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Autore: eos75    29/06/2007    2 recensioni
Ricordi di scuola tornano prepotenti nella vita dell' SGGK, portando un con loro malinconia e una dolce sensazione, come se niente sia ancora perduto per quel cuore chiuso a doppia mandata che si ritrova nel petto. Troverà la donna in possesso della chiave giusta per aprirlo? Forse lo aiuterà un vecchio libro...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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rds07

Eccomi qui^^.
Perdonate se aggiorno così in ritardo questa storia, ma è un periodaccio ed avevo altro per la testa ^^.
Colgo l'occasione per ringraziare tutte e tutti coloro i quali mi stanno seguendo in questo piccolo lavoro, sono davvero molto molto felice che vi piaccia e spero che gli ultimi due capitoli saranno di vostro gradimento.
Grazie a tutti!
Ad Euridice, Sanae, Ansy, Minigo, Evy78, Lazzarus34 e a tutti coloro che leggono seppur senza recensire^^.
Buona lettura!
Eos75









Era il primo giorno di scuola dopo le vacanze di Natale.
Vacanze… non che per lui fossero state molto riposanti! E neppure per Hermann. Militare nelle giovanili dell’Amburgo era un impegno serio, richiedeva un livello altissimo di gioco e lui non amava perdere tempo in vacanze.
Quando varcò la soglia dell’aula udì i soliti gridolini  provenire dalle ragazzine raccolte in gruppetto in fondo all’aula. Sospirò, scrollando il capo ed andandosi a sedere pesantemente al suo posto, dando loro le spalle.
Due banchi avanti a lui, la ragazza bionda che piaceva a Kalz era come sempre isolata dal mondo: walkman nelle orecchie e un qualche assurdo libro di filosofia aperto su banco. Non sembrava molto concentrata nella lettura, in realtà. Al suo fianco, una sedia vuota.
“Strano”  notò automaticamente “di solito quelle due arrivano insieme…”
Allungò una mano verso  lo  zaino, aprendolo e dando all’interno un’occhiata veloce. Il libro era lì, campeggiava in mezzo ai  testi scolastici. L’aveva letto quasi d’un fiato durante quei giorni in cui non c’erano state lezioni.
L’ingresso della professoressa interruppe il filo dei suoi pensieri.
“Messner…”
“Presente!”
“Metzger…”
“Presente!”
“Muller…”
“Presente!”
Il cuore ebbe un sobbalzo il suo sguardo si puntò su quel banco vuoto.
La professoressa non l’aveva chiamata all’appello!
“Wakabayashi…”
Silenzio.
“Wakabayashi!”
“Presente!”  si riscosse all’improvviso, sussultando.
Se n’era andata ...
Le ore volarono e le aule si svuotarono in un baleno al suono della campanella che annunciava la pausa per il pranzo.
Mangiò in fretta, soprappensiero, ed uscì a passo svelto dalla mensa dirigendosi al campo della scuola. Aveva bisogno d’aria, di distrarsi, magari di giocare un po’ a calcio…
 Delle grida attrassero la sua attenzione: nel mezzo del prato antistante la scuola, quattro ragazze stavano litigando.
“Ma fatevi gli affari vostri! Voi non capite un accidente, razza di deficienti! E non valete neppure un decimo di quello che vale lei!”  la bionda vestita di nero era una furia.
Non udì la risposta delle altre tre, ma da come la ragazza reagì, immaginò che non fossero certo complimenti. La vide scattare ed iniziare a spingerle e quelle non si tirarono indietro.
“Tre contro uno non è leale…”  pensò calando la visiera del cappellino ed allungando il passo.
“Piantala, tu!”  intimò alla ragazza, bloccandola da dietro  “E piantatela pure voi!”  le ammonì, fulminandole con lo sguardo  “Avete proprio voglia di farvi sbattere fuori dalla scuola!”
“E lasciami!”  Rebecca si scosse dalla presa del portiere, che la liberò con un sorrisetto ironico.
“Non è una buona idea battersi una contro tre, non ti pare?”
“Grazie, ma la prossima volta fatti gli affari tuoi, eh, Wakabayashi?”  gli occhi smeraldo lampeggiarono furibondi mentre la bionda si massaggiava le braccia dove il ragazzo l’aveva stretta.
Lui scrollò le spalle e face per andarsene,ma si immobilizzò un istante, voltandosi a guardarla serio.
“Ma la tua amica? Che fine ha fatto?”
Lo fissò, colta di sorpresa, poi rispose con tono duro “E a te che te ne frega, si può sapere?”
Sospirò spazientito e mentalmente cercò una scusa per giustificare quella domanda. Neppure lui sapeva esattamente perché l’aveva posta…o si?
“Devo restituirle un libro…”
Lo sguardo smeraldino si addolcì un attimo, mentre le labbra si serravano a trattenere il pianto che l’aveva evidentemente assalita.
“Il Signore degli Anelli, vero?”
“Si, ma…”  non terminò la frase.
“Tienilo!”
 “Ma…se hai il suo indirizzo puoi rimandarglielo! Io l’ho letto…”
Il caschetto biondo dondolò leggermente  al cenno di diniego della ragazza, mentre un sorriso triste e dolce appariva sulle labbra tinte di viola  “Tienilo… e rileggilo.  Sono sicura che le farà piacere. Lei ne ha altre edizioni, non ti preoccupare! Accidenti! La campana! Sarà il caso di tornare in aula!”  e così dicendo corse via, senza dargli il tempo di replicare.
A casa, nella sua stanza, svuotò lo zaino e ne estrasse l’altissimo tomo. Lo tenne per un poco tra le mani, fissando la copertina sulla quale campeggiava la raffigurazione della dimora incantata degli elfi… Chiuse gli occhi e tornò a quel giorno, sull’autobus. Rivide il suo sorriso e scosse il capo.
L’aveva letto d’un fiato ed aveva aspettato il rientro dalle vacanze contando i giorni solo per poterglielo restituire, per ricevere di nuovo in dono quel sorriso gentile.
Riaprì gli occhi e con un sospiro rimise il volume al suo posto sulla libreria.
“Un giorno te lo restituirò…”  promise sottovoce.

 

 

 

 

Era uscito facendo sbattere dietro di se la pesante porta in rovere scuro, aveva incrociato il suo sguardo, ascoltato la sua risposta. Le aveva voltato le spalle e se n’era andato, livido d’ira, furioso come non era mai stato in vita sua.
Non riusciva a pensare ad altro.
L’aveva tradito.
Gli aveva mentito.
Lei…
Angela aveva opposto una strenua resistenza alle sue accuse, ma era dovuta capitolare per forza di cose quando l’aveva messa di fronte alle prove schiaccianti che dimostravano le sue colpe.
Una profonda amarezza gli aveva bloccato lo stomaco: il suo giudizio su quella donna si era rivelato completamente sbagliato, si era fatto prendere in giro come un ragazzino, era stato usato e se quelle foto non fossero arrivate in tempo, sarebbe stato un giocattolo in mano a lei per tutta la vita.
Era rimasto impassibile, glaciale, la sua voce profonda aveva risuonato bassa ed implacabile nel grande, modernissimo studio della bella direttrice. Era crollata, aveva ammesso, aveva addirittura pianto, ma quelle lacrime lo avevano lasciato del tutto indifferente. Era ferito nell’orgoglio, e deluso. Deluso di se stesso. Profondamente. Si era lasciato ingannare, aveva frettolosamente preso una decisione che avrebbe influenzato il resto della sua esistenza, per cosa? Perché si sentiva solo? Per quel poco di invidia che provava nei confronti dei suoi amici che vedeva felicemente sposati  e con figli? Per quel senso di vuoto che l’attanagliava ogni qual volta rientrava nella sua enorme villa?
“Idiota”  continuava a ripetere dentro di se mentre il suo sguardo scuro inchiodava impietoso l’ormai ex fidanzata all’elegante poltrona sulla quale si era lasciata andare, pallida e senza fiato, le carte ormai scoperte.
L’aveva lasciata lì, con una foto che la ritraeva nuda col suo amante gettata sulla scrivania, ammutolita dalla disfatta.
Ad aspettarlo, là fuori, lei…
Impeccabile, controllatissima come sempre, aveva incrociato il suo sguardo e l’aveva retto senza batter ciglio.
Se fino a pochi istanti prima la sua furia era ghiaccio, quel ghiaccio aveva preso fuoco e lo stava letteralmente divorando. Aveva stretto i pugni nel tentativo di contenere il desiderio di prenderla per le spalle e scrollarla, di urlarle addosso tutta la sua frustrazione, di chiederle perché…
Perché lei, pur sapendo, non gli aveva detto nulla…
Perché lei lo aveva tradito…
“Si”  aveva risposto semplicemente alla sua domanda, alla sua accusa...
La  voce pacata e ferma, quella stupida sillaba pronunciata con freddezza, continuavano a martellargli il cervello, colmandolo d’ira, dolore, delusione.
Aveva guidato a velocità sostenuta, incurante del traffico, immerso in un marasma di pensieri, considerazioni, concentrato nel disperato tentativo di cancellare il maledetto ricordo di quel sorriso che non faceva altro che trafiggergli il cuore, torturandolo dal primo momento nel quale aveva compreso l’accaduto.
Perché lei sapeva.
E non gli aveva detto nulla…
Le gomme slittarono sulla ghiaia del vialetto quando arrestò violentemente il coupet nero davanti a casa.
Si lasciò andare un istante sul sedile, deglutendo e serrando gli occhi. Si passò un mano sul viso e solo allora si accorse  che le lacrime lo avevano bagnato. Sospirò, asciugando il volto ed uscendo piano dall’auto.
Aprì il portone e rimase un istante immobile al centro del grande atrio illuminato ormai dalla calda luce del tramonto, vuoto.
Come il suo cuore.
Si avviò con passo stanco verso la sala, notando automaticamente che il maggiordomo aveva ordinatamente riposto i gioielli che lui aveva gettato a terra sul tavolinetto d’onice dov’erano prima.
Ristette ad osservare l’elegante confezione rossa con sorriso ironico stampato sulle labbra.
“Idiota…”  ripetè ancora una volta in un sussurro.
Sul modernissimo tavolo in cristallo erano ancora sparpagliate carte e foto. Scosse il capo, sospirando e serrando la mascella.
Stava per abbandonarsi pesantemente sulla grande poltrona accanto alla libreria, che la sua attenzione venne attratta dal grosso tomo posato lì accanto.
Furia.
Dolore.
Frustrazione.
E lacrime.
Lo afferrò, scagliandolo lontano con veemenza, una sola parola gridata nel silenzio della grande casa “Perché?”  mentre l’oggetto rovinava contro un muro, finendo in terra, scompostamente aperto, la solita cartina sfuggita dalle ultime pagine e semipiegata lì vicino.
Si lasciò andare sul soffice alcantara blu, tenendosi  la testa fra le mani, le dita che artigliavano i corti capelli neri nello sciocco desiderio che quel poco dolore fisico l’aiutasse a distoglierlo da quello lancinante che provava nell’animo.
Vuoto.
Un grande, immenso, desolatissimo vuoto.
Questo era quello che vedeva guardandosi dentro.
Il piccolo scrigno malamente scassinato, gettato in un angolo e svuotato di tutti i suoi tesori.
Così si sentiva.
Derubato.
Di quell’unico, preziosissimo tesoro tenuto in serbo per tanto tempo, di quel piccolo segreto che per anni gli aveva dato la certezza che se una volta il suo cuore aveva battuto, incantato da quel sorriso dolce, forse un giorno l’amore vero sarebbe arrivato anche per lui.
Un suono fastidioso lo raggiunse nel profondo del pozzo scuro dove si era calato a crogiolarsi nel languore della disperazione, quello del telefono che squillava insistentemente.
Si levò in piedi come un automa e sollevò svogliatamente la cornetta  “Pronto…”
“Herr Wakabayashi?”  chiese una voce maschile sconosciuta dall’altro capo.
“Sono io…” rispose sospirando e storcendo la bocca, mentre con due dita massaggiava gli occhi. La testa gli doleva maledettamente e non aveva alcuna intenzione di sottoporsi all’ennesima intervista, ma la buona educazione gli impediva di chiudere il telefono in faccia all’altro prima di sapere cosa diamine volesse.
“Mi chiamo Klaus Reiner. Forse il mio nome non le dirà gran chè…” no, effettivamente non gli diceva nulla  “Sono l’ex fidanzato di Angela Weiss..”
Un sorriso ironico gli piegò le labbra mentre rispondeva sarcastico “Beh, abbiamo una cosa in comune, direi!”
“Lo so. Parte del materiale che ha ricevuto oggi è opera mia…”
“Parte?” per un istante non respirò, mentre un dubbio si insinuava nella sua mente.
“Angela è sempre stata molto furba, come avrà potuto notare, ed è sempre stata efficientemente coperta dalla sua segretaria, come lei saprà…”
“Già…” pensò, sentendo amaro in bocca.
“Ed è proprio grazie a freuilain Schumacher che sono riuscito a raccogliere tutto quel materiale. Anche se la mia storia con Angela era finita da un pezzo… diciamo che non amo farmi prendere in giro…”
Non stava più ascoltando ciò che l’uomo gli stava dicendo, la rabbia lo aveva abbandonato di colpo, lasciandolo tramortito, incredulo.
Si appoggiò alla parete con la schiena,il capo reclinato all’indietro mentre un “grazie” sospirato a fior di labbra sfuggiva, trascinando con se dolore ed amarezza.

Chiuse adagio il libro, posandolo sulle ginocchia, ed abbandonò il capo all’indietro, socchiudendo gli occhi.
Il viso era finalmente disteso dopo quei giorni di fuoco che avevano seguito l’annuncio dell’annullamento del matrimonio. Addirittura un accenno di sorriso vi aleggiava, mentre un sospiro sfuggiva dalle labbra ed un braccio scivolava mollemente rilassato dal bracciolo della poltrona a sfiorare il morbido tappeto.
Era finita, finalmente…
Riaprì gli occhi e si voltò pigramente a guardare fuori dalla finestra. Era buio, il giardino era solo fiocamente illuminato dalla luce della luna, filtrata da sottili nubi che solcavano il cielo sopra Monaco. Si levò piano in piedi,  abbandonando il tomo sui cuscini, osservando il riflesso del proprio viso nel vetro.
Sì, era finita, tutto era come prima.
O quasi.
Si avvicinò alla finestra e vi posò la fronte, lasciando che il gelo proveniente da fuori gli causasse una scossa piacevole in tutto il corpo.
Riaprì gli occhi e guardò un istante l’alone che il fiato caldo lasciava sul vetro. Uno sciocco gioco da bambini… Sorrise.
No, non era vero, non era tutto come prima. All’apparenza poteva esserlo, ma dentro di lui qualcosa era cambiato.
Quella storia aveva lasciato il segno, e che segno. Non sarebbe stato facile per una donna conquistare la sua fiducia, per non parlare del suo amore.
Amore.
Si scostò dalla finestra, guardando il buio fuori senza in realtà vedere realmente nulla.
“Eppure non penso a lei…”
Non era l’immagine della bella, coinvolgente, sensuale e bugiarda ex fidanzata a tormentarlo quando pensava a quella parola...
Era il ricordo lontano di un sorriso che l’aveva sconvolto secoli prima. Quel ricordo del quale si era sentito defraudato poche settimane prima nel sentirsi rispondere quel “si” che non avrebbe mai voluto udire, davanti al quale era fuggito senza chiedere spiegazioni, furioso.
Non l’aveva più rivista da allora, sapeva solo che si era licenziata.
“Non ti ho neppure detto grazie…”  sussurrò, sospirando, e di nuovo un buffo alone ricamò il vetro, ricordandogli il bianco gelido della pista di pattinaggio. Respirò piano il freddo proveniente dalla superficie liscia e si lasciò trasportare da quel desiderio improvviso che l’aveva colto.
“Ma si… tanto che mi costa?” si disse attraversando la  stanza a grandi passi mentre infilava il giubbotto al volo.


Il locale era quasi deserto, la musica ormai spenta, il silenzio rotto solo dal tintinnio dei boccali vuoti che la ragazza stava riponendo ordinatamente sul bancone.
Quando la porta si spalancò, non guardò neppure chi fosse il nuovo avventore e l’aggredì col suo solito  “Siamo in chiusura, non si serve più birra!”
“Dov’è?”
Spalancò gli occhi verdissimi e si voltò di scatto, riconoscendo la voce profonda che aveva posto quella domanda.
“Wakabayashi, cosa?...” non terminò la frase, inchiodata dallo sguardo duro d’alabastro che la stava letteralmente trafiggendo.
Si sentì ripetere la domanda piano, quasi sottovoce, ma con un tono che pretendeva una risposta.
“Rebecca, dov’è lei? Tu lo sai e questa volta devi dirmelo!”
La ragazza abbassò lo sguardo, incapace di reggere quello magnetico del portiere, e rispose  “Dove sia stasera, non lo so… So di certo che domani se ne andrà da Monaco. Ha trovato lavoro in Svizzera e si trasferisce là con la madre…”
Gli parve che il mondo gli stesse crollando addosso. Serrò le mascelle, deglutendo a vuoto e stringendo i pugni, furioso e… impotente.
Non voleva perderla di nuovo…
Perderla?
Non era mai stata sua, non ci aveva mai minimamente pensato… o si?
Era sempre e solo stata un ricordo da ragazzino adolescente, eppure l’idea che sparisse nuovamente dalla sua esistenza gli era insopportabile.
“Davvero non sai dove sia?”  chiese, quasi sottovoce.
Il caschetto biondo dondolò triste in segno di diniego.

Il palazzetto era deserto, l’orario di apertura al pubblico terminato da un pezzo, eppure la pista era ancora illuminata e il ghiaccio, ripristinato da poco, pareva un’enorme specchio candido.
Tirò un lungo respiro, lasciando che l’aria fredda le aggredisse la gola ed i polmoni, dandole quel brivido secco alla spina dorsale che l’elettrizzava. Si tuffò nel suo regno, leggera, abituando con gradualità gli arti alla fatica ed al movimento.
Scambiò un sorriso con l’omone seduto dietro la consolle della musica.
Provò un salto, una trottola, un angelo.
Quella sera le veniva tutto così facile…
Amava quel posto, lì aveva gareggiato la prima volta. Non aveva vinto, no. I suoi successi avevano avuto il loro principio e la loro fine nel grande palazzo del ghiaccio ad Amburgo.
Ma per lei quel piccolo palazzetto aveva un chè di speciale: era il luogo dove per anni aveva continuato ad esercitare quella sua passione, dove aveva sognato, sperato, pianto.
Dove aveva visto realizzarsi, se pur per pochi, brevissimi istanti, il suo desiderio di ragazzina..
Era forse l’ultima volta che calcava quel ghiaccio.
Voleva dargli un addio speciale.
Si posizionò in mezzo alla pista e fece segno ad Erik.
Volse lo sguardo ad un pubblico invisibile, fissando il vuoto buio che avvolgeva gli spalti. Chiuse gli occhi e sospirò sorridendo, sognando ancora una volta…
Quante volte aveva fantasticato che lui fosse lì, come a quella finale tanti anni prima, quante volte l’aveva sognato, quante volte aveva desiderato tornare indietro nel tempo…
Il fruscio del cd…
La musica che si insinuava nella mente, nelle membra, a farla muovere come se lei fosse la padrona del suo corpo…
First, when ther’s nothingh
But a slow glory dream…
 

Chiuse l’auto e si voltò a guardare la struttura in cemento e vetro che gli stava di fronte. Il parcheggio era deserto e tutt’intorno buio e silenzio.
Una folata di vento freddo gli sferzò il viso ma non vi fece caso.
Affondò le mani in tasca e si avviò piano in direzione dell’ingresso che era illuminato solo dalle luci di emergenza.
Non sapeva esattamente perché si trovasse in quel luogo…
Dopo essere uscito dal locale di Reb era rimasto seduto in macchina almeno venti minuti ad occhi chiusi, la testa reclinata all’indietro, la mente vuota.
Poi, all’improvviso, aveva messo in moto ed era arrivato lì…
Si accostò alla porta e con sorpresa  la trovò aperta. Un tuffo al cuore ed un filo di speranza… Abbassò la maniglia ed entrò.
La musica lo investì catapultandolo nel passato.
Rimase nell’ombra degli spalti a fissare la sottile figura vestita di nero che ricamava complicate figure sulla superficie gelida, senza esitazioni e senza errori, con quella leggiadra naturalezza che l’avevano incantato tanto tempo addietro. Ricordava perfettamente l’esercizio, l’aveva stampato nella memoria.
Smise di respirare un istante quando le vide caricare i salti ed il fiato formò una nuvoletta quando sospirò sollevato, vedendola riceversi in maniera impeccabile ed elegante.
L’ultimo salto.
L’ultima sequenza di trottole.
Lo stop improvviso, la mano destra tesa nella sua direzione, nello sguardo la consapevolezza di non aver sbagliato nulla.
La vide spiccare un salto di felicità, ruotare rapida su se stessa, abbracciandosi stretta per poi restare al centro della pista. Le braccia intorno al corpo, il capo chino e calde lacrime di soddisfazione che rigavano in viso per poi cadere lente, attraversando l’aria gelida, andando infine a fondersi col candore del ghiaccio.
Aggirò lentamente la pista, passando accanto ad Erik che sul momento fece per fermarlo e poi, riconoscendolo, lo lasciò fare, sorridendo silenziosamente prima andarsene.
Aprì lo sportello ed azzardò qualche passo cauto sulla superficie scivolosa.
Non si era accorta di essere osservata, completamente presa dal suo mondo, dalla sua passione.
Era felice, come poche volte lo era stata negli ultimi anni.
Tutto le era risultato semplice, spontaneo. Si sentiva leggera, soprattutto nell’animo: finalmente era in pace con se stessa.
Rimase un poco al centro della pista, piangendo una volta tanto di felicità, rilassandosi mentre la piacevole sensazione di torpore che seguiva la fine dell’esercizio si fondeva con il freddo dell’aria a contatto col corpo.
Si voltò e, sempre a capo chino, scivolò piano verso l’uscita, la vista ancora annebbiata dal pianto.
Non se l’aspettava.
Trattenne a stento un grido, che le morì soffocato in gola quando incrociò il suo sguardo,venendo avvolta da quel profumo leggermente amaro che la rese incapace di qualsiasi reazione mentre un paio di braccia forti l’afferravano con delicatezza.
“Avrei dovuto immaginare che ti avrei trovata qui…”
Un sorriso dolce, dolcissimo ed il nero profondo di quegli occhi in cui immergersi per non uscirne più. Il calore del suo corpo, del suo abbraccio, contrastavano col gelo che li circondava. Era morbido, accogliente, rassicurante.
Lasciò che quelle sensazioni che l’avevano travolta la stordissero, mentre l’emozione profonda di trovarsi a stretto contatto con lui la sconvolgeva piacevolmente.
Affondò tra quelle braccia che la stringevano con delicata fermezza, appoggiò la fronte al suo petto, ascoltando il battito un poco accelerato del cuore.
Non seppero mai per quanto tempo fossero rimasti così, immobili ed in silenzio, immersi nel candore gelido del ghiaccio, respirando piano, quasi temendo il più piccolo rumore potesse infrangere quell’atmosfera incantata.
Avvertì la stretta farsi più forte,dolcemente possessiva, mentre il suo respiro tiepido sul collo  provocava un brivido di piacere mai provato.
Sollevò piano il viso, ancora trasognata, desiderando che il tempo si fosse fermato per l’eternità.
Una mano salì ad accarezzarle le gote, asciugando piano le lacrime che ancora le bagnavano.
“Perché sei qui?” seppe solo chiedergli in un soffio.
La guardò con dolcezza, silenziosamente. Posò piano la bocca sulla sua ed un’antica emozione, fatta di calore che bruciava nel petto e travolgeva l’anima, s’impadronì finalmente di lui.
Si scostò appena, lasciando che le labbra sfiorassero ancora quelle di lei  “Devo restituirti qualcosa che ti appartiene…”




 

   
 
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