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Autore: purepura    08/12/2012    0 recensioni
Sono passati anni. Kyle, come sappiamo, è in giro per il mondo, in compagnia temporanea di Declan*, ad aiutare. Josh e Andy sono lontani, al college per studiare, mentre Lori è tornata in città, a Seattle, per seguire le orme della madre, studiando psicologia. Kyle ha lasciato Amanda. Non volendola esporre a inutili pericoli, continuava a mentirle, finché si è reso conto che non avrebbe più potuto proseguire (la produzione aveva detto che sarebbe stato solo, sentimentalmente, e così è). Decide di lasciarla in un giorno di sole. Poco tempo dopo parte. Resta solo per un po’, venendo in seguito raggiunto da Declan.
Ma Jessi?
Prendetela come un esperimento. Un esperimento molto fantasioso…
*Alcune delle informazioni sono basate su un’intervista fatta ai produttori. Altre le ho aggiunte io (come quella per la quale Declan lo accompagna nei suoi viaggi).
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jessi XX
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo la seconda morte
06 - Ultimo compito



Per i lavori che non porto mai a termine.



    La jeep scrostata e rovinata fu ceduta a poco prezzo, per quel prezzo, all’alba seguente. Mentre ancora tutto il villaggio dormiva, lo sbattere della porta mi riscosse.
    L’aria gelida vinceva gli spifferi, e ciò permise al mio corpo di svegliarsi in fretta. Da una veloce occhiata, la piccola sala parve vuota. Sentii il respiro regolare della bimba, nell’altra stanza, ma non c’era più traccia della figura di Tom Foss, né dei suoi vestiti.
    Mi tirai a sedere, tentando prima di tutto di capire che ora fosse. Quasi mattina, secondo il telefono che Foss aveva lasciato indietro. Mi vestii, infreddolita, per dirigermi verso la mia camera da letto. Sarah, sotto un mucchio di coperte, sonnecchiava pesantemente, e il mio umore era pateticamente di nuovo nero, dopo una sola notte di calma. Mi resi conto che non ero in grado di razionalizzare, in quel momento, e nemmeno la mia intelligenza insuperabile sapeva spiegarsi come si fosse ritrovato in questa situazione, un uomo che all’apparenza non sembrava in grado di stabilire legami di alcun tipo.
    Io stessa avevo avuto la volontà, ma non mi sarei mai aspettata di sentirmi ancor più sola, e forse entrambi avevamo bisogno di questo.
    Ritornando in sala, notai che aveva lasciato gran parte de suoi effetti personali. Oltre al cellulare, trovai per terra il suo portafoglio, e l’unica cosa che sembrava si fosse portato dietro era la pistola. Nel recuperare per restituire, scivolarono fuori varie cose: documenti, denaro, porto d’armi, fotografie.
    Ora ero in grado di metabolizzare. Ciò che mi aveva fatto restare interdetta non era tanto il nostro gesto, o le mie sensazioni tranquille, ma le sue. La sua famiglia perduta per me era sempre stata non più di una frase. La sua famiglia perduta. Entità inesistenti, non fondamentali ai fini pratici. Per la mia mente pragmatica, ciò rendeva Foss meno vulnerabile, senza vincoli, non ricattabile.
    Stirai la foto con le mani. Non avevo mai avuto la possibilità di vederla, né, in effetti, vi era mai stata ragione alcuna. Erica era davvero carina, e la bambina era adorabile.
    Indossai gli stivali e recuperai un golfino, raggiungendo il bagno per sciacquarmi il viso. Fissandomi allo specchio, mi domandai come fosse stato possibile che il tepore del giaciglio mi avesse fatto desiderare di non privarmene mai più. Scossi la testa, mentre mi passavo una mano tra i capelli, sospingendoli indietro, lungo la schiena. Entrambi avevamo troppi fantasmi per riuscire a guardare avanti, ma allora non immaginavo neppure che cosa dovesse provare, come dovesse sentirsi; però avevo imparato abbastanza sull’empatia da rendermi conto che dopo questa notte, era uscito sbattendo la porta non per ira, ma per vergogna.
    Forse avrei dovuto raggiungerlo, o forse no? Niente mi obbligava a farlo. Non c’era alcuna relazione che mi legava a lui, e che mi dava doveri cui adempiere. Abbiamo dormito insieme. Sì, béh, a parte questo. Sospirai, raggiungendo le chiavi di casa. Foss non era tipo da lasciare in giro prove compromettenti, come il suo nome o il suo cognome stampati su carta plastificata. Se aveva scordato in giro la sua roba, in testa doveva avere parecchie cose che lo rendevano distratto, sfuggente, ed era mio dovere assicurarmi che non facesse partire pallottole a caso, mentre era intento a rodersi l’anima.
    L’alba è sempre affascinante, con i raggi del sole aranciati che non ti riscaldano. Mi strinsi il golfino addosso, sfregando le mani sulle braccia, mentre ascoltavo, intenta a cogliere rumori. Qualche famiglia nelle vicinanze si era svegliata. Udivo bricchi di tè e caffè messi sul fuoco, fiammiferi accesi, bambini che correvano, e qualche muratore stava già usando attrezzi pesanti, nel campo di lavoro poco distante.
    Kyle dormiva. Ero in grado di udirne il respiro, esattamente come il suo, per nulla calmo. Mi diressi alla mia destra. Forse non aveva ritenuto consigliabile tornare da Kyle, dopo essere stato fuori tutta la notte. Non credo gli avrebbe mai detto, dove era stato.
    Lo vedevo, seduto al posto di guida, rigido e immobile. La ghiaia scricchiolò sotto i miei piedi e alzò lo sguardo, sollevando una mano, facendomi fermare.
    «Voglio solo ridarti la tua roba», dissi, accennando al portafoglio. «E poi la macchina mi serve. Devo raggiungere Riyad».
    Non disse nulla. Non diede nemmeno la sensazione di avermi sentito. Mi avvicinai di qualche altro passo, raggiungendo il finestrino del passeggero e allungandogli le sue cose. Non si mosse nemmeno questa volta, così le lasciai cadere sul sedile.
    Sospirai. «Senti, grande uomo che vive di sensi di colpa, lascia stare. Non è questo il caso. Non hai fatto nulla di…».
    «E sentiamo: tu che cosa ne sai?»
    «Abbastanza da consigliarti di lasciar correre. Non hai oltraggiato la memoria di nessuno».
    Ora mi fissò, gli occhi sgranati, infuriato. «Tu hai…».
    «Aperto il portafoglio? No. La foto è scivolata fuori insieme a tante altre cose. Rimettendo tutto a posto, mi è capitato di vederla».
    In quel momento si appropriò della sua roba, lasciandola poi ricadere distrattamente sul cruscotto, davanti a sé. Ne approfittai per salire, chiudendo lo sportello. Mi guardò infastidito.
    «La jeep è mia, fino a prova contraria», alzai le spalle.
    Fece per scendere, ma lo fermai, senza che tuttavia il mio cervello avesse comandato al mio corpo di farlo. Aveva agito di sua volontà, quasi come quella stessa notte.
    S’irrigidì al contatto della mia mano sulla sua spalla, però non se la scrollò via, come non si era allontanato da me quando avevo cominciato a spogliarlo. Invece, si era fatto più vicino, senza discostarsi se non con l’arrivo del mattino.
    «Non volevo turbarti», dissi, senza aggiungere ciò che in realtà volevo fare. Forse non avrebbe compreso. «È capitato. Lascia correre. È stato solo…».
    Non finii la frase, né lui la terminò per me.
    Si voltò, invece, fissandomi, le labbra socchiuse, gli occhi attenti. Poi scosse la testa, sogghignò e abbassò lo sguardo. «Questo ti darebbe il diritto di pensare che io sia un uomo deplorevole. Non avresti dovuto raggiungermi, adesso, perché non desidero compagnia».
    «In effetti, ci ho pensato su. Poi mi sono detta che avrei dovuto rivederti per consegnarti la carta d’identità, per cui tanto valeva affrontarti ora; ora che per lo meno non c’è nessuno in giro».
    «Io terrò per me quello che abbiamo fatto. Tu farai lo stesso».
    «Non credo siano affari di Kyle».
    «Tu farai lo stesso». Mi piantò gli occhi addosso, sfidandomi a replicare.
    «No». Adoravo le sfide. «Non ho fatto nulla di cui vergognarmi. Sono adulta, tu pure. Qual è il problema?»
    «Potresti essere mia figlia», disse.
    «Béh, non lo sono. Non sono la figlia di nessuno. Problema risolto, no?»
    Scese dall’auto senza rispondere.
    «Stai dicendo che per sedici anni hai vissuto come un monaco? È per questo, che ora stai così? La prima persona ad averti scatenato milioni di sensi di colpa sono io?»
    Lo seguii, mentre camminava, cercando di seminarmi. Io sperai vivamente che dicesse di no, se non altro perché sarebbe stato deprimente, per me; mi avrebbe fatto sentire un’intrusa, qualcuno che ha sporcato un ricordo altrimenti inviolato. Se altre mi avevano preceduta, non sarebbe stato il mio corpo a portare questo marchio.
    E di sicuro non avrei permesso che fosse il suo, a essere segnato, perché il primo gesto era partito da me.
    «Sto dicendo», sospirò, ignorando la mia domanda, «che hai venticinque anni, io sono vicino ai cinquanta e…».
    «Abbiamo fatto sesso», completai. «Ripeto: non sono tua figlia, non hai obblighi di tutela nei miei confronti, non mi hai costretta in alcun modo e non devo fedeltà a nessuno. Se poi mi dici che ti senti un verme perché ti sembra di aver disonorato la memoria della tua famiglia, per contro posso dirti che se le ami come prima, se sei devoto a loro come prima, questo non ha cambiato nulla. Rimane solo il fatto che volevo ringraziarti».
    «Ringraziarmi?»
    Per essere rimasto.
    Annuii, senza aggiungere altro. Non insistette, scuotendo però la testa, e presto mi resi conto che eravamo ritornati a casa mia. Entrò, accendendo le luci, per poi guardarsi intorno, sospirare e squadrarmi.
    «Posso accompagnarvi», disse. «Svolgerei il mio ultimo compito da guardia del corpo di Jessi».
    «Fino all’aeroporto, in macchina?»
    Annuì.
    «Perché lo faresti?»
    «Te l’ho detto: per completare il mio compito. Hai già salutato tutti?»
    Feci cenno di sì. «Prendo la bambina. Non ha senso svegliarla, tanto si rimetterebbe a dormire sull’aereo. Torno qui a prendere i bagagli e poi…».
    «Li prendo io. Vai».
    Dopo aver coperto Sarah, aver preso la borsa con i documenti essenziali e aver chiuso la porta a chiave, raggiunsi di nuovo la macchina. Le valigie erano già state caricate e Foss era appoggiato allo sportello, intento a scrivere un messaggio.
    «Sto avvisando Declan, nel caso».
    «Ma così dovrai spiegazioni».
    «No, se me l’hai chiesto tu per precauzione».
    «E come avrei fatto a rintracciarti?»
    «Non dormivo. Lavoravo. Mi hai semplicemente trovato al campo di lavoro».
    Occupammo completamente il sedile anteriore, con la bambina tra di noi, in braccio a me; i bagagli avevano occupato tutto il resto della vettura. Mentre metteva in moto, osservò mia figlia. «Nessuno, guardandola, negherebbe la paternità. Ma la maternità…».
    «Sì, lo so, ma per tua fortuna l’ho partorita, per cui, insomma, un minimo di sicurezza…», sorrisi.
    Sorrise anche lui. «Anche mia figlia non mi somigliava».
    Gli lanciai un’occhiata. Era serio, ora, attentissimo alla strada, come se si fosse pentito di aver parlato.
    «No, non è vero», dissi.
    Calò il silenzio. Cinque ore in auto con lui e nessun argomento di conversazione all’orizzonte. La cosa sarebbe potuta diventare stressante.
    «Non mi hai ancora detto, dove sei stato in questi anni. Dalle tue telefonate non lasciavi trapelare alcun luogo».
    «Non era quello l’essenziale, e se te l’avessi detto, mi avrebbero rintracciato», mi spiegò.
    «No, l’essenziale era sapere come stavo, giusto?»
    Si voltò appena verso di me. «Non mi sembravi molto in forma, quando lasciasti quella casa».
    «Non lo ero».
    «Sapevi già…».
    «No. Lo scoprii poco dopo che fui partita».
    «E non gliel’hai detto».
    «Era impegnato in una relazione con un’altra, e poi partì per l’Europa. Un figlio l’avrebbe ostacolato troppo».
    «Béh, ma un figlio c’era, non avresti potuto semplicemente far finta di nulla».
    «È in pratica quello che ho fatto, finché quel genio di Brian non ha spifferato tutto».
    «Non gliel’avresti mai detto?»
    «Probabilmente no».
    «E ti sembra una cosa corretta?»
    «Non completamente scorretta».
    «Sul serio?»
    «Già».
    «E spiegami secondo quale ragionamento le tue azioni non rientrano nella definizione di torto».
    «Non ho danneggiato né Kyle né Sarah, non dicendo all’uno o all’altra della reciproca esistenza».
    «Infatti, Kyle ti ha proprio ringraziato per averglielo tenuto nascosto».
    Gli lanciai un’occhiataccia, spostando lo sguardo fuori dal finestrino.
    «Non mi scoccia, se continui a chiamarmi», mormorai, rammentando la prima di quella lunga serie di telefonate, talmente inaspettata da lasciarmi senza parole per un bel po’.
    «Sei morta?», mi aveva chiesto in tono incredibilmente sarcastico, dopo quasi cinque minuti di silenzio da che aveva detto “Sono Foss”. «Se è così, dimmelo, perché non sto chiamando gratis».
    Ridacchiai a quel ricordo. La vena sarcastica di Foss mi era stata preclusa fino a quel momento. Un vero peccato.
    «Sicura?»
    «Certo. Le tue telefonate mi facevano tornare con i piedi per terra, per quanto mi potessi smarrire ogni tanto, lontano da Seattle e dai Trager».
    «E in nessuna di queste hai accennato a una figlia».
    «E in nessuna di queste hai mai accennato alla possibilità che un giorno avremmo fatto del sesso».
    Distolse lo sguardo, arrossendo.
    «Ti hanno mai detto che sei davvero troppo schietta?»
    «Se anche l’hanno fatto credo di averli ignorati».
    Scosse la testa, un sorriso in volto, esasperato.
    «Ho conosciuto Brian, e devo dire che hai preso tutto da tua madre».
    «Dici? Io non ho conosciuto nessuno dei due; o meglio, non abbastanza».
    «Credi di esserti persa molto di Taylor? È il verme che sembra».
    «Con un’eccezione: sua nipote».
    «Non hai appena detto di essere la figlia di nessuno? È improprio parlare di nonno e nipote».
    «Ti hanno mai detto che sei pignolo in una maniera assurda?»
    «Non sono pignolo. Tu ti contraddici ogni due frasi». Il tono era divertito.
    Sbuffai, facendo troppo rumore. La bimba si mosse e si lamentò, aprendo gli occhi. Entrambi tacemmo, mentre alzava la testolina, prima guardando me, poi lui.
    «Dove andiamo?»
    Non usò etichette, e nemmeno nomi propri. Ci conoscevamo da troppo poco. Però si era subito fidata, si era subito acclimatata, mi aveva subito riconosciuta. Per me la cosa era stata ancora più immediata, perché in pochissimi secondi la neonata dalla testolina tutta a chiazze era naturalmente diventata la bambina meravigliosa che mi guardava, e ancora più naturalmente la mia bambina.
    Kyle aveva mostrato meno attaccamento, invece. Questo perché non l’aveva mai vista, e di certo non potevo imputare a lui la colpa, non del tutto.
    «Prendiamo l’aereo. Ho una casa, in Canada».
    «Nonno ha una grande casa con un enorme giardino. Anche tu hai il giardino?»
    «Sì, piccolino ma c’è».
    «E tu chi sei?»
    Foss guardò me, e poi lei.
    «L’autista».
    «E torni anche tu in Canada?»
    «No, resto qui col tuo papà».
    «Nonno mi diceva che mamma e papà erano tanto impegnati, che stavano facendo cose per il mondo. Dov’è il mondo? L’avete riaggiustato?»
    Foss sorrise.
    Ah, Brian!
    «La strada è ancora molto lunga, ma ci stiamo lavorando».
    Sarah annuì soddisfatta. L’adorazione per il Latnock paterno era una cosa sconosciuta, per me.
    La bimba fu curiosa, quando le descrissi la casa. Avrei dovuto aggiungere una stanza per lei. Meschinamente l’avevo quasi rilegata fuori, tanto che non aveva nemmeno un posto in casa mia. Quella stanza mi avrebbe ricordato che non l’avevo accanto, anche se per mia scelta.
    «Hai detto a Kyle che saresti stata tu con i suoi genitori», mi ricordò Foss.
    «È così, ma ho bisogno di qualche settimana per trovare un’altra casa. Ho tanti soldi ma non un appalto disponibile».
    «C’è sempre quella di tua madre».
    «Che è affittata. Dovrei dare un preavviso di sei mesi. Non ho sei mesi. Tanto vale che ne affitti un’altra».
    «Siamo arrivati?» Sarah ora era un po’ inquieta, voleva scendere, muoversi.
    «Quasi», rispose Foss. «Ce la fai a intrattenerti un’altra oretta?»
    «E con cosa?», brontolò la piccola, sconsolata, fissandomi.
    Scossi la testa, pensando. «Non ho nessun gioco, per te», le dissi in tono di scusa. Non era programmato che tornassi.
    «Ci sono dei fogli, nel cassetto sotto il cruscotto. La mamma avrà sicuramente una penna in quella borsa. Perché non disegni la tua vecchia casa?»
    «Con anche le anatre?», trillò entusiasta.
    «Perché no». Foss alzò le spalle, senza guardare mia figlia.
    Sarah mi tirò la manica, perché facessi in fretta. Le sistemai una pila di fogli davanti, con la penna blu.
    «Come facevi a sapere della penna?»
    «Gli scienziati hanno penne ovunque. Adam tirò fuori una penna persino una volta in cui, nascosto dentro un vecchio capanno, non dormiva né mangiava da giorni per l’ansia. Però la penna l’aveva».
    Risi. «Perché era nascosto in un capanno?»
    «Per sfuggire alla Zzyzx. Avevano rintracciato il nascondiglio, molto prima che Taylor gli costruisse la villa in cui…».
    Si schiarì la voce. Non parlò più finché non vedemmo le luci della città, e poco dopo quelle dell’aeroporto.
    Parcheggiammo nell’enorme piazzale, semideserto. Non era alta stagione, questa.
    «Sarah», dissi, «ti va di controllare se ci sono tutte e cinque le valigie?»
    Annuì, scivolando dal sedile posteriore al bagagliaio, iniziando a contare.
    Foss tamburellava con le dita sul volante. Mi mossi appena, mettendomi a tracolla la borsa.
    «Tutto quello che mi hai detto», dissi, «e tutto ciò che abbiamo fatto, rimarrà tra me e te».
    «Lo so», disse. «Mi fido».
    «Grazie».
    Annuì.
    «Perché ci hai portate sino a qui?», domandai di nuovo. «Non avevi alcun ordine, ed io posso proteggermi, lo sai».
    «Se fossi rimasto solo», mormorò, lo sguardo puntato davanti a sé, «ecco, non credo sarei… Dovevo tenere la mente occupata».
    «Béh, occupati tu di quest’ala di ricostruzione. Fai lavorare sodo tutti. Così potrete tornare presto a Seattle, almeno per un po’. Non sono la sola che sente la mancanza di Kyle».
    Ora mi fissò. Ero certa che sapesse che non mi stavo riferendo a Kyle, non davvero. Con lui non c’era stato alcun tipo di contatto. Mi chiamò solo qualche mese dopo la mia partenza, ormai in Europa, chiedendo la mia collaborazione. Quando rifiutai, non lo sentii, se non indirettamente, per cinque anni. Le telefonate di Foss, invece, non si interruppero mai. Divennero una costante fondamentale, come il lavoro, in grado di farmi resistere.
    «Mentivo prima», confessai. «Non ho salutato tutti».
    Esattamente come la notte appena passata, non si scostò, ma la sua mano sfiorò il mio viso. Forse nemmeno lui aveva il controllo delle sue azioni.
    Niente baci elettrici, niente danni ai lampadari, ma alla mia anima più d’uno. La quale, accidenti!, mi aveva già avvertito di mantenere le distanze, ed io avevo frainteso il soggetto cui si riferiva.
    Non avrei mai dovuto farmi coinvolgere da Foss, altro che Kyle.
    Troppo tardi.















Non ci si vede da un bel po’! Scusate. E pensare che non ho nemmeno studiato, in questo mese. Avessi la scusante dello studio… e invece ho solo quella dell’ispirazione, che era andata in vacanza.
Almeno è ritornata. Meglio tardi che mai!
Capitolo che non mi convince. Troppo semplice, superficiale, banale? Uno dei tre, se non tutti.
Vi ringrazio, comunque, per essere arrivati sino a qui. Non fatevi problemi a lanciarmi dei pomodori, se lo ritenete opportuno!
A presto!^^
  
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