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Autore: Artemisia89    30/06/2007    4 recensioni
Spin-off da Our ashes [There Were Us] di Helen Lance. [Buon compleanno, paperella]:"Sono morti tutti quanti, Sakura"
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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[Sono morti tutti quanti, Sakura]

Quindi, voleva dire che era rimasta solo lei.

Waste Lands [in our hearts]

La polvere sui vetri opalescenti della finestra, brillava quando una luce casuale [e mai così benedetta] la accarezzava. Era un brillio temporaneo, che poi cessava, veloce com’era nato. Lei, osservava, seduta sulla vecchia sedia da bambina. [E non sapeva più fare altro].

Dietro la finestra c’era lei. Lei, con i suoi occhi e la sua camera [immensa ]immersa nel buio. Il resto era silenzio che tentava disperatamente di infrangersi contro quei vetri polverosi [come la sopporti quell’assenza di parole?]

Lei aveva [non] gli occhi di [puoi] foglia, glielo dicevano sempre. Era un bel verde smeraldino che faceva girare la testa ai ragazzi, [non]il verde tenero e intenso che [puoi] era preludio di primavera. Di un qualcosa eternamente in procinto di sbocciare [che all’atto di maturazione, non arrivava mai].

Lei però aveva occhi solo per Sasuke-kun [Sono tutti tuoi, Sasuke-kun, strappameli pure], come la Luna. La vorrebbero tutti, così bella, piccola, luminosa di perla, ma solo la Terra l’aveva, lei girava solo per il suo pianeta [così cieca da fare quasi tenerezza]

Solo che era autunno [e d’autunno le foglie cadono] e la primavera con le sue gemme, e i suoi fiori delicati era stata risucchiata via tutto ad un tratto. Apparentemente senza rumore, per l’appunto in silenzio.

Si scendeva in strada e si giocava a contare le foglie brune che si annidavano sotto i marciapiedi, o sui balconi delle case. Le si faceva volare sul pelo dell’acqua, così, come se fossero delle barchette di legno [con cui poter scappare] con cui salpare e sognare di andare lontano, lontano, verso posti [terribilmente irreali] meravigliosi.

Ad un tratto però, sorprendentemente era sceso il freddo [nel cuore]. Un freddo a cui non puoi credere, giunto nel posto sbagliato al momento [non c’era momento più] sbagliato [inadatto dei nostri giorni].

Un freddo insidioso, che ti costringe all’immobilità. Il freddo [del cuore] delle città aride, delle terre desolate. Quei villaggi fantasma in cui ormai non c’è più nessuno e da cui, quando il vento le attraversa, capita di sentire voci sprigionarsi dalle case vuote, dalle stanze mute, dai giardini rinsecchiti.

Anche nei deserti è così: lì il calore del giorno svanisce presto e il freddo strappa via quanto di nuovo è nato. Sulle terre desolate, il sole è un padrone inutile di distese di morte [perché andarono tutti a morire].

E lei era rimasta indietro. [Lei aveva deciso di vivere]

Aveva bruciato tutte le foto, e avvicinandosi al fuoco si era riscaldata. [Aveva sfruttato i suoi ricordi, così, come una prostituta eternamente fraintesa]

L’album dall’aspetto falsamente consunto aveva scoppiettato a lungo nel fuoco [aveva rovistato tra i colori con una furia silente], lei aveva guardato le fiamme dipingere un alone chiaro nella stanza, la luce lambiva un po’ tutto quanto [e di conseguenza le ombre si allungavano sempre di più] ma i contorni si facevano sempre più sfocati, sempre meno netti.

Non poteva pensare alle lacrime, in un momento come questo. Doveva essere il fumo, che faceva tremare l’aria. Davvero. Lei non aveva più lacrime [non c’è fiume che scorra nelle terre desolate].

Diede le spalle al fuoco dunque, e guardò fuori dalla finestra, che rimaneva sempre lì, indifferente, monumento e vessillo della sua solitudine. Il villaggio era spento, e filtrato dai vetri, appariva ai suoi occhi [spenti] come una vecchia fotografia d’epoca. Le strade come dei fiumiciattoli d’argento, i palazzi come delle montagne nere, le persone come ombre di idee confuse di alberi scuri.

Solo che lei, una foto così triste non l’avrebbe mai scattata. Colori troppo bui per i suoi occhi brillanti [che come le foglie, di luce vivevano]

Le sue foto sapevano di vita, di gioia furiosa, di mitezza improvvisa. Sapevano di sole, anche di sale a volte, avevano i colori forti del cielo, del sole, dei campi di grano in cui perdersi e mai più ritrovarsi, erano fresche come l’acqua più pura e sonore come le risate di cui divenivano preda quando nelle serate d’estate si sedevano, tutti quanti insieme sotto i pergolati che stordivano con i loro profumi e portavano le lanterne e raccontavano le Centostorie e parlavano di fantasmi e ridevano, ridevano, perché dovevano ridere, dovevano burlarsi delle cose morte perché loro erano così prepotentemente vivi da non poter concepire una cosa così buia, così fredda, così immobile.

Avevano i colori aggraziati di giardini segreti, di viali disegnati con pennellate d’inchiostro nero, avevano una luce brillante e intima nascosta in occhi che tutto vedono [vedevano, ormai], possedevano l’emozione complice dell’amicizia e il seme più puro di un amore [a cui era rimasta fedele solo lei].

Le sue foto erano attimi rubati ad una corrente vitale che fluiva sinuosa in mezzo a loro, attraversandoli, inondando i corpi, bagnando le anime e sui loro visi sbocciavano sorrisi [e non] talmente irresistibili che ne [torneranno mai] causavano immediatamente altri [mai, mai più], e ancora, ancora come un vortice, come una spirale, non potevano che tornare all’origine e sentire che non erano mai soli, che nessuno in realtà poteva mai restare indietro, che c’era un qualcosa che li attirava sempre in un unico punto. Lo capivano quando si fermavano e portavano lo sguardo su, al cielo, quando seguivano lo svolazzar tardivo di una falena attorno al fuoco per chiudere gli occhi un attimo prima che bruciasse [per chiudere gli occhi prima di vedere la morte].

O quando il fumo di una sigaretta svaniva, mentre saliva in sinuose volute e la bocca, infine si chiudeva.

[forse tutti quanti avevano chiuso gli occhi, un attimo prima di morire]

Sakura aveva avuto questa splendida [illusione] visione.

Era nata in un giorno d’Aprile, come una rosa selvatica e in maniera [ossessiva, quasi] dolce e aggraziata l’aveva avvolta, non l’aveva più abbandonata. Lei alla vita non avrebbe rinunciato mai, a questo pensiero era giunta. [Davvero, mai]

Lei era ancora viva

[Dunque era rimasta sola]

Senza accorgersi che i suoi splendidi occhi, avevano rinunciato a vedere già da molto, molto tempo.

***

One shot totalmente e assolutamente dedicata alla mia amora, che tutti voi conoscete qui come Helen Lance.

Per il compleanno della mia adorabile paperella, avrei voluto scrivere qualcosa di davvero felice. Qualcosa che avrebbe saputo lasciarla con un sorriso sulle labbra. Ecco, credo che queste 1000 parole siano la prova lampante del fatto che non ci sia riuscita. Però tesoro, spero che questa mia storia sia un invito a non lasciar sfuggire via i giorni, questi "giorni di perla" che sono i veri colori delle nostre fotografie.

Ti voglio bene tesoro, queste pagine sono tutte tue.

Tanti auguri di buon compleanno!

Con tutto l’affetto di cui sono capace.

Artemisia

  
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