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Autore: voiceOFsoul    09/12/2012    2 recensioni
"La danza è arte. La danza è vita. La danza è amore."
Dalia capirà il vero senso di queste parole?
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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La danza è arte. La danza è vita. La danza è amore.
Ricordo ancora bene queste parole. Mi sono rimaste dentro. Era impossibile che non succedesse. Era la prima cosa che saltava agli occhi entrando all'Accademia. E per tutto il giorno, girando di aula in aula, passando da lezioni di Letteratura a quelle di Scienze per poi tornare alle Materie umanistiche ed infine andare agli allenamenti, dovevi sempre passare per quell'enorme hall e leggere quelle parole. Giganteggiavano rosse sul muro bianco. Era impossibile farle passare inosservate. Ma io imparai sul serio cosa significavano. 
Tutte le mie compagne erano lì perché fin da piccole avevano amato tutù e chignon. Io ero lì perché mia madre voleva fare la ballerina di danza classica e la nonna glielo aveva impedito con tutte le forze. Mi ero appassionata alla danza poi, col tempo. Mi piaceva ballare. Solo che avrei preferito poter scegliere. Da bambina avrei voluto giocare a basket. Volevo poter uscire di casa con pantaloncini enormi che mi arrivavano al ginocchio e canotte multicolor che li coprivano quasi del tutto, invece di indossare la solita calzamaglia rosa confetto, bianca o, se proprio c'era un'occasione importante, nera. Crescendo avevo 
imparato ad apprezzare quello che facevo. Mi insegnava rigore e disciplina. Imparavo quanto sudore, fatica e dolore richiedesse arrivare ad un obiettivo.
Avevo circa diciottanni quando cambiò la direttrice. Ne fui molto addolorata perché nel corso dei miei quasi quattordici anni di studio, quell'esile donnina tanto gentile mi era sempre stata vicina. C'erano stati periodi in cui vedevo più lei che mia madre! E poi la vedevi sempre con un enorme sorriso stampato in faccia. Se ne fregava delle rughe che le segnavano le guance e si muoveva tra i corridoi con la leggiadria di una foglia mossa dal vento. I suoi vestiti erano sempre impeccabili e non mancava mai la gonna larga che formava la ruota quando piroettava. Era dovuta andata via dall'Accademia perché il consiglio l'aveva reputata ormai troppo anziana per continuare a dirigerla. Il discorso che fece durante la sua ultima riunione con tutte noi fu uno dei più commoventi che ricordi nella mia vita. 
Al suo posto entrò un uomo. Alto, ricco, imprenditore. Uno che viveva per i soldi, non per la danza. "La danza classica è morta ormai. Dobbiamo attirare gente che ci finanzi e per farlo abbiamo bisogno di idee nuove." Queste le parole con cui si era presentato a noi. Nessuna lo accettò ben volentieri. La sua scelta era stata quella di creare delle classi per danza più moderna, prima tra tutti l'hip-hop. Tutte noi, volenti o dolenti, avremmo dovuto seguire le nuove lezioni. Persino chi, come me, era all'ultimo anno. 
Non amavo quell'uomo, anzi mi stava parecchio sulle scatole. Non sopportavo l'idea che minimizzasse tutto ad un mero discorso economico. Ma le sue innovazioni risvegliarono in me una passione che non avevo mai provato. Finalmente per me la danza non era più solo rigore e disciplina. Non era più solo spalle dritte e pancia in dentro. Non era più solo punte e calzamaglia. Era tutto questo unito ad una sanissima dose di libertà. Era divertirsi di più, continuando comunque a sudare e faticare. Era un quadro più completo. Era poter esprimere tutto quello che avevo dentro, finalmente in un modo che mi piaceva davvero.

Era tutto l'anno che mi impegnavo alacremente e ci mettevo tutto l'impegno possibile. Mancava un mese al saggio finale, quello del diploma.
- Dalia e Kian non ci siamo! - Il nuovo Professore, ci richiamò davanti a tutta la classe. 
- Manca meno di un mese e ancora non vedo nessuna delle correzioni che conitnuo a farmi da quando ho montato la coreografia. Proprio da voi non me l'aspettavo. Vi avevano presentati come i migliori della scuola e invece vi state rivelando peggio degli alunni di primo anno. - Aveva tutta l'apparenza di un ragazzino ed in realtà non era molto più grande di noi. Era uno di quei bambini prodigio che a otto anni si diplomano e a dieci sono già i migliori del mondo, avete presente? Ma aveva un atteggiamento che non sopportavo. Non avevo mai gradito troppo l'autorità ma quando chi si imponeva lo faceva con un'aria da divinità in terra e per di più aveva solo due anni in più di me, proprio non riuscivo a farmela andar bene. 
- Posso dirvelo? No? E io ve lo dico lo stesso. Fate schifo! Dovete metterci un po' di impegno. O forse queste cose sono troppo in basso per le vostre altezze? Magari quello che non rientra nei vostri canoni da ballerini classici non è degno di un po' di impegno? Beh, ragazzi! Una novità. Dovete farlo se non volete ripetere l'anno. - Si imponeva, ci disprezzava. Non lo reggevo. Strinsi i pugni fino a farmi diventare le nocche bianche e mi morsi la lingua per non rispondergli contro. Era pur sempre un Professore. 
- Devo vedere da chi viene il problema. Oggi pomeriggio lavorerete divisi. -
- Ma oggi pomeriggio... - Tentai di itervenire, ma mi bloccò.
- Silenzio! Nessuno ti ha dato il permesso di parlare. Anche qui esistono delle regole, sai? Stai zitta ed ascolta. Questo pomeriggio sarete qui. Non mi importa che lezioni avete o che interrogazioni avete domani. Non mi importa se dovete portare il gatto dal veterinario o lucidare la dentiera alla nonna. Sarete qui. Kian lavorerà con Mary, la mia assistente. - La ragazza che lo accompagnava ad ogni lezione, si avvicinò a noi, sorridente come sempre. Lei mi stava simpatica. Lui non lo soffrivo minimamente. - E tu, Dalia, lavorerai con me. - 
Vedendo che si avvicinava a me, abbassai la testa per non rischiare di sputargli in faccia e strinsi ancora i pugni. - Così imparerai che essere figlia di una delle maggiori finanziatrici della scuola non basta per diplomarsi col massimo dei voti. - Mi sussurrò quando fu vicinissimo.

Il pomeriggio arrivai in Sala 2 più agguerrita che mai. Avevo intenzione di farlo ricredere su di me, di zittirlo solo con la mia danza. Ma ad ogni passo che facevo, lui mi urlava una correzione differente. Stoppava la musica e la faceva ripartire. A metà dell'ora ero già sfinita. 
- E così ti stanchi pure presto, eh! Cosa vi hanno insegnato qui dentro finora? - Mi guardava sprezzante, mentre ero ansimante in terra.
- Senti, tu! - Non ce la feci più e sbottai. Raccolsi le energie che mi rimanevano e mi alzai in piedi, andando ad affrontarlo faccia a faccia. - Sarai pure un Professore, ma non sei nessuno per trattarmi così. -
- Ah no? - Mi guardava fisso negli occhi, con aria di sfida. 
- No! Il tuo compito è insegnare, non insultare. -
- Il mio compito è spronarti a fare di più. -
- E di certo non è così che lo fai. Non capisci che così contribuisci solo a demoralizzare. Un demoralizzato non ci mette neanche metà di quello che può! -
Mi fissò ancora e poi sorrise ironico. - E come mai allora a te è servito per tirare fuori le palle? - 
Mi lasciò ferma al centro della sala, spiazzata dalla sua risposta, e si recò di nuovo accanto allo stereo. - E ora stai zitta e fammi vedere che sai fare. - 
Era una sfida ed io la accettai. Ce la misi tutta, spaccai il mondo. Non sentii nè un suo rimprovero nè una sua correzione. Era in silenzio a guardarmi. L'avevo zittito. 
- Fai sempre schifo, ma almeno è andata meglio. - Mi aspettavo qualcosa di acido da parte sua, perciò decisi di prenderlo come un complimento. - Devo dedurre che il problema non sia tu, ma Kian. - Si avvicinò a me.
- Kian è un bravissimo ballerino. -
- Questo lo dici tu e lo dicono gli altri Professori che insegnano Classico. Ma nella mia disciplina è uno dei più scarsi della classe. Ti consiglio di cambiare partner se vuoi fare bella figura al saggio di diploma. - 
- Non gli farei mai una cosa simile. -
- Siete molto amici. -
- Io e Kian stiamo insieme da cinque anni. -
Si bloccò e il cd che teneva in mano gli cadde per terra. Mi guardò con occhi grandi. Fino ad allora non mi ero mai accorta di quanto fossero azzurri. - Stai con quel mocciosetto? -
- Kian non è un mocciosetto. -
- Avrà almeno due anni meno di te. -
- Abbiamo la stessa età. Siamo anche nati lo stesso giorno. E comunque questi non sono fatti che ti riguardano. -
- Ah, questo sicuro. Riguarda te se il tuo caro fidanzatino ti fa fare una figura schifosa al saggio di diploma. Riguarda te se a causa tua nessuno ti proporrà un contratto. -
- Sono sicura che non andrà così. E, comunque, dato che riguarda solo me, sono io a scegliere. Tu preparaci. -
- Oh, farò molto di più! Ti farò vedere quanto puoi dare senza di lui. - Si allontanò tornando allo stereo. 
- Che vuoi dire. - 
- Balla. Ti faccio da compagno. -
- Ma che senso ha? -
- Fai la studente. Io faccio l'insegnante. Balla ho detto! - Fece partire la musica.
Restai allibita a guardarlo mentre si toglieva velocemente la maglietta e partiva con il uso intro. Pur essendo antipatico, dovevo ammettere che appena muoveva un passo dopo l'altro a tempo di musica riusciva ad incantare. Cercai di concentrarmi e lo seguii nel passo a due. Il suo sguardo, la sua espressione, le sue movenze, mi fecero sentire il centro del mondo, come aveva sempre chiesto di fare a Kian. In quel momento ero il centro dell'universo, la donna più bella che esistesse. Ero magia allo stato puro. Poi la musica finì ed io ripresi il contatto con la realtà. Ero sdraiata a terra, con le braccia che si allungavano sopra la testa. Lui era sopra di me in un freeze dalla verticale, con il viso a pochi centimetri dal mio. Navigai nell'azzurro dei suoi occhi che sapevano nascondere perfettamente la difficoltà di tenere quella posizione. 
Scese dal freeze, adagiandosi piano sul mio corpo stanco. Una scossa mi percosse la schiena. 
Mi baciò. Non seppi oppormi, o semplicemente non volevo. Mi abbandonai alle sue labbra, morbide e dolci, in un bacio che non avrei mai immaginato tanto stupendo. Poi si alzò sorridente.
- Cosa hai provato? - Mi chiese diretto, quasi sarcastico, mentre io ero ancora sdraiata sul pavimento a tentare di riprendere contatto con la mia razionalità.
- Che domanda è? -
- Una domanda semplice. Cosa hai provato? -
- Beh, io... - Non sapevo che dire. Danzare con lui mi aveva sconvolto l'anima e quel bacio aveva dato il colpo finale.
- Ti sentivi come se fossi innamorata di me? - 
- Beh, innamorata è una parola grossa! - Mi sedetti. Ero terribilmente in imbarazzo.
- Quasi, diciamo. - Camminò per la stanza sotto i miei occhi ancora straniti. 
- La danza è amore. Lo leggi ogni giorno. Significa questo. Significa che quando balli ti devi innamorare della persona che hai di fronte. Devi innamorarti di te, del pubblico, del legno su cui poggi i piedi. Devi innamorarti ogni volta. Altrimeni non puoi dare nulla. - 
Riprese il suo cd. - Ci vediamo a lezione. Sii puntuale. - Uscì dalla porta.
In quattordici anni non avevo mai capito cosa volesse dire quella scritta sul muro, ma in quel momento capii. Ed era la verità più grande che fosse mai stata scritta.

   
 
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