Quando ero giù di morale quelle cuffie erano tutto ciò che mi tiravano su. Le infilavo nelle orecchie e il mondo intorno a me si fermava quando premevo il tasto play,quando la sua voce si infilava prepotente nella mia testa,diventando un tutt’uno con la mia persona. Chiudevo gli occhi,e per un secondo,uno stupido secondo la sentivo accanto a me,la sentivo parte della mia vita. Sentivo le sue braccia che mi avvolgevano e il suo sorriso sincero mentre mi diceva che sarebbe andato tutto bene. La vedevo seduta su quel letto accanto a me,stringendomi la mano ed intimandomi di andare avanti,perché ero il suo fuoco d’artificio.

Mi svegliai dal trance in cui ero caduta,ed infilando un semplice cardigan uscii di casa,investita da una folata di  vento gelido. Gli inverni nel mio paese erano così,capaci di farti battere i denti.
Iniziai a camminare per quel paese che mi stava tanto stretto,per quel paese che troppe volte non avevo sentito mio. Come si dice,una straniera in terra straniera.Li tutti i miei sogni andavano a finire verso un muro,un muro che poi li sgretolava tutti. Lì i miei sogni  facevano “stop”.
Mi richiudevo nella sua musica perché era l’unica cosa che avevo,l’unica cosa che mi faceva compagnia quando il resto del mondo se ne andava dicendomi che non ce l’avrei fatta. Le sue parole erano tutto ciò che avevo,tra litigi,e pianti che circondavano la mia vita come una cornice.Tante volte avrei voluto bruciare quella cornice e farla finita,ma pensavo al legame che avevo col mondo,con lei. Pensavo che non mi avrebbe mai perdonato una cosa del genere se lo avesse saputo. Non volevo farle sapere che non avevo combattuto.
Una sua canzone diceva “At the end of it all,who am I living for?”,e grazie a lei l’ho scoperto.Ho capito che l’unica persona di cui mi importa veramente era lei,che stavo vivendo per lei,per poterla vedere un giorno,per poterla sentire cantare. Per guardarla negli occhi,sentire il suo profumo e la sua pelle al contatto con le mie labbra,quando le avrei stampato un bacio sulla guancia. Vivevo per poterla stingere tra le mie braccia e dirle “Non voglio più che da quegli occhi esca una sola lacrima. Io ci sarò,sempre.”. Perché sentivo che da una parte anche lei aveva bisogno di me,di noi,dei suoi Katycats. Anche lei aveva bisogno della nostra presenza,di qualcuno che le dicesse che andava tutto bene,di qualcuno che l’amasse per quella che era.Perchè solo noi conoscevamo la vera Katy Perry,solo noi sapevamo ciò che sentiva realmente. Solo noi capivamo da uno sguardo se stava bene o aveva bisogno di qualcosa o qualcuno. Solo noi sapevamo che aveva dei principi,che avrebbe rispettato sempre.

Spesso mi chiedevano cosa ci vedessi in lei,cosa gliene fregava della mia vita,dei miei problemi,cosa gliene fregava di me ma io a queste persone non rispondevo. Non rispondevo perché sapevo che non avrebbero capito,ed avevo paura,una paura fottuta di perderla,di perdere la complicità che avevo con lei.
Pensavo al futuro e a quando sarebbero passati gli anni. A quando avrei raccontato ai miei figli di quella donna che amavo tanto quanto mia madre,e forse più. Di quella donna che mi aveva fatto versare tante lacrime. Di quella donna che spesso chiamavo mamma,che spesso chiamavo Katy,che spesso chiamavo idolo,che spesso chiamavo stella.
 
Lei era la sorella perfetta,la sorella che non avevo mai avuto. Lontana mille miglia.
Lei era l’amica a cui potevo confidare tutto,senza paura di essere giudicata.
Lei era la donna con cui ti facevi mille risate.                                          
Lei era l’amica lontana che ti era accanto inconsapevolmente.
Lei era il motivo per cui vivevo.
Lei era la mia migliore amica,il mio alibi.