GHIACCIO
SECCO
CAPITOLO
UNO
Un
suono stridulo lo avvisò che qualcuno aveva suonato al citofono del suo
appartamento. Quando alzò la cornetta per sapere chi fosse si sentì rispondere
da una voce femminile e sconosciuta.
-Sì?-
-Signor
Valo?-
-Sì,
sono io… chi è?- domandò il cantante degli HIM aggrottando le
sopracciglia.
-Mi
chiamo Sonja Tahvonainen, sono un’assistente sociale, avrei bisogno di parlarle,
posso salire?-
Ville
rimase un attimo in silenzio prima di aprire alla donna. Mentre aspettava che
salisse fino al suo piano si chiese cosa mai potesse volere da lui un’assistente
sociale… L’avrebbe saputo presto. Il cantante andò ad aprire a una donna sulla
cinquantina, abbastanza in carne, capelli biondo chiaro, che gli sorrideva
cortese.
-Buongiorno!-
salutò la donna porgendo la mano al cantante.
-Buongiorno…
vuole entrare?- rispose Ville lanciando uno sguardo al casino che aveva
disseminato per casa.
Anche
l’assistente parve notarlo. –Non è necessario. Devo consegnarle questa lettera e
questi documenti.- disse la donna consegnando al darkman una grossa busta
marrone e una busta più piccola bianca. –E un’altra cosa, ma prima apra la
busta.- aggiunse infine, assumendo un’espressione un po’
imbarazzata.
Ville
strappò la carta della busta e cominciò a leggere la lettera. Ci vollero solo
pochi istanti prima che sbiancasse guardando la carta piegata con un’espressione
sconvolta. Rilesse più e più volte le prime righe per cercare di renderle più
reali o per cercare di farle sparire. Non era possibile…
-Ci
dev’essere un errore!- esclamò il cantante guardando interrogativo l’assistente
sociale.
-So
che è una cosa sconvolgente, anche perché è una cosa inaspettata, ma… posso
assicurarle che non c’è un errore, lo vedrà lei stesso.- rispose la donna
–Eljas, vieni qui.- disse poi.
Un
bambino sui 10anni entrò nel campo visivo di Ville. Decisamente non poteva
esserci un errore, quel bambino gli somigliava in maniera impressionante, a
partire dagli occhi verde acceso, per continuare sui capelli castano scuro
leggermente mossi e sul nasino leggermente all’insù, tipicamente finlandese.
Eljas guardò l’uomo che gli stava di fronte con uno sguardo vuoto, forse appena
consapevole di quello che gli stava accadendo.
-E’
un po’ timido, non si sorprenda se non le rivolgerà molto la parola all’inizio.-
disse Sonja Tahvonainen appoggiando una mano sulla spalla del bambino, già
abbastanza alto per la sua età. –Capisco che la cosa sia abbastanza improvvisa,
ma nelle ultime volontà della madre c’era scritto che il bambino fosse portato
da lei. Eljas ha con sé lo stretto indispensabile, il resto delle sue cose le
verrà recapitato nel giro di una settimana, due al
massimo.-
Ville
e il bambino si guardarono intensamente per parecchi secondi, poi finalmente il
cantante riuscì a parlare –Io… non so se posso… voglio dire, non sono preparato
a questo, non vorrei che… insomma, mi capisce, no?-
-Posso
capirla, ma purtroppo non possiamo fare altrimenti. Nel testamento della madre
si richiedeva espressamente che Eljas stesse da lei, ma se vuole dare il bambino
in affidamento devo avvertirla che le procedure sono molto lunghe, ci potrebbero
volere parecchi mesi.- rispose l’assistente sociale.
Ville
tornò a guardare Eljas che stavolta ricambiò lo sguardo penetrante. Non era
pronto per questo! Sarebbe stato un male per entrambi, lo faceva per il suo
bene… -Faccia un tentativo per l’affidamento e mi faccia sapere il prima
possibile.- disse infine –Io credo sia meglio così… Io non mi sento pronto per
una cosa del genere, farei solo danni.-
Sonja
Tahvonainen lo guardò comprensiva, non era la prima volta che le capitava di
sentire quelle parole, purtroppo. –Non si preoccupi, me ne occuperò
personalmente.- rispose, poi tirò fuori dalla borsa un blocchetto e una penna e
scrisse il suo recapito telefonico –Mi chiami a questo numero, ci metteremo
d’accordo.- disse poi porgendo il foglietto a Valo. –Ora devo andare. Eljas,
cerca di comportarti bene finché rimarrai qui. Arrivederci, signor
Valo.-
Finché
resterai qui…
Quelle parole riecheggiarono nelle orecchie di Ville come raffiche di mitra.
Adesso si sentiva in colpa. Lanciò un’ulteriore occhiata al bambino dopo che la
donna li ebbe lasciati soli. E adesso?
–Avanti, entra.- gli disse facendogli segno di accomodarsi in cucina. Si
sedettero l’uno di fronte all’altro, uno a capo della tavola, l’altro a quello
opposto, e rimasero in silenzio finché Ville non riuscì a parlare di nuovo. –E
così tu saresti mio figlio.-
-Così
sembrerebbe.- rispose Eljas con voce atona.
-Già…-
sospirò Ville cercando di rivolgere lo sguardo altrove: quegli occhi identici ai
suoi gli facevano impressione –Bé, visto com’è dimmi qualcosa di te, cosicché io
possa conoscerti. Non mi va di leggere chi sei da delle
carte.-
-A
che ti serve conoscermi se tanto hai già deciso di sbarazzarti di me?- replicò
velenoso il bambino.
Ville
lo guardò allibito –Non è che io abbia deciso di sbarazzarmi di te, Eljas, è solo che
penso sia meglio che tu viva da qualche altra parte. Io non sono pronto per fare
il padre, farei solo danni.-
-Nemmeno
io ero pronto a perdere mia madre, eppure ora sono qui e affronto la cosa!-
obiettò Eljas. Ville si sorprese della maturità che dimostrava, per quanto le
sue parole non gli facessero affatto piacere.
-Non
è la stessa cosa.- disse il cantante –Io devo crescerti ed educarti in quanto
genitore, ma se non mi sento maturo io, come faccio ad educare te? Non saprei
nemmeno da dove cominciare, farei soltanto delle grandissime caz…
volate!-
-Non
ti preoccupare, non ho più 1 anno, non devi cambiarmi i pannolini.- disse acido
Eljas.
-Quanti
anni hai?- sospirò sconfitto Ville.
-Undici.-
Undici.
I conti tornavano: erano 11 anni che non vedeva la madre del bambino. Un giorno
era semplicemente sparita senza lasciare traccia, né un numero telefonico né un
biglietto… semplicemente era andata via. Ora Ville poteva intuire perché, anche
se non riusciva a capire come mai non gliel’avesse detto.
-Allora
hai ancora l’età per andare a scuola, e io dovrei essere responsabile per te,
andare a parlare con gli insegnanti… Non sono pronto per tutto questo! Un padre
e una famiglia affidataria riuscirebbero a garantirti una vita tranquilla e
serena e poi avresti anche una nuova mamma!-
-Io
non la voglio un’altra madre! Andava benissimo la mia! Ma un camionista del
cazzo ha pensato bene di guidare ubriaco e di centrare in pieno la sua macchina
un mese fa!!- sbottò il bambino. L’appartamento cadde nel silenzio completo.
Ville ignorò il turpiloquio del bambino, era l’ultimo a poterlo
rimproverare.
-Senti…
per parecchi mesi dovrai restare qui, quindi che ne dici di un armistizio?-
domandò Ville, poi aggiunse –Sai cosa vuol dire?-
-Sono
un bambino, ma non sono un ignorante.- replicò Eljas. Ville poté constatare che
ignorante non lo era, ma arrogante sì. Se non altro la genetica
funzionava.
-Perché
non apri la busta?- domandò il ragazzino alludendo alla grande busta marrone
appoggiata sul tavolo.
-Vuoi
che la apra?-
-Per
curiosità.- disse Eljas facendo spallucce.
Ville
lo accontentò e strappò anche quella busta estraendo vari fogli di carta
stampata o scritta a mano. Prese in mano un fascicolo e cominciò a dargli
un’occhiata: erano tutti i documenti riguardanti il bambino fino ad
allora.
-Eljas
Nikolai Rakohammas, nato il 17 luglio 2000.- lesse Ville –Ti ha dato il mio nome
vero!- esclamò stupito.
-Sì,
infatti nessuno ha mai sospettato che fossi tuo figlio, nemmeno io.- rispose
Eljas.
Ville
lo guardò perplesso –Non ti ha mai detto che eri mio
figlio?-
Eljas
scosse la testa –No. Quando le chiedevo chi fossi e dove fossi finito mi diceva
che non poteva ancora dirmelo, ma che un giorno avrei saputo tutto.- disse –L’ho
scoperto dopo che è morta.-
-Io…
non sapevo che lei fosse rimasta incinta. E’ sparita e non si è più fatta viva.
Pensavo avesse deciso di troncare lì la storia senza troppi addii… ma a quanto
pare c’era qualcosa più sotto.- sospirò Ville.
Dopo
parecchi minuti di silenzio il darkman si alzò e prese il borsone di Eljas.
–Vieni, ti mostro la tua stanza. Per il momento sopporta il casino, quando avrò
tempo, oggi… o domani… metterò in ordine.-
Eljas
seguì mite il padre fino alla stanza in questione: era abbastanza grande, ma
come tutto l’appartamento era ingombrata da cose più o meno riconducibili al
campo semantico della spazzatura. –Mi adatterò.- disse sedendosi su un letto a
piazza singola. Ville lo osservò titubante, poi si congedò e andò in camera
sua.
“Un
figlio, cazzo… Sono padre da 11 anni e nemmeno lo sapevo!” pensò picchiando un
pugno sul materasso. Il movimento fece uscire dalla busta poggiata sul letto
un’altra lettera che riportava sulla busta la scritta Per Ville. Il cantante l’afferrò e la
l’aprì, terrorizzato dal suo contenuto.
Caro Ville,
anzi
no. “Caro” è una parola molto formale e questa lettera vuole essere tutt’altra
cosa.
Ciao,
Ville. Se stai leggendo questa lettera significa che mi è capitato qualcosa e
che io non ci sono più. Mi dispiace di non averti più potuto rivedere, ma la
vita va così. Se stai leggendo questa lettera vuol dire anche che sei venuto a
conoscenza di Eljas. Molto probabilmente ora sarai stupito, scioccato e quasi
sicuramente anche molto arrabbiato con me per averti nascosto la mia gravidanza.
Hai tutti i diritti del mondo, ma io ho avuto le mie
ragioni.
Anche
se ti potrà sembrare stupido (secondo me non lo è affatto) ho preferito sparire
perché non volevo che mio figlio diventasse un fenomeno mass-mediatico, perché
sapevo che sarebbe stato così. Quando ho scoperto di essere incinta ho subito
capito che avrei tenuto il bambino, anche se era un errore; non so perché, ma in
certo senso dev’essere stato il pensiero di aver fatto quell’errore con te. Sei
autorizzato a ridere della mia romanticheria, ma solo questa volta. Tuttavia
tenere il bambino e dirtelo avrebbe voluto dire che tutto il mondo avrebbe
saputo di quel piccolo e che lui non avrebbe mai potuto vivere una vita normale.
Ho solo voluto proteggerlo dai riflettori, ma per farlo ho dovuto nasconderla
anche a te. Perdonami, ma non ho avuto scelta, avresti sicuramente insistito
affinché io restassi con te e Eljas sarebbe diventato “il figlio di Ville Valo”
prima che essere se stesso.
Ora
però è rimasto solo, e quindi trovo giusto che venga a sapere di te, almeno per
conoscerti e sapere chi sei. So che avrai da obiettarmi molte cose, anzi mi
sembra di sentirti: “Ma se sono un bambino io, come posso fare il padre?” e mi
viene da sorridere. Tu in realtà sei un uomo maturo, Ville, hai 35 anni e posso
benissimo vedere che sei maturato tantissimo in questi ultimi 11 anni, da quello
che dici e da come ti poni. So che la tua immaturità è tutta una scena, quindi
non prendere in giro te stesso. Sono sicura che troverai il modo per accettare
questa nuova situazione.
Abbraccia
forte Eljas per me e digli che gli ho sempre voluto
bene.
Un
bacio
Alexandra
Alexandra…
Non sentiva quel nome da 11 anni. L’aveva amata, per quanto poi l’avesse
maledetta per il suo abbandono. In fondo ora capiva, non la giustificava, ma la
capiva. Rimaneva solo da accettare la situazione e vedere cosa sarebbe successo.
Prima di tutto però aveva un dovere da compiere.
Si
diresse in camera di Eljas, che stava riordinando le poche cose che aveva, e lo
abbracciò forte. Dopo un attimo di smarrimento il bambino si lasciò andare,
lasciando che i suoi occhi si bagnassero di lacrime silenziose, mentre le
braccia protettive di Ville gli circondavano le spalle.
eccomi di nuovo, dopo la fine di Legame di Sangue (1 e 2)! questo è il motivo per cui tardavo con l'aggiornamento dell'altra... spero che vi piaccia, è tutto un altro genere tuttavia. come sempre non è una fanfiction per ingiuriare, ma per omaggiare e io non conosco veramente i personaggi... lo dico perché sennò efp mi trucida. XD commentatemi in tanti e ditemi, come sempre, apertamente se vi disgusta! enjoy me!
Julia (aka musicaddict)
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