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Autore: Tori    27/06/2007    6 recensioni
Creatura nata da amore proibito, soppresso nel sangue, affogato nella vergogna.
A tre giorni dal suo primo respiro, suo padre rinuncerà alla vita attraverso il suo stesso padre.
La creatura sarà marchiata come un animale, come un Mezzosangue, illegittimo figlio del Destino.
A sette anni da questo giorno, la madre deciderà della vita.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Mio Nome
Un urlo di dolore incolmabile squarcia la notte come si fa con un foglio di carta: uno strappo deciso, ma lento e doloroso allo stesso momento.
Un prato verde smeraldo sotto una luna di diamante che splende leggera nel cielo trapunto di stelle. Sembra che quello che accade sotto di lei non possa toccarla, sfiorarla in qualche modo, farle del male.
Su quel prato, un antico rito sta per compiersi in uno squarcio di foresta in aperta natura, un rito che lascerà il segno nel povero cuore di una giovane donna.
In ginocchio con un fagotto stretto tra le braccia, china su di esso per proteggerlo dalle urla e dal suo stesso dolore, quel sentimento orrendo penetrato nella sua carne e nella sua memoria come solo i ricordi sanno fare.
Sorvegliata nelle sue lacrime, braccata da due uomini alti, forti che non la guardano se non per sputarle addosso.
Occhi di cristallo sotto lunghi capelli d’oro, questo li rendeva uguali ad un sogno di fantasia in cui lei non avrebbe mai sperato di cadere.
Quei due uomini, sempre se così si poteva chiamarli, non avevano nessuna armatura d’argento e nessun destriero candido, ma erano antichi guerrieri quanto parte della sua vita esasperata.
Urlava e si scioglieva nelle lacrime che non avrebbero mai avuto fine nella sua anima, dove nessuno poteva entrare.
Il fagotto che stringeva convulsamente non si lamentava come avrebbe fatto qualunque neonato, ma già nei suoi grandi occhi d’argento dimostrava un saggio distacco alla sofferenza da sotto le fasce bagnate dalle lacrime materne.
Quei due brillanti nella notte caratterizzavano quella piccola creatura come la più bella delle nuvole del cielo: due iridi grigie schiuse attorno ad una vigile pupilla circondata da una corona di blu oceano.
Nessun uomo sulla terra aveva mai visto due occhi più belli, ma quanto erano costati?
Costavano la fuga disperata di un giovane su per la collina poco distante.
Rapido come il vento tra gli alberi che da quando era nato conosceva, tra quelle fronde in mezzo alle quali era cresciuto.
Dimostrava all’incirca trent’anni nelle sue gambe forti, ma almeno cento nel suo spirito deciso e incrollabile che ricordava tanto una montagna.
Correva. Il suo respiro affannoso non era importante, il riposo, la sconfitta erano futili motivi per porre fine alle sue sofferenze.
Altri al suo seguito lo cercavano con lo sguardo in mezzo alle foglie e sotto le chiome o le cortecce degli alberi che un tempo erano la casa del fuggitivo.
Una colpa, questa era motivo delle sofferenze di quel giovane.
Una colpa, questa era motivo delle lacrime di una povera ragazza.
Correndo ancora verso la fine delle sue speranze prese una decisione nell’udire il suo nome in mezzo agli alberi della notte.
- Kado! – una voce aspra, conosciuta, di famiglia – Figlio mio!
Il ragazzo sorrise beffardo da sotto il ciuffo di capelli neri come la notte più profonda.
Un sorriso infelice, ma deciso, rassegnato alla verità pura e crudele del mondo.
Rispose, urlando con quanto fiato aveva in corpo alle foglie che lo circondavano, liberando una voce chiara e coraggiosa, sfacciata.
- Puoi ancora chiamarti padre, ai miei occhi? – Aveva rivelato volutamente la sua posizione. Aveva deciso – Lo credi davvero?
In cinque sembrarono piovere dalle chiome circostanti. Lo buttarono a terra con violenza, lo presero a calci, lo picchiarono nonostante lui non avesse opposto nessuna resistenza. Poi, rannicchiato come un bimbo, coperto di graffi e lividi, lo legarono.
Più volte, dalle loro bocche incoscienti sentì la parola “traditore” dileguarsi verso il cielo mentre lo trascinavano sotto la luna, nello stesso squarcio di foresta da cui era scappato poco prima.
Un altro lamento, acuto, profondo, carico di disperazione e odio si levò dalla gola straziata di colei che proteggeva il piccolo involto prezioso.
Crudele era la legge degli Elfi.
Aveva sperato, aveva pregato il nome di tutti gli dei che conosceva perché si salvasse, perché scappasse, perché mettesse da parte quel suo orgoglio che ora lo aveva legato a lei, che ora gli incatenava le mani dietro la schiena.
Quell’orgoglio che dannava il suo popolo, quell’orgoglio che lo faceva sorridere con le guance rigate da poche lacrime anche adesso che era stato spinto di fronte a lei e fatto inginocchiare con una spada puntata alla gola.
Ora la guardava mantenendo quel sorriso fermo sul volto e liberando tutto il dolore di lei: le sue lacrime sembravano riversarsi sul prezioso fagotto infinite come quelle di lui, sature di stanchezza, angoscia, sconforto, sofferenza e paura del futuro.
- Non avere paura, io… - il ragazzo fu interrotto da un poderoso calcio nello stomaco.
- No! – urlò lei, ma provando ad alzarsi ricevette anche lei un colpo e cadde sul fianco, il fagotto cinto con le braccia al cuore.
- Fermo! – Kado si tirò su sulle gambe doloranti – Lasciatela in pace!
Qualcun altro si avvicinò minaccioso, ma questa volta non lo colpì e passò oltre.
Raggiunse la ragazza e si fermò.
Kado attendeva quasi senza respirare: non voleva che suo padre le facesse del male, non voleva che nessun altro le facesse del male perché solo lui, solo Kado doveva pagare.
L’uomo era alto, possente e robusto, con candidi capelli lunghi fino alle spalle coperte da un mantello di porpora e corta barba a circondare il mento squadrato.
I suoi occhi erano la cosa più strana che si potesse mai vedere: racchiudevano tristezza, ma anche determinato odio per quella donna stesa ai suoi piedi, impaurita e con le vesti strappate.
Allungò una mano verso il suo volto scuro come la nocciola, verso quegli occhi color sabbia e la tirò a sedere per quei ricci folti e piccoli che le coprivano il capo.
Dalla sua bocca non uscì un lamento, ma questo fu interpretato non come coraggio e sfida, ma come rassegnazione alla morte:
- Kado, figlio mio – mormorò il vecchio. Sembrava stesse parlando con i ciuffi d’erba sotto le sue scarpe – Questa donna è…
- Questa donna ha un nome – disse il giovane. Il rancore nella sua voce era quasi palpabile.
L’uomo sogghignò, senza lasciare la presa. Anzi, la rafforzò prima di riprendere a parlare:
- Se tua madre potesse vederti – disse – Sorriderebbe.
- Se mia madre potesse vedermi, io non dovrei spiegarti ciò che lei non ti ha insegnato – rispose sprezzante il ragazzo, senza abbassare lo sguardo.
L’uomo mollò la ragazza nell’udire quelle acide parole e rizzò in piedi.
- Sei sicuro? Conosci quello a cui vai incontro? - chiese rabbioso.
Il ragazzo si alzò nuovamente: nessuno l’avrebbe colpito questa volta.
- Conosco quello che tu non hai mai immaginato, padre – disse a voce alta, in modo che tutti potessero sentire – Non è la morte che ho trovato sulla strada della mia vita, ma una donna, una comune mortale con cui ho diviso il mio cuore.
Questo non poteva tollerarlo: lo colpì in faccia e lui cadde nuovamente, sorridendo beffardo.
-Non opporrò resistenza, padre. Sono sicuro. Con Arianna ho capito quanto siamo stati stupidi a nasconderci agli occhi del mondo – le si avvicinò strisciando sulle ginocchia. Le prese le mani bagnate di lacrime e gliele strinse forte – Con lei ho capito il senso della vita. Ho condiviso i miei segreti, le mie paure, i miei sentimenti e lei mi ha accolto. Non mi ha rifiutato: mi ha creduto.
Suo padre lo guardava torvo e incredulo allo stesso tempo quella sera. Un suo gesto bastò a far trascinare Kado lontano dall’abbraccio in cui si erano stretti i due e a buttarlo più in là.
Arianna lo lasciò andare senza più piangere: il momento era vicino.
Kado guardava suo padre con odio nei suoi occhi azzurri, lucidi.
- Vuoi davvero rinunciare alla tua vita per una mortale? – gli ringhiò contro l’uomo, sputandogli inavvertitamente in faccia tanto si era avvicinato.
Kado annuì con decisione, mentre una lacrima solitaria nasceva nell’angolo del suo occhio sinistro:
- Sì!
Suo padre non ci credeva:
- Muori per un figlio che potresti non riconoscere? – ora si allontanava e indicava irato con l’indice destro Arianna, il volto viola e contratto in un’espressione disperata – Muori per una sgualdrina?
Kado non si tirò indietro e gridò le sue ragioni ancora una volta:
- Quella che tu chiami sgualdrina è la donna che amo con tutto me stesso e che amerò per sempre! – ringhiò, arrabbiato come non credeva di poter diventare – E’ la donna che tu disprezzi perché diversa da noi! Quella che tu disprezzi da quando portava in grembo mia figlia!
Il gruppo di soldati sembrò tremare sotto quelle urla, sotto quelle affermazioni dirette e incredibili; al contrario, l’uomo anziano tra la ragazza dalla pelle scura che proteggeva il fagotto e il suo adorato figlio sembrò rispondere.
- Dunque è questo che chiedi? Chiedi che lei… – indicò Arianna come fosse un sacco dell’immondizia – Chiedi che lei sia riconosciuta come tua moglie e che questo figlio…
- Figlia! – precisò Kado ritto sulla schiena, orgoglioso di quell’innocuo pugno di vita, muto in mezzo a tante urla.
Suo padre risultò turbato dalla cosa solo per un attimo. Riprese da capo, combattendo contro l’istintiva reazione di mollargli un altro pugno:
- Chiedi che lei sia riconosciuta come tua moglie e che questa figlia porti il tuo nome?
Kado annuì e altre lacrime scesero sulle guance di Arianna, piegata su sua figlia.
- Sì!
Il ragazzo dai capelli corvini non si scompose più di tanto quando il suo stesso padre si avvicinò a lui e sguainò la spada, facendola splendere sotto la luce della luna.
- No… - Arianna non riusciva quasi a parlare. Era soffocata dalle lacrime – NO!
Alzò lo sguardo e lo vide lì, dritto, fiero nei suoi occhi color del cielo, robusto nel suo amore eterno per lei e per la loro figlia.
Il suo pianto era inarrestabile.
Kado la chiamò piano:
- Non avere paura… - le sussurrò senza che un suono uscisse dalle sue labbra.
A suo padre, importava solo che questa sofferenza finisse presto:
- Ultime parole? – chiese sbrigativo, la spada stretta saldamente in pugno. puntata al cuore del figlio.
Kado lo guardò provocatorio. Si girò verso Arianna e la bambina e disse chiaramente:
-Si chiamerà Adwen!

Nessun suono.
Arianna vide, ma non udì più nulla:
Il corpo dell’amato trafitto…
Le lacrime sul suo volto chiaro ancora caldo, ancora puro in quel sorriso coraggioso…
Le mani scure sporche del sangue di colui che aveva amato e che amerà per sempre...
Il suo grido acuto e quello di sua figlia che, inaspettatamente, sì unì alla disperazione della donna: forse, aveva capito… forse, era nata consapevole...
O, forse, tutto era dipeso dal fatto che gliel’avevano strappata dalla braccia per marchiarla a fuoco come figlia di un traditore, come un animale.

Crudele è la legge degli Elfi.




Dunque...
Posso dirvi solo una cosa:
"Adwen" è un nome Celtico.
  
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