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Autore: Vera Sabouroff    09/12/2012    1 recensioni
La storia è ambientata nel 1947, due anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, durante il boom economico. E' da poco stato scoperto un misterioso sito archeologico nei pressi della città egizia di Il Cairo composto da una città ormai in rovina e tre piramidi. Una piramide, la più piccola, è già stata esplorata e al suo interno sono stati trovati gioielli, ma, stranamente, nessuna mummia, solo alcune scartoffie dell'epoca contenenti dati di contabilità ora conservati nella biblioteca cittadina.
La città in rovina si compone in gran parte di ruderi, fatta eccezione per una misteriosa abitazione nobiliare ancora in piedi. Cosa ci sia oltre la città al momento nessuno lo sa, perché a Sud la città è circondata da un deserto che sembra infinito. In questo scenario misterioso agiscono i personaggi più disparati: il ricco gestore di un albergo, un'arrampicatrice sociale, una giovane bibliotecaria con un amore impossibile, un medico filantropo, un misterioso guardiano delle rovine, un giovane meccanico sognatore e una bellissima egiziana con un un piccolo problema: ricorda solo cosa le è accaduto nell'arco di una settimana! Cosa succederà quando s'incontreranno? E quali misteri nascondono le rovine?
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aprile 1947

Il punto di vista di Marlena
 
Prendere la corriera era equiparabile a un parto. Erano passati circa dieci minuti da quando ero salita e quella maledetta si era già fermata due volte. Menomale che il viaggio durava poco. Una ventina di minuti al massimo. Fermate escluse. Appoggiai la testa al finestrino. Fuori chilometri e chilometri di sabbia. Un mare di sabbia. Chi avrebbe mai immaginato che di lì a poco sarebbe apparsa una città? Eppure c’era. Il Cairo era solo a una manciata di chilometri da me. Sentii quattro paia di occhi fissi su di me. È strano come certe cose si percepiscano anche senza vederle. Mi voltai per cercare chi fossero i proprietari di quegli sguardi. Una donna sulla trentina, egiziana, benestante e la sua figlioletta di non saprei…undici anni? Forse, anno più, anno meno. La donna non appena vide che l’avevo individuata voltò subito la testa, prima a sinistra, poi in alto, fingendo di guardare chissà cosa. La bambina invece continuò a guardarmi con interesse. Che strana figura dovevo apparire! Tutta agghindata e ingioiellata attraversavo il deserto, sola, completamente sola, cosa inaudita per una donna che avesse i miei soldi. Piena di borse e borsette, con le unghie perfettamente laccate e il profumo sui polsi e sul collo. Incontrai lo sguardo della bambina, lei, imbarazzata, distolse il proprio. Sorrisi quasi impercettibilmente. La corriera si fermò ancora. Salì una donna grassa di mezza età, seguita da un ragazzino magro e gracilino sulla ventina e un altro uomo più robusto, che, nonostante il caldo, teneva le mani in guanti di pelle. La signora blaterò qualcosa all’autista in inglese. Aveva uno strano accento, simile a quello delle vecchiette di campagna in naftalina nutritesi di romanzi di Jane Austen o a quello di una straniera di alta società, tanto era perfetto nella pronuncia. I suoi genitori ai tempi dovevano avere sborsato una somma perché imparasse così bene la sua lingua. Rise con tutto il corpo quando l’autista le disse qualcosa che non capii, poi scortata dai due uomini si sedette poco distante da me. Finse di non notarmi per un po’, poi si decise a rivolgermi la parola.
“È la prima volta che viene in Egitto, signorina?”
“La prima, sì, signora”
“Vedrà non potrà più farne a meno, una volta che si comincia a venire qui bisogna per forza tornaci”
“Immagino quindi che questa non sia la prima volta che lei viene qui”
“Oh, no! Niente affatto! Però è la prima volta di mio figlio Brian”
Disse, sorridendo tracotante d’orgoglio rivolta verso il mingherlino.
“Allora abbiamo una cosa in comune”
Commentai, rivolta verso…Brian. Il ragazzo non ebbe nemmeno la forza di alzare lo sguardo, arrossì violentemente e buttò giù lo sguardo sulle proprie scarpe.
“Mi scusi, signora, non mi sono presentata. Sono Marlena Harlow”
“Elizabeth MacGill. Il suo è un nome davvero particolare, miss Harlow, è tedesca, forse?”
“No, no. Sono di Londra.”
“Oh! La capitale! E cosa la porta qui?”
“Noia, prevalentemente, nessun nobile motivo”
Mentii. Tutta quella signora con tutto quello che aveva addosso doveva valere un bel po’. Il bracciale che aveva al polso non veniva meno di trecento sterline, e anche gli orecchini in perle valevano la loro somma.
La donna rise di gusto. Poi diede una pacca all’uomo robusto
“Presentati, Adam, perché non l’hai ancora fatto? Sei proprio scortese”
“Adam Fender, miss Harlow. Piacere di conoscerla”
Aveva una voce di sigaro, molto profonda.
“Il piacere è tutto mio, signor Fender”
Risposi sorridendo. Il mingherlino arrossì al posto dell’uomo. Che sagoma che era.
“Adam è la nostra guardia del corpo”
Mi disse la signora ammiccando con lo sguardo.
“Oh!”
Commentai. Ecco perché si portava con tanta tranquillità tutta quella roba addosso.
“Signora MacGill, per favore, non è il caso”
“Forse non si fida di me, signor Fender?”
Chiesi con tono quasi indignato.
“Già, Adam, che modo di fare è il tuo quest’oggi? Non sei per nulla cortese.”
“Mi perdoni, signora”
Il mastino che ubbidisce come una bestiolina ammaestrata alla padrona. Un classico dell’alta società.
“Deve scusarlo, miss Harlow, davvero non so cos’abbia.”
“Oh, no, fa bene ad essere  prudente. C’è tanta di quella brutta gente in giro per il mondo”
La signora sorrise e rivolse al mastino uno sguardo da ‘visto? Che ti preoccupavi a fare?’
“Lei dove alloggia, miss Harlow?”
“All’Hotel Ford”
“Ma anche noi alloggiamo lì! Vedrà, Don Ford è una persona squisita”
E incredibilmente ricca. Peccato che sia felicemente sposato.
“Don Ford?”
“Il proprietario dell’albergo! E, che resti fra noi, è anche davvero un bell’uomo”
“Avrò il piacere di giudicare io stessa su questo punto quando lo vedrò”
“Vedrà non ne resterà delusa”
Rispose con aria tutta giuliva la signora.
“Quanto è grande più o meno, l’Hotel Ford?”
Chiesi, con il tono di chi parla tanto per fare conversazione.
“Conta quattro piani, un sotterraneo con bar e tavoli da gioco, una veranda per la colazione, una sala da the, due sale da pranzo e una terrazza che è uno splendore!”
Più una cosa tipo un centinaio di dipendenti fissi e una quindicina di ospiti fissi.
“Sembra splendido”
“E lo è, miss Harlow, lo è”
Samuel Ford quando costruì l’albergo si adoperò persino perché la fermata della corriera fosse esattamente davanti all’ingresso. Una bella comodità che attraeva non pochi ospiti. Fu così quindi che quello stramaledetto mezzo di trasporto ci scese a non più di dieci metri dal cortile d’ingresso.
Dall’esterno l’hotel pareva quasi una grossa villetta inglese vecchio stampo, di quelle che si vedono nella Londra bene. Naturale che quell’apparenza familiare raccogliesse il consenso dei ricchi ospiti.
La signora MacGill insistette perché il suo mastino da guardia trasportasse i miei bagagli fino a dove non li avesse presi in consegna il facchino. Io, dal canto mio, mi limitai a dare il mio beneplacito a quella gentile proposta.
L’interno era una favola. L’ingresso vantava una volta alta quattro metri a forma di cupola, affiancati da due spaziosissimi corridoi laterali con pavimenti in marmo e tappeti variopinti. Esattamente al centro della hall vi era una sorta di mosaico e sopra di essa un lampadario in cristallo. Troppi soldi nelle mani di una sola persona, avrebbe potuto dire qualcuno. Io preferivo dire: troppi soldi nelle mani di una sola persona se quella persona non ero io.
Il mastino lasciò i miei bagagli accanto al bancone della reception.
“Spero di rivederla stasera a cena, miss Harlow”
Cinguettò con perfetto accento la signora MacGill.
“Senz’altro. Sarà un piacere anche per me. Signor Fender, signor MacGill”
Il mastino mi salutò in modo freddo ma cortese e il mingherlino non fece altro che arrossire come aveva fatto per tutto il viaggio. Sorrisi di fronte a tanto imbarazzo e ne rise anche la madre.
“Questi figli!”
Commentò, come se io potessi saperne qualcosa. Poi se ne andò seguita dalla sua scorta.
“Buongiorno, signorina. Come posso esserle utile?”
Mi domandò cortesemente l’uomo dall’altro lato della reception. Buttai uno sguardo sul nome sulla targhetta. L. Simons. Larry Simons. Potremmo dire il secondo di Don Ford e suo padre. Insieme ai Ford, infatti, Simons amministrava tutto l’albergo, occupandosi in patrticolar modo di coordinare i dipendenti. Era tipo il maggiordomo della casa.
“Marlena Harlow. Dovrebbe esserci una prenotazione a mio nome”       
“Controllo subito, miss Harlow”
Sfoglio velocemente alcuni dossier e subito trovò la prenotazione. Lesse il mio nome e non batté ciglio.
“Lydia”
Chiamò, rivolto alla ragazza accanto a lui. Le indicò qualcosa sul foglio che non riuscii a vedere.
“Benvenuta al Ford Hotel, miss Harlow. Io sono Larry Simons. Le auguro un piacevole soggiorno”
“La ringrazio, signor Simons”
Poi fece cenno a un facchino di avvicinarsi.
“Ryan, per favore, occupati dei bagagli della signorina. Stanza 324”
Ala vip, quindi. I soldi pagano sempre. Tutto il terzo piano era dedicato a ospiti “speciali”. Ben paganti. O prestigiosi. O, come spesso accade, entrambe le cose.
Cominciai a seguire il ragazzo, ma non entrai in ascensore.
“Miss Harlow”
Mi voltai. A chiamarmi era stato un uomo fra i trenta e i quaranta. Alto, dai capelli neri e occhi chiari. Vestito di tutto punto in giacca e cravatta.
“Don Ford, direttore dell’albergo”
“Oh! Ho forse già combinato qualche guaio?”
Sorrise.
“No, niente affatto, non si preoccupi. Potrei avere il piacere di offrirle qualcosa dal bar? Il viaggio in corriera è solitamente abbastanza stancante”
Annuii.
“Mi farebbe piacere. Si è fermata più volte, tre per l’esattezza, ma ho sentito dire che a volte fa di peggio”
Sospirò.
“Mi dispiace. Purtroppo quello della corriera è uno degli annosi problemi che non siamo ancora riusciti a risolvere”
“Non si preoccupi. Se fa guadagnare una bevuta al bar non è poi così insopportabile”
Sorrise ancora, questa volta un po’ sorpreso. Non doveva avere spesso a che fare con persone come me.
“Prego, da questa parte, venga”
Scendemmo nel sotterraneo. Non mi stupii troppo di cosa mi trovai davanti quando le porte dell’ascensore si aprirono. Sembrava un l’interno di un circolo esclusivo di città.
Ci avvicinammo al bancone. Era davvero immenso. Quasi incredibile che lo gestisse un solo uomo. Immaginai che nelle ore di punta ce ne fosse almeno un altro ad aiutarlo.
“Frank”
Chiamò Don Ford, non che ce ne fosse bisogno, visto che il barman stava già venendo verso di noi.
“Come posso esserle utile, signor Ford?”
“Cosa desidera, signorina Harlow?”
“Vino bianco”
Risposi con aria candida. Nessuno batté ciglio.
“Un bicchiere di Sauvignon, per favore. Per me fai un brandy, allora”
“Sceglie sempre in base a quello che ordinano i suoi ospiti?”
Chiesi, stupita.
“Quando posso sì”
Mi guardai intorno. Non c’erano più di cinque o sei persone. D’altra parte non era ora per giocare.
Il barman tornò con ciò che avevamo chiesto.
Ne bevvi un sorso piuttosto lungo. Don Ford si limitò a sfiorare con le labbra il suo.
“Come sapeva chi ero e che ero arrivata?”
Chiesi. Poi bevvi di nuovo. Era buono e di qualità. O almeno così credevo, non avevo molta esperienza di vini. In realtà non ne avevo punta. Nessuno mi aveva mai istruito su quel punto.
“Segreti del mestiere”
Rispose. I soldi dovevano piacergli molto. Non mi risultava difficile credere che se mi fossi messa a ballare sul bancone mostrando le cosce, non avrebbe battuto ciglio e alla fine dell’esibizione avrebbe persino applaudito come se fosse la cosa più normale del mondo. Mi feci l’idea che doveva essersi visto passare davanti ogni sorta di sagoma umana e che ormai dovesse averci fatto l’abitudine. Coloro che nascono ricchi o improvvisamente lo diventano sono tutti un po’ matti.
“Il signor Simons fa sempre di questi servizi? Mandarla a chiamare ogni volta che arriva qualcuno, intendo”
“Diciamo che mi manda a chiamare ogni qual volta arriva qualcuno di speciale”
“Oh, e così io sarei una cliente speciale?”
“No. Lei sarebbe una persona speciale, miss Harlow”
Risi. Per la miseria! Quell’uomo non risparmiava proprio nessuna adulazione ai suoi clienti. O solo a quelli ben paganti?
“Non sapevo che nel prezzo della camera fossero compresi anche tutti questi complimenti. Altrimenti ne avrei prese due.”
Sorrise divertito.
“È sempre in tempo a farlo”
Risi. Chissà se quella persona con cui stavo parlando era il vero Don Ford o solo la parte che recitava con me tanto per divertirmi e compiacermi. E farmi essere ben contenta di dargli i miei soldi.
“Quanti ospiti ci sono, più o meno, all’albergo?”
“53. Ma aspettiamo nuovi arrivi in settimana”
Era un bel numero. Specie se si pensava quanto ognuno di loro pagasse. Non mi sorprese che sapesse il numero esatto degli ospiti, quasi sicuramente conosceva anche i loro nomi e i loro volti. A me interessava maggiormente conoscere i loro conti in banca. E il mio interesse non si fermava solo a sapere se il loro assegni fossero coperti.
“E quante persone speciali fra queste?”
“Una sicuramente”
Bevvi di nuovo. Svuotando il bicchiere. Don Ford non batté ciglio. Cominciò sinceramente a piacermi quell’albergo. Specie se pensavo al motivo per cui me ne ero andata da Londra. Per carità! Tutte quelle donnine benpensanti e attaccabrighe parevano già apparire a un altro universo.
“Desidera qualcos’altro?”
Mi chiese, già pronto a chiamare il barman. Scossi la testa.
“No, grazie, per ora sono apposto”
Guardò l’orologio.
“Mi scusi, miss Harlow, ma ora devo proprio andare. Ho una telefonata importante che mi aspetta”
“Vada pure. Non si preoccupi. Io posso restare un altro po’ qui o creo qualche disturbo?”
“Miss Harlow, consideri pure l’albergo come se fosse casa sua”
Ci salutammo e se ne andò. Lo guardai attendere l’ascensore. Una mano in tasca, l’altra sulla porta, sembrava più un banchiere che un albergatore. Il che doveva infondere non poca fiducia a quella parte dei suoi clienti con le mani felicemente inserite nei mercati di mezzo mondo.
Il barman passò in silenzio a riprendere i bicchieri.
“Frank”
Chiamai, lui fece una faccia sorpresa.
“Posso chiamarla Frank?”
Chiesi. Lui si ricompose.
“Certo, signorina”
“Quante volte più o meno il signor Ford offre da bere ai suoi clienti?”
“Lei è la quarta degli ospiti di questo periodo. E poi non di rado s’intrattiene con gli ospiti che posseggono una camera…a tempo indeterminato, sì, credo sia quella la definizione”
Non potevo chiedere di meglio come interlocutore.
“Capisco. Lei non è che saprebbe farmi i loro nomi? Sa,magari fra di loro c’è qualcuno che ho avuto il piacere di incontrare a Londra.”
“Temo di non potere, miss Harlow. È una questione di riservatezza. Però se tornerà qui stasera dopo le nove ne troverà non pochi seduti a quel tavolo lì.”
Sorrisi soddisfatta.
“Lei è un tesoro Frank”
“Se posso essere d’aiuto”
“Lo è già stato”
Mi alzai. Infilai una mano nella borsetta e ne tirai fuori una banconota.
“Grazie, Frank. A stasera”
“Arrivederci, miss Harlow”
  
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