Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |       
Autore: Daphne_Descends    10/12/2012    2 recensioni
Emma odia sorbirsi le lamentele senza fondamento della sua migliore amica. Così, quando Chiara ricomincia ad assillarla, si rimbocca le maniche e fa tutto il possibile per tranquillizzarla.
Anche se questo significa pedinare il suo nuovo ragazzo, sospettato di tradimento, e rendersi conto che quel Lele è davvero il ragazzo più eccitante su cui ha mai posato lo sguardo.
Ma Lele è di Chiara. O no?
"«Emma, che diavolo ci fai qua? Conciata così, poi!» esclamò Valentina, spostandosi per farle spazio.
«Sto facendo un favore a Chiara».
«Stai di nuovo seguendo qualcuno?» si stupì Maria, mentre le altre due sbuffavano.
«Dovresti smetterla» le consigliò Anna «Sarà anche la tua migliore amica, ma quello che stai facendo è un reato».
«Stalker» la insultò Valentina."

[Torre dei cliché: #39, Qui pro quo]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Scritta per la community clicheclash

Titolo: Questione di punti di vista
Cliché: #39. Qui pro quo (Casual cliché)
Fandom: Originali
Rating: G
 
 
 
 
Nella classifica di cose che Emma proprio non sopportava, le lamentele di Chiara rientravano nella top ten.
Emma aveva abbastanza pazienza per sopportare due ore di letteratura italiana di fila, per passare il pomeriggio in coda all’ufficio postale, per resistere alla festa di compleanno del suo fratellino appassionato di “Ben 10”, ma quando Chiara cominciava a lamentarsi avrebbe voluto strangolarla, tagliarle la lingua e spedirla a calci dall’altra parte del mondo. E non perché Emma non fosse una buona amica, ma perché Chiara si lamentava praticamente di tutto.
Si erano conosciute in prima elementare, erano capitate in classe insieme alle medie e avevano deciso di frequentare lo stesso indirizzo di scuola superiore. Erano pappa e ciccia da dodici, lunghi anni e quello significava conoscersi in ogni minimo dettaglio e perdonarsi ogni singolo e odioso difetto. E il difetto maggiore di Chiara era l’insicurezza, quell’insicurezza che la portava poi a lamentarsi di ogni cosa.
Nel suo panino c’era l’insalata? Questo perché non aveva chiesto di toglierla.
Era tornata a casa a mani vuote dopo una giornata di shopping? Questo perché non si era decisa sul colore e il modello dei vestiti da prendere.
Il ragazzo che ci aveva provato con lei si vedeva con un’altra? Questo perché non sapeva nemmeno lei se volesse frequentarlo o meno.
Ad Emma saltavano spesso i nervi quando era costretta ad assistere a certe cose, ma era una buona amica e, nonostante gli insulti che le lanciava in quelle occasioni, faceva sempre il possibile e l’impossibile per sistemare tutto, come buttare l’insalata nelle aiuole, o afferrare il primo indumento della taglia giusta e andare alla cassa o tirare un pugno al malcapitato di turno.
Perché Emma si lasciava guidare dall’istinto e non sprecava tempo a preoccuparsi delle conseguenze e in quello era l’esatto opposto di Chiara. E quando Chiara aveva cominciato a lamentarsi per l’ennesima volta, Emma non aveva potuto fare altro che passare all’azione.
Quella volta la preoccupazione di Chiara aveva un nome: Lele.
Emma non aveva mai incontrato quel Lele di persona, ma tutte le descrizioni dettagliate che Chiara le aveva fatto tra un risolino e l’altro l’avevano portata a conoscere il suo profilo ancora meglio di quello delle sue compagne di classe.
Lui e Chiara si erano incontrati al supermercato due settimane prima, quando lei, per guardare sul ripiano più alto dello scaffale, fece un paio di passi indietro e andò contro il carrello di lui, quasi ribaltandosi dentro. Dopo le scuse di rito e qualche domanda sulla sua salute fisica, avevano ripreso ognuno la propria strada, salvo poi incontrarsi più volte nel corso della spesa e trovarsi uno dietro l'altra alla cassa. Il resto venne da sé, con lo scambio dei numeri di cellulare e la promessa di incontrarsi il giorno dopo per bere qualcosa insieme.
Una storia talmente scema che Emma rabbrividiva ogni volta che la sentiva.
Però erano usciti insieme altre volte, continuavano a mandarsi messaggini sdolcinati e passavano le sere al telefono – cos’altro avessero da dirsi, dopo aver passato tutto il giorno a messaggiare, Emma non riusciva proprio ad immaginarlo.
Fatto stava che, nonostante la loro relazione smielata, Chiara e la sua insicurezza se n’erano saltate fuori un giorno, dicendo: «Credo che Lele si veda con un’altra». Emma aveva provato a farle capire l’assurdità della frase, perché nessun essere umano sarebbe riuscito a frequentare un’altra, mentre frequentava Chiara: era matematicamente impossibile trovarne il tempo.
Ma Chiara, oltre ad essere insicura, era anche terribilmente testarda ed Emma non riuscì a convincerla e quindi si era decisa, controvoglia, a fare l’unica cosa che avrebbe calmato l’amica: assicurarsi della fedeltà di Lele.
 
Per quel motivo, quel giorno, approfittando che la sua classe il martedì usciva prima, Emma si trovava fuori dal liceo scientifico, nascosta dietro un albero sull’altro lato della strada, nella sua tenuta da stalker – perché, sì, non era la prima volta che era obbligata a fare una cosa simile.
Chiara non era con lei, perché se avessero sbagliato qualcosa Lele l’avrebbe riconosciuta subito e trovare una scusa non sarebbe stato semplice.
Il suono della campanella arrivò fino alle sue orecchie, coperte dalla lana del cappello che le aveva prestato Chiara, ed Emma si sporse oltre il tronco dell’albero spoglio, spingendo sul naso i suoi occhiali da sole firmati, per cercare di individuare quel dannato Lele tra tutti gli altri ragazzi.
Essendo pratica, sapeva come comportarsi e con tutte le informazioni che le aveva dato Chiara sarebbe stato facile distinguerlo.
A detta di Chiara, era bello – anche se sui suoi gusti non c’era sempre da fidarsi -, alto, biondo e si vestiva sempre sportivo. E poi sapeva anche il suo nome.
«Lele!»
Spalancò gli occhi, voltandosi nella direzione da cui era arrivata la voce, nonostante il chiacchiericcio continuo la ostacolasse. Non poteva credere a quella botta di fortuna. Era stato davvero così facile?
La voce rumorosa lo chiamò ancora, dandole il tempo di individuarne il proprietario, e da lì ci volle poco.
C’era un gruppetto di cinque ragazzi, fermi sul marciapiede dall’altra parte della strada, ma Emma iniziò ad eliminarne qualcuno: due avevano i capelli scuri, uno aveva gli occhiali, uno il cappello e uno aveva i capelli biondi. Nonostante quello con il cappello sembrasse avere anche lui i capelli biondi, non si era girato al suono di quel nome e indossava un paio di jeans, quindi era di sicuro l’altro ad essere il famigerato Lele. Posò lo sguardo su di lui e controllò mentalmente i punti della lista: si chiamava Lele, indossava dei pantaloni di una tuta e delle scarpe da ginnastica, era biondo – anche se sembrava più tendere ad un biondo cenere/castano chiaro –, era alto ed era proprio un bel bocconcino. Per una volta approvava i gusti di Chiara, la solita fortunata.
Il gruppetto cominciò a muoversi, chiacchierando e scherzando, ed Emma lì seguì lungo il marciapiede opposto. Sapeva come comportarsi per non essere vista e, dopo tutte le volte che l’aveva fatto, poteva quasi reputarsi un’esperta.
Mantenne la distanza giusta per osservarli senza essere notata, ma così facendo non poteva nemmeno sentire quello che stavano dicendo e la cosa diventava noiosa, soprattutto quando quei cinque sembravano divertirsi un mondo.
Arrivarono in centro e si fermarono a prendere un trancio di pizza d’asporto al locale sull’angolo e poi si sedettero a mangiarlo sugli scaloni del duomo, mentre Emma tirò fuori dallo zaino il panino che aveva preparato quella mattina e fece un giro sotto i portici della piazza, guardando le vetrine addobbate dei negozi, in attesa che finissero e si alzassero.
Lo fecero dopo quasi un’ora, giusto per evitarle di ricominciare il giro per la quarta volta, e si incamminarono verso una delle tante vie trafficate.
L’ora successiva la passarono nel negozio di elettronica e faceva talmente tanto freddo che Emma ebbe la tentazione di entrare e tirarli fuori per le orecchie, prima che il suo sedere si congelasse del tutto. Quell’ora la passò ad insultare Chiara nella sua testa ed ogni tanto ad alta voce, guadagnandosi delle strane occhiate dai passanti.
Quando finalmente uscirono, Emma si voltò dalla parte opposta e li spiò dal riflesso della vetrina di fronte al negozio di elettronica; scherzarono per tutta la strada fino al bar sull’angolo della piazza, ridendo e guardando ogni tanto le ragazze che passavano. Una volta arrivati, entrarono nel bar ed Emma decise di seguirli all’interno, perché il freddo iniziava a farsi più pungente e non aveva intenzione di aspettarli fuori come una demente e rischiare di finire in ospedale per farsi amputare gli arti congelati.
Quel giorno la fortuna sembrava girare dalla sua parte, perché tra la folla che riempiva il bar riconobbe i volti di alcune compagne di classe, il cui tavolo si trovava in posizione ottimale per poter continuare ad osservare Lele e i suoi amici, così agguantò la prima sedia libera che trovò e si diresse verso di loro, facendosi spazio al tavolo e accomodandosi con un paio di gomitate.
«Ciao, scusate, fate finta che non ci sono» disse velocemente alle ragazze, trovando con gli occhi Lele, proprio mentre lui scoppiava a ridere divertito da qualcosa. Se non fosse stato il Lele di Chiara, gli sarebbe già saltata addosso da un pezzo perché quel ragazzo la eccitava ancora più di quel deficiente del suo ex. E si era solo limitata a guardarlo da lontano, senza averci scambiato una sola parola. Dovette fare forza su se stessa per ricordarsi che quel figo era il Lele di Chiara e quindi era off limits.
Fortunatamente ci pensarono le compagne a distrarla.
«Emma, che diavolo ci fai qua? Conciata così, poi!» esclamò Valentina, spostandosi per farle spazio.
«Sto facendo un favore a Chiara».
«Stai di nuovo seguendo qualcuno?» si stupì Maria, mentre le altre due sbuffavano.
«Dovresti smetterla» le consigliò Anna «Sarà anche la tua migliore amica, ma quello che stai facendo è un reato».
«Stalker» la insultò Valentina.
Ma Emma ci era abituata e non commentò, anche perché in cuor suo era perfettamente d’accordo con loro. Solo che proprio non sopportava le lamentele di Chiara.
Si tolse gli occhiali da sole, che ormai servivano a ben poco, e il berretto di lana, slacciandosi poi il piumino.
«Lo so» rispose con una smorfia, allargandosi la sciarpa «ma almeno questa volta è un piacere per gli occhi» fece un sorriso malizioso e si passò una mano tra i capelli castani, cercando di ravvivarli un po’ dopo le ore passate schiacciati sotto il cappello.
Alle sue parole, le altre tre si piegarono verso di lei, interessate come delle comari di paese.
«Chi è?» chiese Valentina, con gli occhi che brillavano curiosi.
Emma fece un cenno col capo e si voltarono tutte verso il gruppetto dall’altra parte della sala.
«Quale?» sussurrò Anna, allungando il collo per vedere meglio.
«Quello biondo».
«Quale dei due?»
«Quello con la felpa grigia».
Ci fu un attimo di silenzio, che passarono ad osservarlo e trarre mentalmente ognuna le proprie conclusioni, poi Valentina ruppe il silenzio col suo solito poco tatto.
«Che culo».
«In tutti i sensi, fidati» commentò Emma, appoggiando la guancia su una mano e bevendo un sorso della cioccolata di Maria.
«Sei la solita schifosa» esclamò Valentina «E’ il ragazzo della tua migliore amica».
«Guardare non fa male a nessuno!» si difese Emma. Non aveva certo intenzione di portaglielo via, non avrebbe mai fatto una cosa del genere, a nessuno, nemmeno a quella rompipalle di Carlotta.
«Beh, anche gli altri non sono male» osservò Maria, riprendendosi la cioccolata.
Emma si prese un attimo per osservare gli altri e dovette ammettere che Maria aveva ragione. Ognuno di loro aveva qualcosa che poteva risultare attraente, ma dipendeva principalmente dai gusti. Per Emma, purtroppo, i suoi gusti propendevano per un tipo come Lele, anche se l’altro biondo seduto vicino a lui – che armeggiava col cellulare e aveva un sorriso adorabile – non era male.
«Potremmo ricattare Chiara per organizzare un’uscita tutti insieme» borbottò Valentina, ricevendo consensi dalle amiche. Alla fine, avevano tra le mani l’arma perfetta per un ricatto ed Emma ne era la prova vivente.
Cominciarono a chiacchierare di stupidaggini e il tempo passò così velocemente che Emma si dimenticò persino il motivo per cui si trovava lì, almeno finché una gomitata di Valentina non la riscosse e la fece ripiombare nella realtà.
Lele e il suo gruppo stavano uscendo, così si rialzò di scatto, allacciò il piumino, si infilò il berretto cacciando dentro i capelli, e mise gli occhiali in tasca, prima di precipitarsi fuori senza nemmeno salutare.
Li trovò facilmente e riprese a seguirli a distanza, almeno fino alla via principale del centro, dove si fermarono e si salutarono, mentre lei si sedeva su una panchina di pietra gelida, nascondendosi dietro un cestino della pattumiera. Quelli con i capelli scuri proseguirono dritti, quello con gli occhiali imboccò una via a destra e Lele e il biondo con il cappello girarono a sinistra, così come ovviamente fece Emma.
Ormai era buio e il rischio di essere notata era calato, così si avvicinò di qualche passo, cercando inutilmente di cogliere qualche stralcio di conversazione.
Poi, ad un incrocio trafficato, il biondo salutò Lele e si fermò ad aspettare il semaforo verde per poter girare in una via a destra, Lele invece proseguì nella via a sinistra, senza dover attraversare la strada.
Ormai mancava poco ed Emma era quasi sicura che non sarebbe spuntata nessuna ragazza misteriosa che avrebbe dato ragione alla teoria di Chiara. Il tempo di vederlo tornare a casa e anche lei sarebbe potuta rientrare, fiondandosi sotto l’acqua calda della doccia e dando un po’ di sollievo al suo corpo intirizzito dal freddo. La prossima volta non si sarebbe più lasciata convincere da quella maledetta deficiente, se avesse voluto spiare il suo ragazzo l’avrebbe fatto da sola.
 
Il suo errore fu quello di abbassare la guardia.
Perché pensando alla doccia che la aspettava e a Chiara e alla sua mente contorta, non si accorse che Lele si era fermato e si era girato verso di lei. E quando i loro occhi si incrociarono era ormai troppo tardi.
Certo, Emma avrebbe potuto fare finta di niente e superarlo, fingendo di sapere dove stesse andando, per poi proseguire fino a svoltare al primo incrocio e fermarsi alla prima pensilina che avrebbe trovato.
Ma Lele aveva gli occhi grigi e quell’attimo che Emma perse ad ammirarli le fu fatale.
«Mi stai seguendo?»
Persino la sua voce era eccitante ed Emma dovette mordersi un labbro per non andare da lui e baciarlo come se il mondo stesse per finire. Era il Lele di Chiara, non poteva fare cazzate.
«Scusa?» esalò, con il cuore che batteva a mille e le rimbombava nelle orecchie.
Lui la scrutò sospettoso e strinse le labbra, indeciso. Emma sperò che pensasse di essersi sbagliato e continuasse per la sua strada, ma lui rimase fermo.
«Mi stai seguendo?» ripeté, scandendo bene le parole, come se si stesse rivolgendo ad uno che non capiva bene la lingua.
Quello la fece inspirare con stizza. Sarà anche stato un figo, ma Chiara poteva scegliersi un tipo un po’ più gentile. Il bello era che da quello che lei raccontava Lele era un angelo, ma di angelico secondo Emma aveva solo la faccia.
«Avevo capito la prima volta» sbottò acidamente, incrociando le braccia stizzita.
Lele fece un sogghigno che a Emma non piacque per niente «Perché mi stai seguendo?» le chiese, facendole spalancare impercettibilmente gli occhi.
«Non ti sto seguendo! Perché mai dovrei farlo?» esclamò, fingendosi offesa. Tanto non aveva prove e stava facendo lui la figura dello stupido.
Lui la osservò attentamente «Me ne sono accorto. E’ da oggi pomeriggio in centro».
Merda.
Emma rimase un attimo in silenzio, senza sapere cosa dire. A quanto pareva, quel Lele non era così scemo come l’aveva sempre immaginato e, a quanto pareva, si era accorto di lei da ore.
«Ah, sì?» provò coraggiosamente in un ultimo disperato tentativo di pararsi il culo.
Ma, nonostante l’aria spavalda che riuscì ad assumere, Lele ghignò «E’ difficile non notare il tuo cappello» spiegò divertito, lanciando uno sguardo al berretto di lana arancione con il pompon. Lo stesso berretto che quella cretina di Chiara le aveva prestato per non essere riconosciuta. Proprio un gran successo.
«Beh, ti sarai sbagliato! Ora devo andare, sono in ritardo!» esclamò Emma, ringraziando per una volta che facesse freddo e le sue guance fossero già rosse. Abbassando lo sguardo, lo superò di fretta, notando quanto effettivamente fosse alto, e si diresse a grandi passi verso il primo incrocio, dove svoltò a sinistra e corse verso la fermata dell’autobus.
Che razza di fallimento. Chiara l’avrebbe uccisa.
 
Chiara non l’aveva uccisa, ma in compenso stava uccidendo le sue orecchie.
Stavano facendo shopping in centro il giorno successivo, dopo la scuola, ed Emma era stata costretta a raccontare tutto quello a cui aveva assistito il pomeriggio prima, compreso il fiasco finale.
L’unica cosa positiva era che Chiara si era ripresa il suo stupido cappello e non doveva più andarsene in giro come una ladra.
Il lato negativo era che si stava lamentando come una disperata, ma quella non era una novità.
«Oddio e adesso? Non posso presentartelo, capirebbe subito!»
Emma alzò gli occhi al cielo e ripiegò il maglione che aveva appena guardato «Tranquilla, era buio e non mi ha visto bene. Credo. E poi non c’era molto da vedere».
Chiara si morse un labbro e fece scorrere gli ometti in cerca di qualcosa che non sapeva nemmeno lei «Sei sicura?»
«Certo che sì!» Emma evitò di dirle che erano in un viale pieno di lampioni e che se lei era riuscita a vedere il colore degli occhi di Lele, quello significava che anche lui l’aveva vista bene in faccia. Ma non era tutto perduto, infondo poteva pure essere miope. Anche se in quel caso Chiara gliel’avrebbe detto di sicuro.
La cosa importante comunque era farla smettere di lamentarsi.
«Andiamo a bere qualcosa, ok?» le propose allegramente, spingendola verso l’uscita.
Chiara le lanciò uno sguardo e poi sorrise ed Emma non poté fare altro che ricambiare il sorriso, tirando un sospiro di sollievo.
Mentre si dirigevano verso lo stesso bar sull’angolo del giorno prima, Emma si voltò, sentendosi osservata. Aveva passato talmente tanto tempo a spiare la gente, che le stava venendo il timore di essere spiata a sua volta. Se così fosse stato non voleva pensare agli spettacoli imbarazzanti che aveva dato fino a quel momento.
«Sai, Emma» cominciò Chiara, prima di entrare nel bar «Credo che mi fiderò di Lele. E te lo faccio anche conoscere, ufficialmente questa volta!» esclamò prendendola per un braccio e guidandola verso un tavolino libero.
Emma si limitò a stirare un sorriso e annuire, anche se in cuor suo sperò che quell’incontro non avvenisse mai, per quanto le probabilità fossero poche. Perché non sapeva proprio come avrebbe potuto comportarsi trovandosi di nuovo davanti a Lele con Chiara accanto.
Era davvero una pessima amica.
 
Purtroppo per Emma, l’occasione per quell’incontro avvenne prima del previsto e prima che potesse prepararsi mentalmente.
Era venerdì e all’intervallo Chiara le aveva comunicato che Lele sarebbe venuto a prenderla all’uscita da scuola e che lei gli aveva promesso di presentargli la sua migliore amica, quindi Emma non poté assolutamente tirarsi indietro. Non quando Chiara la guardava con occhi speranzosi e il sorriso più brillante che le aveva mai visto fare. Il fatto che fosse Lele a provocarlo le fece annodare lo stomaco e serrare la gola. Si sentiva stupida. L’aveva osservato un pomeriggio solo, ci aveva scambiato due parole e già non riusciva ad evitare i filmini mentali che li vedevano impegnati in varie attività forse poco adatte ad un pubblico di minori. Doveva darsi una calmata.
Era vero, Lele le piaceva ed era proprio il suo tipo, ma era il ragazzo di Chiara e Chiara era la sua migliore amica dai tempi della prima elementare. Non avrebbe mandato all’aria la sua amicizia con Chiara per uno stupido ragazzo. Diamine, non era l’unico tipo sulla faccia della terra, il mare era pieno di pesci, no? Le sarebbe bastato andare sabato sera al pub e si sarebbe dimenticata di lui.
L’unica nota positiva era che, se piaceva anche a lei, Chiara aveva finalmente fatto la scelta giusta ed Emma non poteva esserne più felice.
Nonostante questo, non fu facile stamparsi un sorriso quando suonò la campanella e Chiara corse al suo banco per farla sbrigare.
Emma si prese il suo tempo per mettere via tutto, coprirsi per bene e seguire Chiara giù dalle scale e fuori dal portone.
Deglutì, ignorando il cuore che batteva impazzito, e si guardò svogliatamente attorno, imitando l’amica, almeno finché questa non la prese per un braccio e non la tirò nella direzione opposta.
E prima di quanto avesse voluto, Emma si ritrovò davanti a Lele e il suo amico biondo con il cappello. Nel momento in cui incrociarono lo sguardo, i suoi occhi grigi sembrarono riconoscerla ed Emma affondò il naso nella sciarpa, distogliendo lo sguardo e puntandolo su Chiara.
Doveva fare finta di niente. Doveva fingere che fosse la prima volta che si incontravano e ignorare la voglia improvvisa di saltargli addosso che le era appena venuta.
Chiara non si accorse del loro scambio di sguardi e le tirò il braccio, con gli occhi che le brillavano eccitati «Emma, lui è Lele!» esclamò, indicandoglielo con un gesto della mano.
Emma si morse il labbro e alzò lo sguardo, incontrando gli occhi azzurri del ragazzo biondo con il cappello che le stava sorridendo cordiale.
Sbatté le palpebre, cercando di elaborare la frase, poi spalancò gli occhi ed esclamò «C-cosa?».
Ma non fu la sua l’unica voce che si sentì e Chiara e quel ragazzo alzarono le sopracciglia e li guardarono confusi. Emma e Lele.
Perché quando Emma si voltò verso Lele e incrociò uno sguardo stupito quanto il suo, iniziò a credere di essersi persa un passaggio per strada.
Chiara la fissò, preoccupata per la sua sanità mentale «Lui è Lele» ripeté, prendendolo sottobraccio come se fosse ovvio.
Ma per Emma non lo era affatto «Aspetta! Io pensavo che fosse lui Lele! L’hanno chiamato così!» esclamò indicando il Lele davanti a lei.
«Io credevo che Chiara fosse lei!» esclamò lui, puntando un dito contro Emma «Quella senza il cappello arancione!»
Il Lele abbracciato a Chiara scoppiò a ridere «Ci deve essere stato un equivoco!» spiegò divertito, prima di rivolgersi ad Emma con un sorriso «Io mi chiamo Emanuele e lui è Gabriele, ma ci chiamano Lele tutti e due. E’ facile confondersi, in effetti».
Emma spalancò la bocca. Quindi martedì lei aveva seguito Gabriele e non Emanuele?
«Quindi io mercoledì ho seguito la ragazza sbagliata?» esclamò Gabriele, fulminando l’amico con i suoi occhi grigi.
«Scusa?!» esclamò Emma, spalancando la bocca, mentre Emanuele si copriva la faccia con una mano e Chiara li fissava sconvolta.
Gabriele incrociò le braccia irritato «Potevi indicarmela meglio! Pensavo fosse quella senza cappello, visto che quella con il cappello mi ha seguito martedì pomeriggio».
«Mi hai seguito mercoledì?» gli chiese Emma sconcertata.
«Tu mi hai seguito martedì!» ribatté Gabriele, lanciandole uno sguardo offeso.
«Ma è stato uno sbaglio! Io dovevo seguire lui!» esclamò Emma, puntando un dito contro Emanuele, che spalancò gli occhi, mentre Chiara arrossiva imbarazzata.
«E io dovevo seguire lei!» esclamò Gabriele, indicando Chiara.
Emanuele e Chiara si fissarono in silenzio e poi sorrisero, come se avessero avuto una conversazione fatta solo di sguardi. Cosa che disgustò Emma e, a quanto pareva, anche Gabriele.
«Quindi, fatemi capire» cominciò lei, massaggiandosi le tempie «Tutti e due avete avuto la stessa stupida idea di farvi seguire dai vostri amici per svelare chissà che mistero inesistente?» la coppietta abbassò lo sguardo imbarazzata ed Emma sospirò «Quindi io martedì ho sbagliato persona e ho seguito il ragazzo sbagliato?»
«A quanto pare» borbottò Emanuele, stringendosi nelle spalle come un bambino beccato con le dita nel barattolo della Nutella.
Emma rifletté attentamente, mentre il peso che aveva sullo stomaco si scioglieva come per magia. Quindi lei non si era presa una cotta per il ragazzo di Chiara e non aveva avuto pensieri sconci su di lui. Quello sistemava tutto.
«Meglio così» sospirò rasserenata e fece un sorriso a Chiara, cercando di farle capire che stava bene, andava tutto bene e che Emanuele aveva la sua approvazione.
Poi si voltò ed incrociò gli occhi grigi di Gabriele, che la stava fissando con una strana espressione a cui non prestò molta attenzione, perché ghignò e sussurrò «Almeno posso fare questo».
Lo prese per il bavero del giaccone, se lo tirò vicino e lo baciò, fregandosene di tutto il resto.
O meglio, l’unica cosa che le interessava era la reazione di Gabriele, ma considerando le braccia che la strinsero e la lingua che le fece dischiudere le labbra, non sembrava averla presa troppo male.
Poi cosa importava se non si conoscessero per niente, se le uniche due volte che si erano parlati avevano litigato o se si stavano baciando davanti ai loro amici.
Emma era impulsiva e Gabriele la eccitava come nessun altro prima d’ora.
Ed era da martedì che aveva voglia di baciarlo.
 
 
 
 
 
 
 
 
N/A: Questa one shot mi è venuta oggi di getto e, cavolo, sono davvero soddisfatta. Emma e Gabriele mi piacciono da morire ed Emma è il genere di protagonista di cui non ho mai scritto, quindi è stato davvero interessante. Sono il genere di coppia che se si lascia in una stanza da sola va dritta al dunque senza pensarci troppo.
Spero solo di averla resa bene e di essere riuscita a non rovinare la sorpresa finale. Ho cercato di non dare molti indizi sullo scambio di identità e spero che non l’abbiate capito fino a quando non è stato rivelato. In ogni caso, vi ringrazio per averla letta!
Avevo pensato a scriverla anche dal punto di vista di Gabriele, giusto per avere una visione più completa, ma si vedrà più avanti. Dipende dal come verrà accolta questa, la posterò se a qualcuno interessa.
Spero mi facciate sentire la vostra opinione! Ciao!
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Daphne_Descends