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Autore: MissysP    14/12/2012    1 recensioni
Una storia sul primo incontro fra Carlisle ed Esme. Su come siano arrivati ad amarsi e di come Esme ha attraversato l'accettazione della sua trasformazione. La vita non è mai semplice e, a volte, sono di più le cose brutte, che quelle belle, che ci capitano più nell'andare avanti con la propria vita.
Pensieri e sentimenti di una vita tormentata da mille dolori e che non vede una via d'uscita.
Tratto dalla storia:| «Perché?» trovò la forza di domandare, evitando di guardarlo in pieno viso. Se avesse potuto sarebbe arrossita, ma sapeva che il suo aspetto sarebbe rimasto invariato. Carlisle s’inginocchiò davanti a lei e le carezzò il capo, sfilando le lunghe dita pallide fra i suoi boccoli castani. Esme non fece nulla, rimase a godersi quelle carezze che, in qualche modo, la riscaldavano.
«Perché eri giovani, bella ed era ingiusto che la morte si portasse via una persona come te,» rispose in un soffio.
«Tu non sai nulla di me,» replicò lei.
«Tu si?»
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carlisle Cullen, Esme Cullen, Renesmee Cullen | Coppie: Carlisle/Esme
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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Our life togheter
 
 
Esme non aveva rimpianti della sua vita passata.
No, uno c‘è lo aveva. Aver perso il suo bambino, il suo adorato bambino. Il pargolo caldo e paffutello che era riuscita a stringere fra le mani solamente per cinque effimeri minuti. Un angelo dagli occhi color azzurro cielo, guance piene e rosee, un ciuffo di capelli color dell’ambra e un’innocenza sconvolgente.
Poi tutto era cambiato.  Una chissà quale complicazione e i medici e hanno sottratto il suo angelo fra le sue braccia. Esme, disperatamente, aveva tentato di mantenere salda presa sul bambino, ma orma era troppo stanca. Un’infermiera le strappò il suo angelo fra le braccia e poi il mondo fu subito nero. Sprofondò nel buio più completo.
Quando i suoi occhi si riaprirono si ritrovò nuovamente distesa nel suo letto d’ospedale, scombussolata; prese a guardarsi attorno e incominciò a ricordare. L’immagine del suo bambino le balzò in testa e incominciò ad agitarsi. Solo più tardi un’infermiera le disse che non avrebbe più potuto stringere il suo angelo fra le braccia.
La sua vita non era stata facile: i maltrattamenti e gli abusi del marito, ne era sicura, avevano contribuito alla morte del piccino. Ed Esme non poteva sopportare quel dolore troppo forte. Sembrava che il suo cuore fosse arrivato al punto di rottura. Non c’era nulla, niente e nessuno, che potesse risollevarle l’umore. Così un giorno prese quella decisione, l’unica giusta e che le avrebbe permesso di rivedere il proprio angelo.
Era in cima a quella scogliera e con un grosso respiro decise di buttarsi.
Non aveva sentito il dolore, perché non era nulla in confronto a quello che provava nel suo cuore. Aveva chiuso semplicemente gli occhi e si era abbandonata al vuoto che l’aveva inghiottita in un attimo.
Poi aveva aperto gli occhi un’altra volta, con più fatica. Non poteva il dolore che le martoriava il corpo, ma non le importava. Non capiva. Non capiva perché era ancora viva e se avesse potuto, e avuto la forza, si sarebbe messa a piangere dalla disperazione. Non avrebbe mai raggiunto il suo bambino. Perché?
Aveva voltato leggermente gli occhi e si scontrò con il volto di un altro angelo biondo e dagli occhi dorati. Erano pieni di compassione, dolcezza e dolore. Esme non capiva il perché di quelle emozioni, ma sapeva che non voleva che quell’angelo provasse sentimenti simili. Provò a sorridergli per rassicurarlo, a toccargli una guancia pallida e perfetta; ma non ne aveva la forza. Il volto dell’angelo si avvicinava sempre di più a lei e sentì qualcosa di freddo sfiorarle il collo e subito dopo, seguì un dolore lancinante. Insopportabile.
Desiderò di essere morta, di non soffrire mai più. Si era odiata e aveva anche odiato quell’angelo, che le stava causando quel dolore ancora più peggiore di quello che il suo cuore, a pezzi, provava. Perché non poteva raggiungere la pace? Dio non glielo permetteva. Che cosa aveva fatto di male per meritarsi tutto quel dolore infinito?
 
Non sapeva quanto tempo era passato. Il dolore continuava a divorarla, fino a quando non era cessato. All’improvviso. Era stanca di continuare a riaprire gli occhi. Voleva tenerli chiusa, una volta per tutte, ma sembrava chiedere troppo.
Al suo risveglio il mondo era cambiato. Era più colorato, più rumoroso e molti odori la circondavano. Si alzò rapidamente e si stupì nel ritrovarsi davanti alla finestra della stanza. Guardò fuori, osservando il bianco lucente della neve, sotto i pallidi e tiepidi raggi del sole. Notò che non era il giardino dell’ospedale, quello, e incominciò a guardare con interesse il resto della stanza. Era spoglia, se non per il letto ed un enorme specchio attaccato alla parete color crema. Esme fissò l’oggetto e con titubanza si avvicinò. Ci mise un attimo e ne fu sorpresa.
Però, il suo interesse fu catturato dalla figura che lo specchio rifletteva.
Non era lei, non poteva essere lei.
La donna che aveva di fronte era una donna bellissima, sovrannaturale. I capelli ondulati e color ramato biondo, il viso pallido, anche fin troppo, e a forma di cuore. Ma la colpì maggiormente gli occhi. Era di un rosso scarlatto. Un rosso che la inquietava. Sollevò una mano, con l’intento di toccare il volto della donna sconosciuta. Anche lei alzò una mano verso Esme e quando questa guardò la propria mano sobbalzò, spaventata. La sua mano era bianca, come la carnagione dell’altra donna.
«Ben svegliata,» disse una voce maschile alle sue spalle. Sussultò presa alla sprovvista e si voltò di scatto. Spalancò gli occhi e incrociò lo sguardo dell’angelo che aveva visto chissà quanto tempo prima.
«Chi sei tu?» domandò istintivamente e nell’udire quella voce meravigliosa ammutolì, stringendo le labbra. Non capiva che cosa le stava capitando.
«Sei confusa lo so, ma se ti siedi, ti prometto che ti spiego tutto,» la esortò l’uomo, facendole un cenno con il capo verso l’unico letto presente nella stanza. Esme lo guardò, ma alla fine decise di assecondarlo e si sedette sul letto. Congiunse le mani in grembo, sfiorandosi il ventre e si rattristò. Non riusciva a capire il perché di quella sensazione, di quel sentimento. A ben pensarci non ricordava nulla fino a quando non aveva riaperto gli occhi. Tutto le sembrava una patina sfuocata e senza senso.
«Il mio nome è Carlisle e tu ti ricordi il tuo?» domandò gentilmente lui. Esme distolse lo sguardo da quegli occhi dorati, sembravano scrutarle l’anima e si sentiva sporca, inadatta.
«E-Esme…» mormorò dopo un attimo di esitazione.
«Sai che cosa ti è successo?»
Lei scosse la testa, incapace di proferire ulteriormente parola. Aveva paura. Carlisle sospirò, schiudendo gli occhi. Aveva un’espressione stanca e sembrava avere molti più anni di quanto ne dimostrasse. Esme n’era rimasta affascinata.
«Io- esordì riaprendo gli occhi e puntandoli su di lei- ti ho trovato su un lettino d’ambulatorio, eri più morta che viva,» le spiegò lentamente e interrompendosi, asciandole il tempo di metabolizzare le sue parole. Esme rimase in silenzio, credendo che fosse uno scherzo e gli sorrise.
«Davvero,» insistette l’uomo.
«Non può essere, altrimenti non sarei qua… Tu dei essere un medico, ma certamente, e mi hai salvata, medicata o altro… cose da medico, no?» rispose prontamente, perdendo il suo sorriso. Lo guardava con sufficienza, incominciando a credere che quell’uomo fosse un pazzo e l’avesse rapita dall’ospedale.
Lui rimase ammutolito, distogliendo infine il suo sguardo per posarlo sulla finestra.
«No, sei morta,» affermò dopo un attimo.
«E’ impossibile!» esclamò la donna, alzandosi con impeto. Urlò quelle parole con più vemenza con cui desiderasse farlo. Lei era sempre stata una donna calma, tranquilla e difficilmente alzava la voce. «Tu sei pazzo!» lo accusò, come per volersi giustificare.
«Non lo pensi veramente, altrimenti non saresti ancora qui,» le fece notare. Se prima nello sguardo dell’uomo c’era tristezza e compassione, adesso la stava sfidando apertamente. Ed Esme non sapeva che cosa fare.
C’era qualcosa che la spingeva a restare lì, con quel sconosciuto.
«N-non… P-pazzo, sì!» ripeté confusamente. Si abbandonò sul letto, affianco a lui.
La mano di Carlisle prese la sua e la portò al proprio petto. Esme lo guardava spaventata, ma non fece nulla per sottrarsi a quel contatto così piacevole.
«Senti,» le disse.
«Non capisco…»
«Lo senti il cuore?» le chiese. Esme si concentrò, ma non percepiva nessun battito. Guardò l’uomo con ansia e ritrasse la mano.
«C-che cosa sei?» domandò e Carlisle rimase fermo.
«Quello che sei tu»
Esme posò una mano sul suo cuore, ma non percepì nemmeno il suo. Carlisle si alzò e le andò vicino, poggiandole entrambe le mani sulle sue spalle.
«Io sono un vampiro,» le disse con calma. «Tu sei un vampiro»
Silenzio.
«No!» urlò, prima di scrollarsi di dosso le sue mani e fiondarsi vero la finestra. La sfondò, sentendo i frammenti di vetro solleticarle la pelle, si voltò e il mondo le sembrò andare a rallentatore. Tuttavia non si fermò, continuò a correre senza una meta precisa.
 
Non era poi andata tanto lontana. Aveva paura di quella terribile situazione e non era stata, nemmeno, capace di allontanarsi dalla casa di quel medico pazzoide.
Aveva girovagato da sola per il bosco per cinque giorni, troppi e stava morendo di fame, sete. La sua gola le bruciava, provocandole un fastidio enorme.
Un giorno aveva sentito un odore delizioso e presa dall’istinto lo aveva seguito, fino a giungere ad un piazzale dove si erano appostati un paio di adolescenti, in preda agli ormoni. Esme li aveva osservati per tutto il tempo, fino a quando la fame non aveva prevalso. Si era lanciata addosso ai due giovani e guidata dall’istinto aveva saziato quella sete. Quando si era accorta di quello che aveva fatto provò disgusto per se stessa. Era imbrattata di sangue, le sue mani erano completamente tinte da quel colore rossastro, ma non provò orrore, le sembrava naturale. Sì, proprio come un predatore che si ciba della sua preda.
Si ritrovava divisa fra due metà di se stessa e fu in quel momento che capì che Carlisle aveva avuto ragione. Lei era diventata un vampiro. Una creatura immortale, notturna e predatrice. Era diventata un pericolo e si era sentita ancora più sconvolta, sola e confusa. Non aveva idea di come accettare quella nuova condizione e non sapeva che cosa fare, come comportarsi.
Si sentiva così diversa, sbagliata. Non era più un essere umano, ma era certa che prima di diventare un vampiro lo era stata anche lei, un’umana. Una donna calda, con la pelle rosea e un cuore che ancora batteva velocemente nel suo petto. Aveva cercato di ricordare il suo passato, ma non c’era mai riuscita. Era sicura che Carlisle le avrebbe dato delle risposte, ma come poteva ritornare da lui? Era stata colpa sua se si trovava in quella situazione. Era colpa sua se era diventata una vampira e sempre era colpa sua se aveva ucciso quei ragazzi. No, non voleva essere un mostro. Non lo accettava, non voleva accettarlo.
In preda alla rabbia e alla frustrazione scoppiò in un singhiozzo incondizionato. Nel scoprire che non poteva piangere si sentì ancora di più inadeguata. Quello non era più il suo mondo e si sentiva oppressa da quella nuova coscienza.
Continuò a vagare per il bosco, in cerca di una soluzione. Una qualsiasi soluzione che ponesse fine a quel tremendo incubo. Sperava con tutto il cuore che fosse un incubo, che presto si sarebbe risvegliata in un letto d’ospedale e che avrebbe stretto fra le sue braccia il suo adorato bambino.
 
Decise di ritornare indietro, di ritornare da Carlise. Si sarebbe vendicata. Avrebbe trovato il modo di distruggerlo, di riprendersi in qualche modo la sua umanità.
Sapeva che non sarebbe stato facile: il sole non poteva ucciderlo e nemmeno qualunque oggetto appuntito. Lo aveva provato direttamente sulla sua pelle. Ma non si sarebbe arresa. Lo avrebbe bruciato, fatto a pezzi o altro; ma perché al formulare quei pensieri si sentiva male? Perché trovava la sola idea di ucciderlo aberrante?
Una notte si era presentata alle porte del villaggio più vicino, sicura di trovarlo ancora là. Non sapeva che cosa gli dava quella consapevolezza, ma era certa che lui non se ne sarebbe andato senza di lei.
 
Si presentò alla sua porta e bussò con delicatezza. Certamente l’aveva sentita; forse anche prima di arrivare davanti alla porta di casa sua.
Per l’appunto non dovette aspettare molto. La porta di legno si aprì e la figura impeccabile di Carlisle si mostrò in tutta la sua bellezza.
«Entra Esme,» la invitò facendosi da parte. La donna lo fece e, con nervosismo, si avvicinò al camino del salotto, poco dopo l’entrata. Si posizionò davanti al fuoco e fu stupita nel considerare che non percepiva il suo calore. Istintivamente portò una mano vicino a quella fiamma rossa, che scoppiettava, ma non sentiva calore. Solamente quando la mano fu avvolta dalle fiamme riuscì a percepire il dolore. Il dolore di essere bruciata viva. Carlisle la strattonò in modo che ritirasse la mano.
«Non farlo,» la rimproverò osservando con cura la mano.
«Anche se siamo immortali e nulla può farci alcun ché, il fuoco può ucciderti,» le rivelò. Esme rimase in silenzio, continuando a guardarlo negli occhi. Era sicura che, dove prima c’era il cuore, aveva sentito qualcosa battere per una frazione di secondo. Scosse la testa e ritirò la mano, imponendosi di ricordare il motivo per cui era ritornata.
Scattò verso il camino e afferrò un pezzo di legno infuocato, poi corse verso il vampiro che le stava di fronte e cercò di colpirlo. Carlisle rimase fermo ed immobile, non pareva sorpreso da quella sua reazione e non fece nulla per difendersi. Poco prima che  il fuoco lo toccasse, Esme fece cadere a terra la sua arma. Il tronco rotolò per terra, lontano da loro ed Esme abbassò lo sguardo, colpevole anche solo di aver pensato minimamente di ucciderlo. Sapeva che non lo avrebbe mai fatto e non perché non poteva privare un altro essere della sua vita, o non-vita. Semplicemente c’era qualcosa che la spingeva verso di lui, che l’aveva fermata prima di fargli del male, e pentirsene poi.
Esme non sapeva proprio spiegarsi che cosa le stava accadendo e stancamente si lasciò cadere a terra, un riflesso incondizionato.
«Perché?» trovò la forza di domandare, evitando di guardarlo in pieno viso. Se avesse potuto sarebbe arrossita, ma sapeva che il suo aspetto sarebbe rimasto invariato. Carlisle s’inginocchiò davanti a lei e le carezzò il capo, sfilando le lunghe dita pallide fra i suoi boccoli castani. Esme non fece nulla, rimase a godersi quelle carezze che, in qualche modo, la riscaldavano.
«Perché eri giovani, bella ed era ingiusto che la morte si portasse via una persona come te,» rispose in un soffio.
«Tu non sai nulla di me,» replicò lei.
«Tu si?»
Quella domanda la colse di sorpresa, ma aveva ragione. Nemmeno lei sapeva nulla di se stessa. I suoi ricordi erano sfumati via e l’unica cosa che ricordava era il dolore della trasformazione. La donna scosse la testa, abbandonandosi a un sospiro di rassegnamento.
«Non ricordo più niente se non il dolore».
«Tutti lo ricordano, il dolore della trasformazione».
Calò il silenzio su di loro, un silenzio denso di parole represse e di verità e domande.
Esme non riusciva ad accontentarsi di quella risposta.
«E perché mi sentivo solo,» aggiunse l’uomo, abbassando lo sguardo verso il pavimento. Esme conosceva quella sensazione di solitudine e non riusciva a biasimarlo.
«Davvero mi trovi bella?» chiese e si morse la lingua. Sembrava un’adolescente immatura, in un corpo da donna. La risata dolce e cristallina la avvolsero e Carlisle alla fine la abbracciò. Esme rimase interdetta da quel gesto, dolce ed intimo, ma si accoccolò meglio fra le sue braccia. Le infondevano un senso di protezione e amore.
«Ovviamente!»
«Perché proprio me?» chiese nuovamente e questa volta non lo stava accusando, per averla trasformata. Era certa che avrebbe potuto trasformare qualche altra donna più bella di lei. Per un attimo si odiò immensamente per quei pensieri, loro non si conoscevano. Lei non lo aveva mai visto, non lo conosceva ma provava un senso di egoismo e gelosia al pensiero che fra quelle braccia potesse esserci un’altra donna.
«Perché mi piacevi,» esordì con un sospiro. «Quando ti ho vista su quel letto dell’ambulatorio non potevo credere ai miei occhi. Eri la donna più bela che avevo mai visto in tutta la mia vita, ed è molto lunga,» completò. Lei si sentì lusingata da quelle parole, ma dalla sua bocca uscì un’altra domanda.
«Quanti anni hai?»
«Beh, tanti…» rispose esitante. «Direi più di duecento,» confessò. Esme non disse nulla e rimasero così, abbracciati l’una all’altro.
 
Un anno era passato e d’allora Esme non si era più allontanata da Carlisle. Erano rimasti sempre insieme, come se fossero legati da un filo invisibile.
In quell’anno la donna aveva affrontato il suo autocontrollo; era stato difficile per lei restare vicino agli umani e la sua gola continuava a bruciarle, ma non voleva deludere Carlisle.  Aveva fatto i conti anche con il suo passato, lui le aveva detto di come era arrivata al punto di morire prima che lui la trasformasse. Non ricordava precisamente il volto di un bambino, ma poteva immaginarlo perfettamente. Le bastava chiudere gli occhi e davanti a lei si materializzava l'immagine di un piccolo angioletto. Si sentiva sempre triste perché avrebbe tanto voluto avere una vita felice con il suo bambino; comunque le bastava stare vicino a Carlisle e la tristezza le passava.
Un giorno di dicembre qualcuno bussò alla porta della loro nuova casa. Fu Esme ad aprire la porta e quando si ritrovò un ragazzo davanti, fu naturale sorridergli.
«Buon pomeriggio,» lo salutò cordialmente.
«Salve,» disse il ragazzo.
«Tu devi essere Edward, giusto?» gli domandò, guardandolo in quegli occhi dorati, con qualche sfumatura rossiccia. Erano gli stessi di Carlisle e lui le aveva spesso raccontato di Edward.
«Sì e tu sei…?» chiese con sospetto.
«Esme, piacere,» si presentò tendendogli la mano. Edward la strinse con diffidenza ed Esme si fece da parte.
«Entra e scusami se ti ho fatto restare sulla porta con questo freddo,» si scusò, dispiaciuta.
«Non sento il freddo,» rispose sbrigativamente Edward avventurandosi per quella casa a lui sconosciuta. Esme rimase sorpresa dal suo comportamento, ma non disse nulla. Lasciò che andasse in cerca di Carlisle, mentre lei richiuse la porta e ritornò in salotto. Faceva bella mostra di sé un albero, ancora spoglio, di pino. Le decorazioni erano tutte ammassate in un angolo della stanza.
Esme adorava il Natale e, soprattutto, la neve. Guardò fuori dalla finestra e vide i fiocchi di neve che cadevano fittamente ricoprendo tutto il paesaggio di un soffice manto bianco.
«Carlisle te ne devi liberare!» sibilò improvvisamente la voce di Edward. Esme si bloccò, trattenendo il respiro e rimase attentamente in ascolto.
«Edward, calmati,» rispose Carlisle.
La donna non riuscì ad udire più nulla. Edward la odiava, la detestava e poteva comprendere il perché.
Carlisle era l’unica persona su cui poteva contare e adesso lei si è intromessa fra loro. Si sentì un’intrusa, ma non poteva e non voleva lasciare Carlisle. Edward avrebbe fatto meglio a sopportarla, perché non se ne sarebbe adnata via così presto.
 
«Esme, tesoro, lui è Edward. Il ragazzo di cui ti ho parlato. Edward lei è Esme, la mia compagna,» li presentò Carlisle con un sorriso smagliante in volto. Edward la guardò con sufficienza, mentre Esme faceva buon viso a cattivo gioco.
«Piacere di conoscerti, Edward. Carlisle mi ha parlato molto di te,» disse con cordialità. Edward al contrario non sembrava molto felice di fare la sua conoscenza. Esme alzò un sopracciglio, contrariata da quel suo comportamento.
«Senti Edward, mi dispiace che dopo tutto questo tempo di lontananza tu sia ritornato e che tutto sia cambiato, ma devi accettare il fatto che adesso anche io farò parte della tua vita!» esclamò la donna, portandosi le mani ai fianchi e guardandolo con un cipiglio di rimprovero. Sembrava una madre che rimproverava il figlio, mettendolo in punizione.
«Carlisle, ora, è la mia famiglia e io voglio stare con lui,» concluse.
Carlisle sorrise e le poggiò entrambe le mani sulle sue spalle, mentre la donna fronteggiava lo sguardo di Edward. E alla fine cedette, anche Edward sorrise e rilassò le spalle.
«Beh Carlisle, avevi ragione. Piacere Esme, sono felice di fare la tua conoscenza,» rispose alla fine, allungandogli una mano, che la donna prontamente afferrò con un enorme sorriso stampato in volto.
Era rimasta sorpresa di quel risvolto e guardò prima il suo compagno e poi il ragazzo. Era uno scherzo?
«Ah-ah, pensavo veramente che Edward mi detestasse,» si lamentò, dando una leggera gomitata a Carlisle.
«Oh, lo so, Esme, ed è stato divertente leggerti nel pensiero! Tutte quelle motivazioni a cui cercavi di credere…» sghignazzò il ragazzo ed Esme desiderò di aver capito male.
«No, hai capito molto bene,» confermò il ragazzo. Esme sgranò gli occhi e cercò di svuotare la mente.
«Andiamo Esme…»
«Smettila di leggermi la mente! Non è per niente carino,» urlò lei.
 
 
«Davvero mio padre ti odiava?» domandò la bambina. Esme, seduta a bordo del suo letto, ridacchiò divertita da quella domanda dolce e innocente.
«Certo che no, cara,» la tranquillizzò. «Ma tuo nonno e tuo padre si erano messi d’accordo di farmi uno scherzo».
Renesmee strinse maggiormente contro sé il suo peluche di coniglio, mentre si sistemava più comodamente sotto le coperte. Con un grande sbadiglio poggiò il capo al cuscino e con occhi assonnati guardò verso il comodino, dove faceva mostra di sé una cornice che ritraeva l’intera famiglia.
«E’ stato davvero cattivo da parte loro farti quello scherzo! Ma è una storia bellissima, nonna,» si complimentò la piccina sorridendo stancamente. Anche Esme le sorrise, rimboccandole con infinita dolcezza le coperte.
«Buona notte piccina mia, fai sogni d’oro».
























Angolo Autrice
Beh dopo tanto tempo sono ritornata con un'altra storia di Twilight. Da poco ho visto l'ultimo film e nella battaglia finale  mi ha particolarmente colpito la relazione fra Esme e Carlisle (non scendo nei dettagli, per evitare lo spoiler per ogni eventualità! ^^)
Per cui ho voluto scrivere una storia che comprendesse loro due e il loro primo incontro, visto che né nel film né nel libro viene descritta nei dettagli. Ho sempre immaginato che loro due fossero perfetti e mi ha sorpreso come Carlisle abbia deciso di trasformarla, invece che lasciarla morire. D'altra parte non si conoscevano...
Spero di aver mantenuto l'IC di ogni personaggio e di non aver combinato i miei soliti casini. Ci tengo a specificare che il personaggio di Renesmee è un poco adattato alla mia fantasia di una dolce bambina che ascolta la fiaba della buona notte; infatti nel film o libro non viene mai menzionato un peluche di coniglio, ma io lo adoravo e l'ho inserito xD Ah, anche il tema del Natale lo sto inserendo un po' ovunque, anche perché siamo nel periodo natalizio. E comunque non viene specificato il momento in cui si incontrano ^^ Bene, credo di aver detto un po' tutto...
Comunque spero che la sotira sia piaciuta a qualcuno, per cui fatemi sapere!!!
Bacioni
MissysP
  
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