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Autore: Brucy    01/07/2007    0 recensioni
One-shot triste, tragica e riguardante una situazione sadica e masochista.
Genere: Triste, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dio che sonno

BIANCO E NERO




Silenzio. La camera è caratterizzata dal silenzio profondo. Tutto è in ordine. La scrivania libera da libri sparsi e fogli spiegazzati. Le scarpe nella scarpiera. Il letto fatto. I profumi messi in fila, a posto. Le penne nell’astuccio. Tutto in ordine.
Tutto tranne lo specchio attaccato alla parete della stanza. Uno specchio alto circa un metro, dove ogni mattina ti ci specchi per prepararti a uscire. Uno specchio vecchio, dalle macchie che non vengono più vie e dalle cornici scheggiate con il colore scuro leggermente sbiadito.
Tutto sarebbe in ordine, se quello specchio esistesse ancora. Le righe profonde lo attraversano dove l’immagine si va a perdere. I pezzi di vetro sono finiti a terra, infranti per colpa di un forte colpo ricevuto. Qualcosa ha colpito l’oggetto, rompendone la metà e scheggiando la parte ancora integra. Ormai non riesci più a specchiarti.
Il riflesso è a metà, ti si vede solo il volto.


Lo osservi, studiandone ogni piccolo lineamento. Da tanto non restavi a guardarti con acuta attenzione. Da tanto non ti osservavi più da vicino. Le mascelle indurite, le borse sotto gli occhi. Un volto sciupato che in quel momento non riconosci come tuo. Non può essere, ti ripeti. Non può essere il tuo volto quello riflesso nello specchio.
Osservi con più attenzione e noti che le labbra sono mordicchiate, mentre gli occhi esprimono poco e niente. Ti soffermi su di essi, chiedendoti se veramente quelle iridi ti appartengono.


Un sorriso appena accennato si fa spazio sulle tue labbra screpolate. I tuoi occhi, il punto in cui la gente cerca risposte, esprimono cose molto particolari.
Calma, tranquillità, gioia, spensieratezza.
Devi ammettere che come attrice potresti fare carriera, visto che tutte queste emozioni sono solo menzogne. Ti complimenti da sola per il fatto di vivere nelle bugie da anni, dal tempo in cui hai smesso di ingannarti. Dal momento in cui hai smesso di prenderti in giro, guardando il mondo come bisognava fare.


Sposti lo sguardo sui cocci di vetro sparsi a terra. Come sai, generalmente non si toccano ma si tolgono usando una scopa e una paletta. Usando le mani nude si corre il rischio di farsi male.
Sai bene cosa ora stanno esprimendo il tuo volto e i tuoi occhi.
Niente.
Sono privi di emozioni. Il nulla è ciò che li caratterizza. Il nulla assoluto. No, ti dici. Fai come hai sempre avuto intenzione di fare. Come hai sempre fatto. Li lasci lì dove si trovano. Non hai intenzione di spostarne nemmeno uno. Non puoi. Non devi.
Sì, perché tu sei il classico tipo che se non ci sbatte contro la testa i pericoli non li vede proprio. Non potresti chiamarli pericoli, ma il succo è quello. Il concetto è il medesimo. Finchè non ti farai male non li considererai. Poi, quando succederà, potrai anche pensare nel ripulire il pavimento. Solo in quell’istante. Solo se vorrai.
Sai bene a cosa attribuisci nel gesto di non raccoglierli. Sai bene cosa significa veramente il farti male senza aver prevenuto nulla. Ti serve per ricordare.
Per non dimenticare quanto sei superiore alla razza umana. Come sei troppo malvagia per poter essere paragonata a un altro essere vivente. Non è possibile farlo. Tu sei una creatura troppo cattiva per poter rimanere fra la gente normale, ma ti ostini a non andartene cercando di capire la mente dei mortali. Ti chiedi come fanno ad avere dei buoni sentimenti. Cosa guadagnano nell’averli, cosa danno in cambio per poterli provare.
Vorresti capirli ma ancora non ci sei riuscita.


Tu, oh scherzo della natura.
Tu, oh essere maligno.


Dovresti sparire, e lo sai. Dovresti non uscire più, e lo sai. Dovresti pentirti dei tuoi peccati, dovresti smetterla di provare cose cattive, di godere per i mali altrui. Ma non lo fai.
Ti rifiuti, ti ribelli. Prendi in giro coloro che ti assomigliano organicamente. Coloro che non raggiungerebbero mai il tuo livello di malvagità.


Tu, oh spirito vagante.


Raccogli i dolori degli altri godendo, e sputi ai piedi della felicità. Il bene è un tuo nemico mortale, che non ti appagherà mai come il male. Ti sforzi nel cercare di capirlo, ma più lo osservi e più desideri di starci per sempre alla larga e non averci più a che fare. Si potrebbe dire che ti spaventa, ma è più appropriato dire che ti disgusta completamente. Ti rivolta le membra dall’orrido. Nel vedere qualcuno fare una buona azione, essere felice, non avere problemi ti fa venire la pelle d’oca. La ragione ti porta a voltarti dall’altra parte e non guardare, ma il tuo spropositato orgoglio ti costringe a restare lì ferma. Bloccata a guardare qualcosa che ti ripugna enormemente.
Eppure, il male e il bene si somigliano più di quanto sembra. Sì, proprio così. I cattivi hanno bisogno di provocare dolore, i buoni di eliminarlo. Un bisogno incontrollato. Questo ti disgusta ancora di più.
Essere messa sullo stesso piano di un’anima buona ti fa tremare di rabbia.


Ancora con lo sguardo su quei pezzi di vetro, stringi i palmi con espressione omicida in viso. Hai voglia di fare qualcosa di avventato. Il desiderio di provocare dolore ti brucia il sangue nelle vene, che passa per tutto il tuo corpo.
Da spenti, i tuoi occhi si animano di intenzione assassina. Hai lo stesso sguardo di un cacciatore in cerca della preda. Prima o poi ti arriverà qualcuno fra le mani al momento sbagliato, e tu coglierai al volo l’occasione. Non puoi lasciar perdere una possibilità del genere. Ti viene offerto qualcosa su un piatto d’argento, con tanto di posate e tovagliolo, e tu cosa fai? Ti tiri indietro?
Mai e poi mai.


Da omicida, il tuo sguardo diviene distaccato, indifferente. Attaccato alla realtà, ma pur sempre altrove. Stai pensando.
Stai pensando a cosa vorresti veramente fare. A cosa saresti capace di fare se l’istinto battesse la ragione e l’orgoglio.
Cosa faresti togliendo i freni che tu stessa ti sei imposta?
Cerchi di fermare i tuoi pensieri confusi su un’unica immagine, che ti ritrae nel momento stesso in cui compi un gesto malvagio.


Sposti le iridi acquose su ogni pezzettino minuscolo di vetro. Li guardi velocemente, tanto che potrebbero venirti le vertigini. Te ne freghi e continui a girare lo sguardo, come se di fronte a te ci fosse una trottola e guardassi un solo punto di essa. Ogni coccio ritrae un tuo occhio e mezzo viso, dove spunta anche la bocca.
Cosa faresti senza limitazioni?


Le tue labbra si aprono in un apparente sorriso che si trasforma in un orrendo ghigno diabolico. Ora riesci a vederti.
Riesci a vederti mentre sei davanti a un bambino. Familiare, ma che non ti ricorda nulla.
Ti soffermi a squadrarlo, cercando tra i tuoi ricordi e le memorie nascoste nella tua mente. Nessun filo diretto, nessuna lampadina che si accende. Smetti di porti domande sulla vostra possibile conoscenza quando quel bambino inizia a urlare.
Ti si avvicina e ti tira per una mano, ordinandoti di comprargli gelato al cioccolato. Un grosso gelato al cioccolato, precisa poi. Tu rispondi di no, ma lui continua e continua finchè la tua pazienza dice basta e si piglia le sudate ferie.
Stringi la presa sulla sua mano e lo sbatti con le spalle al muro, accorgendoti solo in quel momento di essere in un vicolo. Lo guardi fredda per poi sorridere sadica alzando la mano e colpendolo sul viso, che si inclina a destra velocemente. Il segno sulla guancia sinistra ora è ben in vista.
Il bambino inizia a piangere mente tu non ti fai problemi e gli tiri un’altra sberla. Gli chiedi se vuole ancora il gelato ma non ti risponde, e tenendolo stretto per la spalla lo colpisci di nuovo.
Piange più forte e gli ordini di stare zitto, prendendo a colpirlo dall’altra parte del viso. Lui invoca il nome della madre, urlando e dimenandosi. Tu stringi forte la presa facendogli uscire un gemito di dolore, e ti sazi di quel suono rilassante.
Gli accarezzi la guancia. No. Non lo fai. La carezza si trasforma subito in una lunga scia dove le tue unghie affilate graffiano il volto del bambino rigato dalle lacrime. Senti le sue urla che chiedono aiuto, e che la pregano di smetterla.
Lo getti a terra guardandolo indifferente, mentre lui si raggomitola su se stesso continuando a piangere. Gli chiedi perché non chiami più la mamma e a quella lui si alza e scappa via, urlando impaurito.
Rimasta sola ti passi una mano fra i capelli, e ricordi di avergli rigato la faccia con le unghie. Fai una smorfia di disgusto, e ti dirigi alla prima fontanella con l’intenzione di sciacquarti per bene le mani.


Alzi un sopracciglio, insoddisfatta. Tutto qua? Solo questo saresti capace di fare?
Maltrattare un bambino lo sanno fare tutti, bambini stessi. E ricominciando a vagare con la mente ti ritrovi di nuovo in un altro posto.
Davanti a te una ragazza è piegata a terra. Da lei arrivano gemiti di dolore. Mentre godi per quel dolce e melodioso rumore, senti appena che ti chiede aiuto. Per un po’ non rispondi, scrutandola in viso. I suoi occhi, sofferenti, nei tuoi, curiosi. Anche lei somiglia a qualcuno che conosci, ma non ti ricordi proprio.
Quando lei ti chiede per la quarta volta aiuto decidi di parlare. Perché dovresti farlo, le domandi senza muovere un muscolo nel vederle uscire all’improvviso una ferita sul braccio. Un taglio superficiale da cui, subito, fuoriesce qualche goccia di sangue. Ti risponde, spiazzandoti, che sei sua amica e che devi aiutarla.
Alzi un sopracciglio, incrociando le braccia. Anche se fossi sua amica perché dovresti comunque aiutarla, dici mentre un taglio si apre sulla guancia sinistra della ragazza. Osservi incantata quel colore così rosso, così intenso. Qualcosa di magico.
Tra i gemiti e i sospiri di dolore ti dice che gli amici si devono aiutare quando questi lo chiedono e poi perché si vogliono bene. A quella rivelazione il tuo interesse per il suo sangue sparisce, e diventi di marmo. Più polare di un ghiacciaio. Le dici che aiutare gli amici è solo un peso in più sulle proprie spalle, che tu non hai amici, e che non le vuoi bene.
Tre graffi sulla fronte, e insieme alle lacrime gocce di sangue invadono il volto della giovane che ti guarda con cuore spezzato. Chiede perché dici queste cattiverie, perché le stai facendo così male.
Scuoti la testa, algida. Perché mi piace, rispondi voltandoti. Mentre cammini senti le sue grida che invocano il tuo nome, che ti chiedono pietà e aiuto.
Non le ascolti, e continui a fare la tua strada rimuovendo quel ricordo schifoso dalla tua mente.


Ti poggi una mano su un fianco, seccata. Quell’occasione sarebbe stata davvero brutta. Fare del male le donava un senso di estasi pura, ma quando non si divertiva proprio la infastidiva non poco. Cerchi un’altra tua immagine, in un’altra occasione.
Una ragazza è steso a terra e non respira. La guardi e capisci che non potrebbe mai farlo visto che è morta. All’improvviso vieni circondata da tante voci, tutte uguali.
Era una brava ragazza, non se lo meritava. Questo dicono.
Non è giusto che a una persona come lei abbiano fatto una cosa simile. Continuano. Sempre sullo stesso piano, le voci mormorano decantando l’anima buona della ragazza.
Sbuffi, continuando a guardarla. La storia si ripete ogni volta. Quando muore qualcuno, la vittima viene sempre elogiata. Immortalata come una persona speciale, magnifica. Se era magnifica perché non ha dato i voti facendosi suora, ti chiedi mentre per l’ennesima volta riconosci qualcosa nella ragazza che ti attira. La tua memoria non vuole proprio lavorare, e ormai capisci che coloro che usi come sfogo mentale sono persone che conosci e con cui passi le giornate. Non riesci a identificarne le generalità, ma sai che li conosci. Se fosse stata una puttana? Se fosse stata una lesbica? Se fosse stata drogata, alcolizzata avrebbe quindi meritato quella fine?
Sghignazzi mentre senti le voci piano piano allontanarsi, e rimani a guardare il corpo immobile steso a terra. Sì, per la gente era così. Se sei diligente e obbedisci agli ordini dei tuoi padroni meriti di vivere, mentre se decidi di non farlo visto che la vita è tua meriti la morte e di peggio. Meno piaci agli occhi degli altri, più ti vengono imposte calunnie.
Il corpo senza vita si muove, e vedi la ragazza che lentamente si rimette in piedi. Non riesci a vederle bene il volto, ma incroci lo stesso i suoi occhi. Li senti. Curiosa ti avvicini, mentre lei si strappa il coltello dal petto.
Ti chiede se sei dispiaciuta, se ti fa pena la sua morte. Le rispondi di no, fissandola interessata.
Non meritavo questa fine, ti dice mentre con lo sguardo ti indica l’arma dell’omicidio. Chi lo meritava dunque, domandi alzando un sopracciglio.
Qualcuno peggiore di me, io non ho mai dato fastidio a nessuno perché proprio a me, ti dice con tono aggressivo. Sei appena morta e auguri la morte ai tuoi inferiori, se ti ha uccisa significa che a quello hai dato fastidio.
E cosa avrei fatto di così tanto imperdonabile da meritarmi la morte, ti chiede sempre più nervosa e aggressiva. Non lo so, ma dovresti saperlo che non servono giustificazioni per le nostre decisioni, rispondi con fare disinteressato.
Tu uccideresti qualcuno senza motivo, ti chiede sgranando gli occhi. Tu taci, per poi ghignare pericolosa e rubare il coltello dalle sue mani. Glielo conficchi accanto al buco che le ha procurato l’ultimo respiro e la vedi sgranare ancora di più gli occhi fissando sia te che il coltello. Non è poi così difficile, te lo assicuro.
Sono morta, questo non vale. Dammi qualche minuto e ti porto le prove, le rispondi con sempre il ghigno sadico in faccia.
Come fai a essere così spietata, nessuno ti ha dato fastidio. Fastidio, fastidio, fastidio, continui con questa lagna, sbuffi sfilandole dal petto l’arma e fissando la lama sporca di sangue. Prima hai detto che quelli peggiori di te meritavano la morte al posto tuo, ma loro ti hanno dato fastidio veramente, chiedi squadrandola. A te non hanno fatto niente, quindi che ragione avresti per condannarli, continui con sguardo ammonitorio.
Lei si zittisce. La guardi e con aria divertita, le infili il coltello nell’addome facendola cadere all’indietro.


Puoi fare di meglio, ovviamente. Ma non continui, alzando lo sguardo alla parte ancora integra dello specchio. Osservi attentamente il punto in cui s’infrange e lo sfiori con l’indice.
Il dito prende a sanguinare e mentre continui il tuo lavoro lasci una scia colorando di rosso la parte scheggiata. Ti abbassi prendendo in mano un pezzo affilato e lo guardi. Sposti lo sguardo sullo specchio, e lentamente lo strisci sulla tua guancia. Vedi formarsi una linea che si colora subito di rosso.
Ti senti incantata, ammaliata da quella figura. Gli occhi sono lucidi, le labbra socchiuse. Finisci la destra e inizi la sinistra. A fine lavoro rimani a guardarti, sentendoti in un’altra dimensione. Non vedi il pavimento sporcarsi di sangue, non vedi la porta che si muove leggermente per uno spiffero d’aria.


Ti avvicini all’immagine senza dare importanza ai tuoi piedi, che scalzi calpestano i cocci per terra. Senti un leggero solletico ma non ci dai importanza. Ti sfiori una guancia, per poi portare entrambe le mani a sfiorarle con le dita. Ora hai il viso tutto sporco di sangue, e sempre con fare ipnotizzato ti bagni le labbra.
Il liquido rosso da loro un colore vivace, intenso, vivo. Passi la lingua su tutta la bocca, gustando il tuo stesso sangue. Sei sempre stata del parere che l’unico tipo di sangue che avresti assaggiato sarebbe stato il tuo. Provare quello degli altri ti da un senso di insicurezza, di sporcizia. Non ti piace l’idea di sentire in bocca il sapore del sangue estraneo.
Come immaginavi, il tuo sapore è amaro. Il tuo cuore accelera di velocità, come per dare conferma alla tua rivelazione. Ripeti la cosa un paio di volte, finchè non senti arrivare l’impulso del dolore. In ritardo, come sempre.


Abbassi lo sguardo, osservando i tuoi piedi e il piccolo laghetto rosso formatosi sotto di essi. Senti pungere fastidiosamente le piante, e arricci il naso. Ti specchi di nuovo, sentendo infiammati i graffi che ti segnano il viso. Porti una mano allo specchio.
Scuoti il capo sorridendo, e lasciando una scia rossastra esci dalla stanza dirigendoti al bagno. A ogni passo senti i frammenti di vetro pungerti i piedi, così appena lo raggiungi inizi a toglierle. Quasi come un automa, svolgi queste operazioni in completo silenzio. Non stai pensando, respiri piano, non fai rumore. Socchiudi gli occhi infastidita quando apri l’acqua per lavare via il sangue. Finisci asciugandoti per bene e andando a fasciarti le parti lese.


Osservi la tua immagine nello specchio rotto, dopo aver concluso ogni cosa e essere tornata in camera. Il tuo viso è tornato pulito. Due grossi cerotti coprono i graffi, mentre le bende fasciano i piedi. Tutto è come prima.
Le mascelle indurite, le borse sotto gli occhi. Un volto sciupato che in quel momento non riconosci come tuo. Non può essere, ti ripeti. Non può essere il tuo volto quello riflesso nello specchio. Osservi con più attenzione e noti che le labbra sono mordicchiate, mentre gli occhi esprimono poco e niente.
Ti soffermi su di essi, chiedendoti se veramente quelle iridi ti appartengono.


Un sorriso appena accennato si fa spazio sulle tue labbra screpolate dal freddo. I tuoi occhi, il punto in cui la gente cerca risposte, esprimono cose molto particolari.
Calma, tranquillità, gioia, spensieratezza.
Devi ammettere che come attrice potresti fare carriera, visto che tutte queste emozioni sono solo menzogne. Ti complimenti da sola per il fatto di vivere nelle bugie da anni, dal tempo in cui hai smesso di ingannarti. Dal momento in cui hai smesso di prenderti in giro, guardando il mondo come bisognava fare.




  
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