non era una bella prospettiva.

“D’altronde, i parenti non si possono mica scegliere, ne, Momo-chan?”
Oh, si. Da qualche parte, il concetto riusciva ad arrivare alla sua comprensione.
Impulso elettrico che riusciva ad arrivare a destinazione, dopotutto.

“Toushiro-chan, lei è Momo. Momo-chan, Toushiro.”
Il ragazzino si limitò a batter ciglio quando Momo azzardò un sorriso sulle labbra.
Poi, le fece una linguaccia.

“Cercate, perlomeno, di andare d’accordo.”
Momo pensò che sarebbe stata di sicuro un’ardua, ardua impresa.

 

 

 

“Ho fatto di nuovo un incubo, sai?” mormorò, un sussurro alle spalle di lui.
Toushiro si limitò ad un mugugno, segno che aveva perfettamente udito ciò che lei aveva detto.

“A te non capita mai, Shiro-chan? Di sognare…?” una piccola pausa. “Di quando eri vivo, intendo.”
Lui non rispose subito, quasi si stesse prendendo il tempo per elaborare al meglio la risposta, o per vagliare, uno dopo l’altro, i sogni più recenti. Dopo qualche attimo, tuttavia, la risposta arrivò. Caustica e precisa, come sempre.

“No.”

“Oh. A me capita spessissimo.” Replicò distrattamente lei, fantasma di sorriso sulle labbra. “C’era un uomo, che chiamavo papà, nel mio sogno.”
Il ragazzino rimase in silenzio, guancia calda contro il cuscino freddo.

“Era un bell’uomo, sai? Alto e forte. Aveva i capelli scuri, e gli occhi dello stesso colore dei miei. Stava lì, sulla porta, con la sua cravatta, e mi guardava dall’alto, da dietro ai suoi occhiali… Mi sorrideva, e diceva ‘sono tornato a casa, Momo’, e io gli dicevo ‘bentornato papà!’ e gli stavo per correre incontro, però…” la voce piano piano le smorzò in gola, scemando nel silenzio. Serrò le labbra, chiudendo gli occhi e cercando di tener a bada il respiro. “Credo gli abbiano sparato.” concluse, con un filo di voce. “Non ricordo molto bene.”

Di tutta risposta, lui si rigirò sotto le coperte, sdraiandosi sulla schiena. Immancabilmente crucciato, fissava il soffitto. “Che importa?” sbottò, broncio fin troppo infantile sul volto.

“A te non importa per niente, Shiro-chan? Avevi anche tu, una famiglia, no?”

“Se è per questo, ce l’ho anche qui.” Fece appena spallucce, scostando lo sguardo d’un lato, vagamente imbarazzato. “… anche se non mi piace per niente, ecco.” soggiunse, quasi dopo un lieve ripensamento.
Per un attimo, lei si limitò a batter ciglio. Poi, scoppiò in una risatina debole, discreta.

“Ah, in fondo sei un tenerone, Shiro-chan!” miagolò, gettandogli le braccia attorno in quello che aveva intenzione di essere più un tentato soffocamento che un abbraccio vero e proprio. Lui per qualche momento si divincolò, apparentemente frustrato, prima di arrendersi e metter su un’espressione eloquentemente annoiata.

“No che non lo sono!”

“Sì che lo sei!”
Le argomentazioni finirono lì, seguite dal silenzio. Un silenzio che perdurò piuttosto a lungo, mentre lei continuava a tenerlo stretto, persa nel flusso dei suoi pensieri.

“Sarà anche lui qui, non pensi? Da qualche parte, nel Rukongai.” un filo di voce, appena percettibile. “… il mio papà.”
Ma Toushiro, ormai, si era addormentato.
Lei si limitò a guardarlo dormire, per qualche attimo, domandandosi distrattamente quando sarebbe stato il momento più adatto per confessargli la sua decisione di entrare nell’Accademia ed il suo sogno di diventare Shinigami.
Non aveva neanche tanta voglia di tuffarsi nella psiche contorta di quel ragazzino - che sembrava prendersela per le cose più banali ed ignorare del tutto le cose più importanti - per  arrivare a capire quale sarebbe stata la sua reazione.
Magari avrebbe detto a tutti nel Junrinan che bagnava ancora il letto. O avrebbe minacciato di farlo, ricattandola. Oppure, non le avrebbe più permesso di dormire con lui, una volta sporcato il futon.
Oppure l’avrebbe seguita in Accademia.
Oppure l’avrebbe fatta rincorrere da un coniglio.

Si, un coniglio bianco con il poncho.
Ed il cappello da Cowboy.
Voleva la sua anguria, ma no, non gliel’avrebbe data, no… avrebbe preso quella di Shiro-chan e…
… uh, sono alleati contro di…

Quando Momo Hinamori si addormentò, qualche minuto dopo Toushiro,  i suoi sogni non furono perseguitati da famiglie dimenticate e da nostalgia di casa, bensì furono pieni di conigli originari del Far West alleati con bambini dispettosi che reclamavano angurie.

 

Nel sonno, la ragazza sorrise.

 


 

A/N: questo vuole essere un’ulteriore tentativo di cambiare fandom, ed il prologo di una long-fic ambientata nel passato e nella Soul Society. Effettivamente, i protagonisti saranno due: Hitsugaya ed Hinamori – che, per adesso, ho chiamato entrambi con il nome. Chiamarli con il cognome quando sono bambini mi sembrava troppo strano ._.”

Posso dire che in questa Fic compariranno sicuramente Renji, Kira, Rukia, Aizen, Matsumoto e Hisagi. Con la comparsa, ovviamente, di qualcun altro. Non ho progettato così lontano. Per i Pairings, penso che tenterò di mantenere ogni rapporto in Canon, mantenendo la natura del rapporto Hinamori-Hitsugaya, Hinamori-Aizen, Hitsugaya-Matsumoto, etc... Ovviamente, non scrivo mai quel che ho intenzione di scrivere. Speriamo in bene.

Per la caratterizzazione di Hitsugaya: non so se qualcun altro ha notato, ma * Spoiler *  Hitsugaya da bambino è… un bambino antipatico e pidocchioso ò_ò Non si sputano i semi di angurie addosso alla gente è_è” Tuttavia, Hinamori sembrava sopportarlo abbastanza bene. °_°”

Il titolo della fic è tratto dal titolo di un volume di Bleach, Goodbye Alcyon Days. Si dice che l'Alcyon sia un uccello leggendario e, dove fa il nido, tutto sarà sempre sereno. Proprio per proteggere il nido. MEttendo tutto in relazione a come andrà a finire la storia, per questi personaggi, quelli di questa Fanfiction sembrano essere abbastanza Alcyon Days. [Leggasi: l'unico titolo decente che poteva venirle in mente.]

 

Non so da dove nascano gli Shinigami. Cioè, è una cosa un po’ contorta, ecco. Ma secondo la teoria della bilancia di Rukia, penso debbano essere la gente già morta nella Soul Society. Chissà se possono avere figli. Teoricamente, dovrebbero poterli avere, sennò come fanno ad esistere le famiglie nobili come i Kuchiki? Saranno tutte adottive? Potrei sproloquiare all’infinito, ma penso mi tratterrò dal farlo. Statemi bene – se lo legge qualcuno, sto sproloquio.

 

La Kodamy chiude qui, e spera che uscirà qualcosa di decente. Soffre, ultimamente, di crisi di blocco dello scrittore. Perdonatela.

  
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