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Autore: frodina178    08/07/2004    7 recensioni
La paura di una risposta,la paura di aver fatto del male a persone innocenti.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: mi scuso, ancora una volta, con Orlando se gli accollo problemi che non gli appartengono e, spero, mai gli apparterranno. Purtroppo per lui( sai quanto gliene frega, poi…^__')amo le tragedie, anche se questa non so se può essere veramente considerata tale, anche perché la fine è lasciata un po' a "scelta del lettore".
Ho scitto questa fic in meno di mezz'ora, mi è venuta l'idea e l'ho buttata giù. Quindi scusatemi se la forma non sarà delle migliori.

The Call

-Posso sapere che cosa vuoi ancora da me?- le urlò in faccia, tentando di coprire il proprio corpo, svestito. Si era completamente dimenticato che lei aveva ancora le chiavi del suo appartamento a Londra; in fondo era passato quasi un anno dall'ultima volta che si erano visti, ormai credeva che la questione fosse definitivamente chiusa.
-Io ti amo! Lo sai che non posso vivere senza di te!- era scoppiata in lacrime, aggrappandosi alle spalle di Orlando, rischiando di farlo crollare a terra. Lui si affrettò a risistemare l'asciugamano attorno alla vita, l'aveva colto alla sprovvista, era appena uscito dalla doccia quando la ragazza era comparsa all'improvviso, aprendo con violenza la porta del bagno.
-Sono mesi che ti aspetto!- si disperò lei, tentando di accarezzargli il viso, che lui, invece, continuava a spostare, per non farglielo toccare- Dove sei stato tutto questo tempo? Lo sapevi, lo sapevi che ero qui, che ti stavo desiderando!-.
-Basta Keira! Lasciami!- ora si aggrappata con tutto peso alle sue spalle, facendolo sbattere contro le fredde piastrelle azzurre del bagno, ancora umide dal vapore. Imprecò, spingendola lontano da se, affrettandosi ad uscire dalla stanza, scendendo con frenesia le scale, ancora gocciolante. Lei non gli corse dietro, infatti la udì distintamente, dal piano di sotto, piangere non poco sommessamente. Sbuffò alterato. Non era possibile che quella storia non fosse ancora finita, eppure gli pareva che ormai non ci fosse più niente da dire o fare. Inoltre, chiamarla "storia", era esageratamente un eufemismo, visto che erano semplicemente andati a letto insieme qualche volta, prima che lui conoscesse Hannah, quindi sua sorella Kate, e se ne innamorasse alla follia. Maledetto l'istante in cui glielo aveva detto, avrebbe fatto meglio a sparire nel nulla, cambiare serratura e numero di cellulare. Invece, come sempre, nutriva un'enorme fiducia nelle persone, e non era sua abitudine abbandonarle senza nemmeno una misera spiegazione. Così l'aveva invitata a cena, dicendole che, per lui, era ora di tornare negli Stati Uniti, dove aveva una promettente lavoro e, non tralasciò il particolare, una ragazza a cui si era molto legato sul lato sentimentale. Evitò volutamente di scendere nei dettagli specifici, sapendo quanto lei fosse infatuata e, al suo contrario, pronta ad una storia seria. Le voleva bene, su questo non c'era dubbio, ma non avrebbe sicuramente accettato d'instaurare un rapporto che andasse oltre all'amicizia. L'aveva conosciuta all'università, poi lui aveva fatto successo e non si erano più sentiti. Spesso tornava a Canterbury, poi, comprata casa a Londra, si era praticamente trasferito li, quando non era in giro per lavoro, il che non accadeva spesso. Lei era ricomparsa dal nulla, probabilmente guidata dalla sua crescente popolarità o, forse, da una sincera voglia di rivederlo. In ogni modo, continuarono a frequentarsi ogni vola che Orlando andava a rilassarsi in Inghilterra, fino a che non accadde l'inevitabile: certo, entrambi avevano bevuto abbastanza, ma la cosa era stata abbastanza cosciente e sentita, tanto che, varie volte, l'avevano ripetuta. Ma, naturalmente, arrivò il momento in cui avrebbe dovuto finire.
-Bastardo!- la sentì gridare, ancora dal bagno. Probabilmente si era accasciata sul pavimento, nella speranza che lui andasse a consolarla; nella vana speranza. Il ragazzo si passò una mano tra i capelli bagnati, alzando gli occhi al cielo, spazientito e incazzato. Poteva restare a Londra solamente una settimana, prima di partire per la volta del Marocco per lavoro, e aveva l'intenzione di passarsi quei pochi giorni nella più assoluta serenità. Avrebbe voluto correre da lei, afferrarla per i capelli e sbatterla fuori di casa, ma la buona educazione glielo impediva. Inoltre era pur sempre una ragazza, non avrebbe usato le maniere forti se non fosse stato veramente necessario. Valutò la situazione, quindi optò per la soluzione più vigliacca: si vestì in fretta e uscì, sbattendo la porta, come per farle capire che se ne stava andando. Saltò in macchina, e, aperto il cancello automatico, prese a guidare lungo la stradina ghiaiosa, tamburellando nervosamente le dita sul volante. C'era quel dettaglio, quella strana telefonata, a cui non voleva pensare, ma che gli tornava incessantemente in testa. Nonostante facesse tutto per scacciarlo dalla mente, il tarlo del dubbio lo rodeva mentre conduceva l'automobile verso il centro città.
-Lurido figlio di puttana…- mormorò a denti stretti Keira alzandosi dal pavimento, prendendo un pezzo di carta igienica per asciugarsi le lacrime. Da quando gli aveva fatto quella telefonata, mesi prima, era vissuta in uno stato di crescente agitazione; lo amava talmente tanto da preoccuparsi solo e unicamente per lui. Non aveva importanza se lei era malata, la cosa importante era che non lo fosse lui. Poi aveva cambiato numero di cellulare e non era più riuscita a rintracciarlo, nonostante si fosse impegnata a farlo praticamente tutti i giorni della sua vita. Voleva sapere cosa era successo, eppure lui, aveva questa sensazione, non aveva nemmeno creduto alle sue parole. Non era tornata per cercare di dimostrargli nuovamente il suo amore, ma quando lo aveva visto non aveva resistito e si era buttata. In realtà desiderava solamente sapere.
Orlando frenò di colpo; quanto era stato stupido. Fece retromarcia, tornando a gran velocità verso casa sua, sperando ardentemente che Keira fosse ancora là. Non le aveva creduto o, forse, non aveva voluto dare credito alle sue parole. Era convinto fosse pazza, quindi sarebbe stata capace di fare qualsiasi cosa; per vendetta.

-Devi controllare, Orlando!- le urlò nel cellulare- Cazzo! Non è uno scherzo, per favore…- scoppiò in lacrime.
-Ora basta Keira! Smettila! Stai veramente esagerando!- le chiuse la telefonata in faccia.
-Tutto a posto?- gli domandò Daniel, poggiandogli una mano sulla spalla.
-Sì, tutto a posto.- cercò di sorridere- Andiamo che facciamo tardi…-.

Da quel momento aveva cambiato numero, evitando volutamente di tornare a Londra per qualche tempo. Poi le cose ripresero il ritmo normale, ma in fondo non lo avevano mai perso. Keira sembrava sparita nel nulla, e di questo ne fu estremamente contento. Quel giorno, a distanza di mesi dalla telefonata, lei era tornata. Si era talmente spaventato quando l'aveva vista attraverso i vetri della doccia da non averci fatto caso: era magra, troppo magra, quasi scavata. Se non fosse stato per il trucco, pensò, sarebbe somigliata molto ad un cadavere.
-Keira!- chiamò a gran voce, appoggiando la giacca sul bracciolo di un divano. Richiamò varie volte il suo nome, controllando in ogni stanza, nella speranza di trovarla.
-Merda…- sospirò, lasciandosi cadere sul tappeto della sua camera da letto. Il collo gli sudava esageratamente, mentre l'apprensione stava diventando insopportabile. Non sapeva molto sulla cosa, aveva letto che poteva rimanere silenziosa dentro le persone anche per anni, senza dare segni della sua presenza.
-Figurati…a me non può succedere!- si diceva ogni tanto, quando le parole di lei gli tornavano alla mente. Sembrava un'eventualità cosa lontana e improbabile da non poter nemmeno essere presa in considerazione. Però, lentamente, il tarlo del dubbio si era fatto sempre più insistente. Prima di prendere qualsiasi iniziativa aveva bisogno di parlare, di domandarle alcune cose e di informarsi sul problema.
Doveva ancora avere la vecchia agenda, infilata in qualche cassetto, solitamente buttava mai niente, più per pigrizia che per affezione. La trovò nel vecchio cassettone del salotto, sommersa da una quantita spropositata di fogli e vecchi libri scolastici. La sfogliò con una foga quasi disperata, alla ricerca del numero di Keira, sempre che fosse sempre quello. Provò a contattarla sul cellulare, ma il numero era inesistente, quindi lasciò squillare il telefono di casa. Rispose la voce meccanica della segreteria, così lasciò un messaggio, cercando di essere il più rassicurante e calmo che gli riuscì. Non dovette attendere molto che la ragazza lo richiamò; aveva la voce abbastanza abbattuta, il suo tono era talmente rassegnato che Orlando si sentì percorrere la schiena da un brivido freddo. Lei si scusò per la reazione che aveva avuto poco prima, e per il fatto di essersi intrufolata a casa sua. Lo rassicurò, informandolo che aveva appena gettato le chiavi della villa, con l'intenzione di non farci pià ritrono. Lui,a sua volta, le spiegò che non era stata sua intenzione essere così brutale, ma che lo aveva colto alla sprovvista e ne era stato spaventato. Poi le porse quella domanda, la cui risposta tanto lo terrorizzava:
-Keira…ricordi la nostra ultima telefonata?- tremò.
-Certo, non dimentico niente che ti riguarda, Orlando…mai…-.
-Bene, ora voglio che tu sia sincera con me, completamente sincera…quello che mi hai detto era vero oppure una tua vendetta? Tranquilla…non mi arrabbierò in nessun caso, voglio solamente sapere la verità…-.
-La verità già te l'ho detta…-.
Gli si bloccò il respiro, deglutì a fatica mentre sentiva le gambe farsi molli. Avrebbe voluto dire qualcosa d'altro, ma non aveva più voce, sembrava tutto così assurdo e insensato.
-Da quando lo sai?- riuscì, dopo qualche minuto di silenzio, a pronunciare.
-Da quel giorno, te l'ho detto appena l'ho saputo…non crederai mica che abbia fatto apposta a…-.
-No!NO!- la bloccò immediatamente lui, che si sentiva mancare solo al parlarne- Non credo niente. Mi hai detto la verità, ti ringrazio per questo. Ora però ho bisogno di vederti, dobbiamo parlare da persona a persona. Ho bisogno di sapere tante cose Keira, e le voglio sapere da te…mi fido…-.
Lei rimase muta, se avesse potuto vederla avrebbe notato le lacrime che le rigavano, senza che se ne accorgesse, il volto. Mugugnò qualche cosa, che il ragazzo intese come un risposta affermativa.
-Bene… -sospirò- Vediamoci questo pomeriggio, vengo io da te, abiti sempre nello stesso posto, vero?-.

L'infermiera lo aveva fatto accomodare in una saletta riservata, come lui aveva espressamente chiesto, per non dare nell'occhio e, magari, far scoppiare fastidiosi scandali. Gli aveva detto di attendere qualche minuto, il tempo di sistemarsi e poi sarebbe arrivata. Orlando aveva un terrore allucinante degli aghi, l'unico esame del sangue lo aveva fatto quando si era rotto la schiena, e, per lui, era stata un'esperienza a dir poco scioccante. Da quel giorno aveva accuratamente evitato anche solo la vista delle siringhe. Purtroppo, in quel momento, non c'erano alternative, e avrebbe dovuto farsi coraggio. Keira entrò dopo qualche istante, chiedendo timidamente se gli dava fastidio la sua presenza. Il giovane le sorrise, facendole segno di avvicinarsi.
-Mi dispiace…- sussurrò lei, abbozzando un sorriso.
-Fa niente…- la strinse tra le braccia lui. Questo gesto non era programmato ne aveva secondi fini, gli era venuto naturale. Dopo lo sgomento inziale, la ragazza si sciolse tra le sue braccia, affondando il volto tra le sue scapole.
-Vieni a sederti…- le disse, separandosi, indicandole una poltroncina nell'angolo. Lei annuii e, un po' impacciatamene, si accomodò, accavallando le gambe. Orlando, invece, rimase in piedi, lanciando fugaci occhiate verso la porta, attendo misto tra trepidazione e orrore l'arrivo dell'infermiera. Questa non tardò ad arrivare, provvista di tutto il necessario per l'esame.
-Tranquillo…- gli disse, mentre tentava di afferrargli il braccio che lui continuava a ritirare. Era riuscita a legargli il laccio emostatico, ma non aveva fatto progressi.
-Posso?- disse lei, retoricamente, indicando l'arto. Orlando anuii, sentendosi decisamente un cretino. Si era rotto praticamente tutte le osse del corpo, praticato ogni tipo esistente di sport estremo e cercava sempre di mostrarsi temerario. Prese un profondo respiro, lasciando che la donna pentrasse il suo avambraccio con l'ago. Strinse i denti, cercando di non sentire il fastidio che il risucchiamento del suo sangue gli provocava.
-Fatto!- sorrise soddisfatta l'infermiera, sciogliendo il laccio.
-Uff…- sospirò Orlando, senza nascondere il sollievo che quella notizia gli aveva provocato -Meno male…- si passò una mano tra i capelli, sudati per la tensione.
Solitamente, ci sarebbero voluti giorni per avere il risultato ma, dato il suo nome e le sue insistenza, sarebbe stato informato in serata, con una telefonata.
Ritronò a casa sua, insistendo affinché Keira venisse con lui. Le preparò del thè, accese lo stereo e presero a parlare. Discorsero di tutto, sembrava che l'attrito inziale fosse completamente svanito. La ascoltava con piacere, e a sua volta le raccontava aneddoti della sua vita da star. Il sole calò senza che se ne accorgessero, ma il telefono rimaneva perennemente muto.
Keira gli spiegò molte cose, anche specialistiche, sulla malattia. Gli rivelò come l'aveva contratta, attraverso una stupida ferita che un suo amico si era procurato sul lavoro. Quando si era tagliato un dito l'aveva immediatamente chiamata, pregandola di portargli delle bende, si cui lui era momentaneamente sprovvisto. I casi della vita; la ragazza aveva il brutto vizio di torturarsi le unghie, e quel giorno se n'era mangiata una talmente a fondo da far fuoriuscire qualche goccia di sangue. Il resto era prevedibile.
Lei e Orlando avevano quasi sempre fatto uso del preservativo, quasi tranne la loro prima volta, troppo inaspettata e coinvolgente.
-Mi dispiace…- mormorò Keira,tentando di trattenere le lacrime, vedendo come il ragazzo guardava agitato l'apparecchio telefonico.
-Non è copa tua…- si sforzò di sorridere, tradendo però la sua crescente inquietudine. Se il test dell'HIV fosse risultato positivo, cosa avrebbe fatto? Avrebbe continuato la sua vita normale, o ne sarebbe stata completamente sconvolta? Cosa avrebbe detto a sua madre, a sua sorella? E poi l'atroce domanda: Kate? Non si sarebbe perdonato di averle trasmesso quella maledizione. Non sarebbe riuscito a sopportarlo. Quando era giovane, ogni tanto, come a tutti, rifletteva su questioni simili, e aveva sempre pensato che avrebbe preferito uccidersi che convivere con un male simile. Era vero? Keira sembrava ormai aver imparato a conviverci, rassegnata al fatto che, presto o tardi, sarebbe dovuta morire. Non poteva fare altro che tentare di vivere degnamente, fino a che non sarebbe giunto il momento, impegnandosi a non avere contatti troppo stretti con le persone. Avrebbe imparato anche lui a coesistere con questo morbo? La speranza di non averlo contratto era fortissima, l'unica cosa che, quella sera, gli impediva di scoppiare in lacrime.
-Allora io me ne vado…-. Disse lei, alzandosi.
-Vai a casa? Magari ti chiamo più tardi se…-.
-No no...- sorrise lei -Parto, vado in giappone, credo. Ancora non so, deciderò sul momento…-.
Orlando non ebbe bisogno di chiedere spiegazioni, poteva capirla perfettamente. La salutà, con un leggero bacio sulle labbra; dolce, comprensivo, sensibile e voluto.
-Ciao…- la salutò sollevando un braccio, quando ormai lei era fuori dalla porta. In quello stesso istante il telefono squillò. Orlando voltò la testa, deglutendo.


  
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