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Autore: Madnesss    14/12/2012    2 recensioni
Sono passati quasi vent’anni da quando intrattenni una conversazione che avrebbe cambiato la mia vita. Vent’anni da quando quel ragazzino giunse nel mio ufficio e mi raccontò forse la storia più fantastica che avrei mai sentito in tutta la mia vita. Una storia il cui ricordo è rimasto vivido nella mia mente in tutti questi anni. Ovviamente, all’inizio fui scettico; ma ora, dopo così tanti anni, dopo la vita che ho vissuto da quella conversazione, non posso far altro che tornare indietro con la mente a quel giorno provando rimorso, senso di colpa e ora, infine, paura.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Sono passati quasi vent’anni da quando intrattenni una conversazione che avrebbe cambiato la mia vita. Vent’anni da quando quel ragazzino giunse nel mio ufficio e mi raccontò forse la storia più fantastica che avrei mai sentito in tutta la mia vita. Una storia il cui ricordo è rimasto vivido nella mia mente in tutti questi anni. Ovviamente, all’inizio fui scettico; ma ora, dopo così tanti anni, dopo la vita che ho vissuto da quella conversazione, non posso far altro che tornare indietro con la mente a quel giorno provando rimorso, senso di colpa e ora, infine, paura.
 
A quei tempi ero un preside in una scuola elementare nel Northamptonshire, a sei anni circa dalla pensione. Un ragazzino di nome Chris venne mandato nel mio ufficio per aver chiuso a chiave due altri scolari nel magazzino, uno spazio in cui tenevamo gli strumenti per le lezioni di scienze che si tenevano nella scuola. Lo conoscevo, e sapevo che era un bravo studente; una volta aveva condiviso del lavoro in un’assemblea scolastico. Mi era sempre sembrato abbastanza intelligente e un po’ timido. Quel giorno non era così. Stava facendo un gran baccano, ricordo, dopo essere stato spedito da me.
 
“Non è giusto, non è proprio giusto”, continuava a ripetere mentre Judy, la sua maestra, lo trascinava praticamente dentro a forza; mi spiegò la situazione e poi se ne andò per tornare nella sua classe. Ricordo che mi sedetti silenziosamente e gli tirai un’occhiata dalla mia scrivania, lo sguardo severo che riservavo per situazioni simili. Lo ripeté ancora e ancora:
 
“Non è giusto; non dovrebbe andare così”.
 
Aveva un’aria strana; era preso dal panico e sconforto, ma non nel modo in cui ci si aspetta che si comporti un bambino di dieci anni mandato nell’ufficio del preside. I suoi occhi guizzavano avanti e indietro, come i miei hanno fatto tante volte quand’erano presi da raffiche di pensieri che scorrevano rapidi. Alla fine, parlai imponendo la mia voce sulla sua.
 
“Christopher. È davvero deludente”.
 
Pronunciavo sempre un nome interamente quando dovevo sgridare un bambino, rende la cosa molto più seria. Lui se ne rese vagamente conto e continuò a ripetere quelle stesse parole, dando un’occhiata di qua e di là, con aria completamente confusa.
 
“Christopher. Christopher. Guardami negli occhi mentre parlo, Christopher!”.
 
Ricordo di aver alzato la voce quasi come se avessi urlato mentre pronunciavo per l’ultima volta il suo nome, cosa che facevo raramente. Il suo sguardo si abbassò al mio e rimase zitto. Mi aspettai di vedere che gli si facessero gli occhi lucidi; è una cosa orribile far piangere un bambino, e così ricominciai, con tono più calmo:
 
“È deludente che ti abbiano mandato…”
 
“Sentite, qualcosa è andato storto da qualche parte. Non dovrebbe andare in questo modo”.
 
Ero scandalizzato dal fatto di essere interrotto, ma ciò che mi colse di sorpresa e che mi lasciò senza parole per quei pochi momenti in cui continuò a parlare fu il modo in cui si esprimeva. La sua voce era quello di un ragazzino, sicuro, ma era come se fosse sotto il controllo di qualcuno di molto più grande. Il modo in cui formulava le frasi era chiaro e preciso, il suo tono in qualche modo maturo e serio.
 
“Devo solo riflettere per un secondo, posso riordinare tutto. Ho solo bisogno di riflettere”.
 
I suoi occhi tornarono a scoccare avanti e indietro. Ormai avevo ritrovato la mia voce.
 
“Mi aspetto che mi ascolti mentre parlo con te, giovanotto. Non interrompermi mentre sto parlando”.
 
Il suo sguardo si fissò di nuovo su di me, e disse qualcosa prima che potessi continuare.
 
“Certo, certo, va bene. Ascoltate, datemi soltanto cinque minuti per parlare, ok? Cinque minuti, è tutto ciò che vi chiedo”.
 
Non sono sicuro di cosa me l’avesse fatto fare; forse fu solo la particolarità della situazione in sé, fino ad un certo punto. Mi misi comodo sulla mia sedia, presi la mia pipa migliore e cominciai a riempirne l’estremità di tabacco, poiché era ancora permesso in Gran Bretagna a quei tempi di fumare all’interno di un edificio.
 
“Cinque minuti”.
 
Accesi la pipa e la accompagnai alla mia bocca, facendogli segno che si sedesse di fianco alla mia scrivania, cosa che fece, e parlasse.
 
“Ok, come faccio a… sono stato qui prima, non proprio in questa situazione, ma in questa scuola, in questo momento; ho vissuto tutto ciò prima. Io… avete mai visto il film ‘Ricomincio da capo’?”.
 
Scossi la testa.
 
“Ok, beh… avete mai pensato di tornare indietro nel tempo, in un istante preciso, però come siete adesso? Tornare indietro per rifare parte della vostra vita con la conoscenza che avete adesso? Beh, questo è ciò che è successo a me, è solo… è solo che non posso controllarlo, e non posso fermarlo”.
 
In quel momento si allontanò un po’ con la sedia, la sua faccia si fece cupa mentre guardava fuori dalla finestra di fronte alla stanza.
 
“Vivo normalmente fino al mio trentesimo compleanno, e poi mi sveglio come un bambino di quattro anni, in una casa in cui non ho vissuto per ventiquattro anni. A sentirlo così sembra bello, essere di nuovo giovane, riuscire a tornare indietro e a fare meglio le cose… ma è un incubo. La prima volta, tuttavia, mi diedi delle arie, prima che tornassi indietro avevo conseguito il dottorato in filosofia, potevo svolgere calcoli complessi di matematica, citare Shakespeare, suonare il piano; era divertente. Ero un prodigio. Ma tutta l’attenzione che mi ricavai fu portata via a mio fratello minore. Non era lo stesso fratello che conoscevo. E la cosa peggiore…”
 
Per la prima volta vidi i suoi occhi ghiacciarsi, e quella voce acuta cominciò a tremare.
 
“Con tanto tempo e impegno impiegati su di me, i miei genitori non ebbero più bambini. Prima avevo un altro fratello e una sorella, e improvvisamente non esistevano più, ed era a causa mia. Provai a spiegare alle persone cosa stesse succedendo, ma è difficile da provare. Dissi loro risultati di partite che non erano ancora avvenute, li avvertì di disastri naturali. Quando si fece evidente che le mie previsioni erano giuste, fui portato via per essere studiato. Costretto ad assumere droghe, in quattro mura bianche. Non potete immaginare quanto siano lunghi vent’anni in una cella imbottita…”.
 
Zittì per un istante, osservando con sguardo assente fuori dalla finestra. Poi i suoi occhi tornarono ad incrociare i miei.
 
“Ma successe di nuovo, mi svegliai una mattina in casa dei miei genitori, più giovane di ventisei anni. Quella seconda volta i miei genitori ebbero altri due figli, ma non erano il fratello e la sorella che avrei dovuto avere. Erano diversi, e gli altri erano spariti. Ora, se provassi a far tornare indietro i primi due, negherei l’esistenza ad altri due bambini. Non potete immaginare il senso di colpa…”.
 
A quel punto si alzò, e venne verso di me per guardarmi oltre la scrivania; la sua testa arrivava appena al di sopra di essa, così che potesse vedermi.
 
“Adesso ho bisogno del vostro aiuto. Questa è la mia ventesima volta. Credo che se riesco a sistemare tutto, se posso mantenere tutto nel modo in cui dovrebbe essere, forse andrà avanti. Forse non dovrò continuare a fare ciò. Non dovevo essere mandato qui, e voi non dovreste parlare di ciò a mia madre. Date un’occhiata…”
 
Prese un pezzo di carta e una penna e cominciò a scribacchiare qualcosa. Me lo diede dopo un secondo. Cosa scrisse esattamente mi sfugge; qualche dimostrazione matematica che sembrava estremamente complessa.
 
“Nessun bambino di dieci anni dovrebbe conoscere questa roba”.
 
Afferrò un altro foglio e ricominciò a scrivere furiosamente. Nomi, date, eventi, e lo passò a me.
 
“So che sembra da pazzi adesso, ma date soltanto un’occhiata. Queste sono cose che devono ancora avvenire, poi vedrete, prendetelo pure. Scommettete sui risultati, fatevi un po’ di soldi. Ma vi prego, non interferite ora, né tantomeno di nuovo. Non dovete essere coinvolti in tutto ciò”.
 
Ricordo ben poco della conversazione dopo di ciò. Le cose che stava dicendo erano ridicole, come potevo credergli? Gli dissi di smetterla di dire così tante assurdità, e lo rimandai in classe. Convocai sua madre nel mio ufficio quando venne a prenderlo, e le parlai di quanto male si era comportato, nonché di questo strano scatto. Tuttavia tenni la sua lista, non so perché lo feci, ma la tenni, archiviata al sicuro nel mio studio a casa.
 
Lessi su un giornale pochi anni più tardi che Chris si era tolto la vita, più o meno intorno al periodo in cui mi disse che avrebbe dovuto nascere il suo secondo fratello. Appresi più tardi che sua madre aveva abortito. Adesso mi preoccupo, e mi domando se è colpa mia. Forse, se avessi fatto come mi ha chiesto, le cose sarebbero andate diversamente, e chissà che conseguenze avrebbe avuto quella conversazione.
 
Adesso è di pomeriggio, e oggi è il 17 luglio 2017, il giorno prima del trentesimo compleanno di Chris. Tutto ciò che c’era sulla lista che quel ragazzo scrisse furiosamente quel giorno è avvenuto davvero. Vittorie di trofei mondiali, uragani, il bombardamento delle Torri Gemelle negli Stati Uniti. Tutto, proprio come l’ha scritto.
 
Adesso però i miei pensieri vanno a domani. Cosa succederà a me? Che ne sarà di mia figlia, i miei nipoti? Se tutto ritorna indietro così che possa nuovamente superare ciò, dove andiamo? Continuiamo senza di lui? O semplicemente non ci sveglieremo mai più, e scompariremo per sempre?
 
Ho vissuto a lungo, e ho fatto molte e grandi cose, ma nessuna mi ha mai colpito quanto quella conversazione, e non ho mai avuto tanta paura quanta ne ho oggi. Se cominciamo davvero da capo, spero, la prossima volta, di prestare ascolto.
   
 
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