Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Mrs Teller    09/12/2012    13 recensioni
“Per essere onesti, a me sembra una richiesta normalissima all’interno di una coppia, Sherlock. Harry vuole conoscerti già da prima che restasse incinta e adesso Matthew ha quasi otto mesi, ormai non so più che scusa inventarmi per temporeggiare. La verità è che il desiderio di mia sorella è perfettamente legittimo e anche a me farebbe piacere che tu la conoscessi.”
Che succede se Sherlock si trova ad affrontare la sorella e il nipote di John? Gli esiti potrebbero essere del tutto inaspettati.
Genere: Comico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
"Assolutamente no John. Sei impazzito?"
Le sopracciglia di Sherlock si alzano prima ancora che lo sguardo si sollevi, con deliberata lentezza, dal microscopio e dall'esperimento che, come ha appena appurato, non è riuscito. Negli occhi del detective alberga lo stupore più assoluto, misto a una certa innegabile irritazione, mentre fissa John come se avesse davanti un folle fuggito da un ospedale psichiatrico: non riesce davvero a credere che il suo compagno gli abbia, di nuovo, chiesto quello. Semplicemente, il suo cervello si rifiuta anche solo di prendere in considerazione l'idea.
John, dal canto suo, si limita ad alzare gli occhi al cielo con un sospiro: era ampiamente consapevole che non avrebbe potuto ottenere reazione diversa e migliore da parte dell'uomo con cui, da circa un anno, condivide non solo la casa ma anche la vita in modo ufficiale Eppure, nonostante ciò, non ha alcuna intenzione di lasciar cadere lo spinoso argomento, anzi sa di aver temporeggiato anche troppo e che ormai quella discussione non è più rimandabile.
"Sherlock non sono impazzito, ti ho solo fatto una domanda, tutto qui."
"No John, lo sappiamo entrambi che non è tutto qui e che la tua domanda contiene una richiesta chiara e specifica, a mio avviso anche del tutto fuori luogo."
"So che la mia domanda contiene una richiesta, lo scopo era esattamente quello."
"Richiesta cui mi pare di aver risposto in modo abbastanza esauriente con un no."
"So anche questo in effetti, lo hai reso abbastanza chiaro. Però.."
"Però niente John! Quale parte delle due lettere che formano la parola no non ti è chiara? Pensavo tu avessi una certa proprietà di linguaggio, magari non eccelsa e con un vocabolario limitato, ma comunque presente. Devo essermi sbagliato."
 
Il dottore sospira di nuovo ma stavolta il suo è un sospiro di vera e propria esasperazione, accompagnato da uno sbuffo inequivocabile e una scrollata di spalle. Il rifiuto opposto da Sherlock alla sua richiesta lo aveva ampiamente messo in conto quando gli aveva fatto quella domanda, ma non immaginava che potesse essere così netto e duro. In fondo, non gli sta chiedendo nulla di impossibile dal suo punto di vista. Probabilmente il salto di livello fatto dal loro rapporto nell’ultimo anno lo ha illuso e indotto a credere che il compagno potesse quanto meno discutere civilmente su certi argomenti che implicano il termine famiglia.
“Sherlock per favore cerca di ragionare.”
La risata che esce ironica dalle labbra del detective non fa altro che aumentare ancora di più l’irritazione di John.
“Non fare così, sai bene cosa intendo. Ti ho solo chiesto di venire con me a casa di Harry perché ti vuole conoscere, non ti ho chiesto di dire ad Anderson che è intelligente o di non andare su una scena del crimine.”
Sherlock sbuffa a sua volta facendo scorrere di qualche centimetro la sedia girevole lungo il pavimento, così da mettere da parte il microscopio e poter guardare John negli occhi senza impedimento alcuno.
“Solo? A te sembra una richiesta da poco?”
John appoggia gomiti ed avambracci sul tavolo e si sporge verso Sherlock, che occupa la parte opposta, avvicinando considerevolmente il viso al suo.
“Per essere onesti, a me sembra una richiesta normalissima all’interno di una coppia, Sherlock. Harry vuole conoscerti già da prima che restasse incinta e adesso Matthew ha quasi otto mesi, ormai non so più che scusa inventarmi per temporeggiare. La verità è che il desiderio di mia sorella è perfettamente legittimo e anche a me farebbe piacere che tu la conoscessi.”
Non gli ha ancora del tutto perdonato l’assenza nel momento della nascita di Matthew, quando Sherlock era stato casualmente convocato da Mycroft per andare a risolvere per mezza Europa una faccenda di importanza nazionale che non poteva in alcun modo essere procrastinata e non poteva essere risolta da nessuno se non Sherlock. Il tutto nella settimana in cui Matthew doveva venire alla luce. Strani scherzi fa il caso.. Avrebbe volentieri picchiato Mycroft per aver dato man forte al fratello minore, se solo avesse potuto. Gli sembrava davvero il minimo che il suo compagno lo accompagnasse a conoscere la sorella, anzi era stato fin troppo delicato con lui.
Sherlock gli rivolge il suo migliore sguardo angelico e confuso: certi meccanismi delle relazioni umane continuano a sfuggirgli.
“Perché?”
“Perché è così che funziona quando si ama qualcuno: lo si vuole coinvolgere in tutto ciò che è importante, tutto ciò che ci sta a cuore, e mia sorella e mio nipote sono gli unici membri della mia famiglia che mi restano. Oltre te, sono l’altro cardine del mio universo. Per questo vorrei che tu li conoscessi: io ti amo e mi piacerebbe che tu fossi partecipe di ogni aspetto della mia vita, soprattutto della mia famiglia. Così come io ho fatto per te.”
A John non serve aggiungere che si sta riferendo ai molteplici incontri che ha avuto, nel corso degli ultimi due mesi, con Mrs. Violet Holmes e lo sguardo tagliente di Sherlock gliene da la conferma.
 
Il moro scrolla il capo e si passa automaticamente la mano tra i ricci neri, arruffandoli e lasciandoli ricadere in ciocche disordinate, la mente persa nella riflessione. Sapeva che prima o poi John avrebbe usato l’arma del ricatto e, tutto sommato, non si sente nemmeno di biasimarlo per quello. La realtà è che John ha ragione: per quanto non voglia ammetterlo a voce alta, il punto di vista del suo compagno appare anche a lui cristallino e condivisibile. In effetti, una vera relazione ha bisogno di reciprocità, di sacrifici, rinunce, mediazioni, compromessi: questa è una relazione, una sorta di do ut des [1] cui Sherlock non è ancora del tutto abituato. Sa che dovrebbe accontentarlo e andare insieme a lui a casa di Harry, sarebbe la cosa giusta da fare per John, tuttavia non si sente minimamente in grado di affrontare una donna ex alcolista e un neonato di nemmeno otto mesi per cui il suo compagno sembra provare un affetto profondo e smisurato: è qualcosa che la sua mente geniale non riesce ad accettare e processare ma, soprattutto, è qualcosa di cui non ha mai avvertito la necessità.
“No.”
Si limita a ribadire di nuovo, con pervicacia, quelle due lettere che gli sembrano l’unico appiglio per proteggersi da un’esperienza molto più che sgradita. Non aggiunge altro perché ciò che ha detto è già abbastanza, è abbastanza per ferire l’unica persona cui tenga davvero, ma sa che non riuscirà mai a dire a John il vero motivo per cui la prospettiva di conoscere Harry e il bambino lo terrorizza. Un bambino, anzi no non un bambino qualsiasi, un neonato. Lui, nella stessa stanza con un neonato: se la situazione non fosse tragica, si metterebbe quasi a ridere. Non ha ancora capito, in più di trent’anni di vita, cosa ci trovino le persone comuni in quei piccoli ammassi di ciccia e rughette imbragati in orrende tutine di cotone: non hanno mai avuto alcun interesse per lui, non ha mai provato alcuna emozione particolare davanti un neonato, niente tenerezza, niente meraviglia o stupore, nessuno stimolo anche solo a sfiorare una guancia, nulla di nulla. Sa cosa direbbe la gente normale in una tale situazione - solo un mostro non proverebbe istantanea simpatia verso un bambino di otto mesi -  e sa altrettanto bene di essere l’unico sulla faccia della terra, insieme a Mycroft probabilmente, a restare indifferente davanti un neonato. Per questo motivo non se la sente proprio di andare a conoscere Harry e suo figlio: per non dover fingere di essere ciò che non è, per non mettere in imbarazzo John con comportamenti assolutamente fuori luogo, per non rischiare di incrinare il fragile equilibrio tra lui e Harry con il suo carattere. In una parola, per non deluderlo.
 
“Sherlock ti prego..”
L’esasperazione è ormai svanita dal tono del dottore, rimpiazzata da una vera e propria implorazione verso quell’uomo così straordinario ma anche straordinariamente difficile da gestire. Un silenzio eloquente è tutto ciò che il dottore ottiene come risposta. Dopo qualche attimo, si abbandona inerme con le spalle sul tavolo passandosi una mano sul viso e stropicciandosi gli occhi, tornando poi a posarli su quelli color del ghiaccio di Sherlock. Lo sguardo del compagno, affilato come la lama di un rasoio, non lo fa retrocedere di mezzo passo, cosi come si conviene a un buon soldato, anzi, John si ritrova a ricambiare lo sguardo con la stessa profonda intensità, soffermandosi ad analizzare ogni minima pagliuzza in quegli occhi tanto amati e che solo a lui sembrano parlare. Nessuno riesce mai a vedere in quel laghi ghiacciati nulla tranne il distacco e l’indifferenza, ma lui è sempre riuscito ad andare oltre e scavare, vedere cose che nemmeno Sherlock stesso sa di avere o di provare, e al momento gli sembra quasi di scorgere un piccolo lampo, poco più che una microscopica crepa nell’armatura di titanio di cui Sherlock si è rivestito. E’ solo un attimo ma tanto basta a John per capire che c’è qualcos’altro, che non si tratta della solita, sciocca presa di posizione del suo compagno dovuta al suo carattere spesso infantile. Stavolta è diverso e John assottiglia ancora di più lo sguardo scavando nel profondo dell’anima di Sherlock, per tentare quanto meno di intuire quale sia il problema che lo blocca, perché di questo si tratta e sarebbe pronto a scommetterci ogni cosa. Lo sguardo di Sherlock che si abbassa all’improvviso sul block notes accanto al microscopio gliene da sufficiente certezza: se c’è una cosa che John ha imparato nel corso degli anni è che Sherlock Holmes non abbassa mai lo sguardo, con nessuno e in nessun caso, tranne quando sa di essere stato studiato e compreso nel profondo da lui, quando si sente smascherato come un criminale colto sul fatto. A John bastano pochi secondi di riflessione per riuscire a dare un nome al turbamento di Sherlock e comprendere le ragioni del suo rifiuto, e subito un’ombra di sorriso gli increspa le labbra sottili.
“Ora ho capito.. Ho capito qual è il problema..”
Il viso di Sherlock si solleva di nuovo, ma stavolta i suoi occhi sono velati dalla consapevolezza di essere stato scoperto e non sa ancora quanto potrà continuare a fingere in quel modo disinvolto.
“Io non ho alcun tipo di problema John, perché dovrei averne?”
“Sherlock ti conosco abbastanza da sapere che c’è un problema, e so anche dargli un nome.”
Lo sguardo di Sherlock si carica di sfida.
“Sentiamo.. Quale sarebbe il mio presunto problema? Illuminami..”
“Il tuo problema è che hai paura.”
La risata sarcastica che esce dalle labbra del detective appare forzata anche alle sue stesse orecchie.
“Andiamo John non dire stupidaggini, questo è troppo anche per uno come te. Di cosa dovrei avere paura?”
Il suo ultimo, estremo, tentativo di difesa sembra non dare i risultati sperati a giudicare dal sorriso di John che si allarga e assume i connotati di un piccolo trionfo.
“Te lo dico volentieri Sherlock: tu hai paura di non piacere ad Harry, hai paura che mia sorella ti possa considerare un mostro come tutti gli altri, hai paura di dire o fare qualcosa di sbagliato che possa farmi fare brutta figura e mandare all’aria tutto. Ecco perché non vuoi venire a conoscere mia sorella, ho indovinato?”
 
Colpito e affondato.
Lo sguardo di Sherlock si abbassa di nuovo ma stavolta sa che il gesto decreterà ufficialmente la sua resa e non può fare diversamente: John è l’unica persona che riesca a leggergli dentro con tale facilità, cogliendo aspetti che a volte non sono chiari nemmeno a lui, e non avrebbe senso fingere ancora, non se davanti c’è l’uomo di cui è innamorato. Meglio ammettere la sconfitta e trincerarsi dietro un onesto silenzio carico di significati.
Ogni traccia di irritazione, esasperazione o fastidio sparisce all’istante dal viso di John, sostituita immediatamente dalla tenerezza più assoluta: è possibile amare Sherlock Holmes più di quanto già faccia? John non lo riteneva possibile, non fino a quel momento almeno, il momento in cui la mente brillante lascia il posto all’uomo fragile e insicuro che Sherlock ha imbavagliato per anni e relegato nei recessi più inaccessibili del suo cuore. Un’ondata di calore attraversa il petto di John facendogli vibrare il cuore a velocità leggermente superiore alla norma, mentre gira intorno al tavolo e si avvicina a Sherlock fermandosi esattamente in mezzo alle sue gambe mollemente aperte, il petto a contatto col suo e una mano infilata tra i suoi morbidi capelli ricci in una dolce carezza. La carezza diventa ancora più dolce quando il suo compagno gli posa la fronte sul petto e adagia le labbra sul pesante tessuto del maglione quasi a volersi nascondere, come se ciò solo bastasse a cancellare quella parte umana con cui ancora non è abituato a fare i conti.
“Sherlock guardami..”
La mano sinistra di John raggiunge con delicatezza la guancia di Sherlock per una leggera carezza, e due dita scivolano placide lungo la sua mascella fermandosi sul mento e sollevandolo.
“Sappiamo entrambi cosa pensa la gente di te e questo è assodato: tu sai che ti considerano un pazzo, uno psicopatico, un mostro e io so che la cosa ti tocca molto più di quanto tu riesca ad ammettere a te stesso. Se non fosse così, adesso non staresti reagendo in questo modo. Ma sappi una cosa: io ti vedo per come sei, io riesco a vedere la persona eccezionale che sei, una delle più umane che io abbia mai conosciuto, e non mi importa cosa pensano gli altri. Gli altri possono fermarsi in superficie, ma io so andare oltre e sono certo che anche Harry saprà farlo, perché i sopravvissuti si riconosco e si accettano tra loro per ciò che sono.”
Le labbra di Sherlock si tendono in un sorriso senza gioia, che non raggiunge gli occhi, un sorriso che esprime ancora sconfitta, mentre le sue braccia toniche si serrano intorno alla vita di John in un abbraccio saldo e possessivo.
“Ne sei proprio convinto? E se facessi qualcosa di sbagliato? Se dicessi una parola fuori posto? Una qualsiasi uscita delle mie sarebbe sufficiente. Non voglio che Harry ti dica ma con chi ti sei messo, fratellino.. Mi capisci?”
John stringe la presa del braccio sinistro sulla schiena di Sherlock rendendo l’abbraccio più profondo, e avvicina delicatamente le labbra sulla fronte di Sherlock incorniciata dai morbidi ricci deponendovi su un bacio.
“Sherlock ti capisco, ma fidati se ti dico che non sarà così. Conosco mia sorella come le mie tasche, so come ragiona e sento che sarà capace di prenderti per il verso giusto. Non voglio che tu ti limiti, devi essere te stesso perché io sono fiero di ciò che sei e ti amo per questo. Sii te stesso e sta tranquillo, tutto andrà per il verso giusto. Se mai provi, non potrai mai sapere. Potresti anche scoprire che Harry ti sta simpatica, che ne sai?”
Una leggera risata esce spontanea dalle labbra di John e ha come effetto tendere il sorriso di Sherlock facendolo diventare più dolce e sereno.
 
 
“Col bambino come la mettiamo? Non dovrò affrontare solo Harry..”
Il dottore aggrotta le sopracciglia perplesso, scostando indietro il capo quel tanto che basta per guardare il compagno negli occhi.
“Ci sarà anche Matthew certamente.. E allora?”
“E allora sarà un disastro! I bambini mi odiano John, è una cosa che so per certo.”
Un’altra risata, stavolta più potente e divertita, si sparge nell’aria.
“Come diavolo fai a saperlo Sherlock? Che diavolo stai dicendo?”
“Lo so e basta John. I bambini lo sanno quando la persona che hanno davanti non è interessata a loro, lo sentono, è come se avessero delle antenne particolari. Sono sicuro che si metterà a piangere non appena mi guarderà in faccia.”
John alza le sopracciglia e fissa il suo compagno per pochi, lunghissimi, secondi tentando di capire se sia serio e pensi davvero ciò che sta dicendo. La purezza nello sguardo di Sherlock gli suggerisce che sì, pensa davvero ciò che sta dicendo e la cosa gli strappa un sospiro.
“Da quando sei un esperto di psicologia infantile Sherlock?”
“Oh andiamo John, la sanno tutti questa cosa, è una nozione comune e basilare che deve essere rimasta nel mio palazzo mentale per non so quale assurdo motivo. Gli starò antipatico e si metterà a piangere, punto.”
“Sherlock, di nuovo, non puoi saperlo. Non puoi sapere come reagirà Matthew. Sei mai stato a contatto con un neonato?”
L’espressione vagamente schifata di Sherlock gli ricorda tanto quelle che il suo compagno riserva ad Anderson, e John si pente immediatamente della domanda, molto più che retorica a ben pensare.
“Assolutamente no John, come ti viene in mente una cosa del genere?”
“Ecco, appunto.. Vale lo stesso discorso che ti ho fatto per Harry: se non provi non potrai mai sapere. Chi ti dice che anche Matthew non ti prenda in simpatia?” Un sorriso tende le labbra di John mentre si china verso il viso di Sherlock fino a posare la fronte contro la sua, le labbra così vicine da poterne sentire il leggero respiro. “Ti prego Sherlock, non avere paura. Non ne hai motivo. Fallo per me, per favore.”
Quello è troppo da reggere per Sherlock: il tono accorato, il calore della fronte di John, la punta del suo naso che sfiora la propria, le labbra così vicine, l’amore che proviene da quel corpo serrato contro il proprio sono qualcosa che Sherlock non riesce a gestire e da cui non ha più modo di difendersi, gli annullano ogni resistenza e lo lasciano nudo ed esposto, pronto a fare cose che normalmente non farebbe. Ma ormai ha imparato che per il suo dottore farebbe più o meno qualsiasi cosa. Gli basta sollevare impercettibilmente il viso per impossessarsi delle labbra di John e catturarle in un bacio dolce, mordicchiando appena il labbro inferiore e accarezzandolo con la punta della lingua prima di insinuarla nel suo palato a cercare la sua. La mano destra di John scivola lungo la nuca di Sherlock e spinge piano per rendere la vicinanza e il contatto più profondi, per rendere l’incontro di lingue e denti e ancora lingue più passionale e possessivo. Solo dopo lunghi istanti John si stacca e lo guarda negli occhi.
“Questo è un si?”
Sherlock annuisce col capo e un sorriso ampio e rassegnato gli tinge le labbra di gioia.
“Si, questo è un si. Prendi la giacca prima che ci ripensi.”
Anche le labbra di John si tendono in un sorriso e si premono più e più volte su quelle di Sherlock prima di schiudersi in un altro bacio intenso e carico di amore. Il sussurro arriva di nuovo sulle labbra del compagno.
“Grazie Sherlock. Questo conta moltissimo per me.”
“Lo sai che farei davvero qualsiasi cosa per te, anche questo.”
“Ogni tanto sentirselo ripetere fa bene all’anima, sai?”
Dopo un ultimo, leggero, bacio a stampo, John fa un passo indietro afferrando la mano di Sherlock per farlo alzare, ordine che viene eseguito immediatamente dal detective.
“Sappi una cosa però: tutto questo non succederà mai più, mi hai capito? Sei riuscito a farmi capitolare una volta, non ci riuscirai ancora.”
Il tono di Sherlock è simile a un borbottio irritato mentre indossa il cappotto e allaccia la sciarpa di seta blu intorno al collo, tirando su il colletto. John si morde il labbro inferiore per non scoppiare a ridere e intreccia le dita con quelle del detective dopo aver indossato la giacca.
“Non ne sono così sicuro, sai?”
“Non tirare troppo la corda John.”
Il giocoso avvertimento si spande nel soggiorno e strappa al dottore una finta espressione impaurita, mentre si chiude la porta del 221B dietro le spalle. Sherlock lo segue svogliatamente sentendosi come se avesse davanti l’ultimo miglio [2] che lo separa dalla sedia elettrica.
 
La mano di Sherlock è saldamente aggrappata a quella di John quando il taxi si ferma davanti una graziosa villetta nella zona di Canary Wharf [3], e il detective si trova a deglutire nervosamente osservando dal finestrino del taxi il giardino ben curato. Per tutta risposta, John rende l’intreccio delle loro dita ancora più saldo continuando ad accarezzare il dorso della mano di Sherlock, cosa che ha fatto praticamente per tutta la durata del viaggio.
“Non ci starai mica ripensando, vero?”
Sherlock gli scocca uno sguardo offeso, come se avesse ricevuto il peggiore dei disonori.
“Sono ancora qui mi pare, no? Perché dovrei ripensarci?”
“Perché hai la faccia di uno che vorrebbe darsi alla fuga appena sceso dal taxi infilandosi sul primo battello disponibile.”
Il detective sospira e alza impercettibilmente gli angoli delle labbra.
“No John, non inizierò a correre né mi darò alla fuga. Anzi, andiamo, preferisco risolvere la questione immediatamente.”
Le sopracciglia del dottore si alzano come spinte a forza da uno stupore ai limiti della rassegnazione: ormai è del tutto abituato alla mancanza di empatia e cortesia del suo compagno in situazioni come quella, non dovrebbe farci più nemmeno caso, e invece spesso resta ancora di sasso davanti certe uscite.
“Risolvere la questione immediatamente?”
Nemmeno stesse parlando di una pratica fastidiosa come un sassolino in una carpa che ti graffia la suola del piede o un dente che fa male.
Sherlock alza a sua volta le sopracciglia con la più perfetta delle espressioni angeliche, senza davvero riuscire a comprendere cosa John voglia da lui.
“Si. Qual è il problema?”
John scrolla il capo aprendo con la mano libera la portiera del taxi: sa che con Sherlock è una battaglia persa e preferisce evitare di infierire fin da subito.
“Niente, lascia stare. Andiamo.”
Scioglie suo malgrado la presa delle loro dita e scende per primo, seguito a ruota da uno Sherlock che ha la stessa espressione che avrebbe se stesse camminando sui chiodi o sui carboni ardenti. L’unico pensiero del detective mentre John paga il tassista e gli fa strada è rivolto al bambino.
Fa che dorma, fa che dorma, almeno questo. Fa che dorma.
Non ha mai creduto nell’esistenza di un’ entità superiore, anzi ha sempre considerato la religione come la somma forma di morte della ragione, eppure al momento non può fare a meno di raccomandarsi a qualcuno o qualcosa, qualsiasi cosa, non gli importa che si chiami Dio o karma, basta che lo protegga e lo aiuti ad affrontare quel calvario. Tuttavia, sa bene che col proprio carattere non ha di certo ottenuto punti premio ai fini del Nirvana, ed è ragionevolmente convinto che il karma finirà per fotterlo facendolo imbattere nell’ammasso di ciccia.
 
Mentre John suona al campanello, Sherlock si tiene debitamente a un passo di distanza, fermo e rigido dietro il suo compagno che, al contrario, non riesce a stare fermo e sembra sprizzare gioia da ogni poro. Non è pentito della scelta che ha fatto, ma i secondi di attesa prima che la porta si apra gli appaiono come i più lunghi e terribili della sua vita, e tutta la sicurezza che aveva mentre usciva dal 221 sembra essere misteriosamente evaporata. Poi, finalmente la porta si apre e una donna minuta, con profondi occhi azzurri, un viso delicato e capelli biondo cenere, compare davanti a loro gettando subito le braccia intorno al collo di John.
“Ciao fratellino. Non mi aspettavo che passassi da queste parti oggi. Non dovevi lavorare?”
Il detective si gode gli ultimi istanti di anonimato, sforzandosi di rivolgere alla donna un’espressione amichevole quando Harry, dopo un breve scambio di battute con John, finalmente alza lo sguardo sopra la spalla del fratello e lo nota, scoccandogli un’occhiata stupita e luminosa, come se fosse davvero felice di vederlo.
 “Oh! Questa si che è una sorpresa! Tu devi essere Sherlock, giusto?”
Il moro si limita ad annuire cercando di addolcire quanto meno lo sguardo, se non proprio il sorriso. Harry allarga ancora di più il sorriso tendendogli la mano con enfasi, forse anche troppa dal suo personale punto di vista, ed esita appena qualche secondo prima di allungare a sua volta la mano.
“E’.. Un piacere conoscerti Harry.”
Perché quella frase gli suona più come una domanda che come un’affermazione? Il bisogno di conferme è tale che lo sguardo del detective si sposta automaticamente su John, il suo faro nel buio al momento, e l’accenno di sorriso che vede lo tranquillizza: sta andando bene.
Un moto di tenerezza attraversa il petto di Harry davanti quell’approccio così impacciato e insicuro, quasi timido: John non scherzava quando le aveva detto che Sherlock non sapeva farci coi rapporti umani. E pensare che lo aveva anche preso in giro suo fratello, non credendo a mezza parola sul carattere particolare dell’uomo che gli aveva catturato il cuore. Se potesse, se le rimangerebbe tutte all’istante.
“Anche per me è un enorme piacere Sherlock. Desideravo conoscerti da così tanto e sono contenta che tu abbia deciso di venire a trovarmi.”
“Ehm.. Sinceramente non era programmato.”
Non sapendo bene cosa dire, o forse temendo di aver detto già troppo, Sherlock preferisce trincerarsi dietro una parvenza di sorriso e un confortante silenzio, l’arma migliore per evitare di sbagliare. Non sa bene perché ma immaginava che sarebbe stato John a fare le presentazioni, rispettando le formalità e assicurandogli il modo meno traumatico di entrare in contatto per la prima volta con qualcuno. Non si aspettava di trovarsi davanti una donna così allegra, spigliata e piena di vita e la cosa lo disorienta più di quanto voglia ammettere.
“In questo caso, sono doppiamente felice per questa bella improvvisata. Entrate, entrare pure. Mio fratello mi ha parlato così tanto di te che mi sembra quasi di conoscerti già.”
La mascella di Sherlock si contrae e la gola si secca reclamando sollievo,  costringendolo a raschiarla fino in fondo per trovare parole con cui poter rispondere. John non sembra avere intenzione di intervenire e trarlo in salvo, a giudicare dai suoi occhi accesi e divertiti. Gliel’avrebbe decisamente fatta pagare, come e quando era tutto da vedersi, magari già quella stessa notte.
“Anche.. Anche a me ha parlato molto di te. Spero ti abbia detto cose positive su di me..”
In un’altra situazione, il detective non avrebbe mai fatto quella domanda ovvia perché sa fin troppo bene che i discorsi di John su di lui sono lusinghieri e pieni di meraviglia e complimenti – glielo legge in faccia ogni volta che vanno su una scena del crimine e non vede perché debbano essere diversi in altra sede - ma gli sembra meglio mantenere un profilo più basso. Era così che si faceva, no? Sperava di si.
“Puoi scommetterci. E sicuramente posso dargli ragione dal punto di vista fisico: sei davvero un bell’uomo.”
L’assoluta mancanza di interesse per il sesso maschile non ha mai impedito ad Harry di riconoscere un bell’uomo quando ce l’ha davanti e Sherlock Holmes le sembra rientrare a pieno titolo in questa categoria. Lo sguardo indugia accuratamente sui lineamenti regali e affilati di Sherlock, sugli occhi cristallini che sembrano non avere un colore definito, poi sugli zigomi e infine sulle labbra, così carnose e perfette che potrebbero addirittura farle mettere in dubbio la propria omosessualità. Ora capiva perché suo fratello sbavasse letteralmente ogni volta che parlava di Sherlock, o anche solo lo pensava.
 
Il detective sente un improvviso afflusso di sangue invadergli le guance e si limita a rispondere con un grazie imbarazzato e a mala pena udibile, provando a cercare con gli occhi l’aiuto di John ma ottenendo in risposta solo un mezzo sorrisetto. Il dottore, infatti, sa che Sherlock non è affatto avvezzo alle persone esuberanti come Harry e sa altrettanto bene che la luce che gli appanna gli occhi è di puro imbarazzo, tuttavia sua sorella sembra non rendersene conto mentre gli stringe la mano e lo tira dentro. O forse lo ha capito fin troppo bene ma non se ne cura. Li segue in casa entrando per ultimo e si ritrova a valutare velocemente se intervenire in aiuto di Sherlock e porre un freno al fiume di parole che Harry gli sta riversando addosso, oppure lasciare il compagno in balia di quelle che devono apparirgli come chiacchiere inutili e fastidiose  per fargli trovare da solo una via d’uscita. La scelta ricade quasi subito sulla seconda ipotesi: finché la situazione sarà gestibile, lascerà che Sherlock se la cavi da solo, anche solo per il gusto di vederlo annaspare nell’imbarazzo.
Sherlock non ha la minima idea di come ci sia finito dentro la villetta: un attimo prima erano in giardino, l’attimo dopo attraversano una piccola anticamera che li conduce verso un grazioso soggiorno disseminato di giocattoli, il tutto accompagnato dalle dettagliate spiegazioni di Harry su cosa John abbia detto di lui e quanto lei fosse felice di vederlo finalmente di persona e quanto lo ammirasse per il suo lavoro di consulting detective. Per un attimo ha paura che tutto quel vociare possa fargli esplodere la testa, ma realizza con stupore che in realtà è molto meno fastidioso e irritante di quanto si aspettasse e la viva curiosità che legge negli occhi di Harry addirittura lo lusinga in un certo senso, facendolo sentire esattamente dove dovrebbe essere: al centro dell’attenzione. Anche se non è quella che vorrebbe. Si prende qualche attimo per studiare la donna e la prima cosa che gli salta all’occhio è l’incredibile somiglianza con il fratello, non solo dal punto di vista fisico: la nota di dolcezza che le colora gli occhi azzurri è la stessa che colora quelli del suo John e anche Harry gli rivolge gli stessi sorrisi affabili e tranquilli, senza alcun tipo di barriera.
Perché ancora non mi conosce.
Il pensiero affiora spontaneo, tuttavia come primo approccio sa che poteva andargli peggio e istintivamente ricambia il sorriso di Harry con una disinvoltura che non si sarebbe mai attribuito. La donna indica col capo il divano e Sherlock si accomoda vicino al bracciolo lasciando posto accanto a se per John, guardandosi distrattamente in giro: al momento nessun segno del bambino. Forse il karma lo ha graziato.
“Cosa vi posso offrire?”
La voce di Harry lo induce a girarsi e declinare l’offerta con un cenno del capo e un sorriso educato, osservando poi di sottecchi John seduto accanto a lui. Il dottore accenna un sorriso e gli sfiora il dorso della mano con le dita in una veloce carezza.
“Per me il solito the grazie. Dov’è Clara?”
“E’ a lavoro, sono rimasta io oggi con Matthew perché la baby sitter non poteva. Sta ancora dormendo ma dovrebbe svegliarsi a breve per la poppata.”
 
Per un attimo Sherlock ha come l’impressione che gli abbiano dato una botta in testa con una mazza di ferro: il suo peggiore incubo stava per avverarsi, il karma non aveva avuto pietà alcuna di lui e lo stava per fottere alla grande. La reazione del suo corpo alle parole di Harry è pressoché immediata e a mala pena visibile: i muscoli si tendono in una rigidità eccessiva, la mascella si contrae, la linea delle labbra si assottiglia e lo sguardo si ferma in un punto indefinito nel vuoto. Piccoli dettagli, frazioni di sconvolgimento che solo un occhio esperto e allenato potrebbe individuare, solo l’occhio attento di chi lo conosce ancora meglio di quanto lui conosca se stesso. Il resto della conversazione gli scivola addosso lasciandolo sordo, muto e indifferente e l’unica cosa in grado di strapparlo al suo palazzo mentale è la mano di John che raggiunge di soppiatto la sua e la stringe in una presa dolce. A quanto pare, il suo uomo ha finalmente deciso di dargli un minimo di aiuto. Il calore rassicurante della mano di John lo rinfranca e lo induce a rendersi un minimo partecipe di quella conversazione che, per la verità, non ha il minimo interesse per lui.
“A proposito del bambino.. Volevo farti i miei auguri Harry.. Anche magari un po’ in ritardo. E Matthew è proprio un bel nome.”
Che abbia esagerato? Il pensiero attraversa rapido la sua mente mentre incrocia lo sguardo obliquo di John che lo osserva a metà tra lo stupito e il preoccupato. Cosa può aver detto di male? Non sono quelle le cose che generalmente le persone comuni dicono in quei casi? Il sorriso dolce che tende le labbra di Harry gli fa rilassare appena le spalle: forse sta facendo bene.
“Ti ringrazio Sherlock. Trovi davvero che Matthew sia un bel nome?”
La realtà è che no, al detective non interessa minimamente che il pargolo si chiami Matthew piuttosto che Peter, o Stephen o Christopher [4]: dal suo modesto punto di vista ogni nome vale l’altro. La considerazione aleggia pericolosamente sulla punta delle sue labbra ma la rimanda indietro con un sorriso di circostanza e si limita ad annuire. Di nuovo, il silenzio gli appare la migliore difesa.
“Non avrebbe nemmeno dovuto chiamarsi Matthew in realtà..”
“Ah no?”
Per una frazione di secondo, negli occhi limpidi di Sherlock brilla sincera curiosità.
“No: il nome è stato frutto di un compromesso tra me e Clara. Io avrei voluto chiamarlo Hamish ma a lei non piaceva e a me non piaceva il nome che voleva lei. Devi sapere che mia moglie ama così tanto Molto rumore per nulla che avrebbe voluto chiamare nostro figlio Benedict [5], ti rendi conto? Ma io mi sono opposta: troppo pomposo.”
“Benedict non è un nome pomposo, o quanto meno non lo è più di Hamish.”
“Disse l’uomo che si chiama Sherlock e il cui fratello si chiama Mycroft.. Tu si che te ne intendi di nomi pomposi eh..” La voce di John trasuda una risata trattenuta a fatica. “Ah e comunque.. Hai dimenticato che Hamish è il mio secondo nome?”
Sherlock scocca a John uno sguardo tagliente.
“No che non l’ho dimenticato, era solo per dire che a parità nessuno dei due mi sembra meno pomposo dell’altro.” Non riesce a credere di essersi davvero infilato in una conversazione riguardante i nomi dei neonati, e l’istinto gli suggerisce di sottrarsi ad essa immediatamente tornando a guardare la donna. “Quindi? Come avete trovato un punto d’incontro?”
“Semplice: io ho scelto il nome col consenso di Clara e lei ha scelto il donatore col mio consenso. Alla fine ci siamo riuscite.”
La voce melodiosa e acuta di Harry viene all’improvviso sovrastata da uno strillo, anzi no un vero attacco di pianto proveniente dalla stanza accanto. Matthew Watson si era finalmene svegliato e reclamava con prepotenza attenzioni.
“Scusatemi, torno subito.”
 
Harry mantiene la parola data e, nemmeno un minuto dopo, torna in soggiorno stringendo tra le braccia quello che a Sherlock appare poco più che un fagottino urlante e spacca timpani, ma che una persona comune avrebbe definito un bambino leggermente paffutello e dalle guance rosee, con il cranio spolverato da una leggera cortina di fili biondicci e due occhi apparentemente azzurri e ancora appannati per il sonno, strizzato in una ridicola tutina celeste con gli orsacchiotti disegnati.
Nello stesso istante, John si alza dal divano come una scheggia e si precipita verso la sorella fermandosi a fissare estasiato il nipote, ormai quieto e tranquillo tra le braccia amorevoli della mamma. La mano sinistra del dottore raggiunge con delicatezza estrema il capo del bambino e lo avvolge in una tenera carezza, che induce Matthew ad allungare un pugnetto chiuso verso John, il quale offre l’indice della mano destra affinché il piccolo lo stringa.
Sherlock si limita a seguire il movimento di John con lo sguardo e affonda ancora di più con la schiena nel divano di pelle, incapace non solo di muovere mezzo muscolo ma anche di decidere cosa fare. Alle sue orecchie giungono attutite le voci smielate di Harry e John e in quel momento vorrebbe davvero essere ovunque tranne che tra quelle quattro mura. Sa che non può restare seduto e ignorare il bambino ancora a lungo, non sarebbe opportuno né tantomeno educato, e quel pomeriggio ha deciso di fare appello a quei rudimenti di educazione che ancora gli sono rimasti per tentare di salvare il salvabile: prende un profondo respiro e si alza andando a raggiungere John che ormai ha in braccio il nipote.
“Guarda chi c’è Matthew! Lui si chiama Sherlock.. Fai ciao a Sherlock.”
Il dottore afferra tra pollice e indice la manina semi aperta del piccolo e la muove con delicatezza a fare un piccolo gesto di saluto nei confronti del detective, gesto cui Sherlock risponde con uno sguardo perplesso e leggermente schifato. Ecco come le persone normali si riducevano davanti un bambino: prive di qualsiasi dignità. Il fatto che Harry sia in cucina a preparare il biberon lo aiuta non poco in quel frangente.
“Non è bellissimo? Guardarlo: guarda che occhi che ha! Azzurri come tutti i Watson.”
Il detective fa un passo avanti sporgendosi appena per ammirare quello che, a tutti gli effetti, può ben definire come un ammasso di ciccia e rughette che sgambetta allegramente, e la visione lo lascia del tutto indifferente, come aveva previsto.
“Ehm John non vorrei smontarti ma è scientificamente provato che quasi la metà dei bambini cambia il colore degli occhi a cavallo del primo anno.” L’occhiata obliqua di John lo induce a cambiare rapidamente registro prima di essere divorato. “Comunque adesso lo sono, e anche il biondo mi pare ci sia. Puoi ritenerti fortunato: i germi migliori della famiglia Watson hanno attecchito.”
 
Prima che John possa dire qualsiasi cosa, sua sorella Harry gli si ferma accanto con un biberon caldo pieno di latte e biscotti.
“Avevi detto che volevi darglielo tu il biberon no?”
Il minore dei fratelli Watson annuisce e afferra il biberon dopo aver stretto saldamente la presa del braccio sinistro sul corpo di Matthew.
“Lui preferisce fare la poppata in braccio, seduti sul divano. Te lo dico così eviti che ti rigurgiti in faccia.”
“Agli ordini capitano.”
Alla parola rigurgito è Sherlock a provare uno scossone allo stomaco tristemente vuoto, e non deve nemmeno premurarsi di contenere l’espressione perché nessuno sembra interessarsi a lui. Neanche John, che si dirige verso il divano passandogli accanto senza degnarlo di uno sguardo.
“Il realtà il capitano qui è lo zio, ma noi non lo diciamo alla mamma vero? Glielo facciamo credere.”
Il sussurro dolce e vagamente cospiratore che John rivolge al nipote fa spalancare del tutto gli occhi del detective: non immaginava che John potesse fottersi il cervello fino a quel punto davanti un esserino sgambettante, fa quasi fatica a riconoscere in quella specie di ameba ipnotizzata il suo compagno. L’idea che tutto quello possa dipendere dall’affetto che John nutre per Matthew, ovviamente, non lo sfiora nemmeno per un istante. Ciò che in realtà lo sfiora, anzi più che sfiorarlo lo pungola proprio, è quella fastidiosa quanto insistente sensazione all’interno del petto legata forse al fatto di trovarsi solo e ignorato all’interno di una casa sconosciuta.
In fondo è questa la debolezza dei geni: avere un pubblico.
E quando viene meno la persona che rappresenta la parte più importante del tuo pubblico e della tua vita, il genio decade a favore di un ammasso di ciccia che non avrebbe merito alcuno per stare al centro dell’attenzione. E’ forse gelosia quella cosa che Sherlock sente vibrare dentro di se? Non ha tempo di chiederselo, perché una leggera mano femminile gli si stringe intorno all’avambraccio e lo induce a staccare lo sguardo da un John ai limiti dell’estasi divina.
“Non far caso a mio fratello: ha sempre avuto un istinto paterno molto accentuato, e penso che sia addirittura peggiorato dopo la nascita di Matthew. Gli vuole molto bene.”
Gli occhi blu di Harry sono luminosi come un raggio di sole e Sherlock, osservandoli meglio, riesce a notare un leggerissimo fondo giallo, una sfumatura appena accennata ma che conosce bene perché è la stessa che tinge l’iride di John. La cosa, stranamente, lo rilassa e lo rende istintivamente più affabile. Forse John non aveva poi tutti i torti a dire che sua sorella ha una sensibilità fuori dal comune.
“Me ne sono accorto sai? E’ evidente la cosa.”
La risata di Harry lo avvolge e lo induce ad allentare la tensione ridendo a sua volta, piano ma con sincerità.
“Sai ho sentito parecchie cose su di te e anche John mi aveva messo in guardia sul fatto che non hai un carattere semplice. Ma sai una cosa? Io ti voglio ringraziare Sherlock.”
“Per cosa?”
Al detective non piace essere preso in contropiede, ma quella affermazione di Harry ha il potere di lasciarlo incredulo come una statua di sale: non riesce a immaginare un motivo plausibile per cui lei dovrebbe volerlo ringraziare. Qualcosa deve essergli sicuramente sfuggito, ed è una sensazione cui non è avvezzo.
“Non te ne rendi conto ma tu mi hai restituito mio fratello, mi hai ridato l’uomo che era prima di partire per l’Afghanistan. Vedi, in famiglia John è sempre stato quello carico delle aspettative di tutti, per me è stato diverso perché ho fatto tutto ciò che ho voluto, sbagliando anche e pagandole le conseguenze a mie spese. Ma lui ha sempre avvertito pressione e non ha mai chiesto nulla in cambio. Quando è venuto da me a chiedermi aiuto, l’unica volta in vita nostra, io non sono stata capace di darglielo. [6] Tu invece si: lo hai aiutato senza che nessuno dei due se ne accorgesse. Per questo devo dirti grazie.”
Sherlock ha l’impressione che ogni pezzo di se stesso si annichilisca progressivamente davanti quel discorso così semplice eppure intenso, carico di verità anche scomode e dolorose ma che comunque Harry non è in grado di negare, e la gola gli si chiude automaticamente in una morsa. Vorrebbe dire che anche per lui è stato lo stesso, che anche John ha fatto a lui lo stesso miracolo, anzi no ne ha fatto un altro addirittura maggiore perché lo ha preso come un monolite di ghiaccio e lo ha limato fino a fargli ritrovare il contatto con quella parte umana che temeva di aver perso per sempre. Se lui è stato capace di ridare la vita a John, John da parte sua è stato capace di farlo vivere per davvero, farlo vivere per la prima volta da quando è venuto al mondo. Non si è mai sentito così vivo e vitale da quando John è entrato nella sua vita e vorrebbe davvero dire quelle parole a Harry, per farle capire quanto sia forte il sentimento che nutre per suo fratello, ma non ci riesce. Tutto ciò che riesce a fare è sorriderle, ma spera che ciò basti a Harry per capire, spera che per una volta sia vero quello che dicono le persone comuni: un sorriso vale più di mille parole.
La donna, infatti, allunga nuovamente la mano sul suo braccio e stringe piano, accarezzando i muscoli contratti.
“So quello che vuoi dirmi, te lo leggo negli occhi. Ci tieni davvero tanto a mio fratello, si vede.”
“Si hai ragione: è la persona cui tengo di più.”
E’ la prima volta che lo ammette ad alta voce da quando lui e John stanno insieme, e si rammarica solo di averlo fatto davanti al Watson sbagliato. Anzi no, forse l’ha detto proprio davanti il Watson giusto, perché John lo sa, sa quanto lui lo ami pur senza dirlo apertamente, non spesso come vorrebbe almeno. Il filo del discorso viene interrotto proprio da John, che fa capolino nel piccolo cucinino col biberon vuoto e il nipote ampiamente soddisfatto in braccio.
“Non gli manca di certo l’appetito eh.. Lo ha letteralmente divorato il latte.”
Il tono di John è carico di orgoglio, neanche Matthew fosse figlio suo, e lo sguardo si punta subito su quello di Sherlock, illuminato da un bagliore che appare al detective molto più che sinistro.
Che diavolo stai pensando John? No. Non farmi questo.
L’accorata preghiera va in mille pezzi scontrandosi con l’inevitabile.
“Perché non provi a prenderlo in braccio?”
Gli occhi di Sherlock si sbarrano all’istante, popolati dall’incredulità assoluta e un vago di senso di terrore alla prospettiva di dover afferrare con le proprie mani il bambino: non immaginava che sarebbe stato proprio il suo uomo a metterlo nei guai così, e di certo gliel’avrebbe fatta pagare una volta tornati a casa, come e in che termini era ancora tutto da vedere. Ma l’avrebbe pagata, oh se l’avrebbe pagata: carissima. La silenziosa minaccia aleggia nel suo sguardo di fuoco mentre trafigge John con forza.
“No John davvero.. Io.. Non.. Non sono capace, sono sicuro che lo farei piangere all’istante.”
“Andiamo Sherlock perché dovresti farlo piangere? Guarda come ti osserva: è incuriosito da te. Provaci, di che hai paura?”
Harry che da man forte al fratello era la cosa peggiore che potesse capitargli. Il karma aveva deciso di non essere clemente con lui quel giorno.
“Io non ho paura.” [7]
Contro un solo Watson forse ce l’avrebbe potuta fare, ma con due contro la resistenza sembra quasi impossibile. Lo sguardo di ghiaccio scorre alternativamente da John a Harry, per poi tornare su John: due paia di occhi lo stanno fissando carichi di aspettativa e indulgenza, e si sente come se lo avessero appena messo con le spalle al muro e avessero inchiodato i suoi vestiti sulla superficie dura. In pratica: senza via d’uscita. Dopo l’ennesimo sguardo assassino all’indirizzo di John, le braccia si sollevano leggermente e si protendono verso il dottore per accogliere il bambino sgambettante che John gli sta mettendo tra le mani con cura e attenzione estreme. Alla fine, era stato fottuto.
 
Stringe cautamente le ampie mani da violinista intorno al corpo del bambino, modulando la forza della stretta per non schiacciare il corpicino all’interno della sua morsa delle due dita, così grande da avvolgere del tutto il piccolo. Resta in quella posizione, braccia lunghe e rigide, mani strette intorno al corpo penzolante del bambino, occhi fissi su quel visetto paffuto, per secondi che gli sembrano più lunghi di ere geologiche, finché le braccia e le gambe di Matthew iniziano a muoversi in modo scomposto e un singhiozzo acuto gli scuote la colonna vertebrale.
E adesso??
Lo sguardo di Sherlock si tinge, se possibile, di un terrore ancora maggiore e si punta su quello di John alla disperata ricerca di aiuto. In fondo lo aveva avvertito: i bambini lo sanno quando hanno davanti un incapace senza alcun interesse, e Matthew Watson non faceva eccezione.
“John prendilo per favore, lo sapevo che l’avrei fatto piangere. Te l’avevo detto.”
John si morde il labbro inferiore con forza per non scoppiare a ridere di gusto davanti quella scena: qualsiasi persona di senso compiuto non avrebbe mai preso in braccio un bambino in quel modo assurdo, ma Sherlock Holmes non è una qualsiasi persona di senso compiuto e John avrebbe dovuto metterlo in conto, con tutte le relative conseguenze. La cosa su cui non aveva dubbi è la reazione divertita e intenerita di Harry, che si avvicina a Sherlock fino a posargli gentilmente una mano sulla schiena.
“Sherlock se prendi in braccio un bambino in questo modo è normale che pianga.”
“Non.. Non si prendono in braccio così i bambini?”
I due fratelli Watson non riescono più a trattenere una risata.
“No Sherlock non si prendono in braccio così. I bambini hanno bisogno di contatto, è il loro modo per esplorare ed entrare in comunicazione con gli adulti. Prova ad avvicinarlo al petto, adagialo all’altezza del cuore, lascia che prenda confidenza con te.”
Il detective deglutisce spostando lo sguardo dal piccolo ancora in lacrime fino a John, il quale si limita ad annuire appena con un sorriso indulgente: è diventata la sua ragione di vita ormai guidare Sherlock lungo il cammino dei sentimenti e delle relazioni sociali, e sapere di essere il punto di riferimento umano e materiale di quella mente così brillante gli fa quasi scoppiare il cuore nel petto. Annuisce ancora, incoraggiando Sherlock a seguire il consiglio di Harry e Sherlock lo fa: avvicina lentamente le braccia al petto e aggiusta la presa della mano sinistra sul corpo di Matthew così da potergli accarezzare la schiena con la destra, adagiando il bambino esattamente sul proprio cuore. La testa di Matthew gli sfiora la spalla e una manina si alza fino a raggiungere la sua sciarpa, stringendola appena.
Un brivido, stavolta di meraviglia, si scarica potente lungo la colonna vertebrale di Sherlock quando realizza che il piccolo ha smesso di piangere: il viso è comodamente posato sulla sua spalla, la mano stretta intorno alla sua sciarpa, gli occhi calmi e rilassati di chi ha finalmente trovato la posizione congeniale. Il detective non riesce a crederci: davvero Matthew ha smesso di piangere grazie a lui? Se qualcuno gli avesse detto una cosa del genere nemmeno due ore prima gli avrebbe riso in faccia dandogli dell’idiota, eppure al momento si ritrova a cullare piano tra le braccia un bambino di otto mesi che non sta più piangendo, ma sta giocando con il tessuto blu notte della sua sciarpa. Una sorta di piccolo miracolo prenatalizio, ecco cosa gli era appena capitato.
“Ha smesso.. Non ci posso credere ha smesso di piangere..”
Harry appoggia la tempia sulla spalla del fratello e gli avvolge la vita con un braccio, scoccando a Sherlock un sorriso carico di estrema tenerezza: le sembra quasi di avere davanti non un solo bambino ma due, uno di pochi mesi e uno con più di trent’anni ma con l’esperienza pari a quella di un neonato, e l’idea le scalda il cuore come non le capitava da tempo. Leggere la meraviglia, la gioia, l’orgoglio quasi negli occhi di Sherlock per aver ottenuto quella piccola vittoria le da la conferma definitiva di ciò che ha sempre pensato: Sherlock Holmes non è il mostro che i giornali e la gente comune dipingono ma è un essere speciale, speciale su tutti i livelli e timoroso quasi di toccare corde che spesso si danno per scontate. Sherlock Holmes è decisamente una brava persona, su questo Harriet Watson non ha dubbi.
“Lo vedi? Non era difficile. Bisogna solo saperli prendere i bambini..”
“E non solo loro..”
Le fa eco il fratello. Sherlock gli scocca un’occhiata assassina.
“Che cosa stai insinuando John?”
Il dottore si stringe nelle spalle accarezzando la schiena della sorella.
“Nulla.. Ti pare che stia insinuando qualcosa?”
Prima che Sherlock possa rispondere, una manina piccola e calda gli raggiunge il viso posandosi sulla sua guancia, appena sopra il mento, restando in quella posizione. Un altro brivido di meraviglia attraversa il corpo di Sherlock mentre abbassa lo sguardo verso il visetto roseo di Matthew, affondato nella sciarpa: un bambino lo ha sfiorato, lo sta deliberatamente toccando.
Forse non è vero che i bambini mi odiano..
Razionalmente sa che quello è il modo di Matthew di esplorare quella persona nuova e sconosciuta, ma per un attimo il suo cervello indugia nel pensiero che il contatto fortuito sia una lieve carezza e la cosa gli piace più di quanto sarebbe disposto ad ammettere. Non immaginava che sarebbe stato così piacevole avere una manina cicciosa sul viso.
 
Un leggero rumore scuote il corpo di Matthew e lo risveglia da quella specie di trance, facendogli bloccare la mano destra sulla schiena del piccolo che sembra guardarlo con un’espressione ancora più soddisfatta. Cos’è successo? Cosa ha fatto addosso a lui quel piccolo, tenero, ammasso di ciccia? Le possibilità gli sembrano essenzialmente due, e sono una peggio dell’altra. Sherlock ci impiega qualche attimo a rendersene conto, ma quando realizza gli occhi si riducono a due fessure sottili e gelide.
Piccolo maledetto.
“Mi hai appena ruttato su una sciarpa di cachemire di quasi 100 sterline???”
La risata dei fratelli Watson non fa altro che frustrarlo maggiormente.
“Ma voi ridete pure? Avete idea di cosa significhi? Dovrò portarla immediatamente in tintoria.”
Tra un rantolo e l’altro, John trova a fatica la forza di rispondere.
“Andiamo Sherlock, è solo un ruttino cosa vuoi che sia!!! E poi guarda, ti sta chiedendo scusa..”
La manina di Matthew raggiunge di nuovo il viso di Sherlock e il detective scocca un altro sguardo assassino a quegli occhietti spalancati, che sembrano quasi volerlo irridere del tutto, ma l’ombra di sorriso che vela le labbra di Matthew lo addolcisce all’istante. In fondo, non era poi così grave, la sciarpa si poteva lavare, e comunque l’avrebbe lavata.
“Per questa volta te la sei cavata signorino.. Posso?”
Con uno sguardo incerto, il detective indica il divano quasi a voler chiedere il permesso di poter tenere tra le braccia il piccolo ancora per un po’.
“Lo sapevo che avresti finito per prenderci gusto.. Vai.”
Harry gli scocca un sorriso incoraggiante e John gli allunga istintivamente una carezza dolce sulla guancia, rivolgendogli lo stesso sguardo carico di ammirazione che potrebbe rivolgergli davanti un caso risolto o un’ottima deduzione. Il suo compagno è fiero di lui, e la cosa gli strappa un sorriso mentre si siede sul divano adagiando Matthew con cura.
 
“Non riesco a capire perché tutti lo odino: io lo trovo semplicemente adorabile.”
Il tono di Harry è di qualche ottava più basso del normale, mentre si appoggia sul tavolo della cucina osservando i ricci di Sherlock che emergono da sopra il divano del soggiorno. John le si ferma accanto e le circonda le spalle con un braccio.
“Credimi Harry, lui da agli altri tutti i motivi per farsi odiare, e non gli importa affatto della cosa. E’ solo che.. Ecco da a me tutti i motivi per amarlo.”
La donna sorride e depone un dolce bacio sullo zigomo del fratello, godendosi il calore del suo abbraccio così come era solita fare da piccola.
“Lo vedo.. Vedo quanto lo ami e vedo quanto sei felice da quando è entrato nella tua vita. Tu sei sempre stato quello in famiglia che andava oltre, che scavava nel profondo, e solo tu potevi fare tutto ciò.”
Indica appena col mento l’uomo gelido e distaccato che si sta divertendo a tenere in braccio suo figlio.
“Anche tu lo eri Harry, infatti lo hai compreso. E per questo ti devo ringraziare.”
“Non hai niente di cui ringraziarmi John, davvero.. Quando tu avevi bisogno di me io non c’ero, non ci sono mai stata, c’è stato lui al posto mio. Io ho fallito come sorella su molti punti John.”
“Non lo dire neanche per scherzo Harry, nemmeno io sono esente da colpe. Quando sono tornato, anche tu avevi bisogno di me: eri ricaduta nel tunnel e avevi problemi con Clara, ma io non sono stato capace di aiutarti. Sai qual è la differenza tra me e te? Tu ne sei uscita da sola, con le tue sole forze, hai detto addio all’alcol e hai riconquistato tua moglie, io invece mi sono salvato solo grazie a lui. Sei tu quella forte in famiglia.”
Le labbra di Harry raggiungono di nuovo la guancia di John.
“Forte non lo so.. Saggia di sicuro. Se tu non fossi venuto da me a chiedere aiuto e io non ti avessi indicato la strada giusta, ti saresti perso la storia più bella della tua vita.” [8]
“Già.. Se adesso mi sento finalmente in pace con me stesso e col mondo lo devo a te.”
“Ci ero solo passata prima di te John, ho avuto anni per imparare a processare certe cose. E’ così che si fa tra fratelli, mi rammarica solo averti aiutato troppo tardi.”
“Mi hai aiutato esattamente quando ne avevo bisogno, credimi. Ti voglio bene Harry.”
“Ti voglio bene anch’io fratellino.” Altro bacio sulla guancia. “E ora andiamo a vedere se mio figlio è ancora vivo”
 
Quando i due fratelli Watson rimettono piede in soggiorno, lo spettacolo che si trovano davanti li lascia per qualche istante senza fiato: Matthew è comodamente addormentato tra le braccia forti di Sherlock e il detective è affondato sul divano con la mano destra a sorreggere il corpo di Matthew e lo sguardo perso nel vuoto. John aggrotta le sopracciglia osservando quei lineamenti regali contratti in un’espressione a metà tra lo smarrimento e la rabbia e impiega qualche attimo a capire perché Sherlock sia rimasto pietrificato in quel modo. Un odorino sospetto e niente affatto buono gli da, in questo senso, importanti indicazioni.
“Sherlock?”
“Sssh.. Si è appena addormentato.”
“Si lo vedo.. Ehm..”
Solo in quel momento Sherlock sposta lo sguardo vitreo sui due e lascia scivolare lentamente la mano destra da sotto il corpo di Matthew, allungandola verso di loro per mettere in mostra le deboli macchiette scure.
“Mi ha fatto la cacca sulla mano John..”
Non riusciva ancora a credere che una cosa del genere fosse accaduta: un attimo prima il visetto di Matthew era teso, come se si stesse sforzando a fare chissà che cosa, e il secondo dopo la puzza lo aveva avvolto e la tutina si era macchiata inesorabilmente sotto il carico di un mare di cacca, così come la sua mano.  Un bambino gli aveva fatto la cacca sulla mano. Un’esperienza che avrebbe sicuramente rimosso dal Mind Palace alla velocità della luce.
Harry è costretta ad affondare il viso nel petto del fratello per non scoppiare a ridere di gusto, prima di allungarsi e afferrare delicatamente il figlio.
“Ehm si forse avrei dovuto avvertirvi che era leggermente costipato da ieri.. Stavo quasi pensando di fargli un clistere in effetti..” Se potesse si scaverebbe una buca e vi si nasconderebbe col figlio, tutto pur di sottrarsi allo sguardo gelido e ancora vagamente sconvolto di Sherlock. “Beh guarda il lato positivo: vuol dire che gli stai molto simpatico. Era rilassato abbastanza da fare i suoi bisogni, non è cosa da tutti..”
“Ne avrei fatto volentieri a meno grazie..”
E’ il commento asciutto di Sherlock, che previene ogni battuta del suo compagno con l’ennesima occhiataccia assassina.
“Il bagno è da quella parte.”
“Grazie. Ho sempre pensato che non avrei mai avuto figli, grazie per avermene dato la prova definitiva Harry.”
E’ l’ultimo commento che il detective fa prima di voltare i tacchi con un gesto teatrale e uscire dal soggiorno.
Harry alza gli occhi al cielo divertita, scambiando uno sguardo d’intesa col fratello.
“Cambierà idea, vedrai.. Così come l’ha cambiata sui sentimenti.”
“Ne sono sicuro, ma al momento sto bene anche così Harry, davvero. Non potrei essere più felice.”
Un giorno, forse.. Ma era troppo presto ancora per pensarci.
L’umore di Sherlock non è migliore quando torna in soggiorno con le mani linde e profumate. John gli si ferma accanto con un sorriso e intreccia le dita di una mano con le sue.
“Che dici, andiamo? Li lasciamo riposare un po’?”
“Si, penso sia la cosa migliore.”
Il borbottio di Sherlock ricorda a Harry una pentola di fagioli e l’idea gli strappa una risatina mentre si sporge per salutarlo e stampargli un disinvolto bacio sulla guancia.
“Sherlock è stato un enorme piacere conoscerti.. Spero che verrai a trovarmi di nuovo.”
“Per farmi ruttare di nuovo sulla sciarpa e farmi fare la cacca sulla mano? No grazie..”
“Lo prendo come un si allora. Restate qui, non ve ne andate, torno subito.”
Il secondo più tardi la donna sparisce nella piccola cameretta del corridoio e John intreccia le dita della mano con quelle di Sherlock spingendolo contro il muro per un bacio passionale. Sherlock schiude le labbra e va alla ricerca della sua lingua con energia, esplorando il suo palato col gusto dolce del brivido.
“A cosa devo tutto ciò?”
Ansima a fatica, succhiandogli il labbro inferiore e stuzzicandolo con la punta della lingua.
“Al fatto che oggi hai imparato una lezione di vita.”
“Sarebbe?”
“Sarebbe che i bambini lo sanno quando hanno davanti una brava persona.”
Il detective non si sente affatto di contraddire il suo uomo, ma solo di baciarlo ancora prima che Harry torni e li trovi ad amoreggiare come due adolescenti innamorati.
 
 
                                    
 
 
 
 
[1] Tipico esempio di subordinata finale in latino, può essere tradotto come io do qualcosa affinché tu dia a me.
[2] Riferimento al film “Il miglio verde”
[3] Omaggio alla fanfic della mia amata rosieposie77
[4] La sequenza di nomi non è scelta a caso, sono tutti nomi di personaggi interpretati da Ben: Peter Guillam (La talpa) Stephen Hawking (Hawking)/ Stephen Ezard (The last enemy) Cristopher Tietjens (Parade’s end)
[5] Uno dei protagonisti, anzi forse il protagonista principale di Molto rumore per nulla si chiama proprio Benedict.. Lo so, vi ho trollate di brutto. A parte gli scherzi, è successa anche ai miei questa cosa: mia mamma voleva chiamarmi Francesca, mio padre Maria e non ho idea da dove sia uscito fuori Simona XD
[6] Citazione, altamente rimaneggiata e rivisitata, della meravigliosa fic “Esiste un tipo d'amore, che non ha bisogno di fisicità per essere dimostrato” della mia amatissima e adorata Jessie Loneliness . Love you, darling <3
[7] Immaginate lo stesso tono di “Sex doesen’t alarm me” di ASIB. XDD
[8] Anche questa è una mezza citazione, riveduta e rimaneggiata, di “Esiste un tipo d’amore che non ha bisogno di fisicità per essere dimostrato”. Si vede che adoro quella fic? Si si vede, ovviamente.. Mi piace moltissimo l’idea di Harry che aiuta John ad accettare i sentimenti che prova per Sherlock: lo trovo dolcissimo.
   
 
Leggi le 13 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Mrs Teller