“Meglio accendere una candela che maledire il buio!”

Pitch, l'Uomo Nero, per anni aveva torturato le menti di molte persone, bambini e adulti.

Il suo potere toccò l'apice durante i fatidici Anni Bui, anni in cui la gente aveva paura di uscire di casa, aveva paura della propria ombra; la paura più grande era quella di chiudere gli occhi e dormire, avere incubi terrificanti, vedere cose che di portavano alla pazzia.

C'era chi provava a non dormire per giorni ma, appena chiudeva gli occhi, ecco gli incubi invadere la mente, uccidendo realmente la vittima tramite i sogni.

E Pitch sorrideva, tutte quelle anime terrorizzate, morte o vive che siano, erano la sua essenza.

Si nutriva di grida di dolore, delle anime che, anche dopo la morte, erano terrorizzate. Talmente terrorizzate che erano in continuo bilico tra il paradiso e l'inferno, costrette ad un eternità di dolore mentre vedevano i loro cari vivere nel terrore più assoluto.

Durante gli Anni Bui, le cose per Pitch andavano sempre bene, ma nulla è per sempre.

Arrivarono loro, i guardiani, riportando la fede in tutte le persone, costringendolo ad essere solo una piccola parte durante la vita delle persone. Esse, infatti, provavano paura solo durante un breve periodo della vita, come la paura del buio, che passava in giro di pochi mesi nel periodo infantile.

Fu costretto sotto i letti, dentro gli armadi, costretto in luoghi molto imbarazzanti per chi, come lui, era stato padrone delle persone per molti anni.

Un giorno, per caso o per destino, entrò nella stanza di una bambina. Babbo Natale, per l'ennesima volta, si era dimenticata di lei.

La bimba era davvero piccola, forse dell'età di 5-6 anni, nascosta sotto il piumone. Quasi non si vedeva.

In lei non c'era presenza di bei sogni, che pure Sandman si era dimenticato di lei?

Si nascose nella parte più buia della stanza, in attesa del momento buono per “attaccare”.

“Che ci fai nascosto là?” chiese la bambina, con voce flebile,gli occhi rossi e gonfi.

“Mi vede?! -pensò incredulo- E non ha paura?!”

Iniziò a piangere, senza motivo, apparentemente.

Si avvicinò a lei, lo guardò e iniziò a piangere.

“Il mio papà è al lavoro e la mia mamma è diventata un angelo poco tempo fa... Ho chiesto a Babbo Natale di far rimanere a casa il mio papà solo per oggi, ma non è venuto nemmeno a prendere la lettera... E' ancora sulla mensola!” Affondò il piccolo viso nelle coperte, ricominciando a piangere.

Senza un preciso motivo, Pitch si avvicinò ancora un po' e, con dolcezza, gli chiese “Ti piacciono gli unicorni?”

“Gli unicorni non esistono!”

“E i cavalli?”

“Quelli da corsa?! Si, moltissimo!” urlò, mettendosi in piedi sul letto, questa volta sorridente.

Con un piccolo gesto delle mani, Pitch fece apparire un cavallino nero, che iniziò a correre per tutta la stanza.

“Sai chi sono io?!” chiese, alla fine, col suo solito modo.

La bimba fece un rapido segno negativo con la testa.

“L'uomo nero?” chiese in un sussurro la bimba, avvicinandosi al viso di Pitch.

“Esattamente...” rispose lui, stando al gioco della piccola. “Non hai paura del buio?”

“La mia mamma mi diceva sempre che è meglio accendere una candela, che incolpare il buio!”

Quella frase, semplice ma efficace, fece restare di pietra l'Uomo Nero.

“Hey, signor Pitch, mi può far dormire che non ci riesco? Domani devo andare al lavoro con il mio papà!” disse, mantenendo il tono di voce basso, come un segreto.

Pitch la prese in braccio e la rimise a letto, poi fece apparire intorno a lei qualche cavallo, che evidentemente la rendevano felice.

Da quel momento, Pitch diventò il suo angelo custode, per modo di dire. Quando poteva la osservava da lontano.

Anche lui, strano ma vero, aveva bisogno di qualcuno da proteggere, qualcuno che non avesse paura, qualcuno da amare.

Dopo anni, ritornò dalla bambina, che adesso immagina una brava adolescente felice, ma non la trovò.

La camera era disordinata, un sacco di vestiti da ragazzina buttati qua e là, un armadio rotto e roba sparsa ovunque, come se qualcuno dovesse scappare e prendere le cose più importanti.

Sulla scrivania c'erano dei bellissimi disegni di chissà quale famoso artista: modelli da stilista, fate, cavalli colorati da toni scuri e poi, lui.

Un disegno ancora da completare. Lui. Particolari accennati. Lui. Disegno di un ricorda infantile. Lui.

E una lettera, sbiadita, matita leggere quasi sparita.

Un nome cancellato dal tempo. Forse era “Pitch”?

Non era possibile.

Scese le scale. C'era due uomini, uno era in camice e l'altro vestito normalmente. Forse suo padre, e un dottore?

Stavano parlando della bambina di cui non sapeva il nome, ma che era tanto importante per lui.

Una Fatidica parola, “Manicomio”.

Era forse impazzita a causa sua?

I sensi di colpa iniziarono a sopraffarlo. Voleva piangere, se ne avesse avuto la possibilità.

“Era una ragazza tanto infelice... Presto l'addormenteremo, se ne andrà senza soffrire, glielo garantisco signore.”

Il dottore estrasse dalla valigetta dei documenti.

Se ne ritornò nella stanza.

Osservò ogni minimo particolare nella stanza, trovando un disegno, fatto da una bambina.

Era un disegno della prima notte che aveva rallegrato la bambina.

Lo prese e lo infilò in un taschino interno della giacca.

“Nessuno dovrà essere felice... NESSUNO!”

Sparì, e una nube nera avvolse tutta la città.