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Autore: Nagini996    11/12/2012    0 recensioni
E forse è arrivato il momento di riprendere le redini della mia vita e farle voltare direzione. Il cambiamento è ormai improrogabile e soprattutto dovrà essere irreversibile.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Suonarono alla porta. "Arrivo" urlai, mentre saltellando su un piede andai ad aprire.
Andrea era fermo immobile sulla soglia di casa, con una mano stringeva il suo casco invece l'altra la passava tra i capelli nel disperato tentativo di portare su la sua nera chioma ribelle. Mi sorrise.
"Sei pronta?"
"Tu che dici?" risposi mostrandogli l'altro stivale che non avevo ancora infilato.
"Ti aspetto" disse andando a sedersi sul suo scooter.
Richiusi la porta e infilai di fretta la scarpa diventando più alta di 12 cm. Diedi un ultimo sguardo allo specchio, controllando che tutto fosse a posto poi raccolsi la borsa e il casco e corsi fuori dalla casa.
Lo infilai spostando i capelli di lato e salii sullo scooter.
"Posso partire?" mi chiese Andrea sistemando il suo casco.
"Vai" dissi poggiandomi sulla sua spalla per non perdere l'equilibrio e cadere giù.
Sentivo il vento freddo scivolare sulla mia schiena e far volare i miei capelli. Non potei fare a meno di stringermi ad Andrea cercando di ripararmi, ma ovviamente era impossibile.
Vedevo le luci sfrecciare accanto a noi rischiarando la strada su cui viaggiavamo. 
Chiusi gli occhi e subito mi vennero in contro i ricordi che come dei lampi in una giornata di sole, irruppero nella mia mente annebbiata dalla felicità.
Ritornai alla realtà, cercando disperatamente di aggrapparmi a qualche pensiero per non ricordare. E ricordare faceva male.
Un'auto ci sorpassò e per poco non finimmo fuori strada. Per fortuna eravamo quasi arrivati.
 
                                                          
“Maledizione” urlai, vedendo che il gel non riusciva a fermare i miei capelli. Ci passai la mano ma non vedendo nessun risultato lasciai perdere ed uscii.
Montai sullo scooter e corsi a casa di Catherine. Non sapevo neppure perché la stessi accompagnando mentre sarei potuto felicemente uscire con Cassandra. Ma in fin dei conti lei aveva fatto tante cose per me, e ora mi toccava ricambiare. 
Quando giunsi di fronte alla casa verde acqua sorrisi pensando che lei non sarebbe stata pronta visto il mio anticipo ma stringendo il casco, suonai.
La vidi aprire la porta mentre cercando di mantenersi in equilibrio su un piede mi diceva di aspettarla.
“Ti aspetto” le dissi paziente. Andai a sedermi sullo scooter e, visto il tempo a disposizione, controllai i capelli che quella sera non avevano proprio voglia di stare a posto.
Quando rialzai lo sguardo lei era già saltata sul sellino, pronta a partire. Per sicurezza le chiesi se potevo andare e lei nel suo solito tono freddo e sgraziato mi rispose che potevo. Misi in moto e partimmo. 
La sentivo poggiata sulla mia schiena e quasi mi faceva piacere. Bhè ogni amico che si rispetti diventa quasi il fratello maggiore ma io non mi ci rivedevo in quella figura. La nostra amicizia era più un misto di amore e odio che ci tenevano uniti in un modo straordinario eppure assurdo.
Un’auto ci sorpassò e dovetti fare una manovra stratosferica per non finire nel fango del giardino che seguiva la strada su cui viaggiavamo.
“Idiota” pensai, prima che le luci dell’ingresso dell’edificio mi ricordassero che eravamo ormai arrivati.
 
 
L’ingresso della villa era illuminato da una miriade di candele che seguivano il vialetto conducendo alla porta nascosta sotto un enorme arco su cui si intrecciavano foglie di vario genere. Rimasi colpita da quell’ingresso quasi fiabesco che si scontrava con tutto quello che c’era all’interno.
“E’ questa la famosa festa?” mi chiese Andrea mentre lo conducevo per il vialetto.
“Si..” risposi calma.
Quella sera Andrea non era di molte parole, sapevo che mi aveva accompagnata solo perché mi doveva qualche favore e non perché gli piacesse molto Matteo ma speravo che riuscisse a divertirsi. Almeno un po’.
Quando entrammo cercai con lo sguardo il padrone di casa che, senza che me ne accorgessi, mi ritrovai alle spalle.
“Vuoi dare a me il casco?” mi disse Matteo sorridendo.
“Certo, tieni..” gli risposi dopo averlo salutato con un bacio sulla guancia.
“E’ in buone mani” disse. Non capii se stesse parlando con me riferendosi al casco o con Andrea riferendosi a me.
“Andrea, tu hai qualcosa da lasciare?” chiese cortese il ragazzo.
“Nulla” gli rispose prima di voltarsi verso di me.
“Vado a fare un giro per la festa” disse “Sarò qui nei dintorni, appena ti serve qualcosa fa un fischio e sono da te” e nel pronunciare l’ultima frase mandò un’occhiataccia a Matteo che nel frattempo era rimasto a guardarci.
“Va bene” risposi tranquilla “Divertiti” continuai mentre lo vedevo allontanarsi tra la folla.
“Eccoci qua” mi disse Matteo “Vieni ti faccio fare il giro della casa” 
“Certo” gli risposi con un sorriso seguendolo sulla rampa di scale che occupava il lato sinistro dell’ingresso. Per poter passare al primo piano dovetti farmi strada tra più di venti persone che salivano e scendevano dalle scale.
“Ma quanta gente hai invitato?” chiesi.
“Cento, centocinquanta” rispose sorridendo “Persona più, persona meno”
“Caspita”
“Bene, allora questa è la camera di mia sorella” disse spalancando la porta di una stanza che sembrava essere disabitata da molto. “E’ all’università quindi come puoi ben vedere non c’è. Questa invece,” continuò “è la camera dei miei, non ci sono neanche loro ovviamente.. E ora la parte più bella della casa” disse passando davanti ad una porta chiusa senza fermarsi a spiegarmi cosa ci fosse.
Proseguimmo per un lungo corridoio intarsiato da pietre preziose e quadri enormi, poi scesimo un’altra rampa di scale fino ad entrare in un enorme locale sicuramente al disotto della casa. Qui c’era la festa vera e propria con luci stroboscopiche e musica ad un volume altissimo. Ragazze ballavano ovunque mentre ad un bancone posto alla fine della stanza si accodavano persone in attesa di un drink.
“Ti piace?” mi chiese Matteo.
“Molto bella” risposi guardandomi intorno. pensai.
Rimasi ferma all’ingresso della stanza finché il ragazzo non parlò.
“Ti va di ballare?” disse.
“Ovviamente” risposi felice della richiesta. Mi prese la mano e portò in pista. Rimasi a fissarlo, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato e lui con sguardo interrogativo mi chiese quale fosse il problema.
 
La festa non mi divertiva affatto e in più non riuscivo a non pensare a Cath con Matteo. Non riuscivo a non essere preoccupato. Quel ragazzo non mi era mai piaciuto e ora meno che mai. 
Notai in fondo alla stanza, che normalmente avrebbe dovuto essere un salone, un tavolo stracolmo di bibite e cibi vari. Mi avvicinai e giusto per passare il tempo presi una birra. Iniziai a sorseggiarla, mentre vagavo per la casa alla ricerca di un posto tranquillo per stare lontano da invitati ubriachi e fuori di testa.
Uscii in giardino e seguii un vialetto che portava ad un edificio molto più piccolo rispetto alla casa. E sicuramente molto più tranquillo.
Aprii piano la porta ed entrai. Sentii il rumore dell’acqua e un forte odore di cloro.
pensai. Quando i miei occhi si abituarono all’oscurità che circondava la stanza vidi che era proprio come avevo pensato infatti proprio nel centro vi era una grande piscina.
Mi andai a sedere sul bordo poggiando la birra. Passai una mano sull’acqua: era calda, notai.
Sentii un rumore. Il mio cellulare.
“Pronto?” dissi.
Era Cassandra.
Speravo che mi chiamasse per tenermi impegnato così restammo per più di un’ora a parlare. Lei era a casa a leggere Twilight. Non avevo mai apprezzato quel libro e proprio a causa di questo la presi in giro dicendole che leggeva la storia di un vampiro sbrilluccicoso. Sapevo che odiava quando definivo così il suo amato Edward Cullen ma era irresistibile quando si arrabbiava.
Ad un certo punto mi chiese come stesse andando la festa e le risposi che non lo sapevo, avevo trovato un angolo isolato e mi ero sistemato lì. Le descrissi la piscina e rimasimo a fantasticare sui bagni di mezzanotte che avremmo potuto farci se anche noi ne avessimo avuto una. 
Quella ragazza era il mio opposto per certi aspetti mentre per altri eravamo gocce d’acqua. Non avevo mai incontrato qualcuna che amasse tante di quelle cose che anch’io amavo e che odiasse tante di quelle per cui stravedevo. Cath la vedeva come la solita storia tra la ragazza timida e tranquilla e il ragazzaccio di turno, io invece vedevo tutt’altro. In quella ragazza vedevo la parte di me che pochi se non nessuno avevano conosciuto. Era bello stare con lei, era semplice, naturale.
“Mi dispiace di non poter stare con te stasera” le dissi “ma dovevo un bel po’ di favori a Cath e non potevo certo tirarmi indietro”
Mi aspettavo una risposta del tipo “Tranquillo, non fa niente” ma mi arrivò tutt’altro. 
“Ti amo” mi disse. Rimasi a bocca aperta. Era la mia ragazza da quasi un mese e non eravamo mai arrivati a quel punto. Sapevo che lei non era il tipo che sperperava sentimenti e parole per un ragazzo qualsiasi, e così in quel momento mi sentii speciale per la prima volta. Non che non avessi mai sentito un ti amo da qualcuno, ma il suo aveva qualcosa di diverso, era particolare. Indimenticabile.
Le risposi anch’io usando le stesse parole e notai la sua felicità nel sentirmele pronunciare. Sorseggiai di nuovo la birra e rimasimo a fantasticare a lungo, mentre mi ero ormai accasciato sul bordo piscina.
 
“Niente, tutto a posto” risposi cercando disperatamente di calmare il mio cuore che urlava e scalpitava contro quel contatto avvenuto. Non lo voleva.
Ballammo per più di mezz’ora, ma ne io mi avvicinai a lui ne lui osò avvicinarsi a me. Forse la mia reazione lo aveva bloccato in un certo senso.
“Andiamo a sederci?” proposi indicando dei divani vicino al bancone. 
“Come vuoi” mi rispose “Ti va qualcosa da bere?”
“Qualcosa di leggero” dissi “Magari una birra”
Mi allontanai dalla pista e andai a sedere su uno dei divani. Iniziavo a sentire i piedi bruciare al contatto con il pavimento.
“Prego” disse Matteo passandomi la birra e venendo a sedersi accanto a me.
Ne bevvi un sorso e così fece anche lui.
“Come mai questa festa?” chiesi curiosa.
“Bhè, i miei non sono a casa e quale miglior momento per una festa?” disse.
“Hai ragione” risposi ridendo “se tutte ti riescono così bene, dovresti organizzarne di più”
“Forse lo farò..Ma solo se ci verrai sempre tu” 
Sorseggiai la birra. “Cos’è? Mi sfrutti per poi aiutarti a ripulire dopo che tutti sono andati via?” Risi.
“Non sfrutto le persone” rispose ridendo anche lui.
“No, perché se è così, blocco le tue speranze sul nascere infatti ho già i piedi in fiamme e non credo che mi alzerò più da qui fino alla fine della festa” dissi bevendo un sorso di birra.
“Vuoi poggiarli su di me?” chiese “Prometto di non farti il solletico”
“Mmh..e va bene” 
Così alzai le gambe stendendole sulle sue, rimanendo seduta al mio posto.
“Va meglio?” disse Matteo.
“Un po’” risposi. Iniziò a passare la mano sullo stivale disegnando dei cerchi sulla stoffa scamosciata della scarpa. Fissai le sue dita muoversi, come preda di un dejà vu. In preda a un suo ricordo.
Volevo che smettesse. Scostai la gamba.
“Tutto bene?” mi chiese.
“Si, stavo solo un po’ scomoda” mentii.
“Sai, pensavo..Ti va di vedere un’altra stanza? Prometto che poi non ti farò più muovere” disse.
“E va bene, però poi non mi muovo più” risposi  rimettendo i piedi sul pavimento. Lo vidi alzarsi e porgermi la sua mano. La presi e lo seguii curiosa di sapere dove mi avrebbe portata.
Uscimmo dalla stanza e iniziammo a percorrere un sentiero nel giardino al termine del quale si intravedeva l’ingresso di un’altra stanza.
La mia curiosità cresceva ad ogni passo.
“Arrivati” disse spalancando la porta. La stanza era buia e sentimmo un rumore provenire dal bordo della piscina.
“Aspetta qui..Accendo la luce”
La sua mano lasciò la mia, sentii i suoi passi fermarsi e finalmente la stanza fu illuminata da milioni di piccole luci sulle pareti e nella piscina che così era anche più bella di come era apparsa nell’ombra.
“Chissà cosa sarà stato” disse “forse il mio gatto”
“Wow..” dissi, rimasta a bocca aperta.
“Sapevo che ti sarebbe piaciuta” rispose sorridendomi “Vieni, sediamoci al bordo”
Mi sedetti accanto a lui e dopo aver tolto gli stivali e aver alzato i jeans fino alle ginocchia immersi i piedi nell’acqua calda. Il dolore iniziò a placarsi.
Matteo rimase a guardarmi, mentre con una mano mi divertivo a muovere l’acqua provocando piccoli schizzi che mi finivano sui polpacci.
“Chissà come dev’essere fare un bagno qui” fantasticai fissando l’acqua cristallina.
“Se ti va puoi farlo” mi rispose.
“No, ma dai..e poi non ho neanche il costume” dissi arrossendo.
“Neanch’io” rispose alzandosi di colpo. Si sfilò la maglia e i jeans rimanendo in boxer e poco dopo lo vidi scomparire in acqua.
Pochi secondi dopo vidi la sua sagoma venire verso di me e la sua testa sbucare fuori.
Spostai il piede schizzandolo.
“Ah si? E’ così che vuoi giocare?” disse prima di afferrare il mio piede. Mi trascinò nella piscina in cui caddi senza nessuna grazia.
  
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