Virginia
Era tutto
freddo intorno. E non vedeva niente, se non il bianco luminoso della neve. Un
colore che gli feriva gli occhi, che li
costringeva a stare chiusi, come se la vista di quel colore puro fosse
insostenibile per la sua anima nera e sporca. Sulla pelle percepiva il morso
del freddo, là dove i fiocchi che cadevano dal cielo entravano in contatto con
la sua pelle nuda. Aveva sempre pensato che a bruciare fosse il fuoco… no, si
era sempre sbagliato. Il ghiaccio: il vero bruciore lo provoca il ghiaccio. Che
sfrigolava, come lamentandosi, ad ogni suo passo. Come se il manto della neve,
che copriva ogni cosa, volesse sottolineare che non era degno di calpestarlo.
Avanzava
nella neve, senza meta, consapevole solo di non potersi fermare, di doversi
allontanare da lì… sì, ma perché? Per quanto provasse a cercare nella sua
mente, non trovava un valido motivo per quell’angoscia che lo mangiava dentro.
Inciampò, e cadde, la sensazione di
vuoto che per un interminabile istante gli attanagliò lo stomaco: alla fine, la
neve lo accolse nel suo gelido, eppure confortante abbraccio. Mentre si
rialzava, una parola squarciò il caos calmo che era la sua mente: Virginia!
Ma certo.
Quel giorno era andato da Virginia, la sua Virginia. Ma che era successo poi?
Si mise seduto per terra, sondando i suoi ricordi… ma non c’era verso. Solo il
viso di Virginia, i suoi occhi verdi come la primavera, e il suo naso dritto e
lentigginoso, emergevano indenni dalla sua testa.
No. Un
momento. Qualcosa c’era! Scattò in piedi, colto da un’improvvisa sferzata di
energia: era andato da Virginia, perché voleva parlare con lei! Perché si erano
lasciati… LEI lo aveva lasciato. Il dolore per quella vecchia ferita lo colpì
duramente. Insieme a una forte emicrania. Vomitò nella neve, lordando la sua candida
purezza. La preferiva così. Ora almeno poteva aprire gli occhi.
Fu così che
nel biancore sporco della neve, scorse qualcosa. I suoi occhi seguivano la sua
mano, che come mossa da una forza non sua si protendeva verso il metallico
scintillare dell’oggetto: registrarono il rossore livido delle dita, e il nero
sotto le sue unghie. Si distolsero automaticamente, quando alla fine quelle
stesse dita si strinsero attorno a quella… cosa. Era fredda. Più fredda della
neve stessa. Fredda come la morte.
Cos’è? Un ciondolo. La catenella era rotta, penzolava tristemente.
Ed era sporca, incrostata, come le sue unghie. Aprì quello che era un cuore,
ammaccato, in rovina. Virginia. C’era una foto di lei, al suo
interno. Per sfuggire al suo sguardo, chiuse il ciondolo che, lo sapeva, era stato un suo
regalo per Virginia, anni prima, in una giornata in cui la neve aveva un colore
molto più bello di quello: gli occhi della fotografia lo scrutavano nella loro
fissità, sembravano volerlo trafiggere, sembravano volerlo accusare di
qualcosa.
Come quel
pomeriggio, come gli occhi della vera lei. Quando era andato a trovarla,
pedalando tra i fiocchi e i delicati mulinelli di neve. Il mal di testa si fece
più forte, gli facevano male anche gli occhi. Ed era freddo, un freddo che lo
costrinse in ginocchio… un freddo che faceva bene ai ricordi.
-Perché sei venuto?- Per te.
-No, non entrare!- Perché?
-Non ti voglio qui.- Stronza.
Troppo dolore
alla testa. Si portò le mani al viso, che era in fiamme. E sentì del calore.
Calore liquido che scendeva giù dalle mani, che fluiva sugli avambracci,
ridando vigore al suo corpo martoriato dal freddo. Gocce di calore buono sulle
sue ginocchia nude. Gocce che non bruciavano. Gocce che tingevano il mondo di
rubino. Sangue. Il suo sangue. Dello
stesso colore di quello di Virginia.
-Mi fai male… mi uccidi!-
Virginia. Alzò il viso al cielo, spalancando
la bocca in un muto grido di orrore. La neve fioccava, posandosi in quella
calda voragine, come per lenire il dolore inesprimibile che vi si celava… o
semplicemente, per soffocarlo, in modo che non potesse insozzare con la sua
impurità il mondo che stava tentando di fare più candido.
Virginia.
Non mandarmi via. –Sto con un altro adesso! Vattene!-
Non dire così, Virginia. Io ti amo. –Tu non sai cosa vuol dire amare!-
Lo s0 invece. Te lo dimostro. Vedi, ti
amo tanto da fare amicizia col tuo nuovo ragazzo! Non urlare, Virginia. Lo sto
abbracciando, non vedi? Se ansima non ne ho colpa. Me l’hai sempre detto che
non controllo la mia forza.
-Lascialo! Lo strangolerai!-
Mi dispiace. Ma non mi posso fermare.
Voglio essere suo amico, voglio stringerlo forte. Se è debole non è colpa mia! Va
bene. Lo lascio. A terra va bene?
-Non avvicinarti!-
Dai, voglio stringere anche te! Cos’è
quella cosa che hai al collo? Oh, sì il mio ciondolo. Posso vederlo? È stupendo,
come te.
Ho un altro regalo per te, vuoi
vederlo? Una palla di neve di vetro. Lo so che ti piace: ne hai mille così.
Guarda com’è resistente! Non si rompe! Anche se hai la testa dura, la palla non
si rompe!
Tutto era
confuso. Tutto era dolore, e consapevolezza di non voler vivere più. Nessuno
che avesse osato portargli via la sua
Virginia meritava di rendere impuro il mondo con la sua presenza. Fermo, nella
neve che ormai lo ricopriva. Fermo, in modo che potesse cancellare anche lui,
insieme a tutte le cose più brutte. Fermo: e non sentiva più il freddo. Il
mondo non gli sembrava più così bianco. Ma gli occhi non stavano aperti lo
stesso. Il dolore fu obnubilato dal nulla. Una sola parola, a filo di labbra: Virginia.
Cantuccio dell’autrice
Nonsense nata da un momento di malinconia… sono la sola a
intristirsi quando nevica? :D Spero che vi piaccia, in tutti i casi, fatemi
sapere ;) bye