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Autore: michaelcray    28/06/2007    5 recensioni
Un barbaro, una missione: vendicarsi della bestia che ha raso al suolo la sua casa, il suo villaggio. Insieme a lui, un soldato senza più un esercito ed una donna senza più casa si ritroveranno faccia a faccia con le loro paure in un combattimento all'ultimo sangue.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’è un sacco di oro là fuori, lontano

C’è un sacco di oro là fuori, lontano

Il tesoro che ho trovato è più che sufficiente

Dobbiamo andare alle montagne lontane

Al di là di montagne e per mari

Alla vecchia montagna dove il vecchio drago riposa

Cieco, nell’oscura notte dei sotterranei

Dio, ti prego, portami via da qui…

Blind Guardian “The Hobbit

I

l sole picchiava impietoso sui miei capelli neri. I miei occhi grigi riuscivano a malapena a mettere a fuoco il paesaggio attorno a me ed il mio cervello era impegnato nello sforzo di indirizzare un piede davanti all’altro, ancora ed ancora. Era il sesto giorno ormai che percorrevo quella landa desolata e la mia schiena portava i segni dei miei giacigli notturni, poco più che lastre di ardesia dure e taglienti. A peggiorare la situazione, le cinghie che assicuravano l’anello di bronzo che reggeva la spada, mordevano la pelle delle spalle, irritata dal sole e dal sudore secco.

Intendiamoci, non che in quel momento mi preoccupassi granché del mio aspetto fisico. Sapevo di apparire gonfio ed arrossato ma non mi importava. Le mie uniche preoccupazioni, oltre al mettere un piede davanti all’altro senza inciampare, erano quelle di trovare acqua e cibo, e possibilmente un po’ d’ombra.

Ad un certo punto il mio cervello si sforzò di farmi mettere a fuoco qualcosa. Beh, devo averci messo più di qualche secondo, direi quasi un minuto per farlo. Ma, per Istar, se quello non era un gruppetto di palme, allora era il migliore dei miraggi a cui avevo mai assistito. Anche perché, in fin dei conti era l’unico a cui avessi mai assistito.

Grazie a qualcuno lassù, non era un miraggio. Mentre mi avvicinavo agli alberi avrei dovuto notare le impronte di una cavalcatura, ma al mio cervello, lo sforzo di farmi notare la possibile salvezza era costato troppo.

Giunsi alle palme e mi accasciai contro un tronco, lieto di quell’ombra. Guardai in alto e vidi i datteri che trasudavano il loro dolce succo. Più in là, quasi a testimoniare la presenza di acqua sotto quella terra brulla, un cactus pieno di fiorellini azzurri si ergeva in tutto il suo turgore, mentre una lucertola si crogiolava al sole cocente.

Con uno sforzo costrinsi i miei muscoli ad obbedirmi. Mi avvicinai al cactus e lo decapitai con un colpo di spada. Affondai i denti e la faccia nella frescura offerta dalla linfa e masticai le fibre della pianta fino a succhiarne tutto il liquido aspro.

Dopo qualche minuto, dissetato, salii su una palma deciso a calmare i morsi della fame con i datteri. Ne raccolsi diverse manciate e li ingoiai direttamente sull’albero, sputando i noccioli sul terreno. Dopo una trentina di frutti mi sentivo molto meglio. Lo stomaco non brontolava più e adesso avevo una possibilità in più di sfuggire alla morte in quel deserto.

“Non vorrei disturbare il tuo lauto pranzo, figliolo, ma mi chiedevo se potessi scendere da quell’albero e spiegarmi cosa ci fai qui.

Quella voce inaspettata mi colse di sorpresa. Rischiai di piombare giù a corpo morto, ma riuscii a conficcare le unghia della mano nella corteccia cedevole della palma e a tenermi appeso.

Avevo detto prima delle impronte di una cavalcatura. Bene, adesso cavallo e cavaliere stavano sotto di me e mi guardavano.

Il cavaliere era abbigliato in foggia strana. Portava una veste lunga di colore azzurro chiaro che lo copriva per intero. Sulla testa indossava un copricapo formato da un fazzoletto dello stesso colore della tunica e fissato con un laccio di cuoio. Aveva la barba brizzolata e lunga e gli occhi nerissimi, infossati in un viso percorso da una rete di rughe fitte. Cavalcava un cavallo bianco, piccolo e slanciato.

Scesi dall’albero, maledicendomi ad ogni metro che facevo verso il basso. Lo spadone giaceva accostato al tronco dell’altra palma e tra me e lui, lo straniero con il cavallo.

Lui si accorse del mio sguardo e i suoi occhi corsero allo spadone.

“È una bella spada. È tua?” mi chiese.

Annuii. “Vedi forse qualcun altro?”

Lui scoppiò in una risata. “Per Abdul Azif e le sue quaranta mogli vergini! Parli come un idiota!”

Si riferiva al fatto che l’accento con cui parlavo la sua lingua era orribile. Mi strinsi nelle spalle. Non sembrava avere intenzioni ostili, ma non potevo esserne sicuro.

“Da dove vieni?” mi chiese.

“Da Kurkaam.”

“Mai sentito.”

“È un villaggio al confine tra la Piana di Istar e il Territorio di Ogl-um’ka.”

Spalancò gli occhi. “Per il guercio Abdul! Vieni dall’estremo Nord. Hai viaggiato molto allora!”

C’era ammirazione nella sua voce.

“Questo è il ventiseiesimo giorno.”

Dov’è la tua cavalcatura?”

“Morta. Tre giorni fa.” Mentii. Avevo barattato il cavallo per due otri d’acqua con un mercante di passaggio il giorno prima.

“Come ti chiami?”

Grum.”

Rise di nuovo. La cosa iniziava a darmi sui nervi.

Che cosa ci trovi da ridere? Qual è il tuo nome?”

“Mi chiamo Ahmed ibn Muhammad ibn Yussuf el-Hazared. E si inchinò sulla sella.

E dimmi, Ahmed ibn eccetera, quando ti avvertono di un pericolo imminente, come ti chiamano? Pronunciano forse tutti i tuoi nomi?”

Sembrò sorpreso. “No. Mi chiamano soltanto Ahmed.”

Sorrisi, anche se le mie labbra screpolate protestarono. “Vengo da una terra rude e pericolosa. Non ho tempo di pronunciare tutti quei nomi. Potrei morire nel frattempo.

Annuì, impreparato al mio ragionamento. Chissà perché, nell’immaginario dei popoli del sud, siamo degli incolti bruti che agitano le armi forsennatamente e che urlano a squarciagola.

Non avevo ancora deciso se potermi fidare di lui e abbassare la guardia. Mi spostai verso il tronco su cui era appoggiata la spada.

Che cosa vuoi da me?” gli chiesi.

Scrollò le spalle. “Cosa potrei volere? Possiedi qualcosa oltre allo spadone?”

“No.”

“Allora non voglio niente. Tu, piuttosto, cosa vuoi?”

La mia testa iniziò a girare. Barcollai tenendomi alla palma.

“Ehi, straniero! Ti senti bene?”

Borbottai un “no” confuso, poi caddi in avanti verso l’oscurità.

M

i risvegliai confuso. Ero disteso su una stoffa ruvida e spessa, rossa. Il mio spadone giaceva appoggiato ad uno scranno di legno, accanto alla parete. Pensavo di stare ancora male, dato che la parete sembrava muoversi. Poi, mi resi conto che la parete si muoveva davvero! Ero in una tenda e la stoffa tremava alla brezza leggera del deserto. Mi tirai su, appoggiandomi sui gomiti quando un capogiro fece roteare tutto l’ambiente circostante. Tirai un respiro profondo e attesi che la brutta sensazione passasse. Quindi mi alzai in piedi. Sentivo ancora la testa pesante e tutto attorno a me ondeggiava. Mi diressi verso lo spadone, lo presi e stavo per infilarlo nell’anello dietro la schiena quando mi accorsi che non avevo più le cinghie di cuoio. Rovistai nella capanna per un poco, ma non le trovai. Allora poggiai lo spadone sulla spalla ed uscii.

Ero in un accampamento dei nomadi del deserto. C’erano circa venti, forse trenta tende, alcune piccole, altre simili alla mia. Cavalli e cammelli erano rinchiusi in un recinto alla mia destra, poco distante. Alcune donne e alcuni uomini mi diedero uno sguardo stupito, poi ripresero a discutere tra loro.

“Ti sei ripreso prima di quello che pensassi, straniero!”

Il vecchio cavaliere si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla.

“Quello non ti servirà qui”, disse, indicando con un cenno lo spadone. “Non ti faremo del male.”

Che cosa mi è successo?” chiesi con voce impastata.

“È stato il cactus.”

“Pensavo che il loro succo fosse dissetante.

E lo è, infatti. Ma tutti gli abitanti del deserto sanno che non bisogna bere il succo di un cactus quando questo fiorisce. Provoca un sonno molto profondo, cosa che nel deserto è molto rischiosa. Molti viandanti sono passati dal sonno alla morte per essere caduti addormentati sotto il sole.

Annuii. Quel vecchio mi aveva salvato la vita. “Ti ringrazio. A quest’ora sarei cibo per gli avvoltoi.

Lui liquidò i miei ringraziamenti con un cenno della mano. “Va tutto bene, non preoccuparti.

Mi guardai intorno.

“Quanto tempo ho dormito?” chiesi, notando il sole che stava per tramontare.

“Circa undici ore. Un po’ poco, considerando quanto succo hai ingerito.”

Mi strinsi nelle spalle. “Sono sempre stato resistente ai veleni. Piuttosto, dove ci troviamo?”

“Questo è un accampamento nomade. Siamo circa a quattro giorni di cammino dalla città di Al-wabr.” Indicò la direzione dell’est.

Annuii soddisfatto.

“Allora sono a metà del viaggio.”

“Dove sei diretto?”

“Alla montagna dei nani.”

Mi squadrò sospettoso. “E hai viaggiato da oltre le Piana di Istar, da solo, per andare alla montagna dei nani?”

“Sì.”

E suppongo che tu abbia intenzione di attraversare le Lande di Pietra da solo, bussare alla porta della montagna e farti accogliere a braccia aperte dai nani!”

“In effetti…”

E perché un barbaro del nord si spingerebbe così a sud per andare alla montagna dei nani?” mi chiese, convinto che gli stessi raccontando un sacco di fesserie. “Non vedono di buon occhio gli umani! Lo sanno tutti!”

“Per lavoro. Mi hanno chiamato e hanno chiesto il mio aiuto.

Scoppiò a ridere. “Come no! E per quale motivo hanno chiesto il tuo aiuto?”

“Devo uccidere un drago”, risposi, strizzandogli l’occhio.

L

o lasciai a bocca aperta, ma il suo sbalordimento durò poco. Le sue spalle vennero scosse da una risata che durò qualche minuto.

“Tu! Uccidere un drago! Ha! E come hai intenzione di fare?”

“Gli taglierò la testa con la mia spada.”

“Per i cento eunuchi di Al-Kazar! Sei la persona più folle che abbia mai conosciuto, barbaro! Avrei dovuto lasciarti arrostire al sole del deserto! Il tuo cervello doveva essere già ben cotto!”

Scrollai le spalle. Tutto sommato era un vecchio superstizioso, forse ignorante, ma di sicuro non cattivo. Decisi che gli avrei lasciato in bocca i pochi denti che l’età gli consentiva.

“Dimmi, Ahmed. Avete uno sciamano in questo accampamento?”

“Uno sciamano?”

“Sì, una persona che pratica la magia, conosce le erbe, etc.

“Vuoi dire uno shair?”

“ Sì.”

Vieni, ti accompagno da lui.”

Lo seguii fino ad una tenda di spesso tessuto. Dentro, l’aria odorava di spezie e incensi. Un vecchio stava tritando delle bacche in un pestello di roccia.

“Salute, Huzam.”

“Salute a te, Ahmed. Chi porti con te?”

Mi accorsi solo allora che era cieco. I suoi occhi avevano un velo lattiginoso che copriva interamente le pupille.

“È un viaggiatore stremato dalle fatiche del deserto. L’ho salvato dai cactus oblianti.

“Un atto gentile da parte tua.”

Si volse verso di me e fece un inchino.

“È un onore accogliere un potente signore nella mia umile dimora.

Mi inchinai a lui. “Il mio nome è Grum.”

Sei delle tribù del nord?”

“Sì.”

E sei un cacciadraghi, non è vero?”

“Sì.”

“Lo sapevo. Ho sentito le vibrazioni della tua arma. Il Supremo mi ha tolto la vista ma le mie orecchie distinguono chiaramente il suono della magia. L’hai qui con te?”

“Sì.”

“Porgimela.”

Accostai la lama alle sue mani. Huzam avvicinò il palmo aperto al piatto della lama e le rune incise sull’arma iniziarono a scintillare.

“È molto potente. Avverto la forza dell’incantesimo che l’avvolge. Il simile sconfigge il suo simile.

Ero sbalordito. Un vecchio mago di una tribù del deserto aveva percepito l’incantesimo segreto gettato sulla spada.

La lama di acciaio purissimo, ribattuta su sé stessa centinaia di volte era stata poi temprata nel sangue di un drago. Era stato un anno di lavoro durissimo da parte del fabbro del villaggio. Poi, mio nonno, lo sciamano, aveva inciso sul piatto della lama le rune di potere che legavano lo spirito del drago alla spada. Quindi, era stata immersa per un anno nell’acqua di un lago consacrato agli spiriti dei ghiacci. Il suo filo era divenuto durissimo e poteva tagliare una scaglia di drago spessa quattro dita con un solo colpo. Infine il conciatore di pelli aveva avvolto cuoio di drago sull’impugnatura e legato un cordolo di pelle di drago per fissare il cuoio all’elsa.

“Era la spada di mio padre.”

Ahmed era rimasto sbalordito. L’immagine di barbaro rozzo e volgare che si era costruito di me si stava sgretolando alle parole del vecchio Huzam come una statua d’argilla essiccata.

Huzam! Stai dicendo che quest’uomo è davvero un cacciatore di draghi?” chiese Ahmed con un tono di voce stridulo.

Huzam rise. “Me ne sono accorto anch’io che sono un povero cieco, e tu che l’hai avuto davanti agli occhi per tutto questo tempo non hai capito niente? Ahmed, amico mio, stai invecchiando!”

Rimisi la lama sulla schiena. Ahmed adesso mi guardava con stupore e rispetto.

“Per il djinni di Al-wabr! Un cacciadraghi! Sembra che stasera festeggeremo in tuo onore!”

S

iamo rimasti in pochi ormai. In tutto il paese siamo numerosi quanto le dita di una mano. La verità è che pochi riescono ad avere un’aspettativa di vita lunga. Se sei bravo, puoi uccidere quattro, cinque draghi e con i soldi ricavati lasciare il lavoro e ritirarti nella tua nuova casa. Oppure puoi restare ucciso nel tentativo di ucciderne un altro. Allora il lavoro termina con la tua vita.

Mio padre, il leggendario cacciadraghi Kraz, uccise più di venti bestie. Era il migliore nel suo lavoro. Poi, invecchiando, decise di trasmettermi tutta la sua esperienza. Mi allenai con lui per quattro lunghi anni. Quindi, lo accompagnai nelle sue ultime cacce, osservandolo attentamente mentre attendeva la preda, apprendendo i suoi trucchi e le sue tattiche.

Quando poi l’inverno scorso morì per la febbre che consuma, mi diedi da fare. Uccisi il mio primo drago da solo, senza che nessuno avesse richiesto i miei servigi. Doveva essere il mio battesimo del sangue. In effetti, di sangue ne versai più del dovuto, almeno del mio. Ma lo uccisi. E uccisi anche gli altri tre che erano insieme a lui nel suo nido. Beh, a dire il vero due di essi erano poco più che cuccioli, ma l’altro era rapido come un serpente velenoso. Ma alla fine il duro acciaio della mia lama ha avuto la meglio.

E così la tradizione della mia famiglia è continuata. I miei servigi sono stati richiesti da villaggi insidiati da quelle bestiacce e da signorotti che dovevano difendere il loro feudo. Questo dei nani della Montagna era il primo incarico ufficiale che ricevevo da un’altra razza. La mia fama cresceva.

Q

uella sera l’accampamento era in fermento. I tamburi ed i flauti suonarono tutta la notte. Le ragazze danzarono per ore attorno ai falò e lo strano vino del deserto, aspro e frizzante, corse giù per le gole di molti. Anche della mia. Ricordo soltanto Ahmed che continuava a riempire la mia coppa di altro vino e che mi dava pacche sulle spalle, finché le immagini e i suoni non si confusero e caddi nell’oblio.

  
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